Codice di Procedura Penale art. 68 - Errore sull'identità fisica dell'imputato.Errore sull'identità fisica dell'imputato. 1. Se risulta l'errore di persona, in ogni stato e grado del processo il giudice, sentiti il pubblico ministero e il difensore, pronuncia sentenza a norma dell'articolo 129 [620, 667]. InquadramentoL’art. 68 disciplina l’ipotesi dell’errore sull'identità fisica della persona, ossia l’ipotesi di incertezza in ordine all'identità tra la persona fisica e la sua identità anagrafica. RatioLa ratio della norma è di immediata comprensione: il legislatore non può ammettere che il cittadino diventi soggetto estraneo di un processo penale, eventualità negativa non solo per l’imputato (estraneo) ma anche per il regolare e celere funzionamento della giustizia. ApplicazioneLa norma riguarda i casi in cui sussiste un errore sull'identità fisica dell’imputato che si verifica in caso in cui non vi sia identità ossia corrispondenza tra la persona nella sua fisicità ed il nome ossia la sua identità onomastica. Tale eventualità ricorre in presenza di sosia o di omonimia, ovvero, più in generale, in ogni caso in cui l'imputato non sia comunque identificabile. L'incertezza, quindi, non attiene alle sole generalità ma alla identificazione della persona. L'incertezza o l'erronea identificazione della persona autrice del reato non vanno confuse con l'incertezza o la falsità delle sole generalità che la contraddistinguono. In questo secondo caso, invero, non v'è incertezza sull'identità fisica ma solo sulle sue generalità. Ne consegue, pertanto, che nel caso in cui la persona chiamata a rispondere penalmente non corrisponda, certamente o probabilmente, alla persona dell'autore del reato, quali che siano le generalità con cui essa è indicata agli atti del processo, va adottata la formula assolutoria «per non aver commesso il fatto», mentre nel caso in cui la persona fisica chiamata a rispondere del fatto sia stata identificata con certezza, pur rimanendone incerte le generalità, deve adottarsi la formula di improcedibilità per essere ignoto l'autore del reato, che non pregiudica ulteriori indagini del pubblico ministero e l'eventuale inizio dell'azione penale contro l'autore del fatto, una volta compiutamente generalizzato (Cass. II, n. 2700/1998). Dalla lettura della norma emerge che il legislatore ha inteso disciplinare solo il caso in cui l’esistenza di un errore risulti positivamente accertato e ha inteso circoscriverne l’applicazione al solo dibattimento. In presenza dei citati presupposti, il giudice, sentito il P.M. ed il difensore, pronuncia sentenza ai sensi dell'art. 129. Qualora sussista un dubbio, prima di procedere ulteriormente, il giudice è tenuto a disporre tutti gli accertamenti necessari per acquisire la certezza dell'identità o, viceversa, dell'errore, determinandosi conseguentemente ai risultati delle verifiche disposte. Se risulterà accertata l'identità il procedimento seguirà il suo corso mentre in caso contrario applicherà la norma in esame. Nel caso in cui, infine, non si giunga ad alcuna certezza, il giudice dovrà emettere sentenza di non doversi procedere ai sensi dell'art. 529, comma 2. Nel caso in cui la condizione di dubbio insorga nella fase delle indagini preliminari spetterà al P.M. effettuare tutti gli accertamenti necessari per dissipare il dubbio. In mancanza di una norma che lo disponga, deve ritenersi che non sia possibile dichiarare la sospensione della decorrenza del termine di prescrizione per il tempo necessario allo svolgimento degli accertamenti necessari per superare lo stallo determinato dall'incertezza in ordine all'identificazione della persona. Rilevabilità dell'erroreL’errore, andando ad incidere su un aspetto indefettibile (la corretta identificazione dell’imputato) può essere rilevato, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, atteso che la norma si riferisce alla sola fase processuale. Questa delimitazione è conseguenziale all'avvenuto esercizio dell'azione penale che è irretrattabile e non può chiudersi se non con un provvedimento dotato di definitività quale una sentenza ancorché priva di un reale accertamento. Sarebbe infatti incongruo in tal caso qualificare come sentenza il provvedimento emesso dal giudice in quanto trattasi di un atto col quale il giudice si limita ad estromettere l'estraneo dal processo che prosegue nei confronti dell'autentico imputato, se e quando correttamente identificato. La particolare natura del provvedimento, privo di una reale valenza di giudicato, non esclude che l'azione penale possa essere nuovamente esercitata anche contro la persona precedentemente estromessa. Prima di pronunciarsi il giudice è tenuto a sentire il P.m. ed il difensore, ben potendo anche in quella sede acquisire elementi atti a risolvere i dubbi in ordine all'identificazione dell'imputato ed evitare possibili errori. Nel caso in cui si sia accertato l’errore in sede di indagini preliminari, ovviamente non sarà necessario neanche una pronuncia ai sensi dell’art. 129 in quanto non è stata nemmeno esercitata l’azione penale ed è pertanto possibile chiudere il procedimento anche col semplice ricorso all'archiviazione. Se, anche in presenza di un errore, venga pronunciata sentenza di condanna, come evidenziato in premessa, la stessa sarà sempre annullabile senza rinvio ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. g), da parte della Corte di Cassazione. Deve ritenersi, inoltre, che l'impugnativa sarà, in tal caso, proponibile anche oltre il termine previsto per l'impugnazione atteso che l'errore sull'identità fisica dell'imputato rende il provvedimento affetto da una anomalia genetica così radicale che può essere denunciata in qualsiasi momento in quanto determina l'inesistenza materiale o giuridica del provvedimento e lo rende, pertanto, inidoneo a passare in giudicato (Cass. S.U., n. 11/1997). Casisticadeve intendersi viziata da errore di persona la sentenza emessa nei confronti di una persona che sia stato identificato attraverso documentazione sottratta al legittimo proprietario e che abbia dichiarato le false generalità indicate nel documento identificativo, in quanto pronunciata nei confronti di un soggetto avente generalità diverse da quelle dell'effettivo autore del reato. Né risulta esperibile in tal caso, il rimedio previsto dall'art. 130, atteso che per dare corso ad una correzione di errore materiale sarebbe necessario disporre delle reali generalità dell'autore del reato rimasto, invece, sostanzialmente ignoto. Siffatta situazione processuale non può essere altrimenti risolta che con l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica competente, affinché possa procedere ritualmente nei confronti dell'imputato esattamente generalizzato (Cass. V, n. 32082/2014); - qualora con riguardo alla persona condannata con sentenza irrevocabile si deduca l'erronea indicazione nella stessa sentenza delle generalità, è configurabile un incidente di esecuzione riconducibile alla previsione dell'art. 668, e concernente l'errore di nome del condannato, al quale deve ovviare il giudice dell'esecuzione nelle forme previste dall'art. 130, purché ricorra la condizione che la persona contro cui si doveva procedere sia stata citata come imputato, ancorché sotto altro nome, per il giudizio (Cass. I, n. 14046/2015); - la presenza fisica in udienza dell'imputato non determina questioni afferenti la sua identità ma solo, nel caso in cui non declini complete generalità, un'incertezza riguardo alla sua identità personale da risolvere attraverso lo svolgimento di ulteriori accertamenti, da effettuare nella stessa sede giudiziale con i mezzi previsti dalla legge. Conseguentemente, è abnorme l'ordinanza con la quale il giudice dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio sulla scorta del dubbio sulla maggiore età dell'imputato, sia perché esula dal paradigma di cui all'art. 555, secondo comma, sia perché determina un'indebita regressione del procedimento alla fase precedente (Cass. V, n. 145/1994). BibliografiaTonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2010. |