Codice di Procedura Penale art. 70 - Accertamenti sulla capacità dell'imputato.Accertamenti sulla capacità dell'imputato. 1. Quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento [129, 529-531] o di non luogo a procedere [425] e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta al fatto (1), l'imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche di ufficio [190 2], perizia [220] (2). 2. Durante il tempo occorrente per l'espletamento della perizia il giudice assume, a richiesta del difensore, le prove che possono condurre al proscioglimento dell'imputato, e, quando vi è pericolo nel ritardo [467], ogni altra prova richiesta dalle parti [190 1]. 3. Se la necessità di provvedere risulta durante le indagini preliminari [326 s.], la perizia è disposta dal giudice [328] a richiesta di parte con le forme previste per l'incidente probatorio [392 s.]. Nel frattempo restano sospesi i termini per le indagini preliminari [405-407] e il pubblico ministero compie i soli atti che non richiedono la partecipazione cosciente della persona sottoposta alle indagini. Quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove nei casi previsti dall'articolo 392 [71 5] (3). (1) La Corte cost., con sentenza 20 luglio 1992, n. 340, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma limitatamente alle parole «sopravvenuta al fatto». (2) La Corte cost., con sentenza 7 aprile 2023, n. 65 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 72-bis, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico» e ha dichiarato , in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell'art. 70, comma 1, c.p.p., nella parte in cui si riferisce all'infermità «mentale», anziché a quella «psicofisica»; l'illegittimità costituzionale dell'art. 71, comma 1, c.p.p., nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»; l'illegittimità costituzionale dell'art. 72, comma 1, c.p.p., nella parte in cui si riferisce allo stato «di mente», anziché a quello «psicofisico», e, nel comma 2, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico». (3) La Corte cost., con sentenza 26 gennaio 2004, n. 39 nel dichiarare non fondata una questione di legittimità costituzionale degli artt. 70, 71 e 72 nella parte in cui non prevedono la sospensione del processo in tutti quei casi in cui, per infermità fisica di qualsiasi natura, oltre che psichica, l'imputato non sia in grado di partecipare attivamente al processo, esercitando validamente la propria autodifesa, ha affermato che, anche se l'art. 70 si riferisce letteralmente ad ipotesi di "infermità mentale", «il sistema normativo è chiaramente volto a prevedere la sospensione ogni volta che lo "stato mentale" dell'imputato ne impedisce la cosciente partecipazione al processo» per cui «quando non solo una malattia definibile in senso clinico come psichica, ma anche qualunque altro stato di infermità renda non sufficienti ... le facoltà mentali (coscienza, pensiero, percezione, espressione) dell'imputato» il processo «non può svolgersi». Ove poi sussistano solo «ostacoli all'espressione verbale o scritta e alla reciproca comprensione, derivanti da impedimenti collegati ad uno stato di infermità» troverebbe applicazione l'art. 119 c.p.p. InquadramentoL’art. 70 è posto a tutela della salute dell’imputato o indagato nel caso in cui lo stesso presenti patologie psichiatriche che non consentano la sua partecipazione al processo Il generale riconoscimento all'imputato di diritti connessi al proprio status, trova, nella norma in esame, un ulteriore forma di attuazione. Tale norma, pertanto, attraverso la tutela della capacità di stare in giudizio dell’imputato, garantisce non solo la comprensione di quanto si verifica all'interno delle dinamiche processuali, ma anche e principalmente il consapevole esercizio dei diritti che sono riconosciuti all'imputato. Questioni di legittimità costituzionaleL'interpretazione della norma è stata oggetto di un importante intervento della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità del primo comma dell'articolo in esame, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui limitava l'ambito applicativo ai soli casi in cui la condizione patologia si fosse manifestata successivamente alla commissione del fatto e non in epoca coeva o precedente allo stesso. La Corte, accogliendo l'eccezione sollevata, ha sostenuto che l'impossibilità della sospensione del procedimento penale per infermità mentale dell'imputato che, non comportando totale incapacità di intendere o di volere, sussista al tempus commissi delicti e successivamente perduri, comporta una lesione del diritto di autodifesa dell'imputato, data l'eventualità che all'esito del processo, senza che egli sia stato in grado di parteciparvi coscientemente, sia pronunciata nei suoi confronti una sentenza di condanna con conseguente applicazione della pena. Sulla base di tali considerazione la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 24, comma 2, Cost. e ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 70, comma 1, nella parte in cui, con le parole «sopravvenuta al fatto», consente la sospensione del processo in questa sola ipotesi (Corte cost. n. 340/1992). La Corte Costituzionale ha pertanto preferito una visione sostanziale della reale capacità di autodeterminazione dell'imputato rispetto ad una di carattere temporale desumibile dal tenore letterale della norma. Altra questione estremamente rilevante che è stata affrontata dalla Consulta con riferimento all'art. 72-bis c.p.p.. ma con effetti che si riverberano anche sull'art. 70, è quella sulla natura dell'infermità che può portare il giudice a disporre una perizia. L'art. 70 prevede, infatti, che se vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale l'imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche d'ufficio perizia e, nel caso in cui tale infermità venga accertata e ritenuta irreversibile (salvo quanto previsto dall'art. 345 comma 2 c.p.p.), il Giudice, ai sensi dell'art. 72-bis c.p., pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca. La questione di legittimità che è stata sollevata, riguarda la natura di detta infermità che, aderendo ad una interpretazione restrittiva, deve essere esclusivamente “mentale”, in quanto idonea a non garantire la cosciente partecipazione al processo. Tale interpretazione escluderebbe, però, i soggetti che non possono avere una cosciente partecipazione per ragioni, a livello scientifico, di carattere fisico, come nel caso dei malati di sclerosi laterale amiotrofica (S.L.A.), una malattia che, come accaduto nel caso oggetto di ordinanza di rimessione, comporta una progressiva e irreversibile paralisi di tutto il corpo che conduce alla perdita dell'uso del linguaggio e della stessa autonomia respiratoria. Nonostante l'ovvia impossibilità di partecipare coscientemente al processo, la giurisprudenza di legittimità, come ricordato anche dalla Consulta, non ammetteva un'equiparazione tra le infermità di tipo mentale e quelle di natura “psico-fisica”. Per questo motivo, con ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, il Tribunale di Lecce in composizione monocratica ha sollevato una rilevante questione di costituzionalità dell'art. 72-bis c.p.p. con riferimento all'art. 3 Cost. per l'irragionevole disparità di trattamento tra fattispecie (l'infermità mentale e quella psicofisica parimenti irreversibile) connotate dalla medesima esigenza, ossia quella di far cessare un processo che, destinato a non essere mai celebrato, assorbe inutilmente risorse pubbliche e altrettanto inutilmente infligge all'imputato una sofferenza psicologica aggiuntiva a quella derivante da una situazione di salute già compromessa. La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione, e ha accolto la questione partendo da un orientamento del 2004 (Corte cost. n. 39/2004), secondo cui anche se l'art. 70 letteralmente si riferisce ad ipotesi di “infermità mentale”, il sistema normativo è chiaramente volto a prevedere la sospensione ogni volta che lo “stato mentale” dell'imputato ne impedisca la cosciente partecipazione al processo. Una partecipazione che, secondo quanto statuito dalla Consulta nel 2004, non può intendersi limitata alla consapevolezza dell'imputato circa ciò che accade intorno a lui, ma necessariamente comprende anche la sua possibilità di essere parte attiva nella vicenda e di esprimersi, esercitando il suo diritto di autodifesa. Sulla base di tale principio, la Corte Costituzionale nel 2004 ha quindi statuito che il processo non può svolgersi non solo quando una malattia sia definibile in senso clinico come psichica, ma anche quando sia presente qualunque altro stato di infermità che renda non sufficienti o non utilizzabili le facoltà mentali (coscienza, pensiero, percezione, espressione) dell'imputato, in modo tale da impedirne una effettiva partecipazione al processo. Pertanto, l'infermità di cui al primo comma dell'art. 70 c.p.p. non deve essere intesa come una malattia strettamente “mentale”, quanto “psicofisica”, ossia una malattia che vada ad intaccare «coscienza, pensiero, percezione, espressione» dell'imputato, non consentendogli un'effettiva partecipazione al processo. Per tali motivi, la Corte ha sancito che “deve essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 72-bis, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»” e, per l'effetto, ha dichiarato “la dichiarazione di illegittimità costituzionale consequenziale: dell'art. 70, comma 1, cod. proc. pen., relativo agli accertamenti sulla capacità dell'imputato, nella parte in cui si riferisce all'infermità «mentale», anziché a quella «psicofisica»; dell'art. 71, comma 1, cod. proc. pen., relativo alla sospensione del procedimento per incapacità dell'imputato, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»; dell'art. 72, comma 1, cod. proc. pen., relativo alla revoca dell'ordinanza di sospensione, nella parte in cui si riferisce allo stato «di mente», anziché a quello «psicofisico», e, nel comma 2, nella parte in cui si riferisce allo stato «mentale», anziché a quello «psicofisico»” (Corte cost. n. 65/2023). ApplicazioneI limiti di applicazione della norma sono sia di carattere intrinseco, qualitativi e quantitativi, che estrinseco. Aspetti qualitativi intrinseci Le uniche patologie alle quali, tradizionalmente, faceva riferimento la norma sono quelle di natura psichiatrica, ritenute le uniche atte a incidere sull'oggetto della tutela ossia la capacità di partecipare fattivamente al giudizio. In passato le eccezioni di illegittimità costituzionale, sollevata con riferimento all'esclusione di infermità fisiche erano state ritenute manifestamente infondate dalla Corte che ha in primis sostenuto l'evidente difformità di tipologia degli impedimenti connessi ai due tipi di malattie e, successivamente, rilevato che solo l'incapacità psichica comporti l'impossibilità ad attendere ai propri interessi nel corso della celebrazione del giudizio. La Corte, inoltre, aveva anche evidenziato che l'impedimento fisico è stato oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore, il quale ha specificamente previsto, in tali evenienze, la possibilità di una sospensione del processo, e dei connessi termini prescrizionali, per una durata limitata nel massimo a sessanta giorni oltre il tempo di durata dell'infermità, con ciò assicurando un bilanciamento non manifestamente irragionevole tra le esigenze di celerità del processo e la garanzia del diritto di difesa (Corte cost. ord., n. 243/2013). Tale impostazione è stato oggi totalmente superata dalla recente sentenza depositata in data 7 aprile 2023 dalla Corte Costituzionale, ed esaminata supra, con la quale la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 72-bis c.p.p. (e quella consequenziale anche dell'art. 70 c.p.p.) nella parte in cui considerava come unica fonte di infermità ai sensi dell'art. 70 c.p.p. quella mentale e non quella psicofisica. Alla luce dei principi che sono stati esaminati, l'infermità “psicofisica” deve essere considerata quella che vada ad intaccare «coscienza, pensiero, percezione, espressione» dell'imputato, non consentendogli un'effettiva partecipazione al processo. Aspetti quantitativi intrinseci Nonostante la recente sentenza della Consulta modifichi l'alveo delle malattie che possono comportare l'infermità psicofisica dell'imputato, la giurisprudenza di legittimità offre ancora un valido strumento per comprendere le caratteristiche che deve avere una patologia per determinare una sospensione del giudizio. Dal tenore stesso della norma si desume, infatti, che non può ritenersi sufficiente qualsiasi patologia psichiatrica, anche grave, ma è necessario che si tratti di una malattia che metta l'imputato in condizioni tali da non comprendere quanto avviene intorno a sé e, quindi, che gli impedisca di potersi adeguatamente difendere (Cass. VI, n. 2419/2009). Alla luce di tale interpretazione, solo quando la patologia abbia una incidenza diretta ed immediata sulla capacità processuale sarà valutabile ai fini della norma in esame. Pertanto, tutte le altre patologie, ancorché di natura psichiatrica, che non incidono, escludendola, sull'attitudine a comprendere lo svolgimento delle dinamiche processuali, non rileveranno .ai fini della norma in parola. Ciò ha consentito, peraltro, di poter procedere nei confronti anche di soggetti infermi o seminfermi di mente che, altrimenti, non potrebbero mai essere sottoposti a processo penale. In altri termini non è la specifica patologia ad avere rilevanza ma solo la sua idoneità ad escludere la capacità processuale. Ciò ha portato a farvi rientrare anche meri disturbi i quali, nelle ipotesi più gravi, possono anche incidere possono assurgere a livello di note e conclamate patologie. In tal senso, l'interdizione, dell'imputato non comporta, automaticamente, l'obbligo giudice di accertarne d'ufficio l'incapacità di partecipare coscientemente al processo e di disporre la sospensione di cui all'art. 70,in quanto l'interdizione opera per finalità completamente diverse e presuppone solo l'incapacità di provvedere ai propri interessi ed il procedimento penale può svolgersi anche quando il soggetto, ancorché non in grado di curare i propri interessi e, giudizialmente interdetto, appaia cosciente dello svolgimento del procedimento in modo da potere, con l'ausilio tecnico del difensore, essere consapevole protagonista del processo (Cass. V, n. 2283/2004). Aspetti estrinseci Sono quelli espressamente stabiliti dal legislatore il quale ha previsto che la possibilità di pronunciare una sentenza di proscioglimento (artt. 129-529) ovvero di non luogo a procedere (art. 425), possa essere pronunciata anche in presenza di una condizione di incapacità processuale senza disporre alcun accertamento in quanto si tratta di pronunce totalmente favorevoli per l’imputato. Capacità processuale e di intendere e volereL’incapacità dell’imputato di partecipare al processo è un concetto diverso dalla mancanza di imputabilità. E ciò in quanto, pur costituendo stati soggettivi che sono accomunati dall'infermità mentale, i due istituti operano su piani del tutto diversi e autonomi. La capacità di stare in giudizio, infatti, rileva ai fini del corretto esercizio del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. ed ha una natura processuale in quanto va valutata durante lo svolgimento del processo e la sua assenza ne implica la sospensione e la contestuale nomina di un curatore speciale. La capacità di intendere e di volere attiene, per converso, all'imputabilità e deve essere valutata rapportandosi al momento della condotta oggetto di contestazione e la sua assenza, se causa della condotta dell'agente, comporta l'assoluzione ex art. 530 e art. 88 c.p. (Cass. II, n. 8099/2012). La sostanziale diversità dei due istituti giustifica una differente disciplina degli stessi. Infatti il giudice, una volta accertata l'incapacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, deve disporre la sospensione del processo. Quest'obbligo, quindi, non è condizionato dalla sussistenza o meno dell'imputabilità ma dalla sola possibilità che l'imputato debba essere prosciolto o che nei suoi confronti debba essere pronunziata sentenza di non doversi procedere (Cass. V, n. 47455/2004). L’accertamento della capacità di stare in giudizio, da cui discende la corretta instaurazione del rapporto processuale, precede anche quello sull'infermità mentale, di talché, se all'esito degli accertamenti disposti si riscontri, oltre che dell'infermità di mente al momento del fatto anche l'incapacità dell'imputato di partecipazione cosciente al processo, quest'ultima impedisce la pronuncia della sentenza di proscioglimento per difetto di imputabilità con contestuale applicazione di una misura di sicurezza (Cass. IV, n. 38246/2009). Accertamento della capacitàLo strumento previsto per accertare l’esistenza della condizione di incapacità è quello della perizia (art. 220 ss.) assunta con l'osservanza delle forme previste per il dibattimento, anche nell'ipotesi in cui l'accertamento avvenga prima della sua apertura (Cass. I, n. 29936/2010) e può essere disposta sia d'ufficio da parte del giudice che a seguito di richiesta avanzata dalle parti. Lo strumento previsto per accertare l’esistenza della condizione di incapacità è quello della perizia costituzionalmente orientata e fondata sull'utilizzo dell'espressione «se occorre» riportata nella norma, il giudice, in sede di accertamento dell'incapacità, possa non procedere ad un approfondimento specialistico se si convinca autonomamente dello stato di incapacità, mentre a fronte di un fumus di incapacità non possa negare l'indagine peritale senza rendere idonea e convincente motivazione (Cass. III, ord. n. 20296/2012). Non può essere, pertanto, considerato un obbligo inderogabile e vincolante per il giudice disporre perizia, dovendo prima procedere ad una delibazione in ordine alla necessità del suo svolgimento. Se la necessità di verificare la sussistenza della condizione di incapacità sorge durante la fase delle indagini preliminari, la perizia è disposta dal giudice a richiesta di parte, con le forme previste per l'incidente probatorio, restando sospesi i termini per le indagini preliminari e consentendosi al pubblico ministero il solo compimento di atti che non richiedono la partecipazione cosciente della persona sottoposta alle indagini. Se vi è pericolo nel ritardo possono anche essere assunte le prove nei casi previsti dall'art. 392 (Cass. III, ord. n. 20296/2012). La Corte di Cassazione ha altresì specificato che in tema di richiesta di perizia nelle forme dell’incidente probatorio, fermo restando che il Giudice è titolare di un potere discrezionale e deve dunque valutare se gli elementi di cui dispone siano o meno di per sè sufficienti ai fini dell'accertamento dello stato mentale dell'imputato anche in assenza di una perizia, se dagli atti emerge anche solo un "fumus" di incapacità, il giudice può negare l'indagine peritale solo attraverso una rigorosa, idonea e convincente motivazione, atteso che, diversamente, egli è tenuto a disporre perizia, a prescindere dal se o meno ricorrano le condizioni di cui all'art. 392 c.p.p., comma 2. Per tali ragioni, se il giudice ritiene di provvedere durante la fase delle indagini preliminari, la perizia è disposta "con le forme dell'incidente probatorio", non anche alle condizioni previste per il suo espletamento, attraverso incidente probatorio. E ciò in quanto l'art. 70 c.p.p., non richiama affatto la condizione di ammissibilità a cui l'art. 392 c.p.p., comma 2, subordina l'assunzione della perizia in sede di incidente probatorio; nè ai fini dell'accertamento della capacità, può surrogare, come invece affermato dal G.i.p., una consulenza della parte pubblica, cioè di un atto unilateralmente assunto senza contraddittorio e del tutto sfornito di attitudine probatoria. (Cass. VI, Sent. n. 51134/2019). Attività svolte in pendenza di periziaL'accertamento della capacità di stare in giudizio dell'imputato, per la sua stessa natura e per l’oggetto dell’accertamento, comporta una inevitabile stasi del processo. Tale generale obbligo di sospensione dell’attività processuale durante il tempo necessario per l’espletamento della perizia si desume implicitamente dalla previsione di cui al comma 2, che circoscrive la possibilità di acquisire prove solo se possono condurre al proscioglimento dell'imputato ovvero quando vi sia un pericolo nel ritardo. Prove favorevoli all'imputato La possibilità di chiedere l’assunzione di prove a favore è stata riconosciuta al solo difensore. L’aver circoscritto al solo difensore tale facoltà, nonostante sul P.M. gravi il dovere di svolgere indagini anche a favore dell’imputato, è sintomatico di un’evidente volontà del legislatore di tutelare l’imputato da possibili elusioni delle garanzie poste all'imputato, consentendo l'acquisizione di prove in astratto favorevole all'imputato ma che in concreto possono essere a lui sfavorevoli. Ciò non esclude, in ogni caso, che anche l'eventuale prova a favore chiesta dalla difesa possa acquisire risvolti negativi per l'imputato. In tal caso, però, le prove mantengono acquisite comunque la loro piena validità. Pericolo nel ritardo Il rischio della dispersione dei mezzi di prova rappresenta l’unica sostanziale deroga alla stasi del procedimento ed ha determinato il legislatore a prevedere la possibilità di acquisire, anche in pendenza del termine per lo svolgimento della perizia, prove che potrebbero non essere più assunte se posticipate alla fine dell'espletamento dell'accertamento tecnico. Tanto premesso, considerato che la norma è posta primariamente a tutela della capacità di autodeterminazione del soggetto, tale deroga deve essere necessariamente interpretata in maniera restrittiva e si deve ritenere che possa essere assunta la prova solo nel caso in cui la stessa sia oggettivamente indifferibile e non richieda la partecipazione attiva dell’imputato. Sotto tale aspetto, quindi, sarà possibile per il P.m. compiere quegli atti che non richiedano la partecipazione cosciente dell'indagato. In caso di prove indifferibili, deve ritenersi che le stesse potranno essere assunte, qualora la necessità di presenti durante la fase delle indagini preliminari, con le forme dell'incidente probatorio. Per evitare rischi di comportamenti pretestuosi, il legislatore ha previsto la sospensione della decorrenza dei termini di prescrizione e quella di durata delle indagini preliminari. Lo svolgimento degli accertamenti, inoltre, implica la proroga dei termini di custodia cautelare (art. 305). CasisticaNon comporta violazione dell'art. 70 l'ordinanza che ha ritenuto sussistenti i presupposti di una partecipazione cosciente al dibattimento di secondo grado dell'imputato, nonostante l'ampia produzione, da parte della difesa, di documentazione medica attestante che l'imputato soffriva degli esiti di una grave patologia cerebrale che aveva reso necessario il suo ricovero in ospedale, se dagli stessi non si evidenzia alcuna obiettiva causa impeditiva per l'imputato di partecipare coscientemente al giudizio (Cass. I, n. 14803/2012); - deve ritenersi sussistente un onere di allegazione nei confronti della parte che evidenzi l'incapacità a stare in giudizio dell'imputato. Il mancato adempimento, in uno con l'esistenza di comportamenti che fanno presumere la piena capacità del soggetto, quali la sottoscrizione di esplicito mandato al difensore in relazione al giudizio in corso, rende legittimo il rigetto dell'istanza di parte anche senza ricorso ad ulteriori accertamenti (Cass. III, n. 1371/2011); - è legittima la revoca della sospensione del procedimento, disposta perché l'imputato fu colto da icuts emorragico che aveva compromesso la capacità di intendere e volere, allorquando i successivi accertamenti peritali avevano attestato che le condizioni di salute, nonostante la dichiarazione di invalidità del 100% con accompagnamento ed esiti stabilizzati, non impedivano la consapevole partecipazione al processo atteso che non erano state rilevate anomalie della memoria, dell'attenzione e del contenuto del pensiero (Cass. VI, n. 2419/2010); - l'ordinanza con la quale il G.u.p., in sede di udienza preliminare, aveva trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica ai sensi dell'art. 421-bis, perché disponesse ulteriori indagini sulla imputabilità e sulla sua capacità di stare in giudizio dell'imputato non è atto abnorme in quanto rientra sicuramente tra gli atti d'indagine da compiersi da parte del pubblico ministero quello concernente la verifica della imputabilità del soggetto sottoposto alle investigazioni. L'affidamento al P.m. anche dell'indagine in ordine alla capacità processuale, stante del tutto evidente l'opportunità di compendiare in un unico atto di investigazione, soprattutto per ragioni di economia processuale e quindi di contenimento dei tempi del procedimento non rende illegittimo, e tanto meno abnorme, il provvedimento adottato (Cass. VI, n. 28784/2008); - la presenza di una situazione patologica cronica e legata all'età, se accompagnata da una condizione generale dimostrativa della capacità di comprendere lo svolgimento delle dinamiche processuali e di determinarsi di conseguenza, non può giustificare lo svolgimento di perizia, soprattutto in assenza di produzione di elementi e documenti concernenti l'imputato tali da «dimostrare un aggravamento delle sue condizioni di ostacolo alla definizione del giudizio» (Cass. III, n. 1371/2011); - l'applicazione della pena su richiesta delle parti non comporta soltanto la verifica da parte del giudice delle cause di non punibilità previste dall'art. 129, ma anche l'accertamento della imputabilità del soggetto e cioè della sua capacità di intendere e di volere al momento del fatto nonché quello della sua capacità di partecipare coscientemente al processo, ex art. 70. Perché ricorra tale dovere occorre però che le parti alleghino elementi concreti su tale aspetti oppure che essi emergano ictu oculi dagli atti, offrendo al giudice ragione di ritenere la sussistenza della incapacità. Deve, pertanto, ritenersi corretto il mancato svolgimento di alcuna verifica in presenza di una mera pretestuosità delle lamentele che l'imputato aveva rappresentato ai Carabinieri e la mancanza di allegazioni di parte (Cass. VI, n. 3823/1998). BibliografiaFumo, Il disturbo della personalità borderline esclude l'imputabilità, in Dir. e giust., 2005, 56; Signorato, Riflessioni in tema di abnormità: a proposito dell'ordinanza di integrazione delle indagini disposta ex art. 421-bis c.p.p. per accertare l'imputabilità e la capacità processuale dell'imputato, in Riv. it, dir. e proc. pen., 2010, 922; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2010. V. sub art. 66. |