Codice di Procedura Penale art. 75 - Rapporti tra azione civile e azione penale.Rapporti tra azione civile e azione penale. 1. L'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato [324 c.p.c.]. L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio [306 c.p.c.]; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile [541]. 2. L'azione civile prosegue in sede civile [652; 211 coord.] se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile [79]. 3. Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale [76, 82 2] o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge [71 6, 88 3, 441 4, 444 2] (1) (2). (1) La Corte cost., con sentenza 22 ottobre 1996, n. 354 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi contenuta non trovi applicazione nel caso di accertato impedimento fisico permanente che non permetta all'imputato di comparire all'udienza, ove questi non consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza». (2) In deroga al presente comma, , v. art. 2-ter, comma 5, d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., in l. 24 luglio 2008, n. 125, in tema di misure atte ad assicurare la rapida definizione dei processi relativi a reati per i quali è prevista la trattazione prioritaria. In tema di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato, v. art. 1 l. 23 luglio 2008, n. 124: tale articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con C. cost. 9 ottobre 2009, n. 262. InquadramentoL'art. 75 regola il rapporto tra l'azione penale e quella civile. La vigente normativa ha tracciato quale criterio guida dei rapporti tra le due azioni, quello della separazione dei giudizi, modificando la disciplina previgente fondata, invece, sul principio della sospensione necessaria del processo civile sino al passaggio in giudicato di quello penale. Nella nuova articolazione dei rapporti tra giudizio civile e giudizio penale, il legislatore del 1988 si è mosso su una triplice direttiva: quella del trasferimento dell'azione civile nel processo penale, della separazione dei giudici e della pregiudiziale penale nel processo civile. Trasferimento dell'azione civile nel processo penaleÈ la prima ipotesi disciplinata dal comma 1 dell'art. 75 e consente a chi, dopo aver iniziato l'azione risarcitoria innanzi al giudice civile, intenda proseguirla in sede penale. Tale possibilità costituisce una facoltà riconosciuta alla parte titolare del diritto al risarcimento e, ovviamente, non un obbligo. Va, tuttavia, evidenziato che si tratta di una facoltà esercitabile entro i limiti determinati e sottoposta a determinate condizioni: a) limite temporale; b) identità controversia; c) rinuncia agli atti. La prima condizione è di natura strettamente temporale, in quanto il trasferimento non può avvenire dopo che sia stata pronunciata sentenza in sede civile, ancorché non definitiva. La seconda condizione attiene all'identità della controversia, in quanto sarà possibile proseguire il giudizio civile in sede penale sono in caso in cui le due controversie risultino identiche sia con riferimento al petitum che alla causa petendi. La terza condizione appare essere una necessaria conseguenza del trasferimento in sede penale della causa iniziata innanzi al giudice civile ossia la rinuncia agli atti del giudizio civile, che non comprende quella alle spese sostenute sino a quel momento e che ben potranno essere liquidate dal giudice penale. La rinuncia agli atti, infatti, non significa rinuncia all'azione la quale, anche se inserita nel processo penale, potrà nuovamente essere riproposta in sede civile in linea col dettato dell'art. 75 comma 3 (che, com'è noto, consente l'esercizio dell'azione innanzi al giudice civile anche dopo la costituzione di parte civile ovvero dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale anche se, in tal caso, l'azione iniziata innanzi al giudice civile rimarrà necessariamente sospesa sino alla completa definizione del processo civile). La facoltà attribuita al danneggiato, a ben vedere, è liberamente esercitabile e, pertanto, non è sottoposta a condizioni né, tanto meno, ad accettazione del danneggiante/imputato. Il trasferimento può verificarsi anche se il giudizio si concluda con una richiesta di applicazione della pena nonostante il fatto che tale rito escluda la possibilità per il giudice di dover decidere sulla domanda della parte civile. Il divieto, in ogni caso, come già evidenziato, non comprende le spese sostenute dalla parte civile che vanno in ogni caso liquidate qualora la costituzione sia ritenuta ammissibile (art. 444, comma 2). La questione, peraltro, era stata anche oggetto di esame ad opera della Corte Costituzionale, la quale ha ritenuto che il fatto che il danneggiato non possa in tal caso partecipare al processo penale non incida, in modo apprezzabile, sul diritto costituzionalmente garantito della difesa né su quello primario dell'agire in giudizio, restando quindi impregiudicato l'esercizio dell'azione in sede civile ed assicurando, al tempo stesso, il perseguimento di un'esigenza di speditezza del processo penale. Del resto, l’azione di restituzione o risarcitoria ha carattere accessorio ed è pertanto subordinato rispetto all'azione penale, sicché essa è condizionata dalla funzione e struttura del processo penale. Tale subordinazione, tra l’altro, si realizza, nell'interesse pubblico e dell’imputato voluto dal legislatore ed è finalizzata a tutelare l’esigenza di una rapida conclusione del processo penale: esigenza particolarmente perseguita dai nuovi riti speciali che, con i loro incentivi, concorrono a promuovere celerità e speditezza. Nella legittimità dell’esclusione rientrano anche le spese sostenute dalla parte civile, per le quali la mancata decisione costituiva un danno che non era addebitabile a lui, ma conseguenza di una scelta tra le parti del rapporto processuale penale favorevolmente valutata dal giudice. Pertanto, si palesava incostituzionale il divieto di provvedere sulle spese da parte del giudice penale (Corte cost. n. 443/1990). In tal senso il legislatore è successivamente intervenuto prevedendo espressamente il potere del giudice di penale di provvedere sulle spese. Appare pertanto indiscutibile che la parte, dopo aver trasferito l’azione civile nel procedimento penale, abbia diritto a veder liquidate la spese sostenute anche nel pregresso giudizio civile. La trasposizione del giudizio civile trova un ulteriore limite allorquando la richiesta di applicazione della pena sia stata formulata nel corso delle indagini, ex art. 447. In tal caso non è ammessa la costituzione di parte civile ed è illegittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dal danneggiato dal reato la cui costituzione quale parte civile sia stata ammessa dal giudice, nonostante tale divieto. Ciò in quanto nella speciale udienza fissata nel corso delle indagini, a norma dell'art. 447, il danneggiato dal reato, essendo consapevole del fatto che il giudizio sarà limitato alla decisione circa l’accoglibilità della richiesta di applicazione di pena su cui è intervenuto il patteggiamento tra imputato e pubblico ministero, non ha ragioni giuridiche per costituirsi parte civile, non potendo far valere le proprie ragioni risarcitorie. Tuttavia, ciò non comporta alcuna lesione del proprio interesse. La scelta del legislatore, improntata al favor separationis, lascia impregiudicata al danneggiato la possibilità di far valere i propri interessi risarcitori innanzi al giudice civile. Di talché risulta impermeabile alle aspettative del danneggiato la scelta dell'imputato di optare per il rito speciale. E ciò vale anche in altri casi, come quando l’imputato non si opponga al decreto penale o solleciti il giudice ad ammetterlo alla oblazione ovvero richieda il giudizio abbreviato, dandosi in quest’ultimo caso facoltà alla parte civile di uscire dal processo (art. 441 comma 4) (Cass. S.U., n. 47803/2008). In sintesi, deve ritenersi che anche in questi ulteriori casi si delinei una soccombenza dell'interesse per la parte civile a far valere le proprie ragioni nel giudizio penale rispetto a quello prevalente di una rapida definizione di quest'ultimo. Il trasferimento dell'azione penale nel processo civile, inoltre, non è condizionato all'accettazione delle altre parti costituite nel giudizio civile. Anche con riferimento a tale profilo era stata sollevata questione di illegittimità costituzionale — che è stata ritenuta manifestamente infondata dalla Corte — la quale ha sostenuto che la logica per la quale nel processo civile la rinuncia agli atti del giudizio (di tipo meramente «processuale», che non coinvolge il diritto sostanziale controverso) richiede, per determinare l'estinzione del giudizio, l'accettazione incondizionata delle parti costituite «che potrebbero aver interesse alla prosecuzione», è ispirata all'esigenza di consentire alla parte non rinunciante di conseguire una pronuncia che realizzi le proprie pretese e che quindi accerti — con la forza del giudicato — l'eventuale infondatezza della domanda proposta nei suoi confronti da chi ha poi formulato la rinuncia. Una esigenza, dunque, che è soddisfatta nell'ipotesi di trasferimento della azione civile dalla sede propria a quella penale, posto che in tale evenienza è la stessa azione — e quindi il medesimo «processo» — a proseguire in altra sede: con la conseguenza che l’accertamento di merito sulla fondatezza della domanda — che sta alla base del capo civile — è compiutamente espletato, addirittura con possibilità difensive maggiori per l’imputato-convenuto, considerato che in sede penale non valgono le limitazioni di prova operanti nel processo civile (Corte cost. ord., n. 211/2002). Trasferimento frazionatoHa ad oggetto la possibilità di far valere in sede penale solo alcuni profili del petitum, proseguendo, per gli altri, l'azione civile intrapresa. Sul punto, un primo orientamento nega tale possibilità sostenendo che in tema di rapporti fra azione civile ed azione penale deve escludersi che il danneggiato dal reato che abbia esercitato l'azione risarcitoria nel processo civile sia legittimato, dopo la pronuncia di una sentenza di merito anche non passata in giudicato in tale sede, a costituirsi parte civile nel processo penale per far valere ulteriori profili di danno derivanti dalla stessa causa, diversi da quelli fatti valere nel precedente giudizio. La possibilità, invero, di addivenire ad una tale determinazione finirebbe per frustrare i principi propri della normativa dell'art. 75 — che sono quelli di economia processuale oltre che di evitare la possibilità di pronunce dal contenuto contraddittorio (Cass. II, n. 7126/2000). Secondo altro e più recente orientamento di segno opposto, alla luce dei principi di autonomia e separazione del giudizio civile e quello penale, deve riconoscersi possibilità per il danneggiato di far valere nelle diverse sedi diversi autonomi profili di danno, ancorché causato da un medesimo fatto illecito. Pertanto, secondo tale orientamento, il danneggiato potrebbe costituirsi in sede civile per alcuni aspetti, quale il danno patrimoniale e fare valere in sede penale altri aspetti quali il danno morale (Cass. II, n. 38806/2008). Frazionabilità soggettiva Ulteriore problematica attinente alla frazionabilità riguarda la possibilità di procedere nelle diverse sedi nei confronti di soggetti diversi ugualmente tenuti nei suoi confronti. È il caso del danneggiato da incidente stradale che abbia agito in sede civile nei confronti del proprietario del veicolo investitore e dell'assicuratore e che si sia poi costituito parte civile nel processo penale nei confronti del soggetto responsabile del fatto illecito e nel quale l'assicuratore non sia stato chiamato quale responsabile civile. In tal caso, si è ritenuto che l'azione civile debba estinguersi e che l'eventuale assoluzione dell'autore del fatto non pregiudichi il diritto ad essere risarcito dall'assicuratore (Cass. IV, n. 35604/2003). Separazione dei giudiziIl comma 2 dell'art. 75 statuisce il principio fondamentale nei rapporti tra giudizio civile e penale: quello della separazione. Come evidenziato, infatti, è prevista la possibilità che il giudizio civile prosegua nella sua sede naturale anche in pendenza dell'accertamento penale; e ciò sia nel caso in cui il danneggiato non abbia deciso di trasferire l’azione civile nel giudizio penale, sia nel caso in cui tale traslazione non sia più possibile. L’autonomia dei giudizi implica necessariamente da un lato, lo svolgimento parallelo delle due diverse azioni, dall'altro che il giudizio civile debba procedere secondo le norme ad esso proprie con un conseguente indipendente ed autonomo accertamento dei fatti e delle responsabilità. La trattazione separata dei giudizi può fornire sicuri vantaggi al danneggiato, il quale potrà avvalersi dell’accertamento della penale responsabilità dell’imputato se la sentenza dotata di definitività farà stato nel procedimento civile (art. 651, comma 1); non sarà necessariamente danneggiato dall'eventuale assoluzione dell'imputato che non esclude l'esistenza del diritto al risarcimento (art. 652, comma 1 u.p.). Per tali motivi, se il giudicato penale interviene con giudizio civile in corso, l’accertata responsabilità dell’imputato in sede penale precluderà, senza dubbio, qualsiasi ulteriore accertamento in sede civile, mentre l’eventuale assoluzione non avrà alcun effetto sul giudizio civile che proseguirà il suo normale corso. Pregiudiziale penale nel processo civileIl comma 3 dell'art. 75 prevede due deroghe al principio della separazione di cui al comma precedente. Si tratta dei casi in cui si verifica una pregiudiziale del processo penale su quello civile. È il caso in cui l'azione innanzi al giudice civile sia iniziata dopo la costituzione di parte civile, ovvero in cui l'azione civile sia iniziata dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado. Si tratta di due distinte ipotesi: la prima, infatti, presuppone che vi sia stato il preventivo esercizio dell'azione civile innanzi al giudice penale, mentre nella seconda non è preso in considerazione. In ogni caso le due fattispecie, ancorché diverse anche con riferimento al dato temporale, sono accomunate negli effetti. In entrambi i casi, infatti, si otterrà la sospensione del giudizio civile sino all'esito della definizione di quello penale. Sin quando all'interno del procedimento penale non sarà pronunciata una decisione definitiva, il giudizio civile resterà sospeso. Sul tema dei limiti della sospensione necessaria del procedimento civile (e con specifico riferimento al caso in cui l'azione civile sia stata proposta successivamente alla sentenza di primo grado) sono intervenute di recente le Sezioni Unite Civili le quali hanno enunciato un principio di diritto di tipo decisamente restrittivo. Secondo le Sezioni Unite, infatti," i casi di sospensione necessaria previsti dall'art. 75 c.p.p., comma 3, che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l'uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651 bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato"(Cass. civ. S.U., n. 13661/2019). Nel caso di specie, pertanto, non essendo direttamente l'imputato il convenuto della causa promossa in sede civile, le Sezioni Unite, interpretando restrittivamente il comma terzo dell'art. 75 c.p.p., ha annullato l'ordinanza di sospensione del procedimento civile. Tanto evidenziato in merito al principio di carattere generale della sospensione necessaria del processo civile e ai limiti alla sua applicazione così come delineati dalla giurisprudenza di legittimità, si evidenzia che il legislatore ha escluso espressamente l'applicabilità di tale principio in alcuni casi tassativamente previsti. Vi sono, quindi, una serie di eccezioni previste dal legislatore del 1988, in cui l'effetto sospensivo non si verifica. L'ampiezza di tali deroghe, a ben vedere, costituisce la misura dell'affermazione del principio della separazione dei giudizi — che costituisce il criterio guida nei rapporti tra il giudizio penale e quello civile. Si tratta di tutti casi nei quali la mancata partecipazione non è conseguenza della scelta della parte stessa, ma conseguenze di eventi che non possono esserle imputati. Incapacità dell'imputato Il primo dei casi previsti attiene all'incapacità dell'imputato (art. 71, comma 6). Nella previsione normativa, l'incapacità rilevante era solo quella di natura psichica, in quanto l’unica che comporta la sospensione del giudizio penale. Per cui, solo in tal caso si poneva la necessità di non far derivare la necessaria sospensione del processo civile che avrebbe finito per paralizzare l'interesse del danneggiato al riconoscimento del proprio diritto al risarcimento. All'unica ipotesi di deroga al principio della sospensione del processo civile si affianca quella di origine giurisprudenziale enucleata dalla Corte costituzionale e che riguarda i casi di incapacità fisica irreversibile dell’imputato che non consentano la celebrazione del giudizio in sua assenza. La Corte, infatti, ha evidenziato che la condizione in esame è sostanzialmente sovrapponibile a quella di incapacità psichica. E ciò in quanto in entrambi i casi si verifica una sostanziale sterilizzazione dell'azione civile esercitata nel processo penale; con la differenza che, mentre in presenza di una incapacità psichica sono fatti salvi i diritti delle parti civili che potranno, quindi, proseguire l'azione innanzi al giudice civile, analoga previsione non sussiste per l'impedimento fisico permanente che non permetta il prosieguo del dibattimento. Di talché l'azione civile rimarrebbe sospesa senza assicurare alcuna tutela al danneggiato. Ciò comporta, secondo quanto sancito dalla Consulta, una violazione non solo del principio di uguaglianza ma anche di quello di agire a tutela dei propri diritti. Su tali basi, quindi, la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost., l'art. 75, comma 3, nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi contenuta non trovi applicazione nel caso di accertato impedimento fisico permanente che non permetta all'imputato di comparire all'udienza, ove questi non consenta che il dibattimento prosegua in sua assenza (Corte cost. n. 354/1996). Esclusione della parte civile La seconda ipotesi ha ad oggetto l'esclusione dal giudizio penale della parte civile e del responsabile civile (art. 88, comma 3). In tal caso la deroga si legittima in quanto il danneggiato vedrebbe leso il proprio diritto ad agire la tutela dei diritti da un provvedimento non impugnabile in rapporto al quale non avrebbe alcuna mezzo di tutela. Mancata accettazione del giudizio abbreviato La facoltà che ha il danneggiato di rifiutare il giudizio abbreviato, per il possibile pregiudizio che potrebbe derivargli a seguito di una decisione adottata allo stato degli atti, ossia sulla base dei soli atti contenuti nel fascicolo del P.m. ed acquisiti nel corso dell'attività investigativa, comporta la mancata sospensione del procedimento civile. Sentenza che applica la pena concordata dalle parti La volontà di salvaguardare il pregiudizio che può subire la parte danneggiata risulta essere ancora più evidente nel caso di definizione del giudizio con patteggiamento. In questo caso, infatti, il giudice non può provvedere in ordine alla richiesta di risarcimento (art. 444, comma 2). Ulteriore ipotesi in cui non opera la sospensione si ha quando il giudice ha dichiarato l'estinzione del reato per intervenuta oblazione. Trattasi di una fattispecie introdotta dalla l. n. 479/1999, c.d. “Legge Carotti”, la quale, all'art. 53, comma 1, lett. b) ha espressamente escluso l'applicazione della norma di cui al comma 3 dell'art. 75 al caso di definizione del giudizio tramite oblazione. Ne consegue che non opera la sospensione del processo civile anche se l'azione è cominciata dopo che nel processo penale vi era stata la costituzione di parte civile. L'effetto sospensivo della pronuncia della sentenza di primo grado, peraltro, non può verificarsi in caso di giudizio a carico diimputati minorenni in quanto, come è noto, in questo caso non è prevista la costituzione di parte civile. CasisticaIl trasferimento nel processo penale dell'azione civile esercitata mediante richiesta di decreto ingiuntivo è consentito solo ove l'intimato abbia proposto opposizione e non sia stata ancora pronunciata sentenza, anche non passata in cosa giudicata, con la quale sia stata decisa la lite nel merito, dovendosi, viceversa, ritenere precluso ove il decreto non sia stato opposto ovvero l'opponente non si sia costituito, poiché in tal senso il provvedimento acquista valore di sentenza passata in giudicato (Cass. II, n. 7126/2000); è illegittima la dichiarazione di inammissibilità della costituzione di parte civile, motivata in virtù della preclusione sancita dall'art. 75 — per il quale il trasferimento dell'azione civile nel processo penale comporta l'automatica rinuncia agli atti del giudizio civile che, di conseguenza, deve essere dichiarato estinto —, allorché tra l'azione civile e quella penale sussista diversità di soggetti e di causa petendi e che nel caso in cui il danneggiato da un reato agisca dinanzi al giudice civile per il risarcimento del danno morale e di quello biologico e, successivamente, si costituisca parte civile nel processo penale chiedendo il risarcimento dei soli danni patrimoniali, il giudizio civile non va sospeso, in quanto il principio di autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, posto dall'art. 75, comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato possa pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l'altro (Cass. II, n. 5801/2014); la proposizione innanzi al giudice civile della domanda per la quantificazione del risarcimento del danno riconosciuto dal giudice penale con sentenza, ancorché non ancora passata in giudicato, non configura un doppio esercizio della stessa azione, bensì l'esercizio di una azione autonoma fondata sulla prima cui non consegue una revoca della costituzione di parte civile (Cass. IV, n. 29234/2013); nel caso in cui il danneggiato da un reato agisca dinanzi al giudice civile per il risarcimento del danno morale e di quello biologico e, successivamente, si costituisca parte civile nel processo penale chiedendo il risarcimento dei soli danni patrimoniali, il giudizio civile non va sospeso, in quanto il principio di autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, posto dall'art. 75, comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato possa pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l'altro (Cass. II, n. 38806/2008); ove la parte civile costituita agisca anche in sede civile tramite un suo procuratore o mandatario, non può ritenersi, ai fini dei rapporti tra azione civile e azione penale (art. 75), che trattasi di soggetti diversi, sotto il profilo della imputazione degli effetti dell'azione civile alla mandante, parte sostanziale, anche se non formale, del giudizio verificandosi, altrimenti, una facile elusione generalizzata del principio di cui all'art. 75 (Cass. II, n. 62/2010); nel caso di giudizio abbreviato, ai sensi dell'art. 441 comma 4 la parte civile può non accettare il rito speciale, così determinando l'unico effetto di rendere inapplicabile la disposizione dell'art. 75, comma 3 dello stesso codice (sospensione del processo civile fino alla definizione di quello penale), ma non ha il potere di opporsi all'ammissione di tale rito, né può impugnare il provvedimento che lo dispone. Atteso che il consenso e il dissenso della parte civile non hanno incidenza sulla introduzione del procedimento speciale, la loro mancata manifestazione è un dato processualmente neutro e insignificante, dovendo escludersi, segnatamente, che se ne possa desumere l'opzione di trasferire la domanda civilistica nella sua sede naturale, rinunciando all'azione proposta nel processo penale (Cass. I, n. 10001/2004); le Sezioni Unite penali, chiamate a pronunciarsi su un caso relativo all'applicazione dell'aggravante prevista dal secondo comma dell'art. 476 comma 2 c.p., sono intervenute anche sul rapporto sussistente tra proposizione dell'azione civile esercitata nel processo penale e termini di prescrizione. Sul punto, la Corte, richiamando ampia giurisprudenza del medesimo orientamento, ha statuito che l'azione civile esercitata nel processo penale soggiace interamente alle regole proprie della prescrizione penale, non rinvenendosi alcuna distinzione fra dette regole nella disposizione di rinvio contenuta nella norma civilistica; e dovendosi pertanto tenere conto, nel computo del termine per l'esercizio di detta azione, anche delle cause di sospensione ed interruzione previste dagli artt. 159 e 160 c.p. (Cass. S.U., n. 24906/2019). BibliografiaCantone: Sub art. 75, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, Milano, 2003, 941; Chiliberti, Azione civile e nuovo processo penale, Milano, 2006; Civinni, Sospensione del processo civile per c.d. pregiudizialità penale: questioni teoriche e riflessi pratici, in Foro it. 1991, V, 363; Conso-Illuminati, Commentario breve al c.p.p., Padova, 2015; Pennisi, voce Parte civile, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, 986; Pennisi Sub art. 75, in Conso-Grevi, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2005; Scarapone, voce Rapporti tra processo civile e processo penale, in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, 1; Ubertis-Quaglierini, Processo penale sospeso per malattia irreversibile: riverberi sull'azione per danni, in Dir. pen. e proc, 1997, 165. |