Codice di Procedura Penale art. 91 - Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato.

Irma Conti

Diritti e facoltà degli enti e delle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato.

1. Gli enti e le associazioni senza scopo di lucro ai quali, anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state riconosciute, in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato [90, 505, 511; 212 coord.]1.

(1) A norma dell'art. 187-undecies 1 d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58 la Consob esercita, nei procedimenti per i reati di cui agli artt. 184 e 185 del medesimo decreto legislativo, i diritti e le facoltà attribuiti dal codice agli enti e associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato. A norma dell'art. 7 l. 20 luglio 2004, n. 189, in tema di maltrattamento di animali «le associazioni e gli enti di cui all'articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale perseguono finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla presente legge». V. art. 62, comma 2 d.ls. 9 aprile 2008, n. 81. V. inoltre sub art. 74.

[1] A norma dell'art. 187-undecies 1 d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58 la Consob esercita, nei procedimenti per i reati di cui agli artt. 184 e 185 del medesimo decreto legislativo, i diritti e le facoltà attribuiti dal codice agli enti e associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato. A norma dell'art. 7 l. 20 luglio 2004, n. 189, in tema di maltrattamento di animali «le associazioni e gli enti di cui all'articolo 19-quater delle disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale perseguono finalità di tutela degli interessi lesi dai reati previsti dalla presente legge». V. art. 62, comma 2 d.ls. 9 aprile 2008, n. 81. V. inoltre sub art. 74.

Inquadramento

Gli enti esponenziali sono una categoria introdotta dal legislatore del 1988. Essi rappresentano un’inedita forma di partecipazione privata al processo che prescinde dal tradizionale modello di azione risarcitoria ed è bensì fondata su un autonomo titolo di legittimazione. L’ente esponenziale, infatti, persegue fini pubblicistici e svolge una funzione di accusatore che è sussidiaria rispetto a quella del P.M. in quanto, mediante forme di adesione all'attività della pubblica accusa ovvero di “controllo” su di essa, tende a realizzare una sorta di contributo all'esercizio dell’azione penale.

Interessi diffusi e interessi collettivi

Gli enti esponenziali sono portatori esclusivamente di interessi collettivi. Si tratta di interessi espressione di un più generale interesse sociale.

La loro tutela rappresenta e consente un tipo di  garantismo “sociale”. E ciò in quanto il processo non è più solo salvaguardia dell'individuo ma anche dei molteplici gruppi e corpi intermedi che reclamano un accesso alla giustizia per la tutela dei propri interessi (Canzio, 941).

Gli interessi tutelati dagli enti o associazioni, pertanto, sono i cd. interessi diffusi ovvero quelli la cui contitolarità è di una pluralità di soggetti non identificati né identificabili e che vengono definiti da un rapporto giuridico con un determinato bene, anche immateriale, non suscettibile di appropriazione individuale e rispetto al quale il godimento del singolo è limitato al concorrente godimento altrui. Rientrano in questa categoria sia interessi che non possono che essere rapportati alla comunità, quale quello alla salubrità dell'ambiente, sia quelli che, pur richiamando una collettività, possono acquisire anche una natura individuale. Tipico esempio di questa tipologia di interessi è il diritto alla salute che certamente riguarda non solo la collettività ma anche il singolo. Vi sono, poi, i cd. interessi collettivi, che sono imputabili a collettività organizzate per il perseguimento di interessi di categoria. Questi si differenziano dagli interessi diffusi in quanto possiedono un proprio centro di imputazione, ossia la comunità, che finisce per radicalizzarsi nell'ente portatore dell’interesse dei propri partecipi e ne persegue gli scopi.

Caratteristiche della partecipazione dell'ente

L’ente, pur perseguendo un interesse pubblico, ha caratteristiche diverse rispetto a quelle della pubblica accusa e svolge una funzione diversa. In primis, ovviamente, il suo intervento è meramente facoltativo oltre che subordinato al consenso della persona offesa e, soprattutto, è caratterizzato dalla rilevanza e portata delimitata a specifici settori della tutela penale. La presenza dell’ente, quindi, non ha produce effetti sul potere del P.M., ma realizza una forma di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia. Pur con i limiti che gli sono propri, l'ente potrà infatti svolgere un ruolo non marginale in quanto potrà, alla stregua della conoscenza delle problematiche afferenti lo specifico interesse tutelato, fornire elementi di conoscenza rilevanti in materie complesse ed in continua evoluzione, non solo normativa.

Presupposti per l'esercizio del diritto di intervento

Per poter intervenire nel processo, occorre che l’ente abbia ricevuto un riconoscimento in forza di legge. Non sarà legittimata qualsiasi forma o modalità di autoriconoscimento (rel. prog. prel. c.p.p., 80). Non occorre che lo stesso si sostanzi in un provvedimento specifico, ossia emesso per il singolo ente, risultando sufficiente che il suo riconoscimento sia riferibile ad un atto avente forza di legge. Pertanto anche le fonti di grado subordinato, se emanate in esecuzione di una legge che fissi i criteri per il riconoscimento, possono operare tale attribuzione.

Si ritiene che l'esistenza del riconoscimento possa essere oggetto di valutazione ad opera del giudice che procede il quale deve riscontrare il collegamento tra l'interesse fatto valere e l'attività dell'ente al fine di accertare se quest'ultimo possa far valere un interesse proprio che lo legittimi anche ad agire in via autonoma per il risarcimento del danno, ovvero possa esclusivamente operare un intervento in presenza delle condizioni di cui all'art. 91 (Cass. IV, n. 810/1971). Da quanto esposto consegue che il riferimento normativo principale sarà necessariamente rivolto all'interesse. Compito primario del legislatore è quello di individuare gli interessi che devono essere ritenuti rilevanti e che possono far capo ad enti ai quali sarà legittimato anche in intervenuto pubblico. Accertato, quindi, l'interesse, sarà possibile verificare se ed in quali modalità, lo specifico ente nei fatti persegua una tutela del predetto interesse. Solo in presenza di tutti queste condizioni, sarà possibile operare il riconoscimento all'ente. In tale ottica, quindi, il riconoscimento prescinde anche dall'essere l'ente dotato di personalità giuridica. Sarà ben possibile, infatti, che un ente di fatto possa essere riconosciuto quale ente legittimato a tutelare un determinato interesse senza che ciò implichi l'attribuzione della personalità giuridica all'ente stesso. Nella verifica della capacità dell'ente di tutelare in concreto l'interesse rientrano quei requisiti di cd. affidabilità oggettiva che l'ente deve dimostrare. In primo luogo si richiede che lo stesso non persegua fini di lucro. L'ente, quindi, non deve avere altra finalità se non quella di coadiuvare la pubblica accusa nel superiore fine della tutela dell'interesse comune. Ulteriore espressione della affidabilità oggettiva è la preesistenza del riconoscimento rispetto alla commissione del fatto reato.

Ne consegue che, in presenza di reati continuati, l'intervento sarà possibile per le sole fattispecie commesse dopo il riconoscimento dell'ente. La problematica in esame, a ben vedere, non si pone in contrasto con la possibilità di costituzione di parte civile attribuita ad enti per fatti pregressi la loro costituzione, per la natura strettamente privatistica e non pubblicistica dell'atto di costituzione (Cass. I, n. 23288/2014). Ultimo presupposto necessario è il consenso della persona offesa (art. 92).

Diritti e facoltà esercitabili

Il dettato normativo nel disciplinare i diritti e le facoltà esercitabili dall’Ente, lascia intendere l’autonomia dello stesso rispetto alla persona offesa. Si ritiene, infatti, che l’Ente non debba dare conto anche se le proprie attività restano sempre oggetto di controllo atteso che la persona offesa resta titolare del diritto di revocare il consenso, determinando l’esclusione dell’ente dal giudizio. Pertanto il nostro legislatore riconosce ampi diritti e facoltà all'ente che possono essere distinti in: diritti informativi, poteri di impulso, poteri dibattimentali, poteri di impugnazione.

Diritti informativi

La prima categoria ha ad oggetto le informazione in ordine allo sviluppo del procedimento ed è particolarmente rilevante durante le indagini preliminari in quanto maggiore in questa fase è la funzione di controllo ed impulso sull'attività del P.M. Tra tali diritti rientra senz'altro quello di ricevere l’informazione di garanzia (art. 369). Inoltre, se ne ha fatto richiesta, si ha anche ha diritto a ricevere l'avviso della richiesta di archiviazione, alla quale può ritualmente fare opposizione. L’ente, inoltre, è destinatario di una serie di avvisi che gli devono essere notificati. I vizi di notifica determinano una nullità ai sensi dell'art. 178 lett. c) che, riguardante la persona offesa, vanno estesi anche all'ente.

Parimenti va esteso anche il principio, sancito per la persona offesa, secondo il quale l'omessa citazione in giudizio, pur essendo prevista a pena di nullità, può essere eccepita solo da chi  ha interesse alla osservanza della disposizione violata, ed in particolare l'imputato (Cass. IV, n. 34784/2007). In applicazione del principio dell'immanenza, peraltro, si ritiene che all'ente spetti anche l'avviso per l'appello nonché per il ricorso in Cassazione.

Poteri di impulso

L'ente può condizionare lo stesso inizio dell'attività investigativa avendo il potere di presentare denuncia. Nel corso dell'attività, viceversa, può sollecitare l'avocazione ovvero presentare opposizione alla richiesta di archiviazione. In tal caso l’ente avrà l’onere di specificare l’oggetto dell’attività suppletiva ed indicare le fonti di prova. In ogni stato e grado del giudizio, inoltre, può indicare elementi di prova.

Poteri dibattimentali

Ampi e, probabilmente anche superiori rispetto a quelle della persona offesa, sono le facoltà riconosciute all'ente nel corso del dibattimento. Spetta agli enti ed alle associazioni intervenute nel dibattimento la possibilità di chiedere al Presidente di poter rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici delle parti private che si sono sottoposte ad esame (art. 505). La necessità di filtrare le domande attraverso il giudice procedente, opera naturalmente una limitazione del contraddittorio che è però coerente con il mancato riconoscimento di un vero e proprio diritto alla prova proprio per la possibilità che il giudice non dia seguito alla richiesta dell’ente. Viceversa deve ritenersi vincolante la facoltà di richiedere che venga disposta, sussistendone le condizioni, la lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (art. 511, comma 6). In via generale non va obliata la facoltà di poter depositare memorie attraverso cui potrà prospettare le proprie tesi anche in assenza della facoltà di intervenire in sede di conclusiva.

Poteri di impugnazione

All'ente spetta il c.d diritto di petizione (art. 572), ovvero la possibilità di presentare al P.M. richiesta motivata di proporre impugnazione avverso le sentenze a ogni effetto penale. Può, inoltre, proporre ricorso per Cassazione avverso le sentenze di non luogo a procedere (art. 428).

Intervento e costituzione di parte civile dell'ente

 Secondo l’originaria interpretazione della disciplina in esame la possibilità di intervento di un ente in una chiave pubblicistica era finalizzata a limitare la possibilità degli enti e delle associazioni di costituirsi parti civili nel giudizio penale. Tale impostazione era, tra l’altro, ulteriormente avvalorata dall'art. 212 coord. che prevedeva, anche nei casi in cui leggi o decreti consentivano la costituzione di parte civile al di fuori delle ipotesi indicate nell'art. 74, la possibilità di operare un intervento nei limiti e nelle condizioni di cui agli artt. 90 e seguenti. Solo in presenza di un danno diretto ed immediato, quindi, l'ente poteva costituirsi parte civile.

Il crescente riconoscimento di posizioni soggettive tutelabili in capo agli enti, in uno con lo sviluppo del concetto di interesse legittimo quale condizione soggettiva autonoma affiancata a quella del diritto soggettivo e facente capo all'ente, hanno però finito per erodere il confine determinato dal legislatore ed ha comportato, da un lato la possibilità per l’ente di partecipare al giudizio penale in via autonoma oltre che in quella consentita dalla persona offesa, dall'altro ha  la possibile costituzione di parte civile dell’ente per rivendicare la tutela di un proprio interesse leso dal fatto-reato commesso dall'imputato. Allorquando l’ente è riconosciuto come titolare di una posizione soggettiva propria la cui lesione è fonte risarcitoria, potrà legittimamente costituirsi parte civile per far valere il proprio diritto al risarcimento senza che ciò determini il venir meno della possibilità di poter intervenire nel giudizio a sostegno della pubblica accusa nei modi e forme previste dall'art. 91 e ss.

Di conseguenza, come sostenuto dalla Corte di Cassazione, si deve ritenere che sussistano due differenti istituti che consentono l'accesso al giudizio penale di enti portatori di interessi superindividuali; tali sodalizi potranno costituirsi parti civili oppure intervenire nel processo a sensi dell’art. 91, in presenza dei presupposti prescritti dalla legge, con poteri identici a quelli della persona offesa al cui consenso è subordinato l'esercizio dello intervento stesso. Il «costante consenso della persona offesa» è un requisito per la legittimazione processuale degli enti e delle associazioni (Cass. III, n. 554/2007). Secondo questa interpretazione, quindi, l'intervento dell'ente è comunque condizionato dal presupposto consenso anche quando l'ente stesso sia titolare di una propria posizione soggettiva lesa dal reato commesso e ciò alla stregua del disposto dell'art. 212 delle norme di coordinamento il quale ha espressamente enunciato che tutte le forme atipiche di intervento nel processo siano ricondotte nei «limiti ed alle condizioni» di cui all'art. 91 e ss. In ragione delle, inequivoca enunciazione dell'art. 92, comma 1, la Corte, pertanto, ha ritenuto, in ogni caso, la necessità del consenso da parte della persona offesa, se individuabile, o, in caso contrario da parte dell'ente territoriale competente (trattando il caso di specie di associazioni ambientaliste). La summenzionata giurisprudenza  ha superato la precedente interpretazione in tema di esercizio del diritto e delle facoltà spettanti agli enti ed alle associazioni senza scopo di lucro, aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato nella salvaguardia dell’ambiente. In favore di detti enti, ai sensi della l. n. 349/1986, si era ritenuto che sarebbe stata riconosciuta dal legislatore una generalizzata facoltà di intervenire in giudizio tutte le volte in cui è in gioco il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni conseguenti al pregiudizio reale o potenziale che una certa condotta può arrecare all'ambiente, ovvero ad un suo componente essenziale, qual è il territorio, indipendentemente dall'acquisizione del consenso ex art. 92. Pertanto, lo stesso ordinamento positivo avrebbe offerto un generalizzato e preventivo consenso dello Stato a quelle associazioni che, come «Italia Nostra», possono far valere dinanzi al giudice ordinario le loro istanze (Cass. V, n. 2361/1996).

Casistica

La persona offesa e, conseguentemente, l'ente esponenziale, non sono legittimati a proporre ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi dal tribunale del riesame in materia di libertà personale, né ad intervenire con il deposito di memorie, atteso che tale diritto è attribuito solo al pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura, all'imputato e al suo difensore (Cass. IV, n. 18851/2012);

è ammissibile, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa antinfortunistica, quando l'inosservanza di tale normativa possa cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni sindacali, per la perdita di credibilità dell'azione di tutela delle condizioni di lavoro dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali (Cass. IV, n. 22558/2010); 

nello stesso senso, più in generale è stato anche di recente autorevolmente ribadito il principio secondo cui è ammissibile la costituzione di parte civile di un'associazione anche non riconosciuta che avanzi, jure proprio, la pretesa risarcitoria, assumendo di aver subito per effetto del reato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, consistente nell'offesa all'interesse perseguito dal sodalizio e posto nello statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, con la conseguenza che ogni attentato a tale interesse si configura come lesione di un diritto soggettivo inerente la personalità o identità dell'ente (Cass. S.U., n. 38343/2014);

un'associazione di consumatori di rilevanza nazionale, inserita nell'elenco di cui al d.lgs. n. 206/2005, è legittimata ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti relativi alle materie disciplinate dal codice. L'ente è in questo caso portatore di un interesse proprio, di tipo corporativo, distinto dalla somma degli interessi soggettivi comuni ai soci e/o a questi imputabili come singoli. Per questa gamma di interessi deve ritenersi ammesso l'autonomo intervento dell'ente quale persona offesa ai sensi dell'art. 90, anziché quello, proprio agli enti solo equiparati all'offeso (e condizionato al consenso di quest'ultimo), di cui all'art. 91 (Cass. VI, n. 51080/2014);

la costituzione delle associazioni ambientaliste è possibile anche per reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell'ambiente e del territorio, finalità che costituiscono la ragione sociale delle predette associazioni. In tale ottica si deve riconoscere il diritto delle predette associazioni di costituirsi parti civili in processi per delitti di abuso in atti di ufficio, falso e truffa ecc. ecc. connessi a violazioni edilizie (Cass. V, n. 7015/2011);

il Codacons (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), in quanto individuato dal d.m. Ambiente 17 ottobre 1995 tra le associazioni di protezione ambientale, è legittimato ad esercitare, in ogni stato e grado del processo, i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa nei reati ambientali (Cass. n. 34220/2010).

Bibliografia

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