Codice di Procedura Penale art. 103 - Garanzie di libertà del difensore 1 .

Alessandro Trinci

Garanzie di libertà del difensore 1.

1. Le ispezioni [244] e le perquisizioni [247, 352] negli uffici dei difensori [96, 97] sono consentite solo:

a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati [60, 61], limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito;

b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate [244, 247].

2. Presso i difensori [96, 97] e gli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, nonché presso i consulenti tecnici non si può procedere a sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato 2.

3. Nell'accingersi a eseguire una ispezione [244], una perquisizione [247] o un sequestro [252, 253, 354] nell'ufficio di un difensore [96, 97], l'autorità giudiziaria a pena di nullità avvisa il consiglio dell'ordine forense del luogo perché il presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni. Allo stesso, se interviene e ne fa richiesta, è consegnata copia del provvedimento.

4. Alle ispezioni [244], alle perquisizioni [247, 352] e ai sequestri [252, 253, 354] negli uffici dei difensori procede personalmente il giudice ovvero, nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero in forza di motivato decreto di autorizzazione del giudice.

5. Non è consentita l'intercettazione [271] relativa a conversazioni o comunicazioni dei difensori [96, 97; 355 att.], degli investigatori privati autorizzati e incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici [225, 233, 359] e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite [271] 3.

6. Sono vietati il sequestro [254] e ogni forma di controllo della corrispondenza [353] tra l'imputato [60, 61] e il proprio difensore [96, 97; 351-4 att.] in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.

6-bis. E' parimenti vietata l'acquisizione di ogni forma di comunicazione, anche diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l'imputato e il proprio difensore, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato4.

6-ter. L'autorità giudiziaria o gli organi ausiliari delegati interrompono immediatamente le operazioni di intercettazione quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientra tra quelle vietate5

7. Salvo quanto previsto dal comma 3 e dall'articolo 271, i risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle disposizioni precedenti, non possono essere utilizzati [191]. Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta 6.

 

[1] [1] V. art. 120, comma 7, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per l'estensione delle garanzie previste dal presente articolo ai dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze; nonché art. 52d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per un richiamo all'art. 103 in tema di accessi, ispezioni e verifiche di natura fiscale.

[2] [2] Comma modificato dall'art. 1, comma 1 , lett. a), l. 7 dicembre 2000, n. 397.

[3] [3] Comma modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b),  l. n. 397, cit.

[6] [4] L'art. 2 comma 1 lett. a) d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, ha aggiunto il secondo periodo del presente comma 7: « Fermo il divieto di utilizzazione di cui al primo periodo, quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente, e nel verbale delle operazioni sono indicate soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta ». Ai sensi dell'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 216, cit.,  come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »). Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., ovvero «alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2  comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 » , poi dall'art. 1, comma 1139 lett. a) n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio 2019), sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 », e dall'art. 9 comma lett. ad.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77,  sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 » .

Inquadramento

L'articolo in esame, al fine di garantire l'inviolabilità del diritto di difesa (diritto fondamentale della persona garantito dall'art. 24 Cost.), contiene una serie di previsioni che hanno la funzione di evitare che il difensore, nell'espletamento del suo incarico professionale, subisca ingerenze da parte degli organi inquirenti.

Il controllo a carico del difensore è illegittimo nella misura in cui costituisce uno strumento per investigare sul suo cliente. Ecco perché le garanzie dell'art. 103 non si applicano quando gli atti investigativi devono essere compiuti nei confronti di un avvocato che riveste la qualifica di indagato o imputato (Cass. VI, n. 21539/2009).

Ambito di operatività

I destinatari della tutela apprestata dalla norma in esame sono: a) il difensore; b) i consulenti tecnici; c) gli investigatori privati; d) le altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio del difensore (praticanti avvocati, altri colleghi inseriti nello stesso studio, segretari).

Per quanto riguarda gli investigatori privati, affinché operi la tutela occorrono tre condizioni: 1) che si tratti di investigatori autorizzati dalle competenti autorità amministrative; 2) che abbiano ricevuto un incarico in relazione al procedimento; 3) che il conferimento dell'incarico sia comunicato all'autorità procedente (art. 222, comma 4, disp. att.).

Si ritiene che il generico riferimento al difensore consenta di estendere le garanzie in esame anche ai legali delle parti private e della persona offesa (Cordero, 297; Frigo, Art. 103, in Amodio-Dominioni, I, 658).

Le garanzie si riferiscono, allo stesso modo, al difensore di fiducia e a quello di ufficio, attese, da un lato, l'assenza di ostacoli desumibili dalla lettera della disposizione e, dall'altro, la finalità di questa di assicurare l'effettività del diritto inviolabile di difesa sancito dall'art. 24 Cost. (Cass. I, n. 1779/2014).

Le Sezioni Unite, con due pronunce coeve, hanno chiarito che le tutele in esame vengono accordate al difensore non solo per l'attività svolta nel procedimento in corso, ma anche per l'attività svolta in altri procedimenti.

Con una prima pronuncia si è infatti stabilito che il divieto di sequestrare presso i difensori «carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano corpo del reato», previsto dall'art. 103, comma 2, non è limitato all'ipotesi in cui il sequestro è disposto nell'ambito dello stesso procedimento in cui si svolge l'attività difensiva o all'ipotesi in cui questa sia ancora in corso, ed opera, quindi, anche nel caso in cui tale attività concerne un procedimento diverso (Cass.  S.U. , n. 24/1993; da ultimo Cass. IV, n. 23002/2014). La Suprema Corte ha, inoltre, chiarito che, mentre per le ispezioni e per le perquisizioni la garanzia prevista dall'art. 103 c.p. è collegata ai locali dell'ufficio, per i sequestri (così come avviene anche per le intercettazioni e per il controllo della corrispondenza) la lettera del secondo comma, con le parole iniziali («presso i difensori»), mostra che la garanzia è collegata direttamente alle persone (difensori e consulenti tecnici), sicché il divieto opera anche quando l'attività diretta al sequestro si svolge in luogo diverso dall'ufficio (Cass. II, n. 19255/2017, che ha ritenuto quella proposta una interpretazione coerente con le indicazioni provenienti dalla normativa sovranazionale e, segnatamente, con l'art. 4 della Direttiva 2013/48/UE sul diritto di avvalersi di un difensore – che non è stato oggetto di specifica trasposizione, ritenendosi evidentemente sufficiente la tutela prevista dall'art. 103 –che indirizza chiaramente verso la massima tutela della riservatezza della comunicazioni tra accusato e difensore stabilendo che «gli Stati membri rispettano la riservatezza delle comunicazioni fra indagati o imputati e il loro difensore nell'esercizio del loro diritto di avvalersi di un difensore previsto dalla presente direttiva. Tale comunicazione comprende gli incontri, la corrispondenza, le conversazioni telefoniche e le altre forme di comunicazione consentite ai sensi del diritto nazionale»).

Con una successiva decisione, la Corte ha ribadito il suddetto principio con riguardo alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni e alle ispezioni e perquisizioni da eseguire negli uffici dei difensori (Cass. S.U. , n. 25/1993). La Suprema Corte ha, inoltre, chiarito che, il divieto di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste la qualità di difensore e per il solo fatto di tale qualifica, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata.

La disciplina contenuta nell'art. 103 trova applicazione fin dall'inizio delle indagini preliminari (Bronzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo, I, 2012, 1207) e trova la sua giustificazione nell'effettivo esercizio dell'attività difensiva.

La Corte di Cassazione ha escluso che lo svolgimento dell'attività difensiva debba risultare necessariamente da uno specifico e formale mandato, conferito secondo le modalità previste dall'art. 96, potendo desumersi l'esistenza di un mandato fiduciario anche dalla natura stessa dell'incarico, circostanza, questa, che può essere confermata dallo stesso contenuto delle captazioni, oltre che dalla documentazione prodotta dall'interessato (Cass. VI, n. 10664/2002).

Ispezioni e perquisizioni

Al fine di garantire la libertà e l'inviolabilità del domicilio professionale e la libera disponibilità delle cose funzionali alla difesa tecnica, l'art. 103 consente l'esecuzione di ispezioni e perquisizioni negli uffici dei difensori solo in due casi: a) quando il difensore o altra persona che lavora nell'ufficio è imputato; b) quando si devono ricercare tracce di un reato o persone specificatamente determinate.

Una parte della dottrina ritiene che le due eccezioni siano collegate, nel senso che la ricerca di tracce o cose debba riferirsi allo stesso reato che viene attribuito all'avvocato o alle altre persone che svolgono attività nello studio (Cristiani, in Chiavario I, 73). Altri autori, invece, ritengono che le due ipotesi non debbano coesistere, soluzione che amplia la possibilità di eseguire ispezioni e perquisizioni negli studi legali (Cordero, 298).

Il riferimento a cose o persone determinate evita che vi siano intrusioni negli studi legali quando non sia noto il soggetto o l'oggetto da cercare.

Le garanzie in esame sono collegate ai “locali dell'ufficio” e non alle “persone” che vi svolgono la propria attività. Inoltre, la regola garantistica è limitata soltanto ai locali dello studio professionale frequentati dall'indagato-imputato, mentre restano esclusi quelli a cui l'indagato-imputato non ha accesso (Frigo, 659).

Sequestri

Per quanto riguarda i sequestri, il capoverso della norma in commento fissa un limite molto rigido, stabilendo che il sequestro di carte e di documenti rinvenuti presso i difensori, gli investigatori privati (autorizzati e incaricati) e i consulenti tecnici è possibile solo in due casi: a) se si tratta di carte o documenti non relativi all'oggetto della difesa; b) se si tratta di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa ma costituenti corpo di reato

Non è quindi sufficiente a superare il divieto di sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa – divieto assistito, come si vedrà meglio oltre, dalla sanzione dell'inutilizzabilità – la mera utilità probatoria dell'oggetto del vincolo reale, perché la legge esige un quid pluris che giustifichi l'interferenza nel rapporto professionale cliente/difensore, e cioè che l'atto o documento appreso costituisca, esso stesso, corpo del reato (Cass. V, n. 28721/2018).

L'avverbio “presso” amplia la sfera di operatività delle garanzie, che copre non soltanto gli uffici dove difensori, investigatori e consulenti esercitano la loro attività, ma anche tutti i luoghi dove essi conservano la documentazione attinente all'attività difensiva (Cass.S.U., n. 24/1993; Cass. IV, n. 23002/2014).

Per carte e documenti deve farsi riferimento alla nozione di cui all'art. 234. La dizione letterale avrebbe potuto ingenerare un dubbio sulla sequestrabilità del materiale informativo, ma basta che questo si traduca in un documento per attrarlo nella sfera delle garanzie. Al riguardo, la giurisprudenza ha ritenuto legittimo il sequestro di un server informatico presso lo studio di un avvocato, indagato per bancarotta fraudolenta, al fine di selezionare i dati informatici pertinenti attraverso l'incombente processuale della perizia, da espletarsi con incidente probatorio, così da escludere violazioni dell'art. 103 (Cass. V, n. 2816/2002). Non può nascondersi, però, che tale modus operandi instaura una procedura che consente l'indebita conoscenza di fatti tutelati dall'area difensiva.

Fra le “carte” vengono fatti rientrare tutto il materiale scritto che il difensore riceve in consegna o sul quale egli stesso scrive i suoi appunti (Cordero, 298) e le copie degli atti di altri procedimenti giudiziari (Scalfati, in Giarda-Spangher, 596).

La garanzia è circoscritta ai documenti e alle carte che siano relativi all'oggetto della difesa, ossia inerenti ad un procedimento giudiziario, anche eventualmente concluso, in relazione al quale il professionista espleti o abbia espletato un mandato difensivo espressamente conferito dall'interessato (Cass. II, n. 3513/1997).

Non sono coperti dalla garanzia quelle carte e quei documenti che nulla hanno a che fare con l'impostazione della difesa o che sono relativi a rapporti extraprocessuali fra difensore e cliente (Cass. III, n. 39710/2003) o che riguardano la posizione di un indagato di cui il professionista non ha mai assunto la difesa. Non vi rientra neppure la documentazione formata dall'indagato-imputato ma ancora non trasmessa al difensore (Cass.S.U., n. 15208/2010, che ha ritenuto sequestrabili documenti nella sfera di pertinenza esclusiva dell'imputato, privi di una finalizzazione attuale all'espletamento delle funzioni del difensore). Tali atti possono dunque essere legittimamente sequestrati, anche se non rientranti fra le “cose pertinenti al reato”, salva in ogni caso la tutela del segreto professionale, opponibile anche in tali ipotesi nelle forme di legge (art. 256, comma 1) (Cass. II, n. 3513/1997).

Una tutela più stringente è accordata alla corrispondenza (già pervenuta o in itinere) fra difensore e indagato-imputato, della quale è vietato non solo il sequestro, ma anche ogni forma di controllo. Affinché scatti la suddetta garanzia occorre che sulla busta siano riportati i dati identificativi di cui all'art. 35 disp. att. (nome e cognome imputato; nome, cognome e qualifica professionale del difensore; la dicitura “corrispondenza per ragioni di giustizia” con indicazione del procedimento a cui si riferisce e la sottoscrizione del mittente). L'unico limite è individuato nel fatto che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che la corrispondenza costituisca corpo di reato (anche diverso da quello oggetto del procedimento in cui è impegnato il difensore).

Recentemente, con la l. n. 114/2024, il legislatore ha inteso fornire una tutela rafforzata ad “ogni forma di comunicazione” intercorsa fra l’imputato e il proprio difensore. Di essa è infatti vietata l’acquisizione salvo che vi sia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato. Non è facile comprendere a quale tipologia di atti ci si riferisca dato che le comunicazioni telefoniche e ambientali e la corrispondenza già coprono la quasi totalità delle comunicazioni che possono intercorrere fra difensore e cliente. Si potrebbe immagine l’ipotesi di una comunicazione a gesti riprese dalle telecamere di un sistema di videosorveglianza.

Procedimento

Prima di procedere ad un'attività di ispezione, perquisizione o sequestro, l'autorità giudiziaria deve informare il presidente del locale consiglio dell'ordine affinché lo stesso o un consigliere da lui delegato possa essere presente. Questi, se interviene e lo richiede, può ottenere una copia del provvedimento.

L'inosservanza di tale procedura è sanzionata a pena di nullità riconducibile alla lettera c) dell'art. 178 (Cass. III, n. 2576/1994).

Poiché le guarentigie previste dall'art. 103 sono applicabili unicamente se devono essere tutelati la funzione difensiva o l'oggetto della difesa, non occorre avvisare il consiglio dell'ordine forense quando l'ispezione, la perquisizione e il sequestro devono essere eseguiti nell'ambito di un procedimento in cui il difensore è persona indagata, anche se non ancora formalmente iscritta nel relativo registro (Cass. II, n. 32909/2012).

L'obbligo dell'avviso non viene meno, sebbene il difensore sia persona indagata, quando lo studio professionale risulti cointestato ad altro avvocato nominato suo difensore di fiducia e non sottoposto in quel momento ad indagini (Cass. II, n. 6002/2007).

L'obbligo viene meno, invece, se l'atto investigativo deve essere compiuto nell'ufficio di un difensore in cui operino altri avvocati in veste di meri collaboratori dell'unico titolare, ma non uniti a quest'ultimo nella forma della contitolarità o dell'associazione professionale (Cass. II, n. 39837/2012, che ha precisato che detti collaboratori, e non il titolare dello studio, sarebbero gli unici portatori dell'interesse processuale all'impugnazione del sequestro di documenti che riguardassero esclusivamente loro).

A garanzia della correttezza delle indagini, alle ispezioni, perquisizioni e sequestri procede personalmente il giudice o, nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero, previa autorizzazione del giudice (art. 103, comma 4). Il precetto è rispettato anche se il magistrato, pur partecipando all'atto e assumendone la responsabilità, si limita a dirigere o a controllare le operazioni esecutive materialmente svolte dalla polizia giudiziaria (Cass. II, n. 3513/1997).

La violazione della prescrizione comporta l'inutilizzabilità dei risultati dell'atto investigativo in quanto compiuto da soggetto privo del relativo potere (art. 103, comma 7).

È dubbio che alle operazioni possa procedere l'autorità di polizia in caso di flagranza di reato ex art. 352 c.p., perché il pubblico ministero, non legittimato ad agire personalmente, non potrebbe essere legittimato neppure a convalidare l'atto d'urgenza ai sensi dell'art. 352, comma 4 (Jesu, 2026).

Intercettazioni

Il comma 5 dell'art. 103 pone il divieto di intercettare le conversazioni e le comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati e dei consulenti tecnici e loro ausiliari e di quelle intercorrenti tra loro e le persone assistite. Il comma 6-bis dell’art. 103 impone all'autorità giudiziaria o agli organi ausiliari delegati di interrompere immediatamente le operazioni di intercettazione quando risulta che la conversazione o la comunicazione rientra tra quelle vietate.

Rientrano nel divieto sia le conversazioni telefoniche che quelle fra presenti (c.d. ambientali) e le comunicazioni informatiche, sia relative al procedimento in corso che ad altro procedimento.

Il divieto è posto a garanzia della necessaria riservatezza dell'attività difensiva e, quindi, dipende esclusivamente dalla natura della conversazione intercettata (avente ad oggetto temi difensivi), così come verificabile anche a seguito di una verifica successiva all'eventuale captazione che non sia stata disposta nei confronti del difensore in quanto tale (Cass. VI, n. 34065/2006, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto utilizzabili, ai fini dell'identificazione del presunto responsabile di un reato, la cui utenza telefonica cellulare era stata sottoposta ad intercettazione, elementi tratti da una conversazione del medesimo soggetto con quello che era il suo difensore in un procedimento civile, trattandosi di elementi non attinenti alla funzione difensiva di cui il legale era stato investito).

L'art. 103, comma 5, quindi, riguarda le sole conversazioni o comunicazioni inerenti all'esercizio delle funzioni di difensore (Cass. II, n. 24451/18) e non si estende ad ogni altra conversazione non inerente (tanto più ove costituisca essa stessa reato: Cass. II, n. 43410/2015), che si svolga nell'ufficio o nel domicilio dell'avvocato (Cass. VI, n. 38578/2006, che ha ritenuto utilizzabile, ai fini dell'identificazione della voce dell'indagato captata nel corso di una intercettazione telefonica, una conversazione intervenuta sulla medesima utenza tra la di lui moglie e quello che era il suo difensore).

Con specifico riguardo alle intercettazione di colloqui tra indagato e avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, la Corte ha ritenuto necessario, per la loro utilizzabilità, che il giudice valuti: a) se quanto detto dall'indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all'amico; b) se quanto detto dall'avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute (Cass. II, n. 26323/2014).

Sanzioni

L'ultimo comma della norma in commento prevede la sanzione della inutilizzabilità di tutti gli elementi di prova acquisiti in violazione delle garanzie sancite nei commi precedenti. Si tratta di una inutilizzabilità assoluta, che deve essere dichiarata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del procedimento a norma dell'art. 191, comma 2.

Fermo tale divieto di utilizzabilità, il d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, in attuazione della delega contenuta nella l. n. 103/2017 (c.d. riforma Orlando), ha previsto che quando le comunicazioni e conversazioni sono comunque intercettate, il loro contenuto non può essere trascritto, neanche sommariamente. Il verbale delle operazioni dovrà riportare soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta. Va detto che il divieto di trascrizione, già desumibile dal divieto di intercettazione, rischia di essere un precetto inefficace perché non è stato presidiato da alcuna sanzione (salva la responsabilità disciplinare del magistrato ai sensi dell'art. 124 c.p.p.), né è stata imposta l'immediata distruzione delle registrazioni. 

Va detto che la disciplina in esame doveva originariamente applicarsi alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 216/2017 (art. 9, comma 1, d.lgs. n. 216/2017); tuttavia, l'art. 2, comma 1, d.l. n. 91/2018, conv., con modif., in l. n. 108/2018,  aveva prorogato tale termine stabilendo che la modifica  avrebbe operato in relazione alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il 31 marzo 2019.   L'art. 1, comma 1139, lett. a), n. 1,  l. n. 145/2018 (Legge di bilancio 2019) aveva stabilito che  la modifica disposta dall'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 216/2017, cit., si applicasse alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi  dopo il 31 luglio 2019.  L'art. 9, comma 2, lett. a) d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif. in l. 8 agosto 2019, n. 77, ha poi prorogato il termine al 31 dicembre 2019. Successivamente l'art. 9, comma 1, n. 1), d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, come convertito, con modificazioni, in l. 28 febbraio 2020, n. 7 aveva stabilito che la nuova disciplina si sarebbe applicata alle operazioni di intercettazione relative ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020 (il d.l. n. 161/2019, prima della conversione in legge prevedeva “dopo il 29 febbraio 2020”). Da ultimo l'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. n. 28/2020  ha stabilito che la suddetta disciplina si applica « ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020».Dunque, oltre a prorogare il termine di entrata in vigore, il decreto legge individua il termine di efficacia della novella nella data di iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p., e non più nella data di emissione del provvedimento autorizzativo. Ne consegue, a rigore, che il divieto di trascrizione non dovrebbe operare per le comunicazioni e conversazioni intercettate in violazione delle garanzie sancite dall'art. 103 c.p.p. sulla base di provvedimenti autorizzativi emessi successivamente al 31 agosto 2020 ma relativi a procedimenti penali iscritti precedentemente.  Dunque, oltre a prorogare il termine di entrata in vigore, il decreto legge individua il termine di efficacia della novella nella data di iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p., e non più nella data di emissione del provvedimento autorizzativo. Ne consegue, a rigore, che il divieto di trascrizione non dovrebbe operare per le comunicazioni e conversazioni intercettate in violazione delle garanzie sancite dall'art. 103 c.p.p. sulla base di provvedimenti autorizzativi emessi successivamente al 31 agosto 2020 ma relativi a procedimenti penali iscritti precedentemente.

Trattandosi di intercettazione vietata e quindi inutilizzabile, si ritiene che l'ufficiale di polizia giudiziaria debba informare preventivamente il pubblico ministero con annotazione sul contenuto della comunicazione, come previsto per le comunicazioni o conversazioni irrilevanti, perché altrimenti si rischia che il contenuto dell'intercettazione vietata, bandita dalla trascrizione sommaria, rientri attraverso l'annotazione di polizia giudiziaria sul suo contenuto e finisca nell'archivio riservato, consultabile da tutti i soggetti legittimati (Filippi,19).

Va rilevato che il comma 3 della norma in esame presidia con una nullità l'obbligo di preavvisare il consiglio dell'ordine degli avvocati in caso di ispezioni, perquisizioni e sequestri. Non è chiaro quindi come vadano coordinate le due sanzioni, dato che la nullità, essendo a regime intermedio, può essere rilevata o eccepita entro i termini di cui all'art. 180, mentre l'inutilizzabilità è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento.

Il dettato normativo fa salva la previsione di cui all'art. 271, comma 3 in tema di intercettazioni vietate. Ne consegue che il giudice deve disporre la distruzione della documentazione, salvo che questa costituisca corpo di reato.

Bibliografia

Ciani, Ancora qualche puntualizzazione sulle garanzie di libertà del difensore, in Cass. pen. 1998, 848; Jesu, Le garanzie di libertà del difensore nella ricostruzione delle Sezioni Unite: un'opportuna precisazione e qualche nuovo dubbio, in Cass. pen. 1994, 2020; Montagna, In tema di sequestro presso il difensore, in Giur. it. 1995, 105;  Filippi, Le nuove norme su intercettazioni e tabulati, Pisa, 2018.

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