Codice di Procedura Penale art. 109 - Lingua degli atti 1 .

Francesco Mancini

Lingua degli atti1.

1. Gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana [169 3; 63, 201 att.].

2. Davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato [64, 65] o esaminato [194 s., 208 s.] nella madrelingua e il relativo verbale [134 s.] è redatto anche in tale lingua [26 att.]. Nella stessa lingua sono tradotti [143 s.] gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta. Restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali.

3. Le disposizioni di questo articolo si osservano a pena di nullità [177 s.].

 

[1] La Corte cost., con sentenza interpretativa di rigetto, 30 giugno 1994, n. 271, nel dichiarare non fondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 17 6 d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello Statuto speciale in materia di uso della lingua tedesca e ladina nei procedimenti giurisdizionali), ha affermato quanto segue: «L'art. 109, secondo comma, [...] emanato in attuazione della direttiva n. 102 espressa nella legge di delegazione 16 febbraio 1987 n. 81, ha garantito [...] in generale al cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta il diritto ad essere interrogato o esaminato nella madre-lingua (con la conseguente redazione del relativo verbale in tale lingua, oltre che in quella ufficiale del processo), diritto attivabile a richiesta dell'interessato davanti all'autorità giudiziaria avente competenza, in primo o secondo grado nel territorio di insediamento della stessa minoranza. Tale garanzia, in quanto destinata a preservare l'effettività del diritto alla difesa di cui all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, non solo come difesa tecnica, ma anche come autodifesa non può non spettare - indipendentemente dai contenuti particolari della disciplina introdotta per il Trentino-Alto Adige con il d.P.R. n. 574 - anche ai cittadini di lingua tedesca della Provincia di Bolzano, rispetto ai quali - sempre ai sensi dell'art. 109, secondo comma, c.p.p. - restano peraltro salvi "gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali". Nei confronti dei cittadini appartenenti al gruppo linguistico tedesco della Provincia di Bolzano il diritto relativo alla scelta della lingua del processo di cui all'art. 17 del d.P.R. n. 574 non si presenta, quindi, alternativo, bensì concorrente con il diritto attribuito in generale a tutti i cittadini appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute ad essere interrogati o esaminati, a propria richiesta, nella lingua materna».

Inquadramento

La norma fissa il principio generale per cui l'italiano è l'unica lingua nella quale devono essere redatti tutti gli atti del processo penale. Tale principio è derogato, con dualità di discipline, solo per il cittadino italiano che appartenga ad una minoranza linguistica riconosciuta. Tutti coloro che non comprendono tale lingua, siano essi italiani non appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute ovvero stranieri, hanno solo diritto alla traduzione degli atti a norma dell'art. 143.

L'italiano come unica lingua di redazione degli atti processuali

Profili generali

La l. 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, fissa all’art. 1 la regola generale per cui la lingua ufficiale della Repubblica e' l'italiano. In applicazione di tale principio la norma in commento dispone che ogni atto processuale deve essere formato in lingua italiana, salve le eccezioni che di seguito si esamineranno per gli appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute. In questo senso può dirsi che gli atti del processo penale sono atti a forma linguistica vincolata. La norma risponde alla intuitiva esigenza di individuare una forma di comunicazione fra gli attori del processo che sia, ad un tempo, unica e quanto più possibile condivisa.

Ciò non significa che ogni atto che confluisce nel processo debba essere in origine formato in lingua italiana ovvero che necessiti di traduzione. La disposizione, infatti, si riferisce ai soli atti processuali e non anche agli atti che, pur destinati a confluire nel patrimonio documentale sul quale il giudice fonderà la decisione, abbiano una origine esterna al processo.

Necessario è, dunque, distinguere fra atti processuali ed atti non processuali che hanno ingresso nel processo.

Individuazione degli atti processuali

La nozione di atto processuale

Secondo la più accreditata dottrina (Lozzi), sono atti processuali tutti gli atti che siano compiuti nel corso del processo ai quali l'ordinamento ricolleghi effetti giuridici rilevanti in ambito procedural-penalistico. Rientrano in tale nozione, e assumono particolare rilevanza nella pratica giudiziaria, la querela, il mandato difensivo, la procura speciale per riti alternativi o per la costituzione di parte civile, la costituzione stessa, la memoria difensiva, l'impugnazione, il verbale degli atti compiuti oralmente, l'atto di Polizia Giudiziaria, la consulenza tecnica e la perizia, il provvedimento del Pubblico Ministero e del giudice, il verbale di causa ed ogni altro atto che rinvenga la propria disciplina nel codice di procedura penale.

Tutti tali atti, dunque, devono essere obbligatoriamente formati in lingua italiana.

L'atto processuale non redatto in lingua italiana

Il comma terzo dell'articolo in commento commina alla violazione del principio per cui gli atti devono essere formati in lingua italiana la più grave delle sanzioni processuali: la nullità.

La giurisprudenza (Cass. S.U., n. 36451/2008), ha infatti giudicato inammissibile una impugnazione che sia stata redatta, interamente od in parte essenziale, in lingua straniera; e ciò anche quando sia stata proposta da soggetto legittimato che non sia in grado di esprimersi in lingua italiana. Non si determina infatti alcuna violazione del diritto di difesa dell'alloglotta, garantito dalla possibilità riconosciutagli dall'ordinamento di avvalersi di un interprete, ricorrendone i presupposti anche con patrocinio a spese dello stato. Per questo la stessa decisione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma sollevata in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost.

Prevalente, anche se non univoca, è la tesi per cui il regime di tale nullità sia quello posto dall'art. 180; dunque può essere rilevata anche di ufficio ma non può più essere rilevata e dedotta dopo la sentenza di primo grado ovvero, se si è formata nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo.

Gli atti non processuali che confluiscono nel processo

Profili generali

L'obbligo di usare la lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento davanti all'autorità giudiziaria che procede, ma non a quelli già formati in altra sede e che nel procedimento sono acquisiti, per i quali, invece, si pone la necessità della traduzione ove gli stessi assumano rilievo per i fatti da provare (Cass. V, n. 2707/2019).

Dunque, per gli atti extraprocessuali che confluiscono nel processo, ed in particolare per le prove documentali, non sussiste alcun divieto di produzione di atti formati in lingua diversa da quella italiana. E non esiste neppure l'obbligo incondizionato della loro traduzione nella lingua italiana. In particolare, non esiste un diritto dell'imputato a vedersi tradurre i documenti in lingua straniera acquisiti al processo, a meno che essi siano tanto rilevanti ai fini della decisione da costituire parte integrante dell'accusa.

La giurisprudenza (Cass. S.U., n. 38343/2014) ha, infatti, precisato che la lingua italiana è forma linguistica vincolata per gli atti processuali, ma non è richiesta in relazione agli atti già formati da acquisire al processo. Per essi la necessità della traduzione andrà di volta in volta stabilita, nel contraddittorio delle parti, in relazione alla rilevanza probatoria di specifici atti ed al concreto pregiudizio difensivo che potrebbe discendere da una mancata traduzione.

Dunque, possono agevolmente enuclearsi in materia i seguenti principi:

(a) è sempre ammissibile la produzione in giudizio di atti non processuali formati in lingua straniera, ed in particolare di documenti;

(b) non è ravvisabile un indiscriminato obbligo di traduzione di tali documenti, dovendosi selezionare quelli di cui sia necessaria la traduzione attraverso la dialettica processuale e la ponderazione della concreta utilità dell'adempimento;

(c) è onere della parte che intenda ottenere, nel processo, la traduzione di atti formati in lingua diversa dall'italiano non solo individuare in modo analitico i singoli atti, ma anche dedurre in modo specifico in ordine al pregiudizio che potrebbe derivare dalla loro omessa traduzione da parte del giudice.

Il procedimento davanti al tribunale del riesame ed il giudizio di Cassazione

Tali principi generali necessitano di ulteriori specificazioni in relazione alle peculiarità che connotano i giudizi che originano da richiesta di riesame ex art. 309 e dal ricorso per cassazione.

La giurisprudenza (Cass. III, n. 15380/2010) ha infatti affermato che le esigenze di celerità che connotano il rito dinanzi al tribunale del riesame, ed il regime della inefficacia che consegue al mancato rispetto dei termini ivi fissati, non consentono all'organo giudicante di disporre traduzioni; cosicché è onere della parte che intenda avvalersi di documenti scritti in lingua straniera curarne o la redazione in italiano ovvero la traduzione. Analogamente si è ritenuto con riferimento al giudizio di Cassazione (Cass. III, n. 21047/2004), nel quale la nomina di un interprete contrasta con le caratteristiche proprie del giudizio di legittimità, il quale non consente di regola lo svolgimento di attività istruttorie.

Casistica

In applicazione di tali principi si è ritenuto:

(a) illegittima la decisione del tribunale di sorveglianza di dichiarare inutilizzabile un documento, attestante fatto avvenuto all'estero, e prodotto dal condannato per ottenere un beneficio penitenziario, perché non redatto in lingua italiana e non tradotto, in quanto il tribunale doveva disporne traduzione d'ufficio (Cass. I, n. 3092/2014);

(b) necessaria la traduzione officiosa in lingua italiana di una sentenza straniera depositata con traduzione asseverata solo se vi sia dubbio sull'attendibilità di quella prodotta, ovvero se l'utilizzo di quest'ultima possa pregiudicare i diritti di difesa, e sempre che sia stato eccepito il concreto pregiudizio derivante dalla mancata ulteriore traduzione (Cass. VI, n. 14041/2014);

(c) legittima la mancata traduzione in lingua italiana di atti e documenti, tra i quali un interrogatorio, acquisiti nella fase delle indagini a seguito di rogatoria internazionale oggetto di generica indicazione da parte della difesa, e comunque non utilizzati nel corso del processo, atteso che per gli atti già formati che vengano acquisiti al processo la traduzione è obbligatoria solo se l'utilizzazione di essi possa pregiudicare i diritti di difesa dell'imputato e sempre che quest'ultimo abbia espressamente eccepito al riguardo nel corso del processo (Cass. V, n. 32352/2014).

Le minoranze linguistiche riconosciute

Profili generali

La norma introduce, in diretta applicazione dell'art. 6. Cost., una disciplina di speciale favore per i cittadini italiani appartenenti alle minoranze linguistiche riconosciute, stabilendo che essi, dinanzi alle magistrature di merito competenti per i territori ove sono insediate tali minoranze, hanno diritto ad essere interrogati nella madre lingua ed a veder redatti in tale lingua il relativo verbale e tutti gli atti del procedimento loro indirizzati.

E ciò, si badi, a prescindere da ogni concreto accertamento circa la congrua comprensione della lingua italiana da parte dell'Autorità Giudiziaria. Dunque, è un diritto riconosciuto anche se, in ipotesi, il cittadino appartenente ad una tale minoranza parli e comprenda correttamente la lingua italiana.

Per la individuazione delle minoranze linguistiche riconosciute deve farsi riferimento alla elencazione contenuta nell’art. 2 della l. 5 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, a mente della quale la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo (Cass., IV,  n. 10198/2015).

Le minoranze tedesca e ladina beneficiano, però, di una disciplina del tutto peculiare, e di maggior favore, posta dallo Statuto Speciale della Regione Trentino Alto Adige, che sarà esaminata infra. Le rimanenti minoranze, invece, godono solo dei benefici previsti dall'art. 109 in esame.

Presupposti per avvalersi di lingua tutelata

Tre condizioni devono essere soddisfatte perché il cittadino italiano appartenente alla minoranza linguistica riconosciuta possa avvalersi della lingua tutelata.

La prima è che vi sia una sua richiesta in tal senso.

La giurisprudenza (Cass. I, n. 12974/2014) ha infatti rilevato che nessuna norma di legge impone, come avviene invece ora per i cittadini stranieri, una verifica ufficiosa tesa a stabilire l'appartenenza ad una delle minoranze linguistiche tutelate, cosicché non può prescindersi da una richiesta dell'interessato o quantomeno da una sua segnalazione.

La seconda è che egli dimostri che la zona ove risiede sia formalmente inclusa nell'ambito territoriale di applicazione delle norme di tutela (Cass. IV, n. 51812/2014), allegando i provvedimenti amministrativi comunali o provinciali emessi al riguardo.

La terza condizione è che il procedimento si svolga dinanzi alla autorità giudiziaria di merito avente competenza per territorio in relazione alle zone incluse nell'ambito spaziale della tutela. Cosicché la possibilità di avvalersi della lingua tutelata non è riconosciuta né nel giudizio di Cassazione e neppure dinanzi ad autorità giudiziarie diverse da quelle aventi competenza sul territorio di residenza dell'imputato.

Il contenuto della tutela

Ove siano soddisfatte le condizioni di cui al sub-paragrafo precedente, l'appartenente alla minoranza linguistica ha il diritto di essere interrogato o esaminato nella sua lingua nonché di ricevere il verbale e tutti gli atti del procedimento in tale lingua.

Dunque, è una forma di garanzia operante non solo nei confronti dell'indagato od imputato, ma anche nei confronti delle altre parti processuali, nonché di testimoni, periti ed ausiliari.

Centrale è comunque la figura dell'imputato, destinatario dei più qualificati atti del processo penale. Ove egli ne abbia fatto richiesta, ha diritto alla traduzione di tutti gli atti del processo a lui indirizzati. Dunque, non di tutti gli atti del procedimento, ma solo di quelli che siano a lui comunicati o notificati. Esemplificativamente, gli avvisi ex art. 145-bis e le fissazioni di udienza, ma anche le convalide di sequestro, perquisizione e, si ritiene, i provvedimenti che applichino misure cautelari.

La giurisprudenza (Cass. VI, n. 1400/1998), del resto, propende per una interpretazione estensiva della nozione di atti indirizzati al cittadino appartenente a minoranza linguistica, ritenendo che fra gli atti di cui sia obbligatoria la traduzione debbano annoverarsi anche le sentenze.

Il regime della nullità

La nullità prevista dall'art. 109 per il caso di inosservanza dell'obbligo di traduzione degli atti del procedimento indirizzati a soggetto appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, è di carattere intermedio, pertanto rinviene la propria disciplina nell'art. 180 ed è sanabile, ai sensi dell'art. 183, per effetto del compimento di atti che dimostrino l'avvenuta corretta comprensione dell'atto non tradotto (Cass. VI, n. 9075/2006).

La speciale tutela accordata alle minoranze linguistiche tedesche e ladine

Profili generali

L'art. 109 comma 2 espressamente statuisce che restano salvi gli altri diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali. E gli artt. 14, 15, 16 del d.P.R. n. 574/1988 (recante norme di attuazione dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige) prevedono una serie di garanzie ulteriori in quanto:

(a) la stessa autorità giudiziaria che procede è bilingue, essendo indetti appositi concorsi per l'accesso in magistratura riservati a soggetti in possesso di tale requisito;

(b) non integra una ipotesi di nullità la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotta, anche dopo la modifica dell'art. 143  per effetto del d.lgs. n. 32/2014; tuttavia,  se vi è stata specifica richiesta di traduzione, i termini per impugnare decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell'imputato nella lingua a lui comprensibile (Cass. II,  n.  45408/2019); talché il motivo di impugnazione dedotto sul punto ha l'unico effetto di consentire la regolarizzazione dell'eventuale omissione e rimettere l'imputato in termini;

(c) è affetta da nullità la decisione che non riconosca come legittimo l'impedimento di un imputato, sottoposto alla misura dell'obbligo di presentazione in Spagna, perché la documentazione che attestava la circostanza era redatta in lingua spagnola e non tradotta in italiano (Cass. V, n.  27077/2019); ciò in quanto l'obbligo di usare la lingua italiana si riferisce agli atti da compiere nel procedimento davanti all'autorità giudiziaria che procede, ma non a quelli già formati in altra sede;

(d) non può eccepire la nullità derivante dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento l'imputato alloglotta che abbia formulato istanza di cd. “patteggiamento” (Cass. II,  n. 6575/2016);

(e)  l'elezione di domicilio da parte di straniero non a conoscenza della lingua italiana è nulla se questi non è assistito da un interprete (Cass. I, n. 32000/2013);

(f) non è necessaria la iscrizione all'albo degli interpreti di chi si incarichi di tradurre in lingua italiana, ai fini della verbalizzazione di un atto, quanto lo straniero dica nella propria lingua (Cass. V, n. 17967/2013). 

Conseguenze della inosservanza della disciplina

La giurisprudenza (Cass. III, n. 20856/2017) ha chiarito che mentre la erronea individuazione della lingua presunta non è, di per sé, sanzionata essendo onere dell'imputato contestare la scelta operata dalla AG, determina di contro nullità l'impiego, per la redazione degli atti, di lingua diversa da quella scelta dall'imputato a seguito del primo interpello. Infatti l'imputato ha la facoltà, ex art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 574/1988, di chiedere entro 15 giorni dalla ricezione dell'atto che il procedimento prosegua nella propria e diversa lingua materna, e  nell'ipotesi in cui detta richiesta sia disattesa si determina , ex art. 18 bis, comma 1, del citato d.P.R., una nullità assoluta.

Allo stesso modo anche la designazione, come sostituto del difensore d'ufficio ex art. 97,  c.p.p. comma 4, di un legale non abilitato all'assistenza processuale nella lingua parlata dall'imputato è affetta da nullità assoluta ai sensi dell'art. 179 (Cass. III, n. 40683/2018).

Dunque la giurisprudenza più recente è approdata ad una interpretazione molto rigorosa della normativa di favore in commento, considerando come assoluta la nullità derivante dall'impiego di lingua diversa rispetto a quella scelta dall'imputato o da questi non ricusata. In questo senso deve quindi, allo stato, ritenersi superato quell'orientamento che riteneva tale tipo di nullità come meramente relativa ed eccepibile secondo le modalità e nei termini di cui all'art. 181 (Cass., VI, n. 10983/2009).

Vi è però da precisare che, trattandosi di normativa di favore, la sua violazione non può produrre effetti pregiudizievoli in capo all'imputato allorché egli stesso o la sua difesa vi abbiano dato causa,  essendosi ritenuto non affetto da nullità un atto depositato da difensore dell'imputato in lingua diversa da quella da questi prescelta (Cass. III, n. 42459/2015).

Casistica

(a) ha diritto di essere interrogato o esaminato nella lingua di appartenenza e di ricevere tradotti gli atti del procedimento il cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta,  a condizione che ne faccia richiesta e fornisca la prova in ordine alla formale inclusione del territorio in cui risiede tra quelli espressamente individuati nei provvedimenti amministrativi provinciali e comunali, emanati ai sensi dell'art. 3, legge 15 dicembre 1999, n. 482, aventi la funzione di delimitare l'ambito territoriale di applicazione delle norme di tutela, mediante l'allegazione degli stessi (Cass. IV, n. 10198/2015);

(b) non integra una ipotesi di nullità la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all'imputato alloglotta, anche dopo la modifica dell'art.143  per effetto del d.lgs. n. 32 del 4 marzo 2014; tuttavia,  se vi è stata specifica richiesta di traduzione, i termini per impugnare decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell'imputato nella lingua a lui comprensibile (Cass. II,  n. 13697/2016); 

ed, in caso di mancata traduzione della sentenza, l'imputato può richiedere, entro dieci giorni dalla scadenza del termine di impugnazione, la restituzione nel predetto termine correlato alla traduzione del provvedimento, con nuova decorrenza, in ogni caso, dal momento in cui la sentenza venga messa a sua disposizione (Cass. II, Sent. n. 22465/2022);

(c) non può eccepire la nullità derivante dalla mancata traduzione di una parte degli atti del procedimento l'imputato alloglotta che abbia formulato istanza di cd. "patteggiamento" (Cass. II,  n. 6575/2016);

(d) l'elezione di domicilio da parte di straniero non a conoscenza della lingua italiana è nulla se questi non è assistito da un interprete (Cass. I, n. 32000/2013);

(e) non è necessaria la iscrizione all'albo degli interpreti di chi si incarichi di tradurre in lingua italiana, ai fini della verbalizzazione di un atto, quanto lo straniero dica nella propria lingua (Cass. V, n. 17967/2013).

Bibliografia

Adorno, Sulla pubblicazione del contenuto di atti di indagine coperti dal segreto, in Iannone e altri, Dal garantismo inquisitorio a un accusatorio non garantito, in Percorsi di procedura penale, a cura di Perchinunno, I, Milano, 1996, 167 ss.; Corso, Dominioni, Gaito, Galantini, Garuti, Mazza, Spangher, Varraso, Vigoni, Procedura Penale, Atti, Torino, 2015; De Amicis, Appunti per una ricostruzione sistematica del diritto alla consultazione degli atti processuali, I Processuali, in Cass. pen. fasc. 3, 1996, 978; D'Isa, Sulla disciplina dei documenti nel nuovo processo penale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1992, 1413; Lozzi, Atti Processuali Penali, II) diritto processuale penale, in Enc. giur., III, Roma, 1995; Spangher, Il diritto all'interprete ed al traduttore: attuata la direttiva europea, in Cass. pen. fasc.7-8, 2015, 2876B; Triggiani, Segreto Processuale e divieto di pubblicazione, in Enc. dir.,Annali, II, Milano, 2008, 1025; Tripodi, Fasi del procedimento penale e obblighi di comunicazioni al pubblico ex art. 114 t.u.f., in Giur. comm. fasc..2, 2010, 315.

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