Codice di Procedura Penale art. 114 - Divieto di pubblicazione di atti e di immagini 1 .

Francesco Mancini

Divieto di pubblicazione di atti e di immagini1.

1. È vietata la pubblicazione [115], anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto [329] o anche solo del loro contenuto 2.

 

2. È vietata la pubblicazione [115], anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto [116, 243, 258, 3095, 3243, 366, 395, 4092, 4192-3, 430, 432, 433] fino a che non siano concluse le indagini preliminari [405] ovvero fino al termine dell'udienza preliminare [424 s.] [, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292 ]3

2-bis. E' sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni se non e' riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento.4

3. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento [431], se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado [529 s.], e di quelli 5 del fascicolo del pubblico ministero [433], se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello [605]. È sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni [500, 503].

4. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'articolo 472, commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni [500, 503]. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile [648] e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di grazia e giustizia 6.

5. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato [256-258, 261-263 c.p.] ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del comma 4 7.

6. È vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni 8. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione [13 min.] 9.

6-bis. È vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta 10.

6-ter. Fermo quanto disposto dal comma 7, è vietata la pubblicazione delle ordinanze che applicano misure cautelari personali fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare11.

7. È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.

 

[1] La rubrica è stata così sostituita dall'art. 14 comma 1 l. 16 dicembre 1999, n. 479.

[2] Per il divieto di pubblicazione concernente i procedimenti relativi ai reati indicati nell'art. 90 Cost., v. l'art. 11 l. 5 giugno 1989, n. 219.

[3] Le parole «, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292» sono state soppresse dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 dicembre 2024, n. 198. Precedentemente l'art. 2, comma 1 lett. b), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, aveva disposto l'inserimento, alla fine del comma, delle seguenti parole «, fatta eccezione per l'ordinanza indicata dall'articolo 292 ». Ai sensi dell'art. 9, comma,  2 d.lgs. n. 216, cit., come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. b) d.l. 30 aprile 2020, n. 28conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​tali disposizioni acquistano efficacia « a decorrere dal 1° settembre 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 2) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161 , conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 2 d.lgs. n. 216, cit., prevedendo che tali disposizioni acquistano efficacia «a decorrere dal 1° maggio 2020»;  lo stesso  l'art. 1, comma 1, n. 2) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161 , anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che tali disposizioni acquistassero efficacia « a decorrere dal 1° marzo 2020»). Il termine di efficacia previsto dal testo originario  dell'art. 9 comma  2 d.lgs. n. 216 cit., era « decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto », poi differito dall'art. 1 comma 1139 lett. a) n. 2) l. 30 dicembre 2018, n. 145, legge di bilancio 2019, che lo ha sostituito con « a decorrere dal 1° agosto 2019 » e dall'art. 9, comma  2 lett. b) d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77, che lo ha sostituito con «a decorrere dal 1° gennaio 2020»).

[4] Il comma 2-bis  è stato inserito dall'articolo 2, comma 1, lett. a) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7. A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ».  Il comma è stato successivamente modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b) l. 9 agosto 2024, n. 114, che ha sostituito le parole «se non e' riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento» alle parole: «non acquisite ai sensi degli articoli 268, 415-bis o 454».

V. anche l'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., sub art. 103. V. altresì sub art. 292.

[5] La Corte cost., con sentenza 24 febbraio 1995, n. 59 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma limitatamente alle parole «del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli».

[6] Ora ministro della giustizia, ai sensi del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300.

[7] Sugli atti, documenti e quanto altro è coperto dal segreto di Stato, v. art. 39 l. 3 agosto 2007, n. 124.

[8] Periodo inserito dall'art. 10 comma 8 l. 3 maggio 2004, n. 112.

[9] Ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149,  le parole «tribunale per i minorenni», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», con la decorrenza indicata dall'art. 49, comma 1, d.lgs. 149, cit.

[10] Comma inserito dall'art. 14 comma 2 l. n. 479, cit.

Inquadramento

La norma, da leggere congiuntamente all'art. 329 ed all'art. 684 c.p., detta la disciplina della pubblicabilità degli atti processuali, prevedendo rigorosi limiti per la fase delle indagini preliminari che si attenuano progressivamente, sino a cessare definitivamente, con l'evolversi delle fasi processuali, contemperando in tal modo le esigenze di riservatezza degli indagati, di tutela della serenità del giudice con il diritto alla informazione.

La distinzione fra segreto processuale e divieto di pubblicazione

È falsa, per quanto diffusa talora anche sulla stampa non specializzata, l'affermazione per cui siano pubblicabili tutti gli atti non più coperti da segreto processuale.

Nell'ordinamento non vi è, infatti, coincidenza tra il regime di segretezza degli atti e quello di loro divulgabilità, nel senso che le due discipline si intersecano ma non coincidono, né nella ratio ispiratrice né nella regolamentazione.

La disciplina del segreto ha, infatti, carattere endoprocedimentale, e si sostanzia nella prefigurazione di limitazioni alla conoscibilità degli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria in capo all'indagato ed alle eventuali altre parti private. Dunque, si è in presenza di limiti, interni, che investono le parti stesse del processo. Per la disciplina specifica di tali limiti si rinvia al commento sub art. 329. In questa sede è sufficiente ricordare che, nel caso del segreto, lo scopo della norma è la tutela della indagine, evitando che la conoscenza del suo progredire da parte dei soggetti coinvolti possa agevolare condotte dirette ad ostacolare la genuina acquisizione delle prove.

I divieti di pubblicazione specificamente oggetto della norma in commento, invece, attengono alla — diversa — ipotesi della divulgazione di atti o notizie provenienti dal procedimento a soggetti estranei al procedimento stesso; sono dunque limiti esterni al processo. La ratio dei divieti di pubblicazione risiede non solo nella tutela della riservatezza delle parti private, ma anche nell'esigenza di assicurare il corretto, equilibrato e sereno giudizio del giudice, attuata anche attraverso le norme che gli consentono di venire legittimamente a conoscenza del testo degli atti di indagine, nei limiti e secondo le regole previsti in un processo tipicamente accusatorio.

Per questo la giurisprudenza ha affermato che non vi è perfetta equiparazione tra ciò che diviene conoscibile all'interno del procedimento e la sua divulgabilità (Cass. V, n. 3896/2002), perché il venir meno del segreto investigativo non determina per ciò solo che gli atti divengano liberamente pubblicabili.

Infatti, si è ritenuto che anche  il sequestro preventivo di un giornale telematico che pubblichi in forma testuale alcune intercettazioni telefoniche, pur determinando il venir meno del segreto processuale rendendo gli atti conoscibili alle parti, non elide tuttavia il divieto di pubblicazione; e ciò perché occorre distinguere tra atti coperti da segreto ed atti non pubblicabili, in quanto, mentre il segreto opera all'interno del procedimento, il divieto di pubblicazione riguarda la divulgazione tramite la stampa e gli altri mezzi di comunicazione (Cass. I, n. 32846/2014).

In questo senso, dunque, le disposizioni concernenti i divieti di pubblicazione di atti provenienti da un processo penale conformano e limitano lo stesso diritto di cronaca.  Infatti si è ritenuto che non opera la causa di giustificazione dell'esercizio del diritto di cronaca in riferimento al reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (Cass. I, n. 27986/2016); e ciò in quanto il legislatore ha valutato preminente l'interesse alla non divulgazione dei dati processuali, specie se riferiti a persone minori di età, rispetto all'utilità sociale dell'informazione.

Individuazione degli atti oggetto dei divieti di pubblicazione

Perché trovi applicazioni la norma è necessario che ricorra una ipotesi di “pubblicazione”, dunque di divulgazione ad una serie indeterminata di soggetti, attraverso qualsivoglia media, quali stampa, televisione, radio, siti internet, manifesti. Non vi rientrano, invece, le comunicazioni fra privati, in relazione alle quali potrà al più, ove ne sussistano i presupposti, ricorre la fattispecie delittuosa della rivelazione di segreti di ufficio, prevista dall'art. 326 c.p.

Le limitazioni che la norma in commento pone alla pubblicazione di atti del procedimento riguarda solo gli atti processuali in senso stretto, per la cui definizione si rinvia al commento sub art. 109. In questa sede è sufficiente ricordare che per individuare gli atti e i documenti coperti dal segreto, per i quali vige il divieto di pubblicazione, è necessario fare riferimento all'art. 329 comma 1, che indica espressamente come coperti dal segreto "gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria". Dunque, si deve trattare di atti di indagine effettuati direttamente o per iniziativa (o delega) dei predetti organi. 

Non riguarda, invece, né i “fatti” in quanto tali, e neppure gli atti formati esternamente al processo ed in esso confluiti.

La giurisprudenza ha infatti chiarito che è sempre consentita la divulgazione delle notizie attinte direttamente da persona che abbia assistito o sia a conoscenza di un «fatto» anche quando lo stesso sia oggetto di accertamento da parte della autorità giudiziaria (Cass. I, n. 10135/1994). Dunque, una notizia attinta direttamente da un testimone di un avvenimento, in quanto tale non tenuto al segreto, è liberamente divulgabile, mentre se detta notizia è tratta dalle dichiarazioni fatte dalla stessa persona alle autorità preposte alle indagini, la sua divulgazione può essere vietata secondo i principi che di seguito si esporranno.

Parimenti, non rientrano nel divieto di pubblicazione i documenti di origine extraprocessuale acquisiti al procedimento e non compiuti dal P.M. o dalla polizia giudiziaria, come ad esempio una informativa della Agenzia delle Entrate (Cass. I, n. 13494/2011). Dunque, i documenti di origine extraprocessuale acquisiti ad un procedimento, in quanto non compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, non sono coperti da segreto ex art. 329 e per essi non vige dunque il divieto di pubblicazione. Tale recente giurisprudenza induce a ritenere superato un più risalente orientamento (Cass. I, n. 10948/1995) che riteneva di estendere i divieti di pubblicazione anche ai documenti prodotti nel processo come prova, sul presupposto che essi, una volta acquisiti, fossero divenuti atti processuali.

Di origine extraprocessuale, proprio perché non formata né dal pubblico ministero e neppure dalla polizia giudiziaria, deve pertanto ritenersi anche la denuncia sporta da un privato ad uno di tali organi  (Cass. I, n. 21290/2017).

Il divieto di pubblicazione degli atti coperti dal segreto processuale

Per gli atti coperti da segreto a norma dell'art. 329 (atti del pubblico ministero e della polizia giudiziaria fino a quando non siano conoscibili dall'indagato) vige un divieto assoluto di pubblicazione, sia con riferimento al testo che al contenuto, anche parziale o per riassunto. La violazione di tale divieto è penalmente sanzionata a norma dell'art. 684 c.p.

In applicazione di tale principio generale la Suprema Corte ha ritenuto che chi, nel corso delle indagini preliminari, pubblica il testo, od anche solo il contenuto, di una querela oralmente sporta alla polizia giudiziaria, commette il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale; ciò in quanto la querela orale, consentendo al verbalizzante di porre domande all'interlocutore, determina in capo al querelante l’acquisizione della veste di persona informata dei fatti, e costituisce per questo atto di indagine della polizia giudiziaria coperto da segreto ai sensi dell'art. 329, comma 1, con conseguente divieto assoluto di pubblicazione ai sensi dell'art. 114, comma 1 (Cass. I, n. 41640/2019).

Di contro, non rientra nel divieto di pubblicazione di cui all'art. 114 una denuncia presentata al P.M. o alla polizia giudiziaria, in quanto non costituisce atto di indagine compiuto da costoro (Cass. I, n. 21290/2017).

La giurisprudenza ha peraltro chiarito che è lecita la pubblicazione di una brevissima frase, riportata tra virgolette, dell'interrogatorio dell'indagato (Cass. I, n. 43479/2013).

L'art. 329 prevede, però, che quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall'art. 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. Ed è questo istituto largamente in uso nella prassi specie quando, per superare stasi investigative, gli inquirenti hanno necessità di rivolgersi ai consociati, per sollecitare riconoscimenti o testimonianze (si pensi alla divulgazione di identikit o di immagini di persone scomparse).

L’innovazione introdotta dal d.lgs. n. 216/2017 in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni

È in questo ambito che principalmente si coglie la distinzione fra segreto processuale e divieto di pubblicazione. La norma, infatti, vieta la pubblicazione, anche parziale, di atti fino a che non si sia conclusa l'indagine ovvero non abbia avuto termine l'udienza preliminare; e ciò ancorché sia cessato il segreto endo-procedimentale, e le parti private abbiano quindi avuto possibilità di conoscenza degli atti.

È quanto avviene, ad esempio, nel caso di  esecuzione di provvedimento cautelare reale, che pur determinando il venir meno del segreto non legittima, per ciò solo, la libera pubblicabilità degli atti (Cass. I, n. 32846/2014).

Dunque, fino a che non sia stata decretata la archiviazione ovvero non sia stata esercitata l'azione penale in una delle varie forme in cui l'ordinamento lo prevede (citazione diretta a giudizio, giudizio direttissimo, giudizio immediato, decreto penale di condanna) permane il divieto di pubblicazione degli atti processuali.

Vi sono però due importanti eccezioni. La prima riguarda i casi nei quali è prevista la udienza preliminare, in relazione ai quali il divieto di pubblicazione non cade con l'esercizio dell'azione penale, ma richiede la conclusione della udienza.

La seconda, riguardante i provvedimenti cautelari personali,  è stata introdotta dal d.lgs. n. 216/2017, recante disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. Nella disciplina previgente, in coerenza con il principio generale sopra  enunciato, si prevedeva che la  notifica all'imputato dell'ordinanza di custodia cautelare personale facesse venir meno l'obbligo del segreto intraprocessuale, ma non il divieto di pubblicazione, atteso che va fatta distinzione tra atti coperti da segreto ed atti non pubblicabili, in quanto, mentre il segreto opera all'interno del procedimento, il divieto di pubblicazione riguarda la divulgazione tramite la stampa e gli altri mezzi di comunicazione sociale (Cass. V, n. 3896/2002).

La novella legislativa, in apparente contraddizione con il dichiarato fine di conferire maggiore tutela al diritto alla riservatezza dei soggetti attinti da attività di intercettazione, prevede ora che sia, invece, pubblicabile la ordinanza cautelare anche in fase di indagini preliminari o comunque prima del termine della udienza preliminare. Tale eccezione al principio generale del divieto di pubblicazione degli atti di indagine preliminare prima del termine di esse deve, però, essere letta alla luce delle complessive innovazioni introdotte dal decreto legislativo di riforma delle intercettazioni. Esso prevede, infatti, una serie di divieti di trascrizione (per i quali si rimanda al commento sub artt. 266 e successivi) concernenti le conversazioni irrilevanti, inutilizzabili o contenenti dati sensibili; e, più in generale, prevede più stringenti limiti alla riproduzione del contenuto delle intercettazioni all'interno del testo dei provvedimenti cautelari (art. 293 comma 2 quater a mente del quale sono riprodotte nella ordinanza le sole parti essenziali delle conversazioni necessarie per l'esposizione dei gravi indizi o delle esigenze cautelari). Dunque tali divieti e tali limitazioni sono stati ritenuti dal legislatore idonei a scongiurare il pericolo che attraverso il testo di un provvedimento de libertate venga divulgato il contenuto di conversazioni irrilevanti a fini processuali, inutilizzabili ovvero contenenti dati unicamente legati alla sfera privata delle persone coinvolte.

Merita di essere evidenziato che per effetto dell'art. 9, comma 2, d.lgs. 216/2017 cit., come modificato  dall'art. 9, comma 2, lett. b), d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77, tale disposizione era destinata ad acquisire efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2020.

Ma dapprima l'art . 1, comma 1, n. 2), d.l. n. 161/2019, come modificato in sede di conversione in l. n. 7/2020, e, poi, l'art. 1, comma 1, lett. b) d.l. n. 28/2020, hanno però ulteriormente differito il suddetto termine, prevedendo che essa acquisti efficacia a decorrere dal 1 settembre 2020 .

A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161/2019 cit., conv. con modif. in l. n. 7/2020, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. n. 28/2020, conv., con modif., in l. n. 70/2020, le disposizioni del citato articolo si applicano , coerentemente del resto con la  loro natura squisitamente processuale, ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto  2020. In ciò modificando in modo non irrilevante la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 216/2017, cit., che faceva riferimento, quale discrimine per l'operatività della modifica normativa, non già alla data di iscrizione della notizia di reato quanto, invece, al momento di adozione del decreto di autorizzazione alle operazioni di intercettazione.  Il legislatore ha, dunque, ulteriormente prorogato — anche per la parte relativa ai divieti di pubblicazione — il termine di applicazione di parte significativa della riforma organica delle intercettazioni. 

Deve poi ulteriormente precisarsi che, venuto meno il segreto processuale, il divieto di pubblicazione  assume in ogni caso un contenuto più blando. Esso ha infatti ad oggetto gli atti in se stessi, ma non il loro contenuto od il loro riassunto.

Dunque, dopo che gli atti siano divenuti conoscibili all'indagato a norma dell'art. 329 permane il divieto di pubblicazione degli atti, ma diviene pubblicabile il loro contenuto od il loro riassunto.

Il nuovo comma 2 -bis , introdotto dal d.l. n. 161/2019, come modif. in sede di conv. in l. n. 7/2020

Il d.l. n. 161/2019, come modificato in sede di conversione in l. n. 7/2020, ha introdotto nella disposizione in commento il comma 2-bis. (applicabile ai sensi dell'art. 2, comma 8, dello stesso d.l. — come sostituito dall'art. 1, comma 2, d.l. n. 28/2020, conv., con modif., in l. n. 70/2020 — ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020).Esso prevede che sia sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli artt. 268 e 415-bis. 

La nuova norma deve essere letta nel contesto complessivo della riforma organica delle intercettazioni, ed in particolare con le modifiche introdotte proprio all'art. 268 ed all'art. 415-bis dal d.l. 30 dicembre 2019, n. 161. Infatti, quanto alla esecuzione delle operazioni di intercettazione,  si prevede che il pubblico ministero dia indicazioni e vigili affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini; e si prevede altresì che siano garantiti effettivi spazi al diritto di difesa nella selezione, custodia e valutazione del materiale intercettivo rilevante.

E' stato poi modificato l'art. 415-bis introducendovi il comma 2-bis. La nuova disposizione prevede che qualora non si sia proceduto ai sensi dell'art. 268, commi 4, 5 e 6 alla custodia e selezione del materiale, l'avviso di conclusione delle indagini preliminari deve contenere inoltre l'avvertimento che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero; e che il difensore può, entro il termine di venti giorni, depositare l'elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia.

Ove tali diritti della difesa siano stati lesi la norma introduce un nuovo ed autonomo divieto di pubblicazione. Lo scopo della disposizione è evidente: tende a scongiurare il pericolo che sia data pubblicità a comunicazioni o conversazioni in relazione alle quali la difesa dell'indagato non sia stata ancora messa in condizione di interloquire sia in ordine alla fedeltà della trascrizione operata dalla polizia giudiziaria e sia in ordine alla rilevanza ai fini di prova, sia sotto il profilo della sensibilità del dato che della interpretazione.  

I divieti di pubblicazione nella fase dibattimentale

La disciplina è profondamente mutata a seguito di Corte cost. n. 59/1995, che ha dichiarato il comma 3, illegittimo, per contrasto con l'art. 76 Cost., in relazione all'art. 2, direttiva n. 71, l. delega n. 81/1987, limitatamente alle parole «del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado».

A seguito di tale pronuncia vi è una duplicità di disciplina per gli atti, a seconda che essi siano contenuti nel fascicolo del PM ovvero nel fascicolo per il dibattimento, ed invero: (a) gli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero non sono pubblicabili sino alla sentenza di appello, salvo che essi non siano utilizzati per le contestazioni; (b) gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento sono tutti liberamente pubblicabili.

I procedimenti a porte chiuse ed assimilabili

Il dibattimento è per sua natura pubblico. In alcuni casi, disciplinati dall'art. 472, il giudice può però disporre che esso sia celebrato a porte chiuse. Tale eccezione è consentita quando la pubblicità può nuocere al buon costume, quando le notizie devono restare segrete nell'interesse dello Stato e vi sia richiesta in tal senso, quando la pubblicità può pregiudicare la riservatezza di testimoni o delle parti private in ordine a fatti che non costituiscono oggetto dell'imputazione.

In tutti questi casi il principio di pubblicità è recessivo rispetto ad altre esigenze ritenute preminenti dal legislatore. In coerenza, in questi stessi casi nei quali il giudice abbia disposto di procedere a porte chiuse, è sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento. Mentre degli atti utilizzati per le contestazioni il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione; divieto che, quindi, non si produce quale immediata conseguenza della decisione di procedere a porte chiuse, come avviene per gli atti del dibattimento, ma discende da una decisione insindacabile del giudice, vincolata proceduralmente al solo obbligo di sentire le parti; e la violazione di un tale obbligo non risulta peraltro in alcun modo sanzionata.

Il divieto di pubblicazione cessa, comunque, quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di grazia e giustizia.

Negli stessi casi nei quali in dibattimento sarebbe possibile procedere a porte chiuse ma il dibattimento non si celebra, ad esempio a seguito della la opzione per un rito alternativo, sentite le parti, il giudice può disporre analoghi divieti di pubblicazione.

Altri divieti

La norma vieta ancora la pubblicazione: (a) delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni; ed il divieto si estende ad ogni notizia che, anche indirettamente, possa condurre alla identificazione dei suddetti minorenni; il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, possono però consentire la pubblicazione; (b) delle immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta.

Bibliografia

V. sub art. 109.

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