Codice di Procedura Penale art. 119 - Partecipazione del sordo, muto o sordomuto ad atti del procedimento 1 2 .1. Quando un sordo, un muto o un sordomuto vuole o deve fare dichiarazioni, al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente; al muto si fanno oralmente le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto; al sordomuto si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto. 2. Se il sordo, il muto o il sordomuto non sa leggere o scrivere [110], l'autorità procedente nomina uno o più interpreti [143], scelti di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui.
[1] La Corte cost., con sentenza 22 luglio 1999, n. 341 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo «nella parte in cui non prevede che l'imputato sordo, muto o sordomuto, indipendentemente dal fatto che sappia o meno leggere e scrivere, ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete, scelto di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui, al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa». [2] L'art. 1 l. 20 febbraio 2006, n. 95 ha disposto che in tutte le disposizioni legislative vigenti il termine «sordomuto» sia sostituito con l'espressione «sordo». InquadramentoLa disposizione disciplina le modalità di partecipazione al processo penale di soggetti con i quali la comunicazione verbale risulti difficoltosa perché non in grado di udire le domande loro rivolte (sordi), o non in grado di parlare (muti) ovvero, infine, impediti in entrambe tali abilità. Profili generaliLa ratio sottesa alla norma è evidente: individuare delle forme di comunicazione alternative a quella verbale al fine di consentire la partecipazione al processo anche di coloro ai quali essa sia, in tutto od in parte, preclusa. Duplice è l'obiettivo che il legislatore processuale intende conseguire, ad un tempo di garanzia del soggetto svantaggiato e del buon andamento del processo, ed in particolare della genuina acquisizione della prova. Infatti, la norma disciplina genericamente le dichiarazioni che uno dei soggetti indicati debba o voglia rendere. Cosicché la disposizione trova applicazione in tutti i casi nei quali un sordo od un muto debbano interloquire nel processo, a prescindere dal titolo della loro partecipazione ad esso. Dunque, sia che intervengano quale parte del processo (imputato, persona offesa, responsabile civile, civilmente obbligato alla pena pecuniaria) sia che intervengano come testimone. Ed è altresì indifferente il momento processuale in cui detta interlocuzione debba intervenire, trovando la disposizione applicazione non solo nella fase processuale vera e propria e nel corso di interrogatori o assunzione di informazioni, ma più in generale in tutti i casi nei quali debbano rendersi dichiarazioni, come avviene in occasione di confronti, ricognizioni, individuazioni, udienze di convalida di arresto o fermo e simili. La disciplinaLa disciplina in sé è molto semplice, e fonda sulla sostituzione della comunicazione verbale con quella scritta allorché la prima sia impedita. Si prevede infatti che: a) al sordo si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde oralmente; b) al muto si fanno oralmente le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto; c) al sordomuto si presentano per iscritto le domande, gli avvertimenti e le ammonizioni ed egli risponde per iscritto. Allorché una di tali persone non sappia leggere o scrivere, l'autorità procedente nomina uno o più interpreti, scelti di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui. Profili di incostituzionalitàLa giurisprudenza prevalente si era orientata nel senso di negare al sordo od al muto che sapessero scrivere il diritto ad un interprete, sul presupposto che l'art. 143 fosse riferibile solo alle persone che non parlano la lingua italiana, categoria nella quale non potevano farsi rientrare sordomuti, per i quali si riteneva dunque operante solo la specifica disciplina di cui all'art. 119 (Cass. VI, n. 10394/1992). Ciò determinava una obiettiva compromissione del diritto di difesa del sordo o muto; e ciò per la semplice considerazione che la tutela loro accordata dalla norma in discorso era operante solo nel ristretto ambito delle loro dichiarazioni. Mentre era ad essi del tutto preclusa la possibilità di partecipare in modo pieno e consapevole a tutti gli alti atti processuali. A tale ingiustificata menomazione del diritto di difesa ha posto rimedio la Corte Costituzionale nel 1999, dichiarando costituzionalmente illegittimo l'art. 119 nella parte in cui non garantisce all'imputato sordo, muto o sordomuto, anche nell'ipotesi in cui sia in grado di leggere e scrivere, il diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete, scelto, di preferenza, tra le persone abituate a trattare con lui, al fine di poter comprendere l'accusa contro di lui formulata, nonché seguire il compimento degli atti cui partecipa (Corte cost. n. 341/1999). Dunque, oggi, la posizione processuale del sordo e del muto è in tutto assimilabile a quella dell'alloglotta. L'unica — rilevante — differenza è quella posta dall'art. 144, disciplinante le incapacità ed incompatibilità dell'interprete. Se, infatti, vige una regola generale per la quale non può essere nominato interprete chi avrebbe facoltà di astenersi dal testimoniare, facoltà che l'art. 199 riconosce ai prossimi congiunti, in questo caso vige esattamente la regola opposta: l'interprete è scelto di preferenza fra le persone che sono abituate a trattare con il sordo od il muto, talché non vige alcun divieto di nomina dei prossimi congiunti i quali, anzi, avendo maggiore familiarità con la persona da interpretare, sono fra i soggetti preferiti. La Giurisprudenza ritiene peraltro che, quando il sordo od il muto sappiano leggere e scrivere, non è necessaria la nomina di un interprete della lingua dei segni, essendo sufficiente una qualunque persona che, in ragione della familiarità, sia in grado di comprenderlo e farsi comprendere (Cass. VI, n. 24951/2018). CasisticaIn applicazione di tali principi si è ritenuto: a) legittimo che la polizia giudiziaria proceda alla redazione di un verbale di identificazione e di elezione di domicilio nei confronti di persona sordomuta senza preventiva nomina di un interprete, poiché in esso l'attività della persona identificata è limitata alla sottoscrizione del verbale la cui lettura è sufficiente a renderne comunque intelligibile il contenuto e il significato (Cass. III, n. 8301/2008); b) insindacabile in sede di legittimità l'apprezzamento sulla sussistenza delle capacità professionali dell'interprete nominato ad un sordo, ad un muto o ad un sordomuto, trattandosi di accertamento di mero fatto ed essendo comunque irrilevante che l'interprete non sia in possesso di un attestato di abilitazione ufficiale (Cass. III, n. 8301/2008). BibliografiaV. sub art. 109. |