Codice di Procedura Penale art. 131 - Poteri coercitivi del giudice.InquadramentoLa norma disciplina i poteri di polizia processuale del giudice, prescrivendo che egli possa ordinare l'intervento della forza pubblica per garantire il regolare svolgimento degli atti processuali. Profili generaliUn meccanismo delicato e complesso come il processo penale, nel quale sono destinati a confluire conflitti e tensioni sia fra le parti che fra queste e la generalità dei consociati, non può prescindere dalla predisposizione di poteri coercitivi finalizzati a garantirne il regolare ed ordinato svolgimento. Il legislatore ha concentrato tali poteri nella figura del giudice, prevedendo che nell'esercizio delle sue funzioni egli possa chiedere l'intervento della polizia giudiziaria ovvero della forza pubblica prescrivendo tutto ciò che occorre per il compimento degli atti in modo ordinato e sicuro, senza cioè che possano derivarne pregiudizio alle parti o ad altri interessati. Due, dunque, sono i presupposti ricorrendo i quali il giudice può far intervenire la forza pubblica nel processo: a) che, nell'esercizio delle sue funzioni, egli debba procedere al compimento di atti processuali; e tali ultimi devono certo intendersi in senso ampio, ricomprendendo nella categoria ogni atto compiuto in funzione del processo; b) che vi sia il rischio che turbative, interne od esterne al processo, che possano porre in pericolo la sicurezza o la regolarità dell'attività processuale. Unico legittimato alla valutazione di un simile rischio è il solo giudice; ma è innegabile che le parti abbiano un potere di impulso e sollecitazione. Nell'adottare decisioni al riguardo il giudice esercita non già attività giurisdizionale, quanto mera potestà amministrativa, ed in particolare di poteri polizia di udienza. Il riconoscimento di un simile potere è, peraltro, diretta derivazione delle norma sull'ordinamento giudiziario, ed in particolare degli artt. 14 e 15 r.d. n. 12/1941. Il primo prevede, infatti, che ogni giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può richiedere, quando occorre, l'intervento della forza pubblica e può prescrivere tutto ciò che è necessario per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede. Il secondo, rubricato come “Potestà dei magistrati del pubblico Ministero di richiedere la forza armata” prevede invece che costoro, nell'esercizio delle loro funzioni, hanno il diritto di richiedere direttamente l'intervento della forza armata. La disposizione in commento deve essere letta congiuntamente a quella che regola la materia in sede dibattimentale, ed in particolare all'art. 470, che attribuisce al presidente del collegio giudicante il compito di garantire la disciplina della udienza; ed, in sua assenza, dal pubblico ministero. Entrambi possono chiedere l'intervento della forza pubblica. Per quanto concerne, invece, i poteri coercitivi del pubblico ministero in corso di indagini si veda il commento sub art. 378. In relazione a tali tipi di atti non è configurabile alcuna nullità. CasisticaLa — invero scarna — giurisprudenza in materia ha chiarito che in relazione ai provvedimenti del giudice per la direzione della discussione non sono ipotizzabili cause di nullità, e non è neppure ipotizzabile un vizio di motivazione, non richiesta, trattandosi di provvedimenti adottati senza formalità (Cass. I, n. 48311/2012). BibliografiaVedi sub art. 125. |