Codice di Procedura Penale art. 187 - Oggetto della prova.

Alessandro D'Andrea

Oggetto della prova.

1. Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione [405, 423, 516, 517, 518], alla punibilità [45-54, 85 s., 308, 309, 384, 599, 649 c.p.] e alla determinazione della pena [132 s. c.p.] o della misura di sicurezza [200 s. c.p.].

2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.

3. Se vi è costituzione di parte civile [76], sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato [74; 185 c.p.].

Inquadramento

La disposizione dell'art. 187 individua il contenuto dell'oggetto della prova, specificando i fatti su cui deve essere concentrata l'attività probatoria nel corso dell'espletamento del giudizio penale.

Principi generali

L'art. 187 è la disposizione introduttiva del Titolo I del Libro III del codice di rito, dedicato alle disposizioni generali in tema di prove, nel quale sono specificati i principi generali che orientano i singoli mezzi di prova o di ricerca della prova, disciplinati successivamente nel codice.

Il diritto alla prova delle parti, principio cardine della struttura attuale del processo penale, trova un riferimento fondamentale nella norma dell'art. 187, la quale provvede a delimitare una tantum l'oggetto della prova, individuando in termini generali il thema probandum. Ciò consente di corrispondere alla duplice esigenza di evitare dispersioni di tempo, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo, e di tutelare il diritto al contraddittorio, e dunque il diritto di difesa.

La previsione dell'art. 187 ha come destinatari  il giudice e le parti, in quanto essa tende ad evitare che vi siano abusi del processo, e cioè che: il giudice possa sovrapporre la propria ricostruzione personale a quella delle parti; il pubblico ministero possa eccedere nell'attività di indagine; il difensore possa debordare, introducendo nel processo temi ad esso estranei.

Il limite dell'indicato sistema è ravvisato nella mancanza di una previsione generale che sanzioni la violazione del disposto dell'art. 187, fatta salva, tuttavia, la possibilità di dichiarare la prova inammissibile per manifesta irrilevanza, ex art. 190, ovvero inutilizzabile, in quanto acquisita in violazione di legge, ai sensi dell'art. 191.

La giurisprudenza di legittimità non ha mancato di osservare come, in tema di prova testimoniale, non sia configurabile alcuna nullità o inutilizzabilità, ai sensi del combinato disposto degli artt. 187 e 194, nel caso in cui la deposizione del teste verta anche su fatti che non si riferiscono espressamente alla imputazione oggetto di contestazione. Ne consegue che, in virtù del principio di tassatività, la prova testimoniale raccolta in ordine ad un reato diverso da quello contestato risulta pienamente valida ed utilizzabile (Cass. III, n. 12930/2008).

I fatti che si riferiscono all'imputazione

Il primo comma dell'art. 187 individua, innanzitutto, come oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione.

L'inequivoco riferimento alla nozione di imputazione non sembra impedire, tuttavia, che i principi stabiliti dall'art. 187 siano estesi anche alla fase delle indagini preliminari, in cui pure l'imputazione non risulta ancora formulata, non essendo ipotizzabile escluderne la loro applicabilità, a momenti giudiziali fondamentali come l'incidente probatorio, in cui manca un'imputazione in senso restrittivo, o l'udienza preliminare, in cui non sono assunte prove in senso tecnico.

La norma, pertanto, al pari di tutte le altre riguardanti le prove, trova applicazione con riferimento all'intero procedimento penale, a meno che esse non siano incompatibili, espressamente o implicitamente, con la regolamentazione del singolo atto da compiere in una determinata fase.

Tra i fatti riguardanti l'imputazione suole distinguersi tra quelli principali — coincidenti con un elemento costitutivo del reato, ovvero con una circostanza — e quelli secondari — dai quali possono ricavarsi solo conclusioni in ordine al fatto principale.

E' stato chiarito in dottrina (Lombardo, 190) che il fatto secondario non è normalmente rilevante, non riferendosi direttamente all'imputazione, ma può diventarlo laddove ponga le premesse per un ragionamento logico che conduca a dimostrare un fatto principale.

In giurisprudenza è stato osservato che la contestazione del fatto reato segna i confini della fattispecie che si riferisce agli elementi costitutivi del reato e al thema probandum, e si differenzia dagli elementi di prova, perché essi rappresentano il fondamento dell'accusa e sono contenuti negli atti processuali che, compiuta la piena discovery con l'inizio del giudizio, ordinario o abbreviato, sono messi a disposizione dell'imputato per la formulazione di tutte le ipotesi ricostruttive percorribili (Cass. VI, n. 33519/2006).

È stato ritenuto, con riferimento al reato di cui all'art. 600-ter c.p., che la valutazione del carattere pedopornografico del materiale compete al giudice, il quale può servirsi degli ordinari mezzi di prova previsti dall'ordinamento (art. 187), senza dover necessariamente procedere ad un esame diretto del materiale medesimo (Cass. III, n. 3110/2014).

Si distingue, poi, tra prova diretta, che riguarda il fatto reato e consente di stabilire in ordine alla sussistenza di esso, e prova indiretta, che riguarda un fatto diverso da quello oggetto di prova e non determina alcuna premessa rilevante ai fini della decisione.

Sono oggetto di prova, ancora, sia le prove a carico, che servono a dimostrare l'esistenza del reato e l'attribuibilità di esso all'imputato, che le prove a discarico, aventi per scopo il fine opposto. Non sono oggetto di prova, invece, i fatti inverosimili e quelli notori , oltre alle norme giuridiche, in applicazione del principio iura novit curia.

I fatti che si riferiscono alla punibilità e alla determinazione della pena

La disposizione del primo comma dell'art. 187 individua, poi, come oggetto di prova i fatti che si riferiscono alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza.

Con la generica nozione di punibilità si ritiene che il legislatore abbia fatto riferimento a tutti quei fatti che rilevano ai fini della irrogazione in concreto della pena, come è, ad esempio, il caso di quelli attinenti all'accertamento dell'imputabilità, delle cause di giustificazione o della dichiarazione di abitualità.

In giurisprudenza è stato precisato che, ai fini dell'accertamento penale, i fatti che integrano circostanze aggravanti, pur accedendo al fatto reato al cui titolo vengono riferiti, non si sottraggono alla regola dell'art. 187, come fatti secondari che direttamente incidono sulla pena, e quindi alle regole di valutazione stabilite nell'art. 192 (Cass. V, n. 41332/2006).

Il riferimento alla determinazione della pena, invece, richiama gli elementi rilevanti ai fini dell'art. 133, comma 2, n. 3, c.p., e quindi gli aspetti riguardanti la gravità del reato e la capacità a delinquere dell'imputato.

I fatti da cui dipende l'applicazione di norme processuali

Il secondo comma dell'art. 187 indica, come oggetto di prova, i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.

Esempi di tali fatti sono costituiti da: l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza (art. 196, comma 2); l'incapacità dell'imputato a partecipare scientemente al processo (artt. 70 e 71); la credibilità di una persona che rende dichiarazioni (art. 194, comma 2); le minacce subite dal teste (art. 500, commi 4 e 5); l'incompatibilità del testimone (art. 197).

In giurisprudenza é stata ritenuta ipotesi applicativa dell'indicata norma la circostanza per cui, in tema di notificazioni, la copia fotostatica dell'avviso di ricevimento del plico raccomandato contenente la copia, da notificare all'imputato, del decreto di giudizio immediato costituisce piena prova dell'avvenuta notificazione dell'atto, atteso che alcuna disposizione prescrive che tale copia debba essere autenticata a pena di nullità (Cass. I, n. 18543/2009).

La S.C. ha precisato, poi, che ciascuna parte ha l'onere di provare i fatti processuali che adduce, ad esempio affermando che l'onere di provare il fatto processuale, dal quale dipenda l'accoglimento dell'eccezione procedurale, grava sulla parte che ha sollevato l'eccezione stessa (Cass. V, n. 1915/2011).

In maniera analoga, l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare l'inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto ed indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice (Cass. S.U., n. 119/2005).

È stato osservato, poi, che i poteri della Corte di cassazione di controllo degli atti per la verifica della fondatezza dei motivi inerenti ad asseriti errores in procedendo non esonerano il ricorrente dalla specifica indicazione, secondo quanto previsto dall'art. 187, comma 2, degli elementi dai quali dedurre che un atto non è stato formato (Cass. I, n. 34351/2005).

I fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato

Il comma 3 dell'art. 187 regola l'ipotesi della costituzione di parte civile, stabilendo che, in tale caso, oggetto di prova sono i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato.

Si ritiene, conseguentemente, che l'ambito applicativo della norma riguardi i fatti attinenti alla responsabilità civile da reato, oltre a quelli relativi ai danni prodotti dal reato, di per sé già compresi nella sfera di accertamento riguardante l'imputazione.

Lo specifico riferimento normativo alla costituzione di parte civile induce a ritenere, con interpretazione prevalente, che la norma possa trovare applicazione solo con riferimento alla fase giudiziale vera e propria (cfr., in tal senso, Cass. III, n. 16164/2019), pur se, in tal maniera, è possibile che la mancanza di accertamenti nel corso delle indagini preliminari possa pregiudicare l'acquisizione di elementi importanti ai fini dell'accertamento di fatti inerenti alla responsabilità civile derivante da reato.

Un'interessante soluzione compromissoria dell''indicata questione è stata avanzata in dottrina (Melchionda, 842), proponendo di interpretare la norma dell'art. 90, comma 1, in maniera estensiva, consentendo alla persona offesa di indicare elementi di prova che non riguardino solo i fatti oggetto di responsabilità penale, bensì anche quelli rilevanti ai fini della determinazione del danno.

Sono oggetto di prova, infine, i fatti inerenti all'illecito amministrativo connesso, giudicato cumulativamente dal giudice penale nei casi previsti dalla legge.

Bibliografia

Angeletti, La costruzione e la valutazione della prova penale, Torino, 2012; Aprile, La prova penale, Milano, 2002; Lombardo, La prova giudiziale, Milano, 1999; Manna, I rapporti tra sapere scientifico e sapere giudiziario, in Cass. pen. 2009, 3633; Melchionda, voce Prova in generale (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Agg., I, Milano, 1997, 838; Morelli, Il nuovo processo penale, Padova, 2000; Stella, Il giudice corpuscolariano. La cultura della prova, Milano, 2005; Tonini, La prova penale, Padova, 2000.

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