Codice di Procedura Penale art. 196 - Capacità di testimoniare.

Piercamillo Davigo

Capacità di testimoniare.

1. Ogni persona ha la capacità di testimoniare.

2. Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni [220] con i mezzi consentiti dalla legge.

3. I risultati degli accertamenti che, a norma del comma 2, siano stati disposti prima dell'esame testimoniale non precludono l'assunzione della testimonianza.

Inquadramento

 

La norma sancisce il principio di universalità dell’obbligo testimoniale, prevedendo una capacità generale di testimoniare, senza limiti alla capacità giuridica di essere testimone, basata sul criterio della valutazione in concreto della (maggiore o minore) credibilità della persona chiamata a testimoniare.

La capacità generale di testimoniare è distinta dalla legittimazione alla testimonianza, che si riferisce alle vicende di ogni singolo processo e trova un limite in tutti i casi di incompatibilità (come negli artt. 63 e 208, e dell’art. 197).

La capacità di testimoniare non coincide neppure con l’idoneità (fisica o mentale) a rendere testimonianza, il cui accertamento è rimesso al giudice, anche mediante l’ausilio degli esperti, nei casi di patologie di carattere psichiatrico, di infermità mentale, di vulnerabilità della persona offesa (es. minori).

L’idoneità a rendere testimonianza è concetto diverso e più ampio rispetto a quello della capacità di intendere e volere, implicando la prima non soltanto la capacità di determinarsi liberamente e coscientemente, ma anche quella di comprensione delle domande al fine di adeguarvi coerenti risposte, di sufficiente memoria in ordine ai fatti specifici oggetto della deposizione e di piena coscienza dell’impegno di riferire con verità e completezza i fatti, sicché l’obbligo di accertamento non deriva da qualsivoglia comportamento contraddittorio, inattendibile o immemore del teste, ma sussiste soltanto in presenza di una situazione di abnorme mancanza nel testimone di ogni consapevolezza in relazione all’ufficio ricoperto (Cass. II, n. 3161/2013).

Soprattutto nell’ambito dei reati in danno di minori o di persone vulnerabili, va distinto, a livello epistemologico, l’accertamento della verità processuale, di competenza esclusiva del magistrato, e l’accertamento della credibilità clinica, frutto di un’indagine psicologico-psichiatrica che il magistrato utilizza come strumento complementare per raggiungere i fini connessi ad un processo di ascrizione della responsabilità penale: in tal senso, “attendibilità” significa che la persona interrogata può offrire una versione dei fatti obiettiva, concreta, precisa, realistica, al punto tale che il magistrato può basarsi anche su questa «fonte di prova»; “anche”, perché attendibile non vuol dire veritiero. In tal senso, del resto, vale anche il contrario, in quanto non attendibile non necessariamente significa non veritiero.

Dunque, l’esito di una consulenza in materia psicologica non coincide né con la verità storica, né con la verità processuale: si tratta, infatti, di ‘verità clinica’, ovvero dell’insieme di dati anamnestici, clinici, strumentali e di sussidio diagnostico necessari per rispondere ai quesiti posti dal magistrato. Essi soli sono «oggetto e fondamento» della perizia psicologica e di quella psichiatrica (la prova clinica), ed essi soli possono essere utilizzati.

La giurisprudenza di legittimità distingue tra “attendibilità generica”, intesa come capacità di recepire le informazioni, raccordarle, ricordarle ed esprimerle, “credibilità”, intesa come modalità concreta di rielaborazione della vicenda, ed “attendibilità specifica”, relativa alle ‘rivelazioni’ del minore, che rientra nei compiti esclusivi del giudice (Cass. III, n. 8691/2017).

La valutazione del contenuto della dichiarazione del minore – parte offesa – in materia di reati sessuali, in considerazione delle complesse implicazioni che la materia stessa comporta, deve contenere un esame: dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo utile ed esatto; della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne. Proficuo è l’uso dell’indagine psicologica, che concerne due aspetti fondamentali: l’attitudine del bambino a testimoniare, sotto il profilo intellettivo ed affettivo, e la sua credibilità. Il primo consiste nell’accertamento della sua capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all’età, alle condizioni emozionali, che regolano le sue relazioni con il mondo esterno, alla qualità e natura dei rapporti familiari. Il secondo – da tenere distinto dall’attendibilità della prova, che rientra nei compiti esclusivi del giudice – è diretto ad esaminare il modo in cui la giovane vittima ha vissuto ed ha rielaborato la vicenda in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna. In ogni caso bisogna evitare ogni trauma ulteriore, non strettamente ed assolutamente indispensabile (Cass. III, n. 8962/1997).

Idoneità a testimoniare e relativi accertamenti

L'idoneità a rendere testimonianza implica la capacità di comprensione delle domande e di adeguamento delle risposte, in uno ad una sufficiente memoria circa i fatti oggetto di deposizione ed alla piena coscienza di riferirne con verità e completezza; ne consegue che non ogni comportamento contraddittorio, ma soltanto una situazione di abnorme mancanza nell'escutendo di ogni consapevolezza in relazione all'ufficio ricoperto determina l'obbligo per il giudice di disporre accertamenti sulla sua idoneità a testimoniare, né questi devono necessariamente avere natura tecnica, ben potendo essere effettuati da parte di soggetti “qualificati” (Cass. I, n. 6969/2018).

Sia al fine di accertare l'idoneità a rendere testimonianza che per valutare le dichiarazioni del testimone il giudice può disporre, anche d'ufficio, gli opportuni accertamenti che non sono solo quelli medici.

Gli accertamenti sull'idoneità a testimoniare possono essere non solo peritali, ma anche basati sull'ascolto di un teste qualificato (Cass. III, n. 11096/2013).

In caso di richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto l'esame testimoniale, il giudice per le indagini preliminari può disporre ex officio lo svolgimento di accertamenti peritali aventi ad oggetto la capacità a testimoniare del soggetto esaminando ai sensi dell'art. 196, c.p.p. (S.U. , n. 39746/2017. Nella specie l'esame testimoniale ha riguardato un minore vittima di violenza sessuale).

Il divieto di perizie sul carattere, sulla personalità e sulle qualità psichiche (indipendenti da cause patologiche) dell'imputato – posto dall'art. 220, comma 2, – non si estende anche alla persona offesa-teste, la cui deposizione – proprio perché essa può essere assunta da sola come fonte di prova – deve essere sottoposta ad una rigorosa indagine positiva sulla credibilità accompagnata da un controllo sulla credibilità soggettiva deve essere verificata anche ai sensi del comma secondo dell'art. 196 (capacità di testimoniare): la verifica della «idoneità mentale» è rivolta ad accertare se la persona offesa sia stata nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e del suo patrimonio e possa poi riferire in modo veritiero siffatti comportamenti. Ciò non significa che sia possibile demandare ad un perito la verifica dell'attendibilità del testimone, ma non esclude che il giudice possa ritenere utile un apporto di specifiche competenze tecnico-scientifiche: al giudicante spetta pur sempre l'ultima parola attraverso il vaglio critico delle nozioni acquisite alle quali non inerisce alcuna deterministica valenza ai fini decisionali (Cass. III, n. 794/1996).

Il divieto di perizie sul carattere, sulla personalità e sulle qualità psichiche (indipendenti da cause patologiche) dell'imputato posto dall'art. 220, comma secondo, c.p.p. non si estende anche alla persona offesa-teste, la cui deposizione, proprio perché essa può essere assunta da sola come fonte di prova, deve essere sottoposta a una rigorosa indagine positiva sulla credibilità anche soggettiva, che deve essere verificata pure sotto il profilo della capacità di testimoniare ai sensi del secondo comma dell'art. 196 stesso codice: la verifica della “idoneità mentale” è rivolta ad accertare se la persona offesa sia stata nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e del suo patrimonio e sia in grado poi di riferire in modo veritiero siffatti comportamenti (Cass. III, n. 37402/2006. La Corte ha rilevato che compete al giudice il vaglio critico sugli elementi acquisiti e la valutazione circa la opportunità e/o necessità di un accertamento peritale che, senza demandare al perito la verifica dell'attendibilità del testimone, apporti specifiche competenze tecnico-scientifiche).

In senso difforme si è pronunciata Cass. F, n. 32796/2011, secondo cui il divieto di perizia sul carattere e la personalità dell'imputato e in genere sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche deve ritenersi esteso alla persona offesa dal reato per identità di fondamento giustificativo, che è quello di evitare indagini somatiche in una valutazione che spetta soltanto al giudice (Cass. F, n. 32796/2011).

La capacità dell'imputato e del testimone di rendere dichiarazioni non può essere esclusa per la sola presenza nel dichiarante di patologie di carattere psichiatrico, essendo compito del giudice valutare, con particolare rigore, l'attendibilità di quanto affermato e le sue determinazioni, se espresse in modo logico e coerente, potranno essere censurate in sede di legittimità solo nei limiti del travisamento della prova (Cass. II, n. 43094/2013. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la valutazione positiva di attendibilità effettuata dal giudice di merito di un collaboratore di giustizia che, pur ritenuto in sede di perizia, affetto da sintomi di disturbo di personalità bordeline aveva dimostrato di essere lucido e ben orientato e di aver conservato un buon equilibrio psichico, lucidità e coerenza ideativa).

La capacità dell'imputato e del testimone di rendere dichiarazioni va valutata in concreto, non in astratto. Ne consegue che soltanto quando il giudice disponga di concreti elementi per stabilire che il dichiarante sia assolutamente incapace di rendere dichiarazioni, opera il divieto di assumerne le dichiarazioni; diversamente, in presenza di una patologia psichiatrica che non renda il dichiarante incapace, le sue dichiarazioni, se valutate con particolare rigore, possono essere ritenute attendibili ed utilizzate a fini probatori (Cass. II, n. 12195/2012. Fattispecie relativa a dichiarazioni rese da chiamante in reità o correità dedito all'assunzione di sostanze stupefacenti, ma affetto da sintomatologia ritenuta non tale da far dubitare delle sue facoltà mentali).

Le dichiarazioni rese dalla vittima di abuso sessuale affetta da ritardo mentale non sono di per sé inattendibili, ma obbligano il giudice non soltanto a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione ma anche a ricercare eventuali elementi esterni di supporto (Cass. III, n. 46377/2013).

In tema di valutazione della prova testimoniale, la vulnerabilità della persona offesa, nella misura in cui produce fratture non decisive della progressione dichiarativa, emergenti anche a seguito delle contestazioni, e si manifesta attraverso un contegno timoroso, non è un elemento che può, da solo, determinare una valutazione di inattendibilità, dovendo la credibilità dei contenuti essere valutata anche sulla base della comunicazione non verbale, della quale deve essere verificata la coerenza con le cause della vulnerabilità e, segnatamente, con la relazione che lega il dichiarante con l'accusato (Cass. II, n. 46100/2015. Nella specie, la S.C. ha reputato immune da censure la valutazione della Corte territoriale, secondo cui l'atteggiamento particolarmente agitato ed impaurito del testimone ne avvalorava l'attendibilità, in quanto pienamente coerente con il clima di intimidazione causato dal comportamento dell'imputato).

Valutazione dell'idoneità di minori ed incapaci

Secondo la giurisprudenza, in tema di esame testimoniale della persona minorenne, la scelta del metodo scientifico da utilizzare per valutare la capacità a testimoniare è riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivata (Cass. III, n. 44289/2019).

La valutazione giudiziale delle dichiarazioni accusatorie rese dai minorenni vittime di abusi sessuali, che richiede specifiche cognizioni tecniche mediante il ricorso al sapere scientifico esterno, non impone nella fase delle indagini preliminari alcun obbligo al pubblico ministero di affidare la c.d. consulenza personologica nelle forme dell'art. 360 ovvero di richiedere al giudice per le indagini preliminari l'incidente probatorio, essendo ammissibile il ricorso alla procedura non garantita prevista dall'art. 359 c.p.p., le cui risultanze sono utilizzabili nei riti speciali, ovvero nel giudizio ordinario su accordo tra le parti (Cass. III, n. 8541/2018).

In tema di dichiarazioni rese dal teste persona offesa di reati sessuali (nella specie, minorenne), la valutazione della sua attendibilità è compito esclusivo del giudice, che deve procedere direttamente all'analisi della condotta del dichiarante, della linearità del suo racconto e dell'esistenza di riscontri esterni allo stesso, non potendo limitarsi a richiamare il giudizio al riguardo espresso da periti e consulenti tecnici, cui non è delegabile tale verifica, ma solo l'accertamento dell'idoneità mentale del teste, diretta ad appurare se questi sia stato capace di rendersi conto dei comportamenti subiti, e se sia attualmente in grado di riferirne senza influenze dovute ad alterazioni psichiche (Cass. III, n. 189/2021).

In tema di dichiarazioni rese dal teste minore vittima di reati sessuali, mentre la verifica dell'idoneità mentale del teste, diretta ad accertare se questi sia stato nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in suo pregiudizio e sia in grado di riferire sugli stessi, senza che la sua testimonianza possa essere influenzata da eventuali alterazioni psichiche, è demandabile al perito, l'accertamento dell'attendibilità del teste, attraverso l'analisi della condotta dello stesso e dell'esistenza di riscontri esterni, deve formare oggetto del vaglio del giudice (Cass. III, n. 24264/2010).

La sola età adolescenziale del minore abusato non costituisce in re ipsa circostanza tale da escluderne la capacità a deporre in assenza di patologie incidenti su tale capacità (Cass. III, n. 27742/2008).

Con riferimento alle conseguenze del mancato espletamento di una perizia psicologica sono emersi orientamenti contrastanti.

Un primo orientamento afferma che, n tema di violenza sessuale nei confronti di minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare non determina l'inattendibilità della testimonianza della persona offesa, poiché tale accertamento non costituisce un presupposto indispensabile per la valutazione di attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità (Cass. III, n. 8541/2018; Cass. III, n. 25800/2016).

Un secondo orientamento sostiene che, in tema di reati sessuali su minori in tenera età, è illegittimo, per violazione del principio della formazione della prova in contraddittorio, il rifiuto del giudice di disporre una perizia psicologica in contraddittorio, al fine di accertare l'aderenza alla realtà o meno della narrazione dei fatti, in dipendenza di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell'età o della struttura personologica del minore (Cass. III, n. 26692/2011; Cass. III, n. 40851/2012).

Una tesi intermedia ritiene che, in tema di reati sessuali, sia illegittimo il rifiuto del giudice di disporre una perizia psicologica al fine di accertare l'attitudine della persona offesa a testimoniare o l'attendibilità delle sue dichiarazioni solo quando la condotta illecita offenda minori in tenera età e l'accertamento serva a valutare il rischio di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell'età o della struttura personologica del bambino (Cass. III, n. 948/2015. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il diniego di perizia psicologica su minore avente, all'epoca di apertura del procedimento, un'età di anni sedici).

Nella valutazione della genuinità della testimonianza di un minore è opportuno, ma non vincolante, adottare i criteri stabiliti nella c.d. “Carta di Noto” (documento che definisce le «linee guida per l'indagine e l'esame psicologico del minore, adottato in un apposito convegno tenutosi nel giugno del 1996 nella cittadina di Noto, aggiornata nel luglio del 2002 ed, infine, nel maggio 2011, considerato privo di efficacia precettiva, al pari delle Linee Guida Nazionali per l'ascolto del minore del 2010), ormai generalmente adottata ai fini di una corretta valutazione della testimonianza dei minori abusati. La violazione delle linee guida della Carta di Noto in tema di domande suggestive, infatti, non comporta la nullità dell'esame testimoniale perché, in sostanza, esse non hanno alcun valore normativo; d'altro canto, l'inutilizzabilità della testimonianza si verifica solo quando essa venga assunta in presenza di un divieto legislativo.

 In tema di esame testimoniale, non determina nullità o inutilizzabilità della prova l'inosservanza dei criteri dettati dalla cosiddetta “Carta di Noto” nella conduzione dell'esame dei minori, persone offese di reati di natura sessuale, che hanno carattere non tassativo, in quanto si limitano a fornire suggerimenti volti a garantire l'attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso (Cass. III, n. 15737/2019).

In tema di testimonianza del minore vittima di abusi sessuali, il giudice non è vincolato, nell'assunzione e valutazione della prova, al rispetto delle metodiche suggerite dalla cd. “Carta di Noto”, salvo che non siano già trasfuse in disposizioni del codice di rito con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza, di modo che la loro violazione non comporta l'inutilizzabilità della prova così assunta; tuttavia, il giudice è tenuto a motivare perché, secondo il suo libero ma non arbitrario convincimento, ritenga comunque attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tali metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale sul punto tanto più stringente quanto più grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle citate linee guida. (Sez. 3, Sentenza n. 648 del 11/10/2016 Ud. (dep. 09/01/2017) Rv. 268738 - 01).

In tema di testimonianza del minore vittima di violenza sessuale, i protocolli prescritti dalla cosiddetta Carta di Noto, lungi dall'avere valore normativo, si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l'attendibilità delle dichiarazioni e la protezione psicologica del minore, come illustrato nelle premesse della Carta medesima; sicché la loro inosservanza non determina né nullità né inutilizzabilità della prova (Cass. III, n. 45607/2013).

In tema di esame testimoniale, l'audizione del soggetto maggiorenne, sebbene di minore età al momento dei fatti, non richiede il rispetto delle linee guida prescritte dalla Carta di Noto, trattandosi di documento che detta regole essenziali applicabili solo all'ascolto del minore testimone (Cass. III, n. 23012/2020. In motivazione, la Corte ha specificato che i principi ivi contenuti sono inapplicabili al maggiorenne anche ove lo stesso sia persona offesa dai reati ad alto impatto traumatico indicati dall'art. 392, comma 1-bis, c.p.p.).

Sul ricorso a tali criteri, Cass. IV, n. 44644/2011 ha chiarito che l'incarico di esperto per lo svolgimento della funzione di sostegno in favore del minore vittima di abusi sessuali non è incompatibile con quello di esperto per una valutazione sullo stesso minore a fini giudiziari.

Non è precluso allo psicologo – psicoterapeuta, che abbia avuto in cura la minore persona offesa nel procedimento, essere nominato consulente tecnico della medesima persona offesa, esulando tale ipotesi dalle cause tassative di incompatibilità di cui all'art. 225, comma terzo, c.p.p. e non avendo valore cogente le raccomandazioni prescritte dalla Carta di Noto (Cass. III, n. 21939/2016).

Si è, da ultimo, ritenuto che la sottoposizione della vittima minorenne di abusi sessuali al c.d. test di Rorschach non costituisce prova decisiva la cui mancata assunzione integra vizio della decisione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), in quanto il predetto test rappresenta solo uno dei diversi metodi scientifici di indagine psicologica sulla personalità del minore adoperati per stimarne la maturità psichica e la capacità a testimoniare, il cui utilizzo è rimesso alla discrezionalità del perito (Cass. III, n. 48571/2016; Cass. III, n. 23202/2018: in quest'ultima decisione, la S.C. ha precisato che i test psicologici proiettivi non sono utilizzabili per la specifica valutazione in tema di abuso sessuale, non mettendo in luce significative differenze tra minori abusati e non, per la correlabilità degli elementi clinici a condizioni generali di stress o traumatiche).

Casistica

Le dichiarazioni rese dalla vittima di abuso sessuale affetta da ritardo mentale non sono di per sé inattendibili, ma obbligano il giudice non soltanto a verificarne analiticamente la coerenza, costanza e precisione ma anche a ricercare eventuali elementi esterni di supporto (Cass. III, n. 46377/2013; conforme, Cass. II, n. 21977/2017, in fattispecie riguardante le dichiarazioni rese da un soggetto affetto da rilevante deficit mentale, vittima del reato di circonvenzione d'incapace).

In tema di reati sessuali, le dichiarazioni accusatorie rese da minori vittime del reato di violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies, c.p.), soprattutto se assunte «de relato», impongono un esame giudiziale critico improntato a canoni di neutralità e rigore che richiede l'opportuno ausilio delle scienze rilevanti in materia (pedagogia, psicologia e sessuologia), in quanto la loro attendibilità può essere inficiata da suggestioni eteroindotte (Cass. III, n. 37147/2007. In applicazione di tale principio la Corte, adita in fase cautelare, ha dichiarato inammissibile il ricorso del pubblico ministero in un procedimento a carico di alcuni soggetti, tra cui alcuni insegnanti di un asilo, indagati per presunte violenze ed abusi sessuali in danno di diversi alunni).  

Bibliografia

Aceto Ascolto del minore nel processo penale, Torino, 2016; Aprile, La prova penale, Milano, 2002; Aprile - Silvestri, Strumenti per la formazione della prova penale, Milano, 2009; Ferrua, Studi sul processo penale II, Torino, 1992; Giostra, La testimonianza del minore: tutela del dichiarante e tutela della verità, in Riv. it. dir. proc. pen. 2005, 1019; Muscella, Un nuovo idolum theatri: la testimonianza del minore vittima di reati sessuali, in Arch. pen. on line 2019 n. 2; Recchione, Le indagini nei casi di sospetti abusi su minori. La prova dichiarativa debole e la fruibilità degli atti di indagine, in Cass. pen. 2009, 245; Scaparro, Bambini in tribunale, in Dir. proc. pen. 1995, 1334; Tonini, La prova penale, Padova, 1997; Valentini, Il caso di Rignano: ancora un episodio del rapporto tra scienza e processo, in Cass. pen. 2008, 3343.

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