Codice di Procedura Penale art. 197 bis - Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone 123.

Piercamillo Davigo
Giuseppe Riccardi

Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone 123.

1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444.

2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c).

3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio (2).

4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.

5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette.

6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all'articolo 192, comma 3 (3).

 

 

[1] Articolo inserito dall'art. 6 l. 1° marzo 2001, n. 63.

[2] La Corte cost., con sentenza 21 novembre 2006, n. 381 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 3 e 6 del presente articolo «nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis c.p.p. nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione "per non aver commesso il fatto" divenuta irrevocabile».   Successivamente, la Corte cost., con sentenza 26 gennaio 2017, n. 21, ha dichiarato,  in applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità  costituzionale del presente comma nella parte in cui prevede l’assistenza di un difensore anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile.

[3] La Corte cost., con sentenza 21 novembre 2006, n. 381 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dei commi 3 e 6 del presente articolo «nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l'assistenza di un difensore e l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del medesimo art. 197-bis c.p.p. nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione "per non aver commesso il fatto" divenuta irrevocabile».  Successivamente la Corte cost., con sentenza 26 gennaio 2017, n. 21 (in Gazz.Uff. 1° febbraio 2017, n 5),  ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui prevede l’applicazione della disposizione di cui all’art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 del presente articolo, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile.

Inquadramento

La modifica dell'art. 111 Cost., con l'impossibilità di utilizzare dichiarazioni rese da chi si fosse successivamente sottratto al controesame da parte della difesa, e la disciplina introdotta con la l. n. 63 del 2001, hanno comportato una riduzione dell'area del diritto al silenzio: in tale quadro, l'introduzione dell'art. 197-bis, che prevede ipotesi di testimonianza per coloro che rivestono o abbiano rivestito la qualità di imputati o di persone sottoposte ad indagini, è funzionale a tutelare sia il dichiarante che “diventa” testimone, mediante la previsione dell'obbligo di assistenza di un difensore, del privilegio contro l'autoincriminazione e del divieto di utilizzazione delle dichiarazioni contra se, sia l'accusato, il soggetto nei confronti del quale le dichiarazioni vengono rese, mediante la previsione della regola della c.d. corroboration, di cui al 6° comma.

Questioni di legittimità costituzionale

È stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 197-bis, comma 4, nella parte in cui non prevede che il soggetto nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di applicazione della pena – e che, nel relativo procedimento, abbia negato la propria responsabilità ovvero non abbia reso alcuna dichiarazione – non possa essere obbligato a deporre, quale testimone, sui fatti oggetto della sentenza medesima, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, comma 2, Cost. per asserita violazione del principio di ragionevolezza derivante dal differente trattamento, sancito dalla disciplina censurata, rispetto a colui che abbia subito una sentenza di condanna, nonostante le situazioni sarebbero «assolutamente analoghe ed assimilabili», nonché per violazione del diritto di difesa, poiché, persistendo l'obbligo della testimonianza per il soggetto che abbia «patteggiato», egli risulterebbe esposto al rischio di un procedimento per falsa testimonianza, ancorché sia applicabile l'esimente di cui all'art. 384 c.p. Risulta dirimente il rilievo che, proprio a fronte delle caratteristiche che connotano il modello di patteggiamento, la posizione di coloro che decidono di accedere ad esso diverge rispetto al modulo processuale dell'accertamento «ordinario», specificamente in relazione alle caratteristiche dei dichiaranti; sicché la scelta operata dal legislatore di garantire, in relazione al successivo obbligo testimoniale, maggior cautela per l'imputato condannato a seguito di giudizio, rispetto a quello che abbia scelto di definire la propria posizione processuale mediante il «patteggiamento», risulta non irragionevole alla stregua delle differenti caratteristiche strutturali dei due riti. Inoltre il diritto di difesa del soggetto già destinatario di una sentenza di applicazione della pena e chiamato poi a deporre sui fatti oggetto della sentenza medesima e adeguatamente salvaguardato: sia dalle garanzie connaturate alle modalità di audizione di quel soggetto come «testimone assistito», sia dal complesso di garanzie – di diretta derivazione dal precetto costituzionale – che risultano attuate in altre norme del sistema, quali quelle del comma 5 del medesimo art. 197-bis e del comma 2 dell'art. 198, o dell'art. 384 c.p. (Corte cost. n. 456/2007).

È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dell'art. 197-bis, comma 6, nella parte in cui prevede che alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, si applica la disposizione di cui all'art. 192, comma 3, in forza della quale dette dichiarazioni sono valutate «unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità». Non è, infatti, ravvisabile una equivalenza tra il «testimone assistito» rispetto al teste ordinario, essendo, il primo, una figura significativamente differenziata sul piano del trattamento normativo, per cui l'assoggettamento delle dichiarazioni del «teste assistito» alla regola della necessaria «corroborazione» con riscontri esterni, di cui all'art. 192, comma 3, si risolve in un esercizio della discrezionalità che compete al legislatore nella conformazione degli istituti processuali (Corte cost. n. 265/2004).

È stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 197-bis, comma 2, sollevata in riferimento agli artt. 3,24,27,101,111 e 112 Cost., nella parte in cui non prevede che il coimputato nel medesimo reato o l'imputato di un reato connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lett. a), «possa essere sentito come testimone nel caso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c)» del medesimo codice. Ed infatti, come già affermato nell'ordinanza n. 485 del 2002, la disciplina oggetto di impugnativa appare frutto di scelte discrezionali, non irragionevolmente esercitate, con cui il legislatore ha individuato – in ossequio al principio nemo tenetur se detegere – situazioni nelle quali il diritto al silenzio, inteso nella sua dimensione di «corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa», va garantito malgrado dal suo esercizio possa conseguire l'impossibilità di formazione della prova testimoniale (Corte cost. n. 202/2004).

È stato ritenuto costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost., l'art. 197-bis, commi 3 e 6, nella parte in cui prevede l'assistenza di un difensore e l'applicazione della regola di valutazione della prova di cui all'art. 192, comma 3, anche per le persone, indicate nel comma 1 dello stesso art. 197-bis, nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza definitiva di assoluzione «per non aver commesso il fatto ». L'assoggettamento delle dichiarazioni del coimputato, o dell'imputato in procedimento connesso o di reato collegato, già assolto «per non aver commesso il fatto», alla necessità di corroboration con riscontri esterni comporta una compromissione del valore probatorio delle relative dichiarazioni testimoniali priva di razionale giustificazione, poiché la sentenza irrevocabile di assoluzione con detta formula attesta incontrovertibilmente la estraneità del soggetto alla regiudicanda ed elide ogni possibile relazione con la vicenda processuale nel cui ambito è resa la testimonianza. L'aprioristica valutazione negativa del contributo probatorio offerto da un soggetto ormai immune da ogni interesse all'esito del giudizio appare irragionevole ed in contrasto con il principio di eguaglianza, sia per l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto alle dichiarazioni rese dal teste ordinario – e ciò nonostante le tipologie di dichiaranti in comparazione risultino omogenee – sia per l'ingiustificata parificazione ai soggetti dichiaranti ex art. 210, che costituiscono tipologia distinta e non assimilabile (Corte cost. n. 381/2006).

Di recente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 21 del 2017, ritenendo estensibile la ratio della sentenza 381/2006 al caso di assoluzione irrevocabile perché il fatto non sussiste, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – per violazione dell'art. 3 Cost. – l'art. 197-bis, comma 6, c.p.p., nella parte in cui prevede l'applicazione della disposizione di cui all'art. 192, comma 3, del medesimo codice di rito anche per le dichiarazioni rese dalle persone, indicate al comma 1 dell'art. 197-bis c.p.p., nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” divenuta irrevocabile. La disposizione – che limita il valore probatorio delle dichiarazioni rese, come testimoni assistiti, da persone imputate in procedimento connesso o per reato collegato – è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 381 del 2006 limitatamente al caso del dichiarante assolto “per non aver commesso il fatto”, ma risulta parimenti priva di razionale giustificazione e lesiva del principio di eguaglianza anche nel caso di assoluzione “perché il fatto non sussiste”, che costituisce una formula liberatoria nel merito di uguale ampiezza. In entrambi i casi, l'efficacia di un giudicato di assoluzione – che pure esclude, per il dichiarante, qualsiasi responsabilità rispetto ai fatti oggetto del giudizio – risulta sostanzialmente svilita dalla presunzione di minore attendibilità delle sue dichiarazioni, scaturente dall'applicazione ad esse della regola legale di valutazione enunciata nell'art. 192, comma 3, c.p.p. Detta presunzione risulta, inoltre, irragionevolmente discordante rispetto alle regulae iuris che presiedono alla valutazione giudiziale delle dichiarazioni rese dal teste ordinario, nonostante la comune condizione di assoluta indifferenza rispetto alla vicenda oggetto di giudizio, che connota le tipologie di dichiaranti in comparazione. A una ulteriore ingiustificata disparità di trattamento ha dato luogo la citata sentenza n. 381 del 2006, differenziando il regime e il valore probatorio delle dichiarazioni dell'imputato in un procedimento connesso o di un reato collegato, a seconda che l'assoluzione sia stata pronunciata per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste.

L’imputato definito con sentenza irrevocabile (di proscioglimento, condanna o patteggiamento)

In dottrina si distinguono due categorie soggettive di testimone assistito. La prima categoria, disciplinata dal comma 1, comprende tutti gli imputati in procedimento connesso o collegato, che possono essere “sempre” sentiti come testimoni assistiti quando nei loro confronti sia stata già pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena: a tali testimoni assistiti è riconosciuto il “privilegio contro l'autoincriminazione”, in quanto non possono essere obbligati a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei loro confronti, se avevano negato la propria responsabilità o non avevano reso alcuna dichiarazione. (Tonini-Conti, 256 ss.).

La seconda categoria, disciplinata dal comma 2, include gli imputati in procedimento connesso o collegato che possono essere sentiti come testimoni assistiti anche prima di una sentenza irrevocabile, limitatamente ai fatti concernenti la responsabilità di altri, sui quali rendano o abbiano reso dichiarazioni previo avvertimento ex art. 64, comma 3, lett. c) (Tonini-Conti, 256 ss.).

L'imputato di procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma secondo, lettera b), c.p.p. può assumere automaticamente e legittimamente l'ufficio di testimone, ai sensi dell'art. 197 bis, comma primo, dello stesso codice, qualora, nei suoi confronti, sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di pena patteggiata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. Tale automatismo fa sì che, non sussistendo questione in ordine all'individuazione del momento in cui deve ritenersi assunta la qualità di testimone, le dichiarazioni rese in dibattimento nei confronti di terzi, con le forme previste dallo stesso art. 197 bis, comma terzo, sono utilizzabili anche se non siano state precedute dall'avvertimento di cui all'art. 64, comma terzo, lett. c) c.p.p. (Cass. VI, n. 24612/2003).

L'imputato in un procedimento connesso o collegato ha piena capacità di testimoniare, qualora nei suoi confronti sia stata nel frattempo pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena, anche se in precedenza ha reso dichiarazioni senza aver prima ricevuto gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 2, lett. c) (Cass. IV, n. 10346/2009).

In particolare, l'imputato in procedimento connesso a norma dell'art. 12, lett. c), o di un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, può essere esaminato in qualità di testimone assistito ex art. 197-bis senza che sia necessario procedere agli avvisi previsti dall'art. 64 se la sua posizione è stata definita con decisione divenuta irrevocabile (nella specie, sentenza di patteggiamento) ed egli ha già reso in precedenza dichiarazioni sulla responsabilità di altri (Cass. VI, n. 17133/2013).

L'imputato in un procedimento connesso o collegato ha piena capacità di testimoniare, qualora nei suoi confronti sia stata nel frattempo pronunciata sentenza irrevocabile di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., anche se in precedenza abbia reso dichiarazioni senza aver prima ricevuto gli avvertimenti di cui all'art. 64, comma secondo, lett. c), c.p.p. (Cass. IV, n. 35585/2017).

Non può essere sentito quale testimone, ai sensi dell'art. 197-bis, l'imputato in procedimento connesso o collegato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza non impugnabile di non luogo a procedere, salvo il caso in cui la revoca non possa essere più utilmente disposta, posto che detta sentenza non è equiparabile a quella irrevocabile di proscioglimento, sicché il perdurante rischio di incriminazione a carico del dichiarante giustifica il riconoscimento della facoltà di non rispondere, ai sensi art. 210 (Cass. VI, n. 53436/2016).

È configurabile il delitto di falsa testimonianza nei confronti di colui che, condannato in via definitiva in separato procedimento prima dell'entrata in vigore della l. n. 63/2001 ed autore nel corso delle indagini preliminari di propalazioni eteroaccusatorie nei confronti dei coimputati nello stesso reato, renda dichiarazioni mendaci nel processo a carico di questi ultimi, dove era stato citato a testimoniare ai sensi dell'art. 197- bis, comma 1 (Cass. VI, n. 19342/2010).

L’imputato ‘connesso’ che sia stato avvisato ex art. 64, comma 3, lettera c )

La seconda categoria, disciplinata dal comma 2, include gli imputati in procedimento connesso o collegato che possono essere sentiti come testimoni assistiti anche prima di una sentenza irrevocabile, limitatamente ai fatti concernenti la responsabilità di altri, sui quali rendano o abbiano reso dichiarazioni previo avvertimento ex art. 64, comma 3, lett. c) (Tonini-Conti, 256 ss.).

Le avvertenze che l'art. 64, comma 3, prescrive siano eseguite prima dell'inizio dell'interrogatorio nei confronti della persona che deve renderlo possono essere validamente date in qualunque forma, anche sintetica, purché sufficientemente chiara, non essendo prescritta dalla legge alcuna formula sacramentale (Cass. I, n. 41160/2002. Nella specie, in cui risultavano difformità tra il testo del verbale stenotipico e quello del verbale riassuntivo redatto manualmente, la Corte, pur escludendo una attendibilità prevalente del primo sul secondo, ha ritenuto soddisfatta la prescrizione della norma citata con la preventiva assicurazione fornita dal P.M. all'interrogato che egli avrebbe avuto le «garanzie» e che sarebbero valse nei suoi confronti le incompatibilità degli artt. 197 e 197-bis).

Il soggetto che riveste la qualità di imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. c), o collegato probatoriamente, anche se persona offesa dal reato, deve essere assunto nel procedimento relativo al reato connesso o collegato con le forme previste per la testimonianza cosiddetta «assistita» (Cass. S.U. , 12067/2010).

Le Sezioni Unite ‘De Simone', nell'estendere l'ambito di applicazione dell'art. 210 all'indagato, ne hanno escluso l'operatività con riferimento al c.d. ‘indagato archiviato', che assume dunque la veste di testimone, non quella del testimone assistito. Analoga veste di testimone assume, dopo le sentenze della Corte Costituzionale (richiamate supra), l'imputato assolto irrevocabilmente perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto.

Non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona già indagata in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. c), o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione (Cass. S.U. , 12067/2010. La Corte ha osservato che la disciplina limitativa della capacità di testimoniare prevista dagli artt. 197, comma 1, lett. a) e b), 197 bis, e 210 si applica solo all'imputato, al quale è equiparata la persona indagata nonché il soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto, nel qual caso non trovano applicazione i commi terzo e sesto dell'art. 197 bis).

Di recente, Cass. VI, n. 34562/2021, in applicazione del principio, ha ritenuto non necessaria l'acquisizione di elementi di riscontro ai sensi dell'art. 192, comma 3, c.p.p. che suffragassero le dichiarazioni testimoniali di un coindagato nei cui confronti era stata disposta l'archiviazione, in applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 323-ter c.p..

Le dichiarazioni rese da persona indagata sono validamente assunte senza il rispetto delle garanzie difensive quando riguardano fatti di reato attinenti a terzi, in relazione ai quali non sussiste alcuna connessione o collegamento probatorio con quelli ad essa addebitati, assumendo la medesima, con riguardo a dette vicende, la veste di testimone e, prima del giudizio, di persona informata dei fatti (Cass. VI, n. 41118/2013. Fattispecie in cui il dichiarante, detenuto in custodia cautelare per reati contro il patrimonio, era stato escusso, come persona informata sui fatti, sull'identificazione dei soggetti i cui numeri erano stati scoperti nella memoria del suo cellulare e aveva indicato uno di essi come la persona da cui acquistava stupefacenti per uso personale).

La l. n. 63/2001, di attuazione dei principi del giusto processo, nel modificare le disposizioni relative all'esame degli imputati in un procedimento connesso, non ha implicitamente abrogato la disciplina delle speciali ipotesi di incidente probatorio prevista dall'art. 392, comma primo, lett. c) e d), (Cass. VI, n. 28102/2010).

Sono inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona offesa, nei cui confronti penda procedimento per un reato commesso nelle stesse circostanze di tempo e di luogo ai danni dell'imputato, che sia stata sentita quale testimone senza l'osservanza delle garanzie riconosciute dagli artt. 197-bis, 210 e 64, comma 3, lett. c), (Cass. V, n. 29227/2014. In motivazione, la S.C. ha precisato che la rilevata inutilizzabilità non preclude la riassunzione della stessa prova dichiarativa, con l'osservanza delle predette garanzie, dinanzi allo stesso giudice o in sede di appello).

Sono utilizzabili le dichiarazioni rese – in qualità di testimone assistito, ex art. 197-bis, comma 2 – in sede di esame dibattimentale, dall'imputato di reato connesso o interprobatoriamente collegato, ancorché non precedute dall'avviso, ex art. 64, comma 3; in tal caso, infatti, detto avviso, non è dovuto e, comunque, anche ove ritenuto necessario, la sua omissione non determina l'inutilizzabilità delle predette dichiarazioni, trattandosi di sanzione prevista dall'art. 64, comma 3 bis, richiamato nell'art. 197-bis (Cass. V, n. 51241/2014).

In caso di esame dibattimentale in qualità di testimone assistito, ex art. 197-bis, comma 2, di imputato di reato «reciproco» la mancanza dell'avviso previsto dall'art. 64, comma 3, non rende le dichiarazioni inutilizzabili (Cass. V, n. 51241/2014).

L'assistenza del difensore

Il testimone esaminato in ordine a reati per i quali abbia già riportato condanna va sentito ai sensi dell'art. 197-bis, comma 1, ma senza ricevere gli avvisi previsti dall'art. 64; ne consegue che l'eventuale difetto di assistenza difensiva non produce l'inutilizzabilità delle sue dichiarazioni, ma costituisce unicamente un vizio della procedura acquisitiva che va immediatamente eccepito (Cass. I, n. 267/2012).

È configurabile il delitto di falsa testimonianza nei riguardi di chi, imputato in procedimento connesso o collegato ed avendo ricevuto gli avvisi di cui all'art. 64, comma 3, c.p.p., abbia deposto, sui fatti concernenti la responsabilità altrui, senza assistenza del difensore, essendo tale soggetto comunque tenuto a rispondere secondo verità (Cass. VI, n. 9760/2020. In motivazione, la Corte ha precisato che l'omessa assistenza difensiva prevista dall'art. 197-bis, comma 2, c.p.p. non consente il riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 384, comma 2, c.p.; Cass. VI, n. 10235/2007).

In tema di prova dichiarativa, il mancato avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p. all'imputato di reato probatoriamente collegato costituito parte civile, che renda testimonianza con l'assistenza del difensore nominato per l'esercizio dell'azione civile, non determina l'inutilizzabilità delle relative dichiarazioni, in quanto la scelta del medesimo di deporre contro l'imputato è implicita nell'atto costitutivo e nella presenza in dibattimento per rendere testimonianza (Cass. I, n. 40705/2018).

In tema di testimonianza assistita, il mancato invito a rendere la dichiarazione di rito prevista dall'art. 497, comma 2, c.p.p. configura una nullità relativa, che può essere immediatamente eccepita anche dal difensore del teste, in quanto la previsione dell'art. 182, comma 2, c.p.p. fa riferimento non alla parte processuale, ma alla parte di un atto, qual è il teste assistito nel corso della sua escussione (Cass. VI, n. 41260/2019).

La necessità di riscontri

La dichiarazione liberatoria di un coimputato, o comunque di un soggetto che va esaminato ai sensi dell'art. 197-bis deve essere valutata “unitamente agli altri elementi che ne confermano l'attendibilità” (art. 192, comma 3); le dichiarazioni del teste assistito necessitano, quindi, per essere utilizzate come prova, di riscontri esterni autonomi , che non possono, quindi, consistere in elementi di prova provenienti dallo stesso dichiarante (Cass. II, n. 4150/2015; Cass. V, n. 14991/2012: nella specie, la Corte ha ritenuto non potessero essere considerati riscontri autonomi quelli provenienti da dichiarazioni del medesimo teste assistito, contenute in intercettazioni telefoniche, il cui significato, in uno all'identità dei chiamanti, era stato spiegato dallo stesso propalante).

In tema di dichiarazioni del teste assistito, l'obbligo di dire la verità gravante sullo stesso accresce il grado di affidabilità della fonte e può essere valorizzato dal giudice nella valutazione dei riscontri esterni, consentendo di ritenere sufficienti riscontri di peso comparativamente minore rispetto a quelli richiesti nel caso di valutazione delle dichiarazioni rese dall'imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p. (Cass. I, n. 29624/2022; Cass. VI, n. 13844/2017).

Allorché il teste assistito renda dichiarazioni accusatorie relative ad una pluralità di fatti-reato commessi anche dallo stesso soggetto e ripetuti nel tempo, l'elemento di riscontro esterno per alcuni di essi fornisce sul piano logico la necessaria integrazione probatoria della chiamata anche in ordine agli altri, purché sussistano ragioni idonee a suffragare tale giudizio e ad imporre una valutazione unitaria delle dichiarazioni, quali l'identica natura dei fatti in questione, l'identità dei protagonisti, o di alcuni di essi, e l'inserirsi dei fatti in un rapporto intersoggettivo unitario e continuativo (Cass. VI, n. 13844/2017).

La posizione della persona imputata in un procedimento connesso o collegato, che sia stata assolta con sentenza irrevocabile per non aver commesso il fatto, è assimilata a quella di testimone, con conseguente inapplicabilità delle speciali regole di valutazione della prova di cui all'art. 192, comma 3 (Cass. II, n. 21599/2009).

Obbligo di rinnovazione dibattimentale

La necessità per il giudice dell'appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante e vale anche per il testimone c.d. assistito (Cass. S.U., n. 27620/2016).

Casistica

Non è configurabile il reato di falsa testimonianza nel caso in cui il soggetto già imputato in procedimento connesso o collegato definito con sentenza irrevocabile, sia esaminato su fatti sui quali non può essere obbligato a deporre, ai sensi del comma quarto dell'art. 197-bis (Cass. VI, n. 5911/2012. Nella specie, è stato ritenuta insussistente la falsa testimonianza su fatti che concernevano la propria responsabilità da parte di soggetto che, condannato in via definitiva per reato connesso, nel procedimento a lui relativo aveva negato gli addebiti).

Sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di concussione che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto l'incompatibilità non sussiste nel caso in cui i reati reciprocamente commessi si collochino in contesti spaziali e temporali diversi (Cass. VI, n. 6938/2019).

Deve ritenersi ammissibile la testimonianza, ai sensi dell'art. 197-bis, dell'imputato di corruzione attiva in un procedimento connesso, qualora nei suoi confronti sia stata pronunciata sentenza non impugnabile di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione (Cass. VI, n. 31945/2007. In motivazione, la Corte di cassazione ha altresì precisato che la testimonianza ai sensi della norma citata sarebbe ammissibile nel caso di dichiarazioni rese da imputato di corruzione passiva, in relazione alle quali potrebbe prospettarsi l'eventualità della revoca della sentenza ex art. 425 per corruzione al fine di procedere nei confronti del dichiarante per concussione).

Si è affermato che il venditore della sostanza stupefacente non può essere sentito in qualità di testimone assistito, ma solo in qualità di imputato di reato connesso, nel dibattimento a carico dell'acquirente della stessa sostanza, atteso che egli è concorrente necessario nel reato contestato a quest'ultimo (Cass. VI, n. 12610/2010).

In senso contrario, altra più recente decisione (Cass. II, n. 7802/2020), premesso che l'art. 210 c.p.p. disciplina l'esame delle persone che non possono assumere l'ufficio di testimone, mentre l'art. 197-bis, comma 2, c.p.p., stabilisce, diversamente, che può assumere l'ufficio di testimone l'imputato in procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p., o di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p. nel caso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p., ha rilevato che, nel caso specificamente esaminato ricorreva quest'ultimo presupposto (poiché il dichiarante minorenne era imputato di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p., mentre l'imputato era stato chiamato a rispondere non soltanto di concorso in cessione di sostanze stupefacenti al minorenne, ma anche di estorsione in danno del predetto, finalizzata ad ottenere il pagamento del prezzo della predetta cessione; ricorreva, altresì, il caso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p.).

Pertanto, tra il venditore, o cedente, della sostanza stupefacente e l'acquirente che intenda effettuare successive vendite o cessioni illecite non ricorre un'ipotesi di concorso di persone ex art. 110 c.p., atteso che i soggetti contraenti pongono in essere ciascuno una delle diverse ed autonome condotte monosoggettive previste dall'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che, ove si proceda nei confronti dei predetti separatamente, l'acquirente, ricorrendone i presupposti, può essere esaminato ai sensi dell'art. 197-bis, comma 2, c.p.p. (Cass. II, n. 7802/2020).  

Bibliografia

Andreazza, Profili problematici di applicazione dell'art. 197-bis c.p.p., in Dir. pen. e proc. 2003, fasc. 2; Andreazza, La valutazione delle dichiarazioni rese dal testimone assistito e l'esigenza di gradazione dei riscontri richiesti dall'art. 192, comma 3, c.p.p., in Giur. merito 2008, 2607; Cascini, Contraddittorio e limiti del diritto al silenzio. Prime note a margine della legge 1° marzo 2001, n. 63, in Quest.giust. 2001, 307; Conti, La Consulta valuta la testimonianza assistita: un istituto coerente con l'intento del legislatore, in Dir. pen. e proc. 2002, 1215; Conti, L'imputato nel procedimento connesso. Diritto al silenzio e obbligo di verità, Padova, 2003; Conti, Imputato assolto per non aver commesso il fatto: deve essere equiparato al testimone comune, in Dir. pen. e proc. 2007, 316; Conti, Assolto irrevocabile per insussistenza del fatto: la Consulta elimina difensore e “corroboration” ma la testimonianza resta coatta, in Dir. pen. e proc. 2017, 465; Di Bitonto, La Corte costituzionale riapre il dibattito sulla testimonianza assistita, in Cass. pen. 2007, 491; Di Bitonto, Le dichiarazioni dell'imputato, in Giur. it. 2017, 2001; Illuminati, L'imputato che diventa testimone, in Indice pen. 2002, fasc. 2; Ruggiero, Cronaca di una incostituzionalità annunciata (nota a Corte Cost., sent. 26 gennaio 2017, n. 21), in Dir. pen. contemp. 13 febbraio 2017; Tonini-Conti, Il diritto delle prove penali, Milano, 2012.

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