Codice di Procedura Penale art. 202 - Segreto di Stato (1).

Piercamillo Davigo
Giuseppe Riccardi

Segreto di Stato (1).

1. I pubblici ufficiali [357 c.p.], i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio [358 c.p.] hanno l'obbligo [261 c.p.] di astenersi dal deporre [204] su fatti coperti dal segreto di Stato (2).

2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, l'autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, ai fini dell'eventuale conferma, sospendendo ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto.

3. Qualora il segreto sia confermato e per la definizione del processo risulti essenziale la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato, il giudice dichiara non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato [129].

4. Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta il Presidente del Consiglio dei Ministri non dà conferma del segreto, l'autorità giudiziaria acquisisce la notizia e provvede per l'ulteriore corso del procedimento.

5. L'opposizione del segreto di Stato, confermata con atto motivato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, inibisce all'autorità giudiziaria l'acquisizione e l'utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto.

6. Non è, in ogni caso, precluso all'autorità giudiziaria di procedere in base a elementi autonomi e indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto.

7. Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell'insussistenza del segreto di Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del segreto di Stato, l'autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il segreto di Stato.

8. In nessun caso il segreto di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 40 1 l. 3 agosto 2007, n. 124, con effetto a decorrere dal 12 ottobre 2007. Il testo dell'articolo era il seguente: «1. I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio hanno l'obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di Stato. 2. Se il testimone oppone un segreto di Stato, il giudice informa il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che ne sia data conferma. 3. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per la esistenza di un segreto di Stato. 4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei ministri non dia conferma del segreto, il giudice ordina che il testimone deponga». Per la disciplina del segreto di Stato v. artt. 39-42 l. n. 124, cit.

(2) V. sub art. 201.

Inquadramento

Una forma particolare di segreto d'ufficio è quello che concerne il segreto di Stato, la cui disciplina è stata largamente innovata nel 2007 nel quadro di un'ampia riforma dei servizi segreti (l. n. 124/2007), nell'ambito di un bilanciamento con i valori della “difesa della Patria” (art. 52 Cost.) e della sicurezza, esterna ed interna, nazionale. La nozione di segreto di Stato è definita dall'art. 39, comma 1, l. n. 124 del 2007.

I pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di pubblico servizio sono obbligati ad astenersi dal deporre su fatti coperti da segreto di Stato. L'art. 41 della l. n. 124 del 2007 ha esteso l'obbligo di astenersi dal deporre ad ogni tipo di dichiarante, quindi anche all'imputato o indagato, oltre che al testimone.

La questione dell'opponibilità del segreto non si esaurisce nel rapporto tra giudice e funzionario, dovendo essere coinvolta la più alta autorità di governo: infatti, quando tale segreto sia opposto, il giudice deve procedere al c.d. interpello, informando il Presidente del Consiglio dei Ministri, che può confermare o meno l'esistenza del segreto. Se entro trenta giorni dalla notificazione della richiesta non dà conferma, il giudice deve disporre che il testimone deponga, acquisendo la notizia.

Se il segreto di Stato, confermato con atto motivato del Presidente del Consiglio, riguarda una prova essenziale per la definizione del processo, è inibita l'acquisizione e l'utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto, e il giudice deve dichiarare non doversi procedere per segreto di Stato.

Ai sensi della l. 5 giugno 1989, n. 219 non è opponibile il segreto di Stato (e quello di ufficio) nei procedimenti per i reati di cui all'art. 90 Cost.

La Corte costituzionale ha ritenuto che il segreto di Stato possa coprire anche notizie già pubbliche, sull'assunto che ogni ulteriore divulgazione lede comunque il bene protetto dalla norma.

Questioni di legittimità costituzionale

Nella prima decisione adottata dalla Corte Costituzionale, nell'ambito del conflitto di attribuzioni sollevato con riferimento alla vicenda c.d. Abu Omar – che aveva condotto alla incriminazione per sequestro di persona di funzionari dei servizi segreti che avevano collaborato nelle c.d. extraordinary rendition degli apparati di sicurezza statunitensi –, è stata affermata la perdurante attualità dei principi tradizionalmente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di segreto di Stato, pur a seguito della introduzione delle nuove disposizioni di cui alla l. 3 agosto 2007, n. 124. La disciplina del segreto involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, cioè l'interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale e alla propria indipendenza, interesse che trova espressione nell'art. 52 Cost. in relazione agli artt. 1 e 5 Cost. Il segreto in oggetto pone necessariamente un problema di interferenza con altri principi costituzionali, inclusi quelli che reggono la funzione giurisdizionale: in quest'ambito, l'apposizione del segreto da parte del Presidente del Consiglio dei ministri non può impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato, ma può inibire all'autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto. In materia, il Presidente del Consiglio gode di un ampio potere discrezionale, sul cui esercizio è escluso qualsiasi sindacato giurisdizionale, poiché il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica (Corte cost. n. 106/2009. – I precedenti interventi della Corte cost. in tema di segreto, citati, sono Corte cost. n. 410/1998, Corte cost. n. 110/1998, Corte cost. n. 86/1977 e Corte cost. n. 82/1976).

Con una successiva pronuncia la Corte Costituzionale ha specificato che “l'apposizione del segreto di Stato e la determinazione del reale ambito dei fatti e delle notizie coperte dal summenzionato segreto [...] spettano in via esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri”, il cui potere “è connotato da ampia discrezionalità”; “sono, pertanto, esclusi sia l'acquisizione e l'utilizzazione da parte dell'autorità giudiziaria di elementi di conoscenza coperti dal segreto di Stato sia il sindacato dei giudici comuni sull'apposizione del segreto, in quanto il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica”. Pertanto, nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte d'Appello di Milano, quale giudice di rinvio – in relazione all'ordinanza del 28 gennaio 2013 con la quale era stata ammessa la produzione, da parte della Procura Generale della Repubblica presso la medesima Corte, dei verbali relativi agli interrogatori resi nel corso delle indagini da alcuni imputati – la Corte costituzionale ha affermato che non spettava alla Corte d'Appello l'acquisizione di interrogatori resi dagli imputati in relazione a fatti in ordine ai quali è riscontrabile la sussistenza del segreto di Stato. Quest'ultimo può essere apposto esclusivamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e ss. e 41 l. n. 124/2007, in quanto afferente alla tutela della salus rei publicae e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro, perché riguardante l'esistenza stessa dello Stato. Quanto affermato non può impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato, ma può inibire all'autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto. Anche qualora la fonte di prova segretata risultasse essenziale e mancassero altre fonti di prova – con la conseguente applicabilità delle disposizioni che impongono la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato a norma degli artt. 202, comma 3, e 41, comma 3, Cost. – non sarebbe ravvisabile alcuna antinomia con i concorrenti principi costituzionali, in considerazione della preminenza dell'interesse alla sicurezza nazionale alla cui salvaguardia il segreto di Stato è preordinato (Corte cost. n. 24/2014).

Ambito e caratteristiche del segreto di Stato

Sempre nell'ambito della vicenda c.d. Abu Omar, la giurisprudenza di legittimità aveva dapprima affermato che l'apposizione del segreto di Stato che interviene successivamente alla legittima acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria delle notizie cui lo stesso si riferisce, non ne determina l'inutilizzabilità ai fini del giudizio (Cass. V, n. 46340/2012); in applicazione di tale principio aveva annullato con rinvio la decisione di non doversi procedere.

È stato però successivamente affermato (all'esito di conflitto di attribuzione risolto da Corte cost. n. 24/2014) che può essere ritualmente apposto il segreto di Stato, con decisione discrezionale del Presidente del Consiglio dei Ministri, anche agli ordini e alle direttive che, impartiti dal Direttore del servizio di sicurezza agli appartenenti alla struttura, siano in qualche modo collegati a fatti di reato, in applicazione di quanto disposto con sentenza della Corte cost. n. 24/2014 (Cass. I, n. 20447/2014): il principio è stato affermato con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte, con una pronuncia che ha preso atto della portata spiccatamente “innovativa” della giurisprudenza costituzionale affermatasi con la sentenza n. 24 del 2014, e pur esprimendo un palpabile dissenso con le argomentazioni della Consulta, ha annullato senza rinvio la condanna dei pubblici ufficiali imputati del reato di sequestro di persona, aggravato dall'abuso dei poteri inerenti alle loro funzioni, in quanto l'azione penale non poteva essere proseguita per l'esistenza del segreto di Stato, includendo – in ossequio alla pronuncia costituzionale – anche le condotte c.d. extrafunzionali degli appartenenti ai servizi di sicurezza nell'ambito di applicazione del segreto di Stato).

L'opposizione da parte dell'imputato del segreto di Stato, confermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, se determina il divieto di utilizzo in sede processuale delle notizie coperte da segreto, impone al giudice procedente di emettere sentenza di non doversi procedere, ai sensi dell'art. 41, comma 3, l. n. 124/2007, solo quando l'acquisizione di tali notizie sia ritenuta essenziale per la definizione del processo (Cass. VI, n. 1198/2015. In applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio una sentenza di non luogo a procedere emessa nei confronti di imputati di delitto di peculato in ragione della contraddittorietà della motivazione con cui il g.u.p. aveva escluso l'utilità dell'approfondimento dibattimentale, ritenendo indispensabili contributi conoscitivi coperti dall'opposto segreto, sebbene avesse considerato dimostrata, anche a prescindere dall'apporto di questi, l'origine pubblica delle risorse impiegate dagli imputati per fini palesemente non istituzionali).

Con riferimento all'onere motivazionale della richiesta di c.d. interpello e della sentenza di improcedibilità, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in tema di segreto di Stato opposto da un imputato ai sensi dell'art. 41, comma 1, della l. n. 124/2007, la richiesta di conferma dell'esistenza del segreto, e l'eventuale successiva declaratoria di non doversi procedere ai sensi del comma terzo del citato art. 41, in caso di conferma del segreto da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri, non sono impugnabili per difetto di motivazione qualora il giudice procedente abbia adeguatamente evidenziato, nei predetti provvedimenti, che le notizie, gli atti, i documenti coperti da segreto sono, da un lato, pertinenti all'ipotesi accusatoria e specificamente rilevanti per l'esercizio del diritto di difesa, e, dall'altro, essenziali ai fini del decidere sulla posizione dell'imputato opponente (Cass. VI, n. 16362/2012, nell'ambito del c.d. ‘caso Telecom').

Richiesta di conferma al Presidente del Consiglio dei Ministri

Non è sindacabile in sede giurisdizionale , trattandosi di un atto politico, la conferma espressa dal Presidente del Consiglio dei Ministri – a seguito di richiesta da parte dell'autorità giudiziaria procedente – in ordine all'esistenza del segreto di Stato opposto da un indagato o imputato ai sensi dell'art. 41, comma 1, l. n. 124/2007.

Ne consegue che il relativo divieto di utilizzo in sede processuale delle notizie coperte da segreto impone al giudice l'emissione di una sentenza di non doversi procedere, ai sensi del comma terzo del su citato art. 41, ove l'acquisizione di tali notizie sia ritenuta essenziale per la definizione del processo (Cass. VI, n. 16362/2011).

Al riguardo, la giurisprudenza costituzionale ha specificato che il vaglio di “essenzialità”, prodromico all'adozione della pronuncia di improcedibilità, assume connotazioni differenziate a seconda delle diverse figure dichiaranti abilitate ad opporre il segreto di Stato. Nel caso in cui il segreto venga opposto da un imputato, la tematica involge evidentemente il problema delle interferenze fra il segreto di Stato e un ulteriore valore costituzionale primario, rientrante tra i diritti fondamentali dell'individuo: ossia il diritto di difesa. Gli interrogativi che, al riguardo, tradizionalmente si pongono sono di duplice ordine: da un lato, se l'imputato sia abilitato a rivelare all'autorità giudiziaria circostanze coperte da segreto di Stato, ove ciò appaia necessario al fine di evitare una condanna ingiusta; dall'altro, quali siano gli effetti della eventuale opposizione del segreto. Ciò posto, si è rilevato che l'art. 41, comma 2, della legge n. 124 del 2007 prevede che, di fronte all'opposizione del segreto, l'autorità giudiziaria debba procedere all'interpello del Presidente del Consiglio dei ministri solo se – e nei limiti in cui – la conoscenza delle circostanze sulle quali il segreto è stato allegato appaia «essenziale» per la definizione del processo. La previsione di tale vaglio selettivo preliminarenon richiesto dall'art. 202 c.p.p. per l'ipotesi in cui a opporre il segreto sia un testimone – appare giustificabile, sul piano logico, anche e proprio in considerazione della particolare posizione dell'imputato o dell'indagato, il quale, diversamente dal testimone, ha un interesse personale diretto nel procedimento, che potrebbe risultare eventualmente di pungolo all'allegazione pretestuosa del segreto al fine di sottrarsi all'accertamento delle proprie responsabilità, o anche solo di rallentarne il corso. Risulta in pari tempo evidente come la valutazione di «essenzialità», effettuata in via preliminare dal rappresentante della pubblica accusa, non vincoli il giudice chiamato a verificare – “a valle” della conferma del segreto – se sussistano i presupposti per la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere, ai sensi dell'art. 41, comma 3, della legge n. 124 del 2007. In tale sede, il giudice potrà dunque stabilire, in piena autonomia, se le circostanze coperte da segreto debbano ritenersi effettivamente essenziali – tenuto conto del complesso degli altri elementi probatori legittimamente acquisiti o acquisibili e dei termini in cui il segreto di Stato è stato opposto – per la definizione del processo, segnatamente nella prospettiva della (possibile) dimostrazione dell'insussistenza dei fatti, dell'estraneità a essi degli imputati o dell'esistenza di eventuali cause di giustificazione. Altrettanto evidente, d'altra parte, è che il vaglio di «essenzialità», prodromico all'adozione della pronuncia di non liquet, assuma connotazioni differenziate a seconda delle singole figure di dichiaranti nel processo, attualmente abilitate a opporre il segreto di Stato. Ove si tratti di testimone, tenuto a rispondere secondo verità alle specifiche domande che gli sono rivolte, occorre valutare direttamente quale contributo la conoscenza delle circostanze dedotte nei capitoli di prova potrebbe portare all'accertamento dei fatti e delle responsabilità; ove si tratti, invece, dell'imputato – che non ha obbligo di verità e che potrebbe opporre il segreto a prescindere da specifiche domande postegli in sede di interrogatorio o di esame – la verifica in questione, da condurre nella prospettiva dell'esercizio del diritto di difesa, assume inevitabilmente caratteristiche diverse. Al riguardo, non vi è dubbio che il riconoscimento dell'incidenza del segreto sul diritto di difesa non possa rimanere affidato alla mera attestazione del soggetto sottoposto a processo – che a quel riconoscimento ha interesse – ma debba poggiare su una prospettazione dotata di adeguato tasso di persuasività. L'inerenza del segreto al diritto di difesa si traduce in un fatto da cui dipende l'applicazione di norme processuali, anch'esso oggetto di prova ai sensi dell'art. 187, comma 2, c.p.p., nel contraddittorio con le parti controinteressate, sia pure con le limitazioni necessariamente connesse all'esigenza di non rivelare indirettamente le notizie segrete, che imprimono alla relativa verifica i tratti di un giudizio di tipo eminentemente presuntivo. In tale appropriata cornice potrà tenersi, quindi, conto anche di elementi quali la coerenza e la plausibilità della prospettazione dell'imputato, in rapporto al complesso delle sue deduzioni difensive e di quelle dei coimputati che versino in posizione analoga (Corte cost. n. 40/2012, nell'ambito del conflitto di attribuzioni sollevato nel procedimento per le attività illegali di ‘dossieraggio' di appartenenti ai servizi segreti).

Casistica

Nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte d’Appello di Milano, quale giudice di rinvio, in relazione alla sentenza che ha affermato la responsabilità penale degli appartenenti ai servizi di sicurezza imputati del reato di sequestro di persona nella vicenda c.d. Abu Omar, deve essere annullata nelle corrispondenti parti la sentenza della Corte di Appello di Milano giacché fondata sull’erroneo presupposto che il segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri concernerebbe solo i rapporti tra il servizio italiano e la CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto adoperazioni autorizzate dal servizio e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione. Posto che l’apposizione del segreto spetta in via esclusiva al Presidente del Consiglio dei Ministri, salve le attribuzioni di cui agli artt. 30 e ss. e 41 della L. n. 124/2007, in quanto afferente alla tutela della salus rei publicae e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro, anche fatti di reato commessi dagli appartenenti ai Servizi possono essere ricondotti all’alveo del segreto nei limiti dell’immunità funzionale tracciata dall’art. 204, comma 1-bis, del c.p.p. Tale norma statuisce che non possono formare oggetto del segreto i fatti, le notizie o i documenti relativi alle condotte poste in essere da appartenenti ai Servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per l’attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. In quest’ultima ipotesi, il Presidente del Consiglio dei Ministri adotta le misure necessarie ed informa l’autorità giudiziaria senza ritardo. Quindi, la copertura del segreto - il cui effettivo ambito non può che essere tracciato dalla stessa autorità che lo ha apposto e confermato e che è titolare del relativo munussi proietta su tutti i fatti, notizie e documenti concernenti le eventuali direttive operative, gli interna corporis di carattere organizzativo ed operativo, nonché i rapporti con i servizi stranieri, anche se riguardanti le renditionse, nel caso di specie, il sequestro di Abu Omar, a condizione però che gli atti ed i comportamenti degli agenti siano oggettivamente orientati alla tutela della sicurezza dello Stato (Corte cost. n. 24/2014).

La Corte EDU, con sentenza 23 febbraio 2016, ha ravvisato, con riferimento alla vicenda c.d. Abu Omar, una violazione dell’obbligo c.d. procedurale a carico dello Stato di punire i responsabili di atti contrari all’art. 3 CEDU, che sancisce il divieto di tortura, in quanto, malgrado il lavoro degli investigatori e dei magistrati italiani, che aveva permesso di identificare gli agenti del SISMI responsabili, le condanne pronunciate nei loro confronti erano state annullate ed erano rimaste prive di effetto in seguito alla decisione del governo di opporre il segreto di Stato su gran parte delle fonti di prova a carico, nonostante fossero già ampiamente note all’opinione pubblica, e quindi allo scopo di assicurare l’impunità agli imputati abbassando su tutta la vicenda quello che la Cassazione – con definizione fatta propria dalla Corte europea – aveva definito il “sipario nero” del segreto (Corte EDU, sentenza 23 febbraio 2016, Nasr e Ghali c. Italia).

Bibliografia

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