Codice di Procedura Penale art. 208 - Richiesta dell'esame.

Piercamillo Davigo
Giuseppe Riccardi

Richiesta dell'esame.

1. Nel dibattimento [503], l'imputato [392 1c], la parte civile che non debba essere esaminata come testimone, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria sono esaminati se ne fanno richiesta o vi consentono.

Inquadramento

L'esame è un mezzo di prova cui possono essere sottoposte tutte le parti private del processo, se lo richiedono o vi consentono: l'imputato, la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.

Se nel corso della fase inquisitoria (indagini preliminari e udienza preliminare) l'imputato può essere sottoposto a interrogatorio da parte del P.M. o del giudice, nella fase accusatoria del processo e nell'incidente probatorio l'imputato può essere sottoposto a esame, se ne fa richiesta o se consente a sottoporvisi in caso di richiesta di una delle altre parti processuali.

L'imputato, se rifiuta l'esame richiesto dal P.M., può rilasciare dichiarazioni spontanee, ma non può chiedere di essere sottoposto a esame successivamente alla lettura delle sue dichiarazioni predibattimentali, acquisite ex art. 513, comma 1, proprio dopo il suo rifiuto.

Le parti private esaminate non hanno l'obbligo di rispondere compiutamente e neppure quello di dire la verità, salvi i limiti della legge penale quali i reati di calunnia e autocalunnia.

Questioni di legittimità costituzionale

  La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221 del 1991, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 567, 208, 503 e 506, nelle parti in cui prevedono che l'esame dell'imputato nel dibattimento sia subordinato al suo consenso o alla sua richiesta e che il giudice possa rivolgere domande all'imputato solo dopo che sia stato già esaminato, sollevata in riferimento agli artt. 76 e 3 Cost.

Nel vigente codice di procedura penale vi è una netta distinzione tra l'interrogatorio e l'esame dell'imputato: il primo, regolato dagli artt. 64,65,66,294,363,375 e 376, è reso nella fase delle indagini preliminari ed è considerato uno strumento di difesa che mira a garantire all'imputato l'esercizio effettivo del relativo diritto; l'esame dell'imputato, previsto nel dibattimento e regolato a sua volta, per i procedimenti innanzi al tribunale e per quelli innanzi al pretore (ora soppresso), dagli artt. 567, 208, 503 e 506, è considerato un mezzo di prova e, per questa sua natura, è subordinato alla richiesta o al consenso dello stesso imputato perché possa valutare la convenienza della sua scelta e le conseguenze che ne derivano.

Una volta effettuata la richiesta o prestato il consenso, inoltre, l'imputato ha la facoltà di non rispondere a singole domande, ma della mancata risposta si fa menzione nel verbale per l'eventuale apprezzamento da parte del giudice. Secondo la logica del sistema accusatorio, l'iniziativa della prova spetta alle parti: il giudice ha solo un ruolo di controllo e di sussidiarietà, con la facoltà di indicare i temi nuovi e le lacune da colmare.

Le disposizioni in questione assicurano infatti la lealtà dell'esame dell'imputato, la genuinità delle risposte, la pertinenza al giudizio, il rispetto della persona. La subordinazione dell'esame dell'imputato alla sua richiesta o al suo consenso assicura inoltre la conservazione del suo stato e della sua posizione in seno al dibattimento e impedisce che egli si trasformi in testimone involontario, fermo restando che non è tenuto a discolparsi e che l'accusa deve provare la sua colpevolezza. Con la eliminazione della necessità della richiesta o del consenso dell'imputato, invece, si darebbe all'esame una connotazione di coercibilità e si introdurrebbe nel dibattimento uno spurio strumento inquisitorio, direttamente gestito dal giudice, in netto contrasto proprio con i principi della legge-delega e con la logica del sistema accusatorio.

Non può pertanto ritenersi contrario al principio di eguaglianza che, mentre nella fase delle indagini preliminari sia il P.M. che il giudice possono procedere all'interrogatorio dell'imputato anche senza il suo consenso, nel dibattimento l'esame dell'imputato può effettuarsi solo su richiesta o con il consenso dello stesso imputato (Corte cost. n. 221/1991).

Non del tutto coincidenti sono, dunque, le argomentazioni sviluppate con l'ordinanza n. 191 del 2003 con cui la Corte Costituzionale ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost. nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi prescritti debbano essere dati all'imputato anche in sede di esame dibattimentale. Risultano, infatti, possibili letture del sistema diverse da quella posta a base della prospettata questione, e tali da vanificare la premessa su cui essa si radica, potendosi legittimamente far leva, al di là di elementi di carattere formale, su di una interpretazione che consente di rendere applicabile la disciplina degli avvisi anche all'istituto dell'esame, sul presupposto dell'esistenza di una consistente serie di dati sostanziali che depongono per l'appartenenza dell'interrogatorio e dell'esame – entrambi atti processuali a contenuto dichiarativo, inquadrabili nel novero degli strumenti difensivi, aventi connotazioni probatorie, e caratterizzati dalla identica garanzia del nemo tenetur se detegere – ad un medesimo genus (Corte cost. n. 191/2003).

La giurisprudenza di legittimità ha però escluso che sussista l'obbligo dell'avviso ai sensi dell'art. 64 in sede di esame dell'imputato.

Con l'ordinanza n. 374 del 1994 la Corte Costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 197 e 208, nella parte in cui prevedono che le dichiarazioni della parte civile siano assunte nella forma della testimonianza: richiamando le argomentazioni già sviluppate nell'ordinanza n. 115 del 1992, ha evidenziato che la possibilità – consentita dall'attuale codice di procedura penale come già da quello previgente, ma esclusa nell'ordinaria sede civile – che la parte civile, e non anche l'imputato, renda testimonianza, non comporta violazione del principio di eguaglianza né del diritto di difesa. Il legislatore, ritenendo che la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisse un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale, ha infatti considerato preminente l'interesse pubblico all'accertamento dei reati su quello delle parti alla risoluzione delle liti civili, e, d'altra parte, alla luce di un ormai fermo orientamento giurisprudenziale, la deposizione della persona offesa dal reato, costituitasi parte civile, deve essere valutata dal giudice con prudente apprezzamento , non potendosi equiparare puramente e semplicemente a quella del testimone, immune dal sospetto di interesse all'esito della causa.

La manifesta infondatezza è stata ribadita, infine, sulla base delle medesime argomentazioni, da Corte cost. n. 82 del 2004.

Recentemente, con la sentenza n. 148 del 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 64, comma 3, c.p.p., sollevate in riferimento agli artt. 3,24,111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 14, par. 3, lett. g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP), nella parte in cui non prevede che gli avvisi nei confronti delle persone sottoposte alle indagini, ivi indicati, debbano essere rivolti alla persona cui sia contestato l'illecito amministrativo di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti, o che sia già raggiunta da elementi indizianti di tale illecito, allorché la stessa sia sentita in relazione ad un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p. Le sanzioni previste dall'art. 75 t.u. stupefacenti – a carico di chi acquisti sostanze stupefacenti per farne uso esclusivamente personale, momento saliente di emersione della strategia volta a differenziare, sul piano del trattamento sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del produttore e del trafficante – non hanno natura sostanzialmente punitiva secondo i criteri Engel, per cui non attraggono l'intera gamma delle garanzie, sostanziali e processuali, previste dalla Costituzione e dalle carte europee ed internazionali dei diritti per la materia penale, tra cui il “diritto al silenzio”. Né l'elevata carica di afflittività delle misure in esame esclude la loro finalità preventiva, o depone univocamente nel senso di una loro natura “punitiva”. Peraltro, la natura preventiva di tali “sanzioni” segna anche il limite dei poteri dell'autorità amministrativa nell'esercizio della propria discrezionalità rispetto alla loro irrogazione nel caso concreto. Nell'esercitare, dunque, la propria discrezionalità, il prefetto non potrà non orientarsi alla logica preventiva che sorregge la scelta legislativa. In tali valutazioni dovrà invece restare a priori esclusa ogni impropria logica punitiva, la quale chiamerebbe necessariamente in causa lo statuto costituzionale della responsabilità penale, incluso lo stesso “diritto al silenzio”, fatta salva la possibilità di puntuali verifiche relative alla legittimità costituzionale di singoli aspetti della disciplina di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti (Corte cost. n. 148/2022).

L'esame dell'imputato

L'imputato è sottoposto ad esame se ne fa richiesta o se consente alla richiesta avanzata da altra parte.

L'esame dell'imputato, disciplinato dagli artt. 495 e 503, è un mezzo istruttorio atipico che opera come mezzo di difesa, quando è dall'imputato medesimo richiesto, e come mezzo di prova, quando è dedotto dalla controparte. L'esame, nell'una e nell'altra prospettazione, è sempre riconducibile, a differenza delle spontanee dichiarazioni e dell'interrogatorio imposto da specifica disposizione, non allo «ius dicendi», ma allo «ius postulandi» che incontra limiti nella discrezionalità del giudice che ne deve apprezzare la rilevanza. In conseguenza, l'omesso esame non è motivo di nullità (se non siano state violate forme essenziali del procedimento), ma eventualmente d'illegittimità, per l'errore di valutazione in ordine alla superfluità del mezzo (Cass. V, n. 5421/1997).

Se l'imputato rifiuta di sottoporsi all'esame o è (contumace o) assente il giudice dispone che sia data lettura delle dichiarazioni rese in precedenza al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria delegata, al giudice delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare.

È legittima, in caso di rifiuto dell'imputato di sottoporsi all'esame dibattimentale, la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni spontanee da questi in precedenza rese davanti al Tribunale del riesame (Cass. III, n. 17391/2011. In motivazione la Corte ha precisato che il recupero delle dichiarazioni, nella specie confessorie, nel corso dell'udienza davanti al Tribunale del riesame, è in linea con il precetto normativo di cui all'art. 513, comma 1).

Nell'ipotesi in cui l'imputato, che già si sia rifiutato di sottoporsi all'esame richiesto dal P.M. ed abbia rilasciato dichiarazioni spontanee, chieda nuovamente di essere interrogato, è inapplicabile, in via analogica, l'art. 420 quater, comma 3, che prevede la possibilità, in sede di udienza preliminare, di rendere dichiarazioni spontanee e di chiedere di essere interrogato. Deve riconoscersi, infatti, una sostanziale diversità tra la posizione di colui che, pur essendo presente, si sottrae all'esame per scelta difensiva rispetto a quella del contumace tardivamente comparso, come pure alla funzione dell'interrogatorio medesimo, mezzo di prova nel primo caso e mezzo di difesa nel secondo (Cass. I, n. 30286/2002).

In caso di rifiuto dell'esame richiesto dal p.m. da parte dell'imputato, è legittima la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni rese dal medesimo in sede di indagini preliminari, ai sensi dell'art. 513, comma 1, e l'espletamento di tale attività processuale, unitamente al rilascio di dichiarazioni spontanee, precludono successivamente la reiterazione della richiesta di esame avanzata dall'imputato medesimo (Cass. I, n. 30286/2002. In applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento del tribunale che ha respinto la nuova richiesta di esame dell'imputato sollecitata dai difensori, dopo che lo stesso si era rifiutato di sottoporsi all'incombente istruttorio, a seguito del rigetto della richiesta della difesa di espletamento dell'esame prima di quello del pubblico ministero).

Nel caso in cui l'imputato, che abbia già rifiutato di sottoporsi all'esame e abbia poi rilasciato dichiarazioni spontanee, e le cui precedenti dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari siano state acquisite ai sensi dell'art. 513, chieda poi nuovamente di essere interrogato, il giudice non ne può disporre d'ufficio l'esame ai sensi dell'art. 507, atteso che difettano i requisiti della novità e della assoluta necessità per l'espletamento di tale mezzo istruttorio (Cass. I, n. 30286/2002).

Le dichiarazioni spontanee, rese ai sensi dell'art. 494 da più imputati che si sono avvalsi della facoltà di non sottoporsi ad esame nel contradditorio fra le parti, per quanto convergenti tra di loro, non sono idonee a svalutare l'efficacia probatoria di una chiamata in correità, resa da altro imputato, purché sorretta da ampi e pregnanti riscontri (Cass. I, n. 25239/2001).

Le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell'art. 494, con le quali soggetti precedentemente avvalsisi della facoltà di non sottoporsi ad esame abbiano genericamente confermato quanto da essi dichiarato in fase di indagini preliminari, e quindi anche le accuse all'epoca formulate a carico di terzi, non possono essere equiparate, ai fini di cui al combinato disposto dell'art. 238, commi primo e secondo bis, a dichiarazioni rese in sede di esame e, pertanto, anche se ad esse abbiano assistito i difensori degli accusati, i relativi verbali non possono essere acquisiti ed utilizzati come prove (Cass. VI, n. 13682/1998).

Il giudice non può ammettere il confronto qualora l'imputato, limitandosi a rendere dichiarazioni spontanee, si è rifiutato di sottoporsi ad esame, in quanto tale rifiuto si estende anche al confronto, che in sostanza altro non è che la prosecuzione di un atto di esame (Cass. I, n. 2650/2012).

La volontaria assenza dell'imputato all'udienza dibattimentale fissata per l'assunzione del suo esame legittima il giudice a dare lettura delle dichiarazioni già rese nelle indagini preliminari, in applicazione dell'art. 513, primo comma, né la mancata rinnovazione di tale atto durante la prosecuzione dell'istruttoria è suscettibile di determinare alcuna nullità ex art. 178, lett. c), o, comunque, una concreta menomazione del diritto di difesa, atteso che egli può avvalersi della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee e di domandare per ultimo la parola in sede di discussione (Cass. I, n. 31624/2014).

La mancata assunzione dell'esame dell'imputato che ne ha fatto richiesta determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che è sanata se non eccepita immediatamente dopo l'acquisizione delle prove a carico, nel momento in cui l'esame deve essere eseguito (Cass. III, n. 48746/2013).

In precedenza era stato però affermato che il mancato esame dell'imputato, anche se in precedenza ammesso dal giudice del dibattimento, non comportando alcuna limitazione alla facoltà di intervento, di assistenza e di rappresentanza dell'imputato medesimo, non integra alcuna violazione del diritto di difesa, tanto più alla luce della facoltà di rendere in ogni momento spontanee dichiarazioni (Cass. I, n. 35627/2012).

Anche in mancanza di una rinuncia del P.M. all'espletamento dell'esame dell'imputato, ritualmente ammesso e fissato, è legittima la revoca dell'ordinanza di ammissione, allorché l'imputato stesso non sia comparso all'udienza stabilita per l'incombente, adducendo un impedimento ritenuto non legittimo dal giudice (Cass. VI, n. 14914/2009).

È legittima la revoca dell'ordinanza di ammissione dell'esame dell'imputato, allorché questo non sia comparso all'udienza stabilita per l'incombente senza addurre un impedimento ritenuto legittimo dal giudice (Cass. I, n. 37283/2021).

Esame della parte civile che sia stata esaminata come testimone

Non comporta inutilizzabilità della prova la circostanza che la parte civile sia stata esaminata dopo la sua assunzione anche in qualità di testimone (Cass. V, n. 10951/2013. La Suprema Corte ha specificato che l'art. 208 non impone un divieto al doppio esame ma si limita ad evidenziarne le superfluità consentendo al giudice di disattenderne la richiesta).

Valutazione delle dichiarazioni delle parti

La giurisprudenza è concorde nel ritenere la confessione dell'imputato e le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile sufficienti all'affermazione di responsabilità penale, pur evidenziando un onere di verifica maggiormente rigoroso; con riferimento ad entrambe le situazioni dichiarative si ammette il c.d. principio di scindibilità e la conseguente valutazione frazionata delle dichiarazioni.

La confessione può costituire prova sufficiente della responsabilità di colui che la renda, indipendentemente dall'esistenza di riscontri esterni, a condizione che il giudice ne apprezzi favorevolmente la veridicità, la genuinità e l'attendibilità, fornendo ragione dei motivi per i quali debba respingersi ogni sospetto sul suo contenuto (Cass. I, n. 35336/2022).

La confessione può costituire prova sufficiente della responsabilità di colui che la renda, indipendentemente dall'esistenza di riscontri esterni (non essendo suscettibili di applicazione analogica i limiti previsti dall'art. 192 c.p.p. per la chiamata in correità), purché il giudice prenda in esame le circostanze obiettive e subiettive che hanno determinato e accompagnato la dichiarazione e dia ragione, con logica motivazione, delle circostanze che escludono intendimenti autocalunniatori o l'intervenuta costrizione dell'interessato (Cass. IV, n. 4907/2018).

In tema di valutazione della prova, il giudice di merito, in base al principio della scindibilità delle dichiarazioni, ben può ritenere veridica solo una parte della confessione resa dall'imputato, e nel contempo disattenderne altre parti, allorché si tratti di circostanze tra loro non interferenti sul piano logico e fattuale (nella specie, la giustificazione della condotta omicidiaria, pure ammessa, in termini di legittima difesa), e sempre che giustifichi la scelta con adeguata motivazione (Cass. I, n. 7792/2021; Cass. V, n. 47602/2014; Cass. IV, n. 40171/2004).

Con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, le Sezioni Unite hanno affermato che le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (In motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi) (S.U. , n. 41461/2012).

In tema di testimonianza, le dichiarazioni della persona offesa costituita parte civile possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella richiesta per la valutazione delle dichiarazioni di altri testimoni, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto e, qualora risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (Cass. V, n. 21135/2019).

È legittima una valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa, purché il giudizio di inattendibilità, riferito soltanto ad alcune circostanze, non comprometta per intero la stessa credibilità del dichiarante ovvero non infici la plausibilità delle altre parti del racconto (Cass. VI, n. 20037/2014. Nella fattispecie la Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza che, pur condannando l'imputato per il reato previsto dall'art. 572 c.p. per effetto delle dichiarazioni della vittima, aveva escluso la sussistenza della violenza sessuale sul presupposto che alcune delle dichiarazioni rese dalla persona offesa non fossero verosimili).

In tema di reati sessuali, è legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa e l'eventuale giudizio di inattendibilità, riferito ad alcune circostanze, non inficia la credibilità delle altre parti del racconto, sempre che non esista un'interferenza fattuale e logica tra gli aspetti del narrato per i quali non si ritiene raggiunta la prova della veridicità e quelli che siano intrinsecamente attendibili ed adeguatamente riscontrati (Cass. III, n. 3256/2013. Nella specie è stata ritenuta legittima la sentenza di merito che, pur condannando gli imputati per il reato previsto dall'art. 609-bis c.p. per effetto delle dichiarazioni della vittima, ha escluso la sussistenza della violenza sessuale di gruppo sul presupposto che alcune di tali dichiarazioni non fossero verosimili).

È illegittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, riferibili ad un unico episodio avvenuto in un unico contesto temporale, in quanto il giudizio di inattendibilità su alcune circostanze inficia, in tale ipotesi, la credibilità delle altre parti del racconto, essendo sempre e necessariamente ravvisabile un'interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato (Cass. V, n. 46471/2015).

Casistica

Sono utilizzabili le dichiarazioni accusatorie nei confronti del coimputato — fatte in sede di esame dibattimentale dall'imputato del medesimo reato nell'ambito dello stesso procedimento, pure in assenza degli avvertimenti prescritti dall'art. 64, comma terzo, in quanto tali avvertimenti riguardano l'interrogatorio della persona sottoposta ad indagini, garantendone il diritto al silenzio, e non si applicano all'esame dell'imputato nel dibattimento, in cui il contraddittorio tra le parti è pieno e il diritto di difesa può esplicarsi nella massima ampiezza (Cass. I, n. 34560/2007. La S.C. ha precisato che, nella specie, detti avvertimenti sarebbero stati inoltre superflui in quanto l'imputato non poteva assumere la veste di testimone per l'incompatibilità sancita dall'art. 197, comma 1, lett. a) in virtù della sussistenza della connessione di cui all'art. 12, comma 1, lett. a), e non essendosi verificate le condizioni di cui all'art. 197-bis, comma 1).

Anche in mancanza di una rinuncia del P.M. all'espletamento dell'esame dell'imputato, ritualmente ammesso e fissato, è legittima la revoca dell'ordinanza di ammissione, allorché l'imputato stesso non sia comparso all'udienza stabilita per l'incombente, adducendo un impedimento ritenuto non legittimo dal giudice (Cass. VI, n. 14914/2009).

Salvo l'obbligo di adeguata motivazione, il giudice di merito ben può ritenere veridica una parte della confessione resa dall'imputato e nel contempo disattendere altre parti allorché si tratti di circostanze fra di loro non interferentesi fattualmente e logicamente: ciò in base al principio della scindibilità della dichiarazione di qualsiasi soggetto (Cass. I, n. 12584/1994).

L'esercizio di facoltà processuali dell'imputato, quali quella di non consentire all'esame (artt. 208 e 503 o quella di non rilasciare dichiarazioni contro se stesso, non può essere valutato come parametro ai sensi dell'art. 133 c.p. per negare le circostanze attenuanti generiche; infatti l'esercizio di un diritto processuale non può legittimamente considerarsi come comportamento processuale negativo (Cass. III, n. 3654/1995. Nella specie, tuttavia, la S.C. ha ritenuto che l'erronea motivazione non aveva avuto influenza decisiva sul dispositivo, poiché le attenuanti richieste erano state negate in primo luogo per l'esistenza di precedenti penali che giustificavano ampiamente il diniego del beneficio).

È nulla l'ordinanza di revoca di altra, con la quale sia stato ammesso l'esame dell'imputato, qualora il pubblico ministero, che aveva aderito inizialmente alla richiesta difensiva, si opponga successivamente all'istanza contraria ed il provvedimento stesso non sia congruamente motivato (Cass. III, n. 11443/1992).

L'impedimento non giustificato alla effettuazione di colloqui tra l'imputato e il difensore, in violazione dell'art. 104, non può avere incidenza alcuna sulla validità dell'esame dell'imputato stesso, essendo il detto esame un mezzo di prova sottoposto, come tale, alla specifica disciplina contenuta nel libro III del codice di rito; disciplina che è diversa da quella prevista per la salvaguardia del diritto dell'imputato di partecipare al processo, a cui presidio è stabilita la sanzione di nullità di cui all'art. 178 lett. c) (Cass. VI, n. 10577/1992)

L'eccezione di nullità della sentenza per un'asserita violazione del diritto di difesa — in particolare per non avere il giudice di merito assunto l'esame di un imputato ovvero per non avergli consentito di rendere dichiarazioni spontanee — può essere legittimamente fatta valere solo dall'imputato titolare del diritto, non anche da un suo coimputato (Cass. Fer., n. 35729/2013).

Le dichiarazioni spontanee rese, ex art. 494, da colui che si avvalga della facoltà di non sottoporsi ad esame nel contraddittorio fra le parti sono utilizzabili nei confronti di terzi in sede di procedimento cautelare; in tal caso, infatti, non opera la regola posta dall'art. 526, comma primo bis, — che nega attitudine probatoria alle dichiarazioni rese da chi volontariamente si è sempre sottratto all'esame delle parti — la quale attiene al piano della colpevolezza nel giudizio sulla responsabilità e non anche a quello indiziario, proprio del procedimento cautelare (Cass. V, n. 29252/2011).

Bibliografia

Aprile, Per la Corte costituzionale gli avvisi di garanzia previsti dall’art. 64 c.p.p. vanno dati anche all’imputato prima dell’inizio del suo esame dibattimentale, in Nuovo dir. 2003, 601; Barbarano, Esame dell’imputato e garanzie. La Consulta estende l’ambito di applicazione degli avvisi, in Dir. e giust. 2003, n. 24, 88; Ciani, L’esame delle parti: profili strutturali e valenza probatoria, in Cass. pen. 1994, 2264; Di Bitonto, Esame dibattimentale e garanzie difensive dell’imputato, in Cass. pen. 2012, 4348; Ferrua, Studi sul processo penale, II, Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992; Mazza, Interrogatorio ed esame dell’imputato: identità di natura giuridica e di efficacia probatoria, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1994, 821; Mazza, L’interrogatorio e l’esame dell’imputato nel suo procedimento, Milano, 2004; Ramajoli, Persona offesa dal reato: escussione come teste ed esame come parte privata, in Cass. pen. 1994, 185; Nappi, Nuova guida al Codice di procedura penale, Lanciano, 2022.

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