Codice di Procedura Penale art. 210 - Esame di persona imputata in un procedimento connesso.

Piercamillo Davigo
Giuseppe Riccardi

Esame di persona imputata in un procedimento connesso.

1. Nel dibattimento, le persone imputate in un procedimento connesso [192, 363, 392 1d] a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell'articolo 195, anche di ufficio 1.

2. Esse hanno obbligo di presentarsi al giudice [198], il quale, ove occorra, ne ordina l'accompagnamento coattivo [132, 513 2]. Si osservano le norme sulla citazione dei testimoni [468; 142, 147-bis att.] 2.

3. Le persone indicate nel comma 1 sono assistite da un difensore che ha diritto di partecipare all'esame. In mancanza di un difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio [97].

4. Prima che abbia inizio l'esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto dall'articolo 66, comma 1, esse hanno facoltà di non rispondere [64 3b].

5. All'esame si applicano le disposizioni previste dagli articoli 194, 195, 498, 499 e 500 3.

6. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato. Tuttavia a tali persone è dato l'avvertimento previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l'ufficio di testimone [377-bis c.p.]. Al loro esame si applicano, in tal caso, oltre alle disposizioni richiamate dal comma 5, anche quelle previste dagli articoli 197-bis e 497 4 5.

 

[1] Comma così modificato dall'art. 8, comma 1, lett. a) l. 1° marzo 2001, n. 63.

[2] Comma così sostituito dall'art. 2 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356.

[3] Comma così modificato dall'art. 8 , comma 1, lett. b) l. n. 63, cit.

[4] Comma così sostituito dall'art. 8, comma 1, lett. c) l. n. 63, cit.

[5] La Corte cost., con sentenza 2 novembre 1998, n. 361 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 210 «nella parte in cui non ne è prevista l'applicazione anche all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero».

Inquadramento

La norma disciplina l'acquisizione al processo del contributo probatorio delle persone imputate in un procedimento connesso o di un reato collegato, che siano incompatibili come testimoni (Corte cost. n. 197/2009, sul regime delle contestazioni): riguarda, dunque, l'esame di chi è imputato in un procedimento connesso ex art. 12 comma 1 lett. a) (c.d. connessione forte) e lett. c), o è imputato di un reato probatoriamente collegato ex art. 371, comma 2, lett. b) (c.d. connessione debole), con il procedimento nel quale tale soggetto deve rendere dichiarazioni.

Dopo la modifica dell'art. 111 Cost. la l. n. 63/2001 ha rimodulato i confini di questa figura di dichiarante, riducendo l'area del diritto al silenzio, limitandolo ai soli casi di c.d. connessione forte (imputati connessi per concorso o cooperazione nel medesimo reato ed ipotesi assimilate); mentre nei casi di c.d. connessione debole, gli imputati di reati connessi teleologicamente o collegati che non si siano avvalsi della facoltà di non rispondere e hanno reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri assumono la veste di testimoni assistiti ai sensi dell'art. 197-bis.

L'imputato in procedimento connesso è assistito dal difensore, ha l'obbligo di presentarsi al giudice, ma gli è riconosciuta la facoltà di non rispondere.

Le sentenze e l'archiviazione fanno venir meno la qualità di imputato o indagato in procedimento connesso.

Questioni di legittimità costituzionale

La giurisprudenza costituzionale ha inciso sull'ambito di operatività della norma, che originariamente era circoscritto all'esame delle persone imputate in procedimento connesso o collegato nei confronti delle quali si procedesse (o si fosse proceduto) separatamente, ma non a coloro che fossero imputati nel medesimo procedimento.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 361 del 1998, ha esteso l'ambito di operatività della norma anche “all'esame dell'imputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri, già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero”.

Prima della riforma dell'art. 111 Cost. e della modifica apportata con la citata l. n. 63/2001 erano state ritenute non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 3,24,25, secondo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, 111 e 112 Cost., nei confronti dell'art. 210, comma 4, nella parte in cui prevede che l'imputato in procedimento connesso, che abbia in precedenza reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di terzi, possa avvalersi, nel dibattimento a carico di quei soggetti, della facoltà di non rispondere. Va considerato infatti che anche se nella disciplina – di ibrido contenuto, posta dall'art. 210, sono richiamate alcune delle regole operanti nei confronti dei testimoni, l'imputato, ancorché chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, non è identificabile, sul terreno sostanziale, con la figura del testimone, sicché appare coerente la scelta del legislatore di attribuirgli la facoltà in questione, irrinunciabile manifestazione del diritto di difesa dell'imputato. E d'altra parte, riguardo ai riflessi che l'eliminazione del diritto al silenzio garantito in dibattimento al dichiarante produrrebbe sulla disciplina delle letture delle sue precedenti dichiarazioni – in relazione ai quali l'art. 210, comma 4, è stato impugnato unitamente all'art. 513, comma 2 – va pure rilevato che la estensione della disciplina delle contestazioni prevista dall'art. 500, commi 2-bis e 4, all'esame dell'imputato in procedimento connesso su fatti concernenti la responsabilità di altri, – estensione operata con l'intervento additivo della Corte sull'art. 513, comma 2 – consente ora di garantire sia il diritto dell'imputato dichiarante di avvalersi della facoltà di non rispondere, sia il diritto al contraddittorio dell'imputato destinatario delle dichiarazioni, nel rispetto del principio della formazione dialettica della prova al dibattimento.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate, in riferimento agli artt. 3,101,25 e 112 Cost. – con argomenti che ricalcano quelli prospettati in ordine all'art. 513, comma 2, – nei confronti della regola posta dall'art. 513, comma 1, – come sostituito dall'art. 1 l. n. 267/1997 – che subordina al consenso degli altri imputati l'utilizzazione delle dichiarazioni rese in precedenza, nel medesimo procedimento, da imputato che nel dibattimento rifiuti di sottoporsi all'esame, sono state ritenute fondate, in riferimento all'art. 3 Cost., ma sono state risolte attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 210. – che nelle questioni stesse risulta sostanzialmente coinvolto – nella parte in cui non ne è prevista l'applicazione nell'ipotesi ‘de qua'. La pronuncia di parziale incostituzionalità di tale articolo è imposta dai principi di eguaglianza e ragionevolezza, di fronte ai quali non si giustifica che l'obbligo di presentarsi al giudice nel dibattimento e l'eventuale accompagnamento coattivo previsti dall'art. 210, comma 2, in ordine all'esame di persona imputata in procedimento connesso – che si svolge separatamente solo per circostanze meramente occasionali e contingenti – non lo siano invece riguardo all'esame di persona imputata nello stesso procedimento; né, a maggior ragione, ciò si giustifica se si considera che a norma dell'art. 392, comma 1, lett. c) e d), nell'incidente probatorio – il quale altro non è se non una anticipazione della prova da assumersi nel dibattimento – quando l'incidente verta su fatti concernenti la responsabilità di altri, è possibile ordinare l'accompagnamento coattivo sia dell'imputato in procedimento connesso, sia dell'imputato nello stesso procedimento. Ne consegue che – rimosso in tal modo, con la eliminazione, anche nel dibattimento, in virtù dell'intervento additivo come sopra operato sull'art. 210, di ogni differenza, sotto gli aspetti in questione, tra le due categorie di imputati, l'unico ostacolo che impediva che in tutti i casi di rifiuto del dichiarante di rispondere sul fatto altrui si applicasse una disciplina omogenea – anche per le situazioni regolate dall'art. 513, comma 1, vale la pronuncia contestualmente adottata dalla Corte sull'art. 513, comma 2, con tutti i relativi effetti e limiti (Corte cost. n. 361/1998).

La posizione dell'imputato sottoposto a esame non va quindi più distinta con riferimento alla sua qualità di parte nello stesso procedimento o in altro connesso o collegato, bensì alla destinazione probatoria delle sue dichiarazioni (Nappi, § 45.2.2.).

I soggetti che devono essere esaminati ai sensi dell'art. 210

Presupposto dell'applicazione dell'art. 210 è l'esistenza di un procedimento penale connesso a carico del dichiarante nei seguenti casi:

a ) persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 lett. a) quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro o se più persone con condotte indipendenti hanno determinato l'evento, salvo che sia intervenuta nei loro confronti sentenza irrevocabile di condanna, applicazione della pena ed assoluzione (in tal caso, esse assumono ai sensi art. 197-bis lett. a), la veste di testimoni ‘‘assistiti”) (c.d. connessione forte);

b) gli imputati in procedimento connesso ex art. 12 lett. c) o reato collegato ex art. 371 comma 2 lett. b) che non abbiano, in precedenza, reso dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato (c.d. connessione debole).

Le Sezioni Unite ‘De Simone', nell'estendere l'ambito di applicazione dell'art. 210 all'indagato, ne hanno escluso l'operatività con riferimento al c.d. ‘indagato archiviato', che assume dunque la veste di testimone.

Le disposizioni di cui all'art. 210 si applicano anche quando la persona da esaminare sia ancora soltanto sottoposta ad indagini, estendendo l'art. 61 a tale persona, i diritti e le garanzie dell'imputato e dovendo tenersi conto della tutela rispetto alla possibilità di autoincriminazione (Cass. S.U., n. 12067/2010).

Non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona già indagata in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. c), o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione (Cass. S.U., 12067/2010. La Corte ha osservato che la disciplina limitativa della capacità di testimoniare prevista dagli artt. 197, comma 1, lett. a) e b), 197-bis, e 210 si applica solo all'imputato, al quale è equiparata la persona indagata nonché il soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto, nel qual caso non trovano applicazione i commi terzo e sesto dell'art. 197-bis).

Il soggetto che riveste la qualità di imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. c), o collegato probatoriamente, anche se persona offesa dal reato, deve essere assunto nel procedimento relativo al reato connesso o collegato con le forme previste per la testimonianza cosiddetta «assistita» (Cass. S.U., 12067/2010).

Non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona già indagata, la cui posizione sia stata definita con provvedimento di archiviazione, in quanto la disciplina limitativa della capacità di testimoniare prevista dagli artt. 197, comma 1, lett. a) e b), 197-bis c.p.p., e 210. si applica solo all'imputato, al quale è equiparata la persona indagata, nonché al soggetto già imputato, salvo che sia stato irrevocabilmente prosciolto per non aver commesso il fatto (Cass. VI, n. 34562/2021. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non necessaria l'acquisizione di elementi di riscontro ai sensi dell'art. 192, comma 3, c.p.p. che suffragassero le dichiarazioni testimoniali di un coindagato nei cui confronti era stata disposta l'archiviazione, in applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 323-ter c.p.).

Le dichiarazioni rese da persona indagata sono validamente assunte senza il rispetto delle garanzie difensive quando riguardano fatti di reato attinenti a terzi, in relazione ai quali non sussiste alcuna connessione o collegamento probatorio con quelli ad essa addebitati, assumendo la medesima, con riguardo a dette vicende, la veste di testimone e, prima del giudizio, di persona informata dei fatti (Cass. VI, n. 41118/2013. Fattispecie in cui il dichiarante, detenuto in custodia cautelare per reati contro il patrimonio, era stato escusso, come persona informata sui fatti, sull'identificazione dei soggetti i cui numeri erano stati scoperti nella memoria del suo cellulare e aveva indicato uno di essi come la persona da cui acquistava stupefacenti per uso personale).

Non può essere sentito quale testimone, ai sensi dell'art. 197-bis c.p.p., l'imputato in procedimento connesso o collegato nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza non impugnabile di non luogo a procedere, salvo il caso in cui la revoca non possa essere più utilmente disposta, posto che detta sentenza non è equiparabile a quella irrevocabile di proscioglimento, sicché il perdurante rischio di incriminazione a carico del dichiarante giustifica il riconoscimento della facoltà di non rispondere, ai sensi art. 210 (Cass. VI, n. 53436/2016).

Il rapporto di connessione probatoria di cui all'art. 371, comma 2, lett. b), è ravvisabile quando un unico elemento di fatto proietti la sua efficacia probatoria in relazione ad una molteplicità di illeciti penali e non quando semplicemente la prova dei reati connessi discenda dalla medesima fonte (Cass. II, n. 18241/2022 ; Cass. V, n. 10445/2011).

Il collegamento occasionale che determina l'incompatibilità a testimoniare prevista dagli artt. 197, comma 1, lett. b), e 371, comma 2, lett. b), c.p.p., sussiste a condizione che ricorra un legame spazio-temporale tra i reati e l'identità soggettiva degli autori degli stessi, essendo altresì necessario che tra più reati commessi nel medesimo contesto l'uno abbia favorito, consentito, propiziato o motivato l'altro (Cass. VI, n. 58089/2017).

Il collegamento probatorio di cui all'art. 371, comma secondo, lett. b) – che determina l'incompatibilità con l'ufficio di testimone di cui all'art. 197, comma 1, lett. b) e la conseguente necessità di acquisire elementi di riscontro alle dichiarazioni ex art. 192 – ricorre soltanto quando nei diversi procedimenti sussiste l'identità del fatto o di uno degli elementi di prova ovvero quando è ravvisabile la diretta rilevanza di uno degli elementi di prova acquisiti in un procedimento su uno dei reati oggetto dell'altro procedimento (Cass. II, n. 24570/2015. Fattispecie in cui la Corte ha escluso la qualifica di imputato in procedimento connesso con riferimento alla persona offesa di un'estorsione aggravata dall'art. 7, d.l. n. 152/1991, la quale era imputata in altro processo del reato di partecipazione ad associazione mafiosa contrapposta a quella di appartenenza del presunto autore dell'estorsione).

Il collegamento probatorio tra procedimenti deve essere accertato in concreto per determinare l'obbligo del preliminare avvertimento al soggetto da esaminare in dibattimento circa l'assunzione dell'ufficio di testimone, per il caso in cui renda dichiarazioni su fatti concernenti l'altrui responsabilità (Cass. II, n. 13725/2009).

L'avvertimento di cui all'art. 64

Risolvendo un contrasto sull'obbligo di dare l'avvertimento di cui all'art. 64 le Sezioni Unite ‘Lo Presti' hanno affermato che esso deve essere rivolto anche l'imputato di reato connesso o collegato abbia già reso dichiarazioni erga alios senza aver ricevuto l'avvertimento.

In sede di esame dibattimentale di imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede, l'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c) – previsto anche per l'esame dibattimentale ai sensi dell'art. 210, comma 6, – deve essere rivolto non solo se il soggetto non ha «reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato» (come testualmente prevede il predetto comma sesto dell'art. 210), ma anche se egli abbia già deposto «erga alios» senza aver ricevuto tale avvertimento (Cass. S.U., n. 33583/2015).

Il mancato avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), all'imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede, che avrebbe dovuto essere esaminato in dibattimento ai sensi dell'art. 210, comma sesto, determina la inutilizzabilità della deposizione testimoniale resa senza garanzie (Cass. S.U., 33583/2015).

Il soggetto che cumuli in sé le qualità di persona offesa dal reato e di indagato o imputato di reato reciproco, nei cui confronti non sia stata emessa sentenza irrevocabile, non può assumere, a pena di inutilizzabilità, l'ufficio di testimone, senza il previo avviso di cui alla lett. c) del comma terzo dell'art. 64 e senza il rispetto delle norme che regolano l'assunzione delle dichiarazioni del teste assistito di cui all'art. 210, comma 6 (Cass. I, n. 52047/2014).

L'avvertimento da darsi, prima che abbia inizio l'interrogatorio o l'esame, circa l'eventualità che, rendendo dichiarazioni sui fatti riguardanti la responsabilità di altri, si assumerà l'ufficio di testimone, è validamente formulato dall'autorità procedente attraverso il richiamo dell'articolo di legge che prevede l'incombente, se le persone a cui è diretto, indagati o imputati anche in procedimento connesso o per reato collegato, abbiano, per doti culturali o qualità professionali, capacità di corretta percezione del significato del rinvio al testo normativo (Cass. V, n. 37095/2009).

Le dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini preliminari alla polizia giudiziaria dall'indagato che abbia ricevuto solo gli avvisi previsti dall'art. 64, comma terzo, lett. b) e c) c.p.p. e non anche quello di cui alla lettera a) della stessa disposizione, sono utilizzabili nei confronti dei soggetti indagati di reato connesso ma non anche nei riguardi del dichiarante (Cass. I, n. 25613/2016. Fattispecie relativa a dichiarazioni di indiziati del reato di cui all'art. 10-bis, d.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998, rese nei confronti di soggetto facente parte dell'equipaggio dell'imbarcazione; Cass. I, n. 11165/2016. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la decisione del Tribunale del riesame che aveva considerato utilizzabili le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria di alcuni cittadini extracomunitari, sbarcati clandestinamente sul territorio dello Stato e, quindi, ritenuti raggiunti da elementi indizianti per il reato di cui all'art. 10-bis T.U. Imm., nei confronti dei soggetti facenti parte dell'equipaggio della imbarcazione).

Recentemente, con la sentenza n. 148 del 2022, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 64, comma 3, c.p.p., sollevate in riferimento agli artt. 3,24,111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 14, par. 3, lett. g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP), nella parte in cui non prevede che gli avvisi nei confronti delle persone sottoposte alle indagini, ivi indicati, debbano essere rivolti alla persona cui sia contestato l'illecito amministrativo di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti, o che sia già raggiunta da elementi indizianti di tale illecito, allorché la stessa sia sentita in relazione ad un reato collegato ai sensi dell'art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p. Le sanzioni previste dall'art. 75 t.u. stupefacenti – a carico di chi acquisti sostanze stupefacenti per farne uso esclusivamente personale, momento saliente di emersione della strategia volta a differenziare, sul piano del trattamento sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del produttore e del trafficante – non hanno natura sostanzialmente punitiva secondo i criteri Engel, per cui non attraggono l'intera gamma delle garanzie, sostanziali e processuali, previste dalla Costituzione e dalle carte europee ed internazionali dei diritti per la materia penale, tra cui il diritto al silenzio”. Né l'elevata carica di afflittività delle misure in esame esclude la loro finalità preventiva, o depone univocamente nel senso di una loro natura “punitiva”. Peraltro, la natura preventiva di tali “sanzioni” segna anche il limite dei poteri dell'autorità amministrativa nell'esercizio della propria discrezionalità rispetto alla loro irrogazione nel caso concreto. Nell'esercitare, dunque, la propria discrezionalità, il prefetto non potrà non orientarsi alla logica preventiva che sorregge la scelta legislativa. In tali valutazioni dovrà invece restare a priori esclusa ogni impropria logica punitiva, la quale chiamerebbe necessariamente in causa lo statuto costituzionale della responsabilità penale, incluso lo stesso “diritto al silenzio”, fatta salva la possibilità di puntuali verifiche relative alla legittimità costituzionale di singoli aspetti della disciplina di cui all'art. 75 t.u. stupefacenti (Corte cost. n. 148/2022).

La verifica della posizione processuale del dichiarante

Allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Cass. S.U., 15208/2010).

Ai fini della verifica della qualità di testimone o di indagato di reato connesso e della conseguente valutazione di utilizzabilità delle dichiarazioni rese, il giudice deve tenere conto di eventuali cause di giustificazione, ove queste siano di evidente ed immediata applicazione senza la necessità di particolari indagini o verifiche (Cass. I, n. 40832/2018. Fattispecie in cui sono state ritenute utilizzabile le dichiarazioni accusatorie rese al Pubblico Ministero e confermate, in forma “non assistita”, in sede di incidente probatorio da persona che aveva ritrattato la precedente versione dei fatti fornita agli inquirenti, in considerazione dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 384 c.p.; Cass. I, n. 41467/2013. Fattispecie in cui sono state ritenute utilizzabili dichiarazioni rese da persona che, contestualmente, aveva ritrattato la precedente versione dei fatti fornita agli inquirenti, impedendo così l'esercizio dell'azione penale nei suoi confronti per il delitto di favoreggiamento).

La Corte Costituzionale , con la sentenza n. 280 del 2009 , ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 210 c.p.p., censurato, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui non consente al giudice del dibattimento di decidere le forme in cui assumere il dichiarante, se, cioè, nelle forme dell'esame di persona imputata in un procedimento connesso o di un reato collegato anziché come testimone. Al riguardo, ha sottolineato il collegamento sistematico tra l'art. 63, comma 2, e gli artt. 197, comma 1, lettere a) e b), e 210 del codice di rito: il primo attua una tutela anticipata delle incompatibilità con l'ufficio di testimone previste dall'art. 197 suddetto nei confronti dell'imputato in procedimento connesso o di reato collegato, incompatibilità che, a loro volta, impongono che l'esame del soggetto avvenga nelle forme di cui all'art. 210 c.p.p. Perciò delle due l'una: o si ritiene che l'inutilizzabilità ex art. 63, comma 2, c.p.p. colpisca anche le dichiarazioni rese da chi non è mai stato formalmente indagato, ma allora il giudice ha il potere-dovere di sentire tale soggetto nelle forme dell'art. 210 c.p.p., oppure si nega al giudice tale potere-dovere, ma allora bisogna ritenere che anche la inutilizzabilità non può prescindere dalla formale assunzione della qualità di indagato, il che farebbe cadere uno dei presupposti delle censure sollevate. La combinazione dei due assunti rende contraddittorie le premesse interpretative.

Secondo un orientamento, allorché venga in rilievo la verifica della veste processuale del dichiarante, è onere della parte interessata ad opporsi all'assunzione della testimonianza di allegare, prima della assunzione delle dichiarazioni, le circostanze fattuali da cui risultano situazioni di incompatibilità a testimoniare, sempre che la posizione del dichiarante non risulti già dagli atti nella disponibilità del giudice e non sussistano i presupposti perché questi si attivi d'ufficio, in conseguenza di una richiesta di prova formulata sul punto dalle parti, ex art. 493, ovvero in ragione dell'assoluta necessità di disporre l'escussione del dichiarante, ai sensi dell'art. 507 dello stesso codice (Cass. VI, n. 12379/2016: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto utilizzabili le dichiarazioni assunte nella forma della testimonianza in relazione alle quali nulla era stato eccepito dalle parti, al momento della formazione della prova, in ordine alla esistenza di un procedimento penale per reati connessi a carico del dichiarante).

L'orientamento prevalente ritiene, nel solco delle Sezioni Unite ‘Mills' (richiamata supra), che, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicché il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Cass. V, n. 39498/2021;Cass. IV, n. 46203/2019; Cass. VI, n. 20098/2016).

In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, prescindendo da indici formali quali l'avvenuta iscrizione nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, con la conseguente necessaria escussione non già come testimone, bensì quale imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 c.p.p. (Cass. VI, n. 25425/2020. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inutilizzabile, in quanto assunte in violazione del divieto previsto dall'art. 63, comma 2, c.p.p., la testimonianza di un soggetto, mai iscritto nel registro degli indagati, di cui risultava già in atti un ruolo attivo nella consegna del denaro per conto del corruttore, tale da far ritenere sussistente la qualifica di concorrente nel reato).

Conseguenze dell'esame in altra veste del coimputato

Il mancato avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lett. c), all’imputato di reato connesso o collegato a quello per cui si procede, che avrebbe dovuto essere esaminato in dibattimento ai sensi dell’art. 210, comma sesto, determina la inutilizzabilità della deposizione testimoniale resa senza garanzie (Cass. S.U., 33583/2015).

L’omissione dell’avvertimento previsto dall’art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p. nei confronti del soggetto che riveste la qualità di indagato o di imputato in un procedimento connesso o collegato (art. 210 c.p.p.) dà luogo all’inutilizzabilità delle dichiarazioni assunte, a condizione che la situazione di incompatibilità a testimoniare, ove non già risultante dagli atti, sia stata dedotta prima dell’esame (Cass. V, n. 13391/2019. Fattispecie nella quale la Corte ha escluso l’inutilizzabilità dell’esame testimoniale di una persona della quale, soltanto in udienze successive a quella di assunzione della prova, era stata documentata la qualità di imputato in un procedimento per reato cd. reciproco).

In argomento, si rinvia amplius sub art. 197.

La valenza delle dichiarazioni rese dai soggetti indicati dall’art. 210

In tema di valutazione di attendibilità, l'obbligo di dire la verità gravante sul teste assistito, accrescendo il grado di affidabilità della fonte, può essere valorizzato dal giudice nella valutazione dei riscontri esterni, consentendo di ritenere sufficienti riscontri di peso comparativamente minore rispetto a quelli richiesti nel caso di valutazione delle dichiarazioni rese dall'imputato in procedimento connesso ai sensi dell'art. 210 (Cass. VI, n. 13844/2017).

In tema di valutazione circa l'attendibilità e credibilità delle dichiarazioni della persona offesa, il giudice deve tenere conto delle dichiarazioni che la medesima abbia reso in altro procedimento nella qualità di soggetto imputato di reato “reciproco” (e cioè commesso in danno di chi sia a sua volta imputato nel processo in cui la persona offesa rende dichiarazioni), non potendo escludere la loro utilizzabilità sulla base della mera constatazione formale della qualità processuale in cui sono state rese (Cass. V, n. 32640/2018).

Profili processuali

La necessità per il giudice dell'appello di procedere, anche d'ufficio, alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante e vale anche per il coimputato in procedimento connesso e per il coimputato nello stesso procedimento (fermo restando che, in questi ultimi due casi, l'eventuale rifiuto di sottoporsi all'esame non potrà comportare conseguenze pregiudizievoli per l'imputato) (Cass. S.U., n. 27620/2016).

Casistica

L'acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente, nei cui confronti non siano emersi elementi indizianti di uso non personale, deve essere sentito nel corso delle indagini preliminari come persona informata dei fatti, essendo irrilevante, a tal fine, che egli possa essere soggetto a sanzione amministrativa per l'uso personale: ne consegue la utilizzabilità delle dichiarazioni rese in tale veste (S.U. , n. 21832/2007).

L'acquirente di modiche quantità di sostanza stupefacente, nei cui confronti non siano emersi elementi indizianti di uso non personale, deve essere sentito nel corso delle indagini preliminari come persona informata dei fatti e come testimone in dibattimento, essendo irrilevante, a tal fine, che egli possa essere soggetto a sanzione amministrativa per l'uso personale, derivando da ciò la utilizzabilità delle dichiarazioni rese nelle rispettive qualità (Cass. III, n. 2441/2015).

Si è invece affermato che il venditore della sostanza stupefacente non può essere sentito in qualità di testimone assistito, ma solo in qualità di imputato di reato connesso, nel dibattimento a carico dell'acquirente della stessa sostanza, atteso che egli è concorrente necessario nel reato contestato a quest'ultimo (Cass. VI, n. 12610/2010).

In senso contrario , altra più recente decisione (Cass. II, n. 7802/2020), premesso che l'art. 210 c.p.p. disciplina l'esame delle persone che non possono assumere l'ufficio di testimone, mentre l'art. 197-bis, comma 2, c.p.p., stabilisce, diversamente, che può assumere l'ufficio di testimone l'imputato in procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), c.p.p., o di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p. nel caso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p., ha rilevato che, nel caso specificamente esaminato ricorreva quest'ultimo presupposto (poiché il dichiarante minorenne era imputato di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), c.p.p., mentre l'imputato era stato chiamato a rispondere non soltanto di concorso in cessione di sostanze stupefacenti al minorenne, ma anche di estorsione in danno del predetto, finalizzata ad ottenere il pagamento del prezzo della predetta cessione; ricorreva, altresì, il caso previsto dall'art. 64, comma 3, lett. c), c.p.p.).

Pertanto, tra il venditore, o cedente, della sostanza stupefacente e l'acquirente che intenda effettuare successive vendite o cessioni illecite non ricorre un'ipotesi di concorso di persone ex art. 110 c.p., atteso che i soggetti contraenti pongono in essere ciascuno una delle diverse ed autonome condotte monosoggettive previste dall'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; ne consegue che, ove si proceda nei confronti dei predetti separatamente, l'acquirente, ricorrendone i presupposti, può essere esaminato ai sensi dell'art. 197-bis, comma 2, c.p.p. (Cass. II, n. 7802/2020).

Sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di violenza sessuale che sia stata denunciata dall'imputato dello stesso reato per calunnia, in quanto in tal caso non ricorre l'ipotesi di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre e non trovano conseguentemente applicazione le disposizioni di cui agli artt. 64, 197, 197-bis e 210 (Cass. III, n. 26409/2013).

Sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di concussione che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto l'incompatibilità non sussiste nel caso in cui i reati reciprocamente commessi si collochino in contesti spaziali e temporali diversi (Cass. VI, n. 6938/2019).

Sono utilizzabili le dichiarazioni rese in qualità di testimone dalla persona offesa del reato di truffa che sia stata a sua volta denunciata dall'imputato per calunnia, in quanto una lettura costituzionalmente orientata della previsione contenuta nell'art. 371, comma secondo, lett. b), c.p.p., impone di escluderne dall'applicazione quei reati che, seppure formalmente reciproci, siano stati commessi in contesti spaziali e temporali del tutto diversi (Cass. II, n. 4128/2015).

In tema di immigrazione clandestina , sono utilizzabili, in quanto hanno natura testimoniale , le dichiarazioni rese spontaneamente alla P.G. da parte di migranti nei confronti di membri dell'equipaggio che ha effettuato il trasporto illegale, non essendo configurabile nei confronti dei migranti il reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286 del 1998 – con conseguente necessità di riscontri alle dichiarazioni rese quali chiamanti in correità o reità – considerato che l'ingresso nel territorio dello Stato è avvenuto nell'ambito di un'attività di soccorso e che non è configurabile il tentativo di ingresso illegale, trattandosi di una contravvenzione (Cass. S.U., n. 40517/2016).

Devono ritenersi dichiarazioni testimoniali e sono pienamente utilizzabili i contributi dichiarativi resi alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari da migranti soccorsi in acque internazionali e trasportati su territorio nazionale, non potendo configurarsi nei loro confronti il reato di cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, né potendo ipotizzarsi che il pericolo di vita, cui è seguita l'azione di salvataggio, sia stato dagli stessi previsto e artatamente creato (Cass. I, n. 53691/2016).

In tema di criminalità organizzata , con riferimento alle speciali tecniche di investigazione preventiva previste dalla l. n. 146/2006 (di ratifica della Convenzione ONU contro il crimine organizzato), e alla figura dell'agente infiltrato o sotto copertura, qualora questi commetta azioni illecite diverse da quelle dichiarate non punibili (art. 9 legge citata), ed esorbiti dai limiti legislativi posti alla sua azione così determinando con il suo comportamento fatti penalmente rilevanti, egli assume la figura di coimputato in procedimento connesso o collegato, e di conseguenza, alle sue dichiarazioni si applica la disciplina di cui agli artt. 192 e 210 (Cass. II 38488/2008. Ha specificato peraltro la Corte che, laddove l'agente sotto copertura operi entro i limiti di legge, alla sua testimonianza circa quanto da lui appreso dall'imputato durante le investigazioni non si applica l'art. 62 posto che il divieto ivi previsto non attiene alle dichiarazioni che costituiscano o accompagnino la condotta criminosa direttamente riferita dall'agente infiltrato).

È compatibile con l'ufficio di testimone, in quanto non assume in nessun momento procedimentale la posizione di indagato di reato connesso o collegato, l'agente di polizia che – in esecuzione dell'ordine di servizio di inserirsi in un traffico illecito di sostanze stupefacenti – contatti i venditori, simuli di voler acquistare una quantità di droga e si rechi sul posto convenuto per la consegna di essa – pur in ipotesi di inapplicabilità dell'art. 97 d.P.R. n. 309 del 1990 per carenza dei requisiti soggettivi ivi previsti –, attività tutte scriminate dall'adempimento di un dovere (Cass. IV, n. 9188/2010. Fattispecie nella quale è stata esclusa l'incompatibilità con l'ufficio di testimone a carico di un vicebrigadiere che si era limitato ad acquistare la sostanza stupefacente offertagli da uno spacciatore, senza indurlo a ciò con attività di provocazione).

Non è causa né di nullità né di inutilizzabilità delle relative dichiarazioni l'esame di un soggetto esaminato con le garanzie di cui all'art. 210, pur non ricorrendone gli estremi (Cass. V, n. 48274/2004).

L'esame dell'imputato di reato connesso, che sia anche costituito parte civile, è validamente compiuto con l'assistenza dell'avvocato nominato per l'esercizio dell'azione civile. (Cass. I, n. 22749/2009).

La qualificazione di imputato di reato connesso assunta nel corso del dibattimento, con l'applicazione delle maggiori garanzie previste dagli artt. 64 e 210, successivamente modificata – a seguito degli elementi emersi in ordine alla «provata condotta illecita» di cui all'art. 500, comma 4, – in quella di testimone «intimorito», non esclude l'utilizzabilità delle dichiarazioni dello stesso teste contenute nel fascicolo del P.M. ed acquisite al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 500, comma quarto (Cass. II, n. 846/2004. Nella specie la S.C. ha ritenuto immune da censure l'iter seguito dal Tribunale, il quale in un primo tempo ha ritenuto di interrogare il teste, essendosi prospettata l'astratta possibilità della responsabilità per il reato di favoreggiamento, con le garanzie previste dagli artt. 64 e 210, modificando poi tale valutazione essendo emersi elementi che escludevano i presupposti per una accusa di favoreggiamento ed evidenziavano la sussistenza della «provata condotta illecita» di cui all'art. 500, comma 4).  

Bibliografia

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