Codice di Procedura Penale art. 220 - Oggetto della perizia.

Aldo Aceto

Oggetto della perizia.

1. La perizia è ammessa [398, 495] quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche [141-bis, 268 7, 299 4-ter] (1).

2. Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato [102-105 c.p.], la tendenza a delinquere [108 c.p.], il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche (2).

(1) V. art. 16 l. 15 febbraio 1996, n. 66.

(2) V. art. 71-bis l. 27 luglio 1975, n. 354 e art. 31 l. 10 ottobre 1986, n. 663.

Inquadramento

L’accertamento del fatto può richiedere competenze tecniche, scientifiche o artistiche, non solo nella sua ricostruzione postuma, ma anche nell’acquisizione della relativa informazione probatoria. La perizia veicola saperi e competenze nel processo rendendo oggettivo e verificabile il criterio utilizzato dal giudice nell’acquisizione del risultato e nella sua valutazione.

La natura della perizia

La perizia è mezzo di prova scientifico che può essere disposto d'ufficio o su richiesta di parte (art. 508); è mezzo di prova “neutro” sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice (così Cass. S.U., n. 39746/2017, che ne ha tratto la conseguenza per la quale la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva; si veda, al riguardo, il commento dell'art. 606, § 4.4.).

La norma usa un termine ambivalente, “ammessa”, che può essere inteso in due modi : a) come termine che qualifica la perizia come mezzo di prova riconosciuto (e dunque ammesso) dall'ordinamento processual-penalistico ai fini indicati dalla norma in commento; b) come termine che descrive l'attività del giudice di ammissione della prova (ma l'art. 224 usa il verbo “dispone”).

Le parti, però, possono solo sollecitare la perizia, non hanno il diritto alla sua ammissione , potendo il giudice riservarsi la facoltà di decidere come di non decidere sulla relativa istanza, con la conseguenza che l'ordinanza che l'ammetta, così come la decisione contraria o la semplice mancata decisione sul punto non sono di per sé impugnabili. La decisione del giudice di non ammettere la perizia può viziare il percorso argomentativo della sentenza nella parte in cui deve dar conto dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati con riferimento a tutti gli aspetti della regiudicanda: a) accertamento del fatto; b) accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali; c) punibilità e determinazione della pena e/o della misura di sicurezza; d) responsabilità civile derivante da reato (art. 546, co. 1). Ed è solo in tale contesto che la decisione del giudice può essere censurata in sede di impugnazione (si vedano, al riguardo, le pronunce riportate nella Casistica).

Occorre esser chiari sul punto: il fatto che le parti (pubblica e privata) non abbiano il diritto alla ammissione della perizia non esclude, una volta che la perizia sia stata ammessa, il diritto della parte stessa a chiedere l'esame del perito; ché, anzi, la relativa richiesta deve essere preceduta dall'indicazione del perito stesso nella lista testimoniale di cui all'art. 468, co. 1. Il che presuppone che la perizia sia stata precedentemente svolta, magari in sede di incidente probatorio (art. 392, lett. f). In tal caso è lo stesso giudice che dispone d'ufficio la citazione del perito nominato nell'incidente probatorio (art. 468, u.c.).

La perizia è, infatti, prova dichiarativa che viene veicolata nel processo mediante l'esame del perito (art. 501, co. 1); l'acquisizione dell'elaborato scritto costituisce una possibilità (art. 227, 501, co. 2; possibilità ormai diventata prassi quotidiana espressamente codificata dall'art. 501, co. 1-bis) che non muta la natura della prova a meno che le parti concordino l'acquisizione dell'elaborato peritale senza procedere all'esame del perito (art. 511, co. 2 e 3; nel senso che le dichiarazioni rese dal perito o dal consulente tecnico nel corso del dibattimento, in quanto veicolate nel processo a mezzo del linguaggio verbale, costituiscono prove dichiarative, Cass. S.U. n. 14426/2019, secondo cui in tal caso sussiste, per il giudice di appello che, sul diverso apprezzamento di esse, fondi, sempre che decisive, la riforma della sentenza di assoluzione, l'obbligo di procedere alla loro rinnovazione dibattimentale attraverso l'esame del perito o del consulente, mentre analogo obbligo non sussiste ove la relazione scritta del perito o del consulente tecnico sia stata acquisita mediante lettura, ivi difettando la natura dichiarativa della prova; nel senso che la prova è costituita dalle dichiarazioni rese dal perito in sede di esame dibattimentale, cfr. Cass. IV, n. 31404/2010, citata in commento all'art. 231).

La perizia come prova scientifica

La perizia è ammessa quando occorre compiere attività che richiedono specifiche competenze: a) tecniche; b) scientifiche; c) artistiche; competenze che, pertanto, debbono ritenersi, per definizione, escluse dalle cognizioni del giudice e, in genere dalle nozioni di comune esperienza (Cass. I, n. 11706/1993).

Le attività processuali alle quali tali competenze possono essere applicate sono le seguenti: a) svolgimento di indagini; b) acquisizione di dati; c) valutazioni (nel senso che il perito non deve solo dedurre da elementi conoscitivi preesistenti al suo incarico, ma anche introdurre elementi nuovi di conoscenza, la dottrina distingue le figure del perito deducente e del perito percipiente; cfr., Palladino, pag. 348, e gli autori ivi richiamati).

Il giudice non può avvalersi direttamente di proprie, personali, competenze scientifiche e tecniche , perché l'impiego della scienza privata costituisce una violazione del principio del contraddittorio nell'“iter” di acquisizione della prova e del diritto delle parti di vedere applicato un metodo scientifico e di interloquire sulla validità dello stesso (Cass. I, n. 19822/2021; Cass. IV, n. 54795/2017). Il giudice può ritenere superflua la perizia solo quando pensi di poter giungere alle medesime conclusioni di certezza sulla base di altre e diverse prove (Cass. V, n. 9047/1999; si vedano anche le pronunce riportate nella Casistica); ne consegue che egli non può disattendere i risultati di una perizia sulla sola base della propria scienza personale derivante da incerti e generici elementi non specialistici, essendo tenuto a risolvere i dubbi e i punti critici mediante l'esame dell'ausiliario o la nomina di un altro perito (Cass. II, n. 9358/2015). Sicché, il giudice, qualora si discosti dalle conclusioni del perito, è tenuto a motivare il proprio convincimento con criteri che rispondano ai principi scientifici oltreché logici, ed in particolare, sviluppandosi l'“iter” diagnostico dei periti attraverso due operazioni successive, connesse ed interdipendenti in relazione al risultato finale, ovverossia la percezione dei dati storici e il successivo giudizio diagnostico fondato sulla prima, è su tale percezione che il giudice deve portare la sua indagine, discostandosi dalle conclusioni raggiunte quando queste si basino su dati fattuali dimostratisi erronei che, viziando l'“iter” logico dei periti, rende inattendibili le loro conclusioni (Cass. IV, n. 37785/2020, in fattispecie relativa a perizia sull'inidoneità a testimoniare di persona minore di anni dieci; Cass. I, n. 24082/2017 in tema di perizia psichiatrica).

Per altro verso, il giudice può porre a fondamento della decisione una teoria non sottoposta al vaglio della comunità scientifica o non ancora accreditata presso di essa a condizione che risultino idoneamente documentati, da un lato, la base scientifica d'indagine, gli studi pregressi, i fondamentali criteri oggettivi ed i riscontri fattuali a supporto della teoria medesima e, dall'altro, le caratteristiche di professionalità, qualificazione ed indipendenza di chi ne è autore (Cass. I, n. 27115/2020; Cass. IV, n. 45935/2019). Anche la sentenza di condanna che si fondi sulla sola consulenza tecnica di parte civile deve dare adeguata spiegazione delle ragioni per le quali, a fronte della richiesta dell'imputato di perizia, gli esiti di detta consulenza vengano ritenuti esaustivi e incontrovertibili giacché la regola di giudizio dell'“aldilà ogni ragionevole dubbio” impone al giudice l'adozione di un metodo dialettico di verifica dell'ipotesi accusatoria (Cass. IV, n. 28102/2019).

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, il perito assume una posizione processuale diversa rispetto a quella del consulente di parte, chiamato a prestare la sua opera nel solo interesse di colui che lo ha nominato, senza assumere l'impegno di cui all'art. 226, con la conseguenza che il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni del perito, in difformità da quelle del consulente di parte, non è tenuto a fornire autonoma dimostrazione dell'esattezza scientifica delle prime e dell'erroneità delle seconde, dovendosi considerare sufficiente, al contrario, che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni del perito, senza ignorare le argomentazioni del consulente (Cass. III, n. 17368/2019 secondo cui può ravvisarsi vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e, solo qualora risulti che le conclusioni del consulente siano tali da dimostrare la fallacia di quelle peritali recepite dal giudice; in senso conforme, Cass. V, n. 18975/2017; Cass. VI, n. 5749/2014; Cass. I, n. 25183/2009; si veda anche Cass. III, n. 13997/2017, secondo cui, in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento del giudice, attingibile da qualsiasi atto legittimamente acquisito al processo, il giudice del merito può trarre argomento di convinzione dalla relazione del consulente tecnico di parte, così come può non condividerne le conclusioni, privilegiando quelle rassegnate dal perito d'ufficio, ma in tal caso deve provvedere alla esposizione sintetica delle ragioni che lo hanno indotto a non ritenere valido il parere del tecnico di parte). Secondo Cass. I, n. 11706/1993, posto che la perizia viene disposta, come previsto dall'art. 220, “quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche” (competenze che, pertanto, debbono ritenersi, per definizione, escluse dalle cognizioni del giudice e, in genere dalle nozioni di comune esperienza), ne deriva che sarebbe contraddittorio pretendere dal giudice la autonoma dimostrazione della esattezza delle conclusioni raggiunte dal perito, quando a tali conclusioni egli ritenga di prestare adesione, dovendosi invece ritenere sufficiente che dalla motivazione del provvedimento giurisdizionale risulti come detta adesione non sia stata acritica e passiva, ma sia stata frutto di attento e ragionato studio, necessariamente condotto, peraltro, nel presupposto che le suddette conclusioni peritali, sia per la “particolare competenza” di cui il perito deve presumersi fornito (art. 221), sia per l'impegno che egli deve assumere all'atto del conferimento dell'incarico (art. 226), siano, fino a prova contraria, affidabili.

L’oggetto della perizia

Il campo di applicazione della perizia è vastissimo; il codice ne indica alcuni: a) accertamenti sulla capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo (art. 70); b) riproduzione fonografica o audiovisiva dell'interrogatorio di persona in stato detenzione (art. 141-bis, che subordina tale possibilità alla contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico); c) trascrizione delle registrazioni intercettate (art. 268, co. 7); d) accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni e qualità personali della persona sottoposta a misura cautelare che ne abbia chiesto la revoca o la sostituzione per motivi, appunto, di salute, quando il giudice non sia in grado di decidere in base agli atti (art. 299, c. 4-bis); e) prelievo di capelli, di peli, di mucosa del cavo orale per la determinazione del profilo del DNA e, più in generale, per accertamenti medici (art. 224-bis, co. 1); f) falsificazione di biglietti di banca o di monete metalliche (cd. perizia nummaria, art. 74, disp. att.); g) falsità in atti (art. 75, disp. att.).

Le competenze scientifiche applicabili al processo sono indicate, in modo non tassativo, dall'art. 67, co. 1, disp. att.: medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e comparazione della grafia.

Competenze tecniche sono analiticamente indicate nelle tabelle concernenti la misura degli onorari dei periti e dei consulenti tecnici allegata al D.M. (Giustizia) 30 maggio 2002. Per quanto riguarda lo specifico campo penale vengono in rilievo le seguenti materie: a) amministrativa, contabile e fiscale (art. 2); b) bilancio e relativo conto dei profitti e perdite, inventari, rendiconti e situazioni contabili (artt. 4 e 5); c) opere di pittura, scultura e simili (art. 9); d) rispondenza tecnica alle prescrizioni di progetto (reati edilizi), rilievi topografici, planimetrici e altimetrici, misura di fondi rustici, rilievi di strade e aree fabbricabili (art. 12); e) cave, miniere, minerali, sostanze solide, liquide, gassose (art. 14); f) infortunistica del traffico e della circolazione (art. 17), g) esplosivi, armi, proiettili e bossoli (art. 18); h) geomorfologia applicata, idrogeologia, geologia applicata, stabilità dei pendii (art. 19); i) visita medico-legale, ispezione esterna di cadavere, autopsia (art. 20); l) accertamenti medici diagnostici, identificazione agenti patogeni (art. 21); m) esame alcoolimetrico (art. 22); n) ricerca del tasso percentuale carbossiemoglobinemico (art. 23); o) psichiatria o criminologia (art. 24); p) diagnosi su materiale biologico o su tracce biologiche, indagini biologiche o valutazioni sui risultati di indagini di laboratorio su tracce biologiche (art. 25); q) accertamenti diagnostici su animali (visita o esame necroscopico; art. 26); r) accertamenti tossicologici su reperti biologici e non biologici; s) accertamenti chimico-tossicologici aventi ad oggetto la ricerca quantitativa o qualitativa completa generale incognita delle sostanze inorganiche, organiche volatili e organiche non volatili nonché di agenti patogeni; accertamenti delle alterazioni o impurità di qualsiasi sostanza; identificazione di agenti patogeni, infettanti, infestanti e inquinanti; inquinamento acustico (art. 28).

L'attività peritale implica apprezzamenti e valutazioni e non va confusa con le attività materiali che il perito può delegare ad un ausiliario (per esempio, la somministrazione di test psicologici; così Cass. III, n. 36231/2020; nello stesso senso Cass. III, n. 11096/2014 in tema di “anamnesi”, consistente nella raccolta dal paziente o dai suoi familiari di notizie, informazioni o dati necessari ad indirizzare l'esperto verso una diagnosi; Cass. I, n. 32925/2005, in tema di esecuzione di analisi di laboratorio).

Occorre però precisare che anche le attività materiali che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche devono essere svolte da chi sia in possesso di tali competenze (e sia titolato a farle); sicché quando la giurisprudenza afferma che le “attività materiali” (il più delle volte consistenti nella acquisizione del dato scientifico oggetto di successiva valutazione) possono essere delegate dal perito ad un ausiliario non esclude che per lo svolgimento di tali attività sia comunque necessaria una specifica competenza tecnica né che, quando l'indagine si risolva nella solo esecuzione dell'analisi, non sia necessario procedere a perizia (come nel caso, per esempio, dell'accertamento, mediante analisi, della quantità di principio attivo presente nella sostanza stupefacente). Se però le prestazioni dell'ausiliario, di carattere intellettuale o tecnico, hanno propria autonomia rispetto all'incarico affidato, il giudice deve conferire autonomo incarico peritale (art. 54, d.P.R. n. 115/2002).

Nella fase della cognizione la perizia non è ammessa per stabilire: a) l'abitualità o la professionalità nel reato; b) la tendenza a delinquere; c) il carattere e la personalità dell'imputato e, più in generale, le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. La perizia è perciò consentita per accertare l'esistenza di patologie (mentali) che possano aver viziato, in tutto o in parte, la capacità di intendere e di volere al momento del fatto e/o che possano rendere la persona sottoposta alle indagini o imputata socialmente pericolosa, che possono alterare la capacità, come detto, di partecipare al processo o di rendere testimonianza.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, il divieto di perizie sul carattere, sulla personalità e sulle qualità psichiche (indipendenti da cause patologiche) dell'imputato posto dall'art. 220, comma secondo, non si estende anche alla persona offesa-teste, la cui deposizione, proprio perché essa può essere assunta da sola come fonte di prova, deve essere sottoposta a una rigorosa indagine positiva sulla credibilità anche soggettiva, che deve essere verificata pure sotto il profilo della capacità di testimoniare ai sensi del secondo comma dell'art. 196 stesso codice: la verifica della “idoneità mentale” è rivolta ad accertare se la persona offesa sia stata nelle condizioni di rendersi conto dei comportamenti tenuti in pregiudizio della sua persona e del suo patrimonio e sia in grado poi di riferire in modo veritiero siffatti comportamenti. Ciò non significa che sia possibile demandare ad un perito la verifica dell'attendibilità del testimone, ma non esclude che il giudice possa ritenere utile un apporto di specifiche competenze tecnico-scientifiche: al giudicante spetta pur sempre l'ultima parola attraverso il vaglio critico delle nozioni acquisite alle quali non inserisce alcuna deterministica valenza ai fini decisionali (Cass. III, n. 37402/2006 che ha affermato che compete al giudice il vaglio critico sugli elementi acquisiti e la valutazione circa la opportunità e/o necessità di un accertamento peritale che, senza demandare al perito la verifica dell'attendibilità del testimone, apporti specifiche competenze tecnico-scientifiche; nello stesso senso Cass. III, n. 794/1996).

La perizia non può essere utilizzata come strumento per appaltare a terzi compiti esclusivi del giudice quali quello di accertare la legittimità di un provvedimento o la credibilità del testimone (Corte cost., n. 185/1989: l'art. 108 Cost., che è diretto a tutelare l'indipendenza di chiunque partecipi all'amministrazione della giustizia con poteri e funzioni di natura giurisdizionale, non si estende al perito che, pacificamente, non svolge funzioni giurisdizionali ma è investito del compito di svolgere un'attività ausiliaria il cui regolare svolgimento il legislatore ordinario ha inteso garantire con lo strumento della ricusazione, a prescindere dalla esigenza costituzionale garantita dall'art. 108 Cost.; vedi commento dell'art. 223).

Il principio che la valutazione della attendibilità delle dichiarazioni rese dal testimone è compito esclusivo del giudice, è stato reiteratamente affermato dalla giurisprudenza (Cass. III, n. 189/2021; Cass. III, n. 47033/2015; si veda anche la giurisprudenza riportata nella Casistica in tema di vittime minorenni di abusi sessuali). Cass. I, n. 7385/1992, ne ha tratto argomento per affermare che l'intervento e l'assistenza alle operazioni peritali, anche per mezzo di un consulente tecnico di parte, è un diritto riservato all'imputato sottoposto a perizia, e non già a coimputati interessati non tanto all'accertamento della capacità di intendere e di volere del primo, quanto all'attendibilità dello stesso, accertamento che non può essere fatto oggetto di indagine peritale.

Casistica

In tema di prova scientifica, il giudizio di attendibilità di una teoria deve tener conto degli studi che la sorreggono e delle basi fattuali sui quali sono condotti, dell'ampiezza, della rigorosità e dell'oggettività della ricerca, del grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi, della discussione critica che ha accompagnato l'elaborazione dello studio e delle opinioni dissonanti che si siano eventualmente formate, dell'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica, del grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica, nonché dell'autorità e dell'indipendenza di chi ha effettuato la ricerca (Cass. V, n. 1801/2022).

In tema di prova scientifica, la perizia rappresenta un indispensabile strumento euristico nei casi in cui l'accertamento dei termini di fatto della vicenda oggetto del giudizio imponga l'utilizzo di saperi extragiuridici e, in particolare, qualora si registrino difformi opinioni, espresse dai diversi consulenti tecnici di parte intervenuti nel processo, di talché al giudice è chiesto di effettuare una valutazione ponderata che involge la stessa validità dei diversi metodi scientifici in campo, della quale è chiamato a dar conto in motivazione, fornendo una razionale giustificazione dell'apprezzamento compiuto e delle ragioni per le quali ha opinato per la maggiore affidabilità di una determinata scuola di pensiero rispetto ad un'altra (Cass. IV, n. 49884/2018).

La violazione o l'errata applicazione di protocolli di indagine in materia di repertazione e analisi degli elementi di prova, che contengono regole condivise di carattere tecnico-scientifico, non costituisce motivo di nullità o inutilizzabilità della prova acquisita, potendo, al più, incidere sull'attendibilità degli esiti della stessa, valutazione di fatto insindacabile nel giudizio di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità della motivazione (Cass. V, n. 8893/2021).

Il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, richiesto dell'applicazione di una misura cautelare personale, disponga d'ufficio una perizia per accertare l'imputabilità e la capacità processuale dell'indagato non è abnorme, in quanto non è avulso dall'ordinamento processuale, posto che, in astratto, al giudice per le indagini preliminari è riconosciuta la possibilità di disporre la perizia sulle condizioni personali dell'indagato, sia dall'art. 70 cod. proc. pen. che dall'art. 299, comma 4-ter, cod. proc. pen., né determina una anomala stasi del procedimento e l'impossibilità di proseguirlo (Cass. VI, n. 5496/2021, che ha precisato che, pur non ricorrendo un'ipotesi di abnormità, la perizia era stata illegittimamente disposta, in quanto il giudice per le indagini preliminari, dubitando della capacità dell'imputato, avrebbe potuto disattendere la richiesta cautelare non ritenendo sussistenti tutti i presupposti legittimanti della stessa, anziché esercitare un potere istruttorio non riconosciutogli in quella fase).

In tema di custodia cautelare in carcere, nel caso di istanza difensiva di revoca o di sostituzione della misura basata sulle condizioni di salute incompatibili con la detenzione, la nomina del perito per gli accertamenti medici del caso, di cui all'art. 299, comma 4-ter, seconda parte, cod. proc. pen., non comporta necessariamente che il conferimento dell'incarico sia fatto in contraddittorio, atteso che il rinvio della disposizione da ultimo richiamata agli artt. 220 e ss. cod. proc. pen. non implica la pedissequa ed integrale applicazione delle prescrizioni relative alla perizia, spettando al giudice il compito di assicurare il nucleo fondamentale del contraddittorio tra le parti (tramite comunicazione alla difesa del provvedimento di nomina del perito e la partecipazione, previa rituale convocazione, dei consulenti di parte alle operazioni peritali), coniugando la terzietà e completezza dell'accertamento con forme e tempi compatibili con la gravità della situazione dedotta (Cass. I, n. 46604/2019).

In tema di misure cautelari, il giudice che non ritenga condivisibili le conclusioni del perito concernenti le condizioni di salute dell'indagato e la compatibilità delle stesse con lo stato di detenzione in carcere, è tenuto, mediante una specifica e compiuta motivazione, a dare conto delle ragioni della scelta operata e dei motivi per i quali ritenga di non fare proprie le valutazioni medico-legali formulate dal perito (Cass. VI, n. 51652/2016, che ha annullato con rinvio l'ordinanza con la quale il tribunale della libertà, disattendendo le conclusioni del perito, aveva confermato il provvedimento di rigetto dell'istanza di sostituzione della custodia cautelare affermando, solo in astratto, la possibilità di somministrare le cure necessarie in ambiente carcerario a fronte di una situazione di “massima urgenza” evidenziata dal perito); conf. Cass. II, n. 29144/2008.

In sede di riesame o di appello avverso una misura cautelare reale, il tribunale non è tenuto a dirimere le questioni tecniche e contabili per la cui risoluzione è necessario il ricorso ad un accertamento peritale, costituendo questo un mezzo istruttorio incompatibile con l'incidente cautelare (Cass. III, n. 19011/2015).

Sulla incompatibilità dell'accertamento peritale nella fase del riesame o dell'appello cautelare (personale o reale), cfr., Cass. VI, n. 53834/2017, Cass. III, n. 33602/2015.

In tema di stupefacenti, il giudice non è tenuto a procedere a perizia o ad accertamento tecnico per stabilire la qualità e la quantità del principio attivo di una sostanza drogante, in quanto può attingere tale conoscenza anche da altre fonti di prova acquisite agli atti, fermo restando il rigoroso rispetto dell'obbligo di motivazione (Cass. III, n. 15137/2019; Cass. III, n. 18611/2019; Cass. IV, n. 22238/2014; Cass. VI, n. 47523/2013; contra, ma solo apparentemente, Cass. III, n. 44420/2013, che ha annullato senza rinvio la condanna per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 3090, in quanto fondata sui soli esiti di sequestro di modestissimo quantitativo di stupefacente, cui non aveva fatto seguito alcun accertamento tecnico per quantificare la percentuale e la quantità di principio attivo effettivamente presente).

In tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, l'accertamento svolto con “narcotest” consente di provare la natura stupefacente di una determinata sostanza, ma non fornisce la prova relativa alla quantità del principio attivo contenuto (Cass. VI, n. 6069/2017che, in applicazione di tale principio, ha derubricato la contestazione originaria nell'ipotesi meno grave prevista dall'art. 73, c. 5, d.P.R. n. 309/1990 che, invece, non era stata riconosciuta sulla base del solo “narcotest”, senza che fosse stata accertata la quantità di principio attivo);Cass. VI, n. 2599/2022;Cass. III, n. 22498/2015, secondo cui per stabilire l'effettiva natura stupefacente di una determinata sostanza è sufficiente il narcotest, senza che sia indispensabile far ricorso ad una perizia chimica tossicologica, che è necessaria, invece, ove occorra valutare l'entità o l'indice dei principi attivi contenuti nei reperti.

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 697 cod. pen., non è indispensabile disporre perizia per accertare l'efficienza delle munizioni, potendo il giudice trarre anche da altri elementi il suo convincimento, purché adeguatamente motivato (Cass. I, n. 12620/2019, in un caso in cui l'efficienza delle cartucce, detenute dall'imputato all'interno di un pacchetto di sigarette riposto in un mobile del suo appartamento, è stata desunta dalle accurate modalità di conservazione in ambiente chiuso e protetto rispetto a possibili fonti di compromissione della capacità esplodente; Cass. I, n. 45217/2013).

Non si configura un vizio di motivazione della sentenza che utilizzi i risultati della consulenza tecnica del pubblico ministero escludendo la necessità di una perizia, in difetto di un effettivo e documentato contrasto con la tesi contrapposta prospettata dal consulente dell'imputato (Cass. I, n. 52872/2018 che ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso con cui l'imputato aveva dedotto il vizio di motivazione della sentenza di appello in relazione alla omessa rinnovazione del dibattimento attraverso una perizia genetica, rilevando che nel corso del giudizio di merito lo stesso imputato non aveva depositato alcuna consulenza o memoria a firma dei propri esperti, il cui apporto era stato limitato a sporadiche argomentazioni critiche sui singoli dettagli dell'attività tecnica svolta).

In tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al relativo sapere, che include la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto; ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se congruamente argomentato (Cass. I, n. 58465/2018; Cass. V, n. 6754/2015).

Nel giudizio di legittimità, l'accertamento peritale può essere oggetto di esame critico da parte del giudice solo nei limiti del cd. travisamento della prova , che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità” (Cass. I, n. 51171/2018 che, in applicazione di tale principio, ha disatteso le censure volte a contestare il risultato di due perizie psichiatriche, disposte in entrambi i gradi di merito, che avevano concordemente condotto alla conclusione della capacità di intendere e di volere dell'imputato al momento del fatto, collocando l'insorgenza del disturbo depressivo bipolare di cui il medesimo era risultato affetto nella fase successiva alla carcerazione; nello stesso senso, Cass. I, n. 47252/2011).

In tema di perizia, la visione parziale degli atti, dei documenti e delle cose prodotti delle parti non determina alcuna nullità e/o inutilizzabilità, in assenza di espresse previsioni di legge, ma può eventualmente riverberarsi sull'affidabilità delle considerazioni conclusive espresse dal perito, la cui valutazione, rimessa al libero convincimento del giudicante, è sottratta al sindacato di legittimità se congruamente motivata ed immune da vizi logici (Cass. III, n. 11096/2014).

In tema di valutazione della perizia psichiatrica, sviluppandosi l'“iter” diagnostico dei periti attraverso due operazioni successive, connesse ed interdipendenti in relazione al risultato finale, cioè la percezione dei dati storici e il successivo giudizio diagnostico fondato sulla prima, il giudice deve discostarsi dalle conclusioni raggiunte quando queste si basano su dati fattuali dimostratisi erronei che, viziando il percorso logico dei periti, rende inattendibili le loro conclusioni (Cass. I, n. 24082/2017, che ha annullato la decisione della Corte di assise di appello che, senza mettere in discussione la correttezza del dato fattuale accertato in sede peritale, riguardante l'esistenza di un disturbo della personalità dell'imputato riconducibile al novero delle infermità mentali rilevanti ex art. 89 c.p., ha disatteso, in assenza di un adeguato supporto scientifico, il giudizio diagnostico successivo, avente ad oggetto l'esistenza di una relazione causale dello stato viziato di mente con il delitto di omicidio commesso dall'imputato); nello stesso senso, Cass. IV, n. 37785/2020; Cass. II, n. 43923/2013; Cass. I, n. 2268/1991, secondo cui al giudice è attribuita la facoltà di discostarsi dalle conclusioni del perito, ma gli compete l'obbligo di motivare il proprio convincimento con criteri che rispondano ai principi scientifici oltreché logici. In particolare, dato che l'“iter” diagnostico dei periti si sviluppa attraverso due operazioni successive, connesse ed interdipendenti in relazione al risultato finale, cioè percezione dei dati storici e successivo giudizio diagnostico fondato sulla prima, è su questa percezione che il giudice deve portare la sua indagine, discostandosi dalle conclusioni raggiunte quando queste si basano su dati fattuali dimostratisi erronei, errore che viziando l'iter logico dei periti rende inattendibili le loro conclusioni.

Il giudice che abbia condiviso le conclusioni del perito di ufficio anche per ciò che concerne l'analitica confutazione delle deduzioni di parte, non è tenuto ad una motivazione tecnico-scientifica, da esigere solo quando non ritenga attendibile e scientemente esatte le ragioni peritali officiose (Cass. I, n. 767/1992).

In tema di valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni rese da vittima minorenne, la sottoposizione del dichiarante al c.d. test di Rorschach non costituisce prova decisiva la cui mancata assunzione integra vizio della decisione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera d), cod. proc. pen., in quanto il predetto test rappresenta solo uno dei diversi metodi scientifici di indagine psicologica sulla personalità del minore adoperati per stimarne la maturità psichica e la capacità a testimoniare, il cui utilizzo è rimesso alla discrezionalità del perito (Cass. III, n. 23202/2018, che ha precisato che i test psicologici proiettivi non sono utilizzabili per la specifica valutazione in tema di abuso sessuale, non mettendo in luce significative differenze tra minori abusati e non, per la correlabilità degli elementi clinici a condizioni generali di stress o traumatiche; nello stesso senso,Cass. III, n. 48571/2016).

In tema di violenza sessuale nei confronti di minori, il mancato espletamento della perizia in ordine alla capacità a testimoniare, seppure utile laddove si tratti di minori di età assai ridotta, non determina l'inattendibilità della testimonianza della persona offesa, poiché tale accertamento non costituisce un presupposto indispensabile per la valutazione di attendibilità, ove non emergano elementi patologici che possano far dubitare della predetta capacità (Cass. III, n. 8541/2018; Cass. III, n. 25800/2015 secondo cui la motivazione del giudice di merito dava pienamente conto delle ragioni sulla base delle quali era stata dedotta l'attendibilità del racconto della vittima; Cass. III, n. 38211/2011).

In tema di incidente probatorio, gli incontri preliminari avvenuti previa autorizzazione del giudice tra il minore vittima di abusi sessuali e l'esperto di neuropsichiatria infantile allo scopo di facilitare il contatto personale tra quest'ultimo e la persona offesa, nella prospettiva di agevolare la successiva acquisizione della prova nel contraddittorio delle parti, non comportano alcuna inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal soggetto debole, anche se svolti in assenza del consulente tecnico della difesa (Cass. III, n. 10489/2015che ha giudicato immune da vizi la decisione impugnata che aveva ritenuto attendibile la testimonianza del minore preceduta da incontri preliminari con l'esperto di neuropsichiatria infantile sottoposti a registrazione).

In tema di reati sessuali, è illegittimo il rifiuto del giudice di disporre una perizia psicologica al fine di accertare l'attitudine della persona offesa a testimoniare o l'attendibilità delle sue dichiarazioni solo quando la condotta illecita offenda minori in tenera età e l'accertamento serva a valutare il rischio di eventuali elaborazioni fantasiose proprie dell'età o della struttura personologica del bambino (Cass. III, n. 948/2015 che ha ritenuto legittimo il diniego di perizia psicologica su minore avente, all'epoca di apertura del procedimento, un'età di anni sedici).

In tema di reati sessuali, è illegittimo, per violazione dell'art. 495, comma secondo, cod. proc. pen., il rifiuto del giudice di appello di disporre una perizia psicologica, già invano richiesta in primo grado dall'imputato al fine di accertare l'attitudine a testimoniare della persona offesa minore in tenera età, ove nel provvedimento del giudice non venga fornita adeguata e puntuale motivazione della superfluità del mezzo di prova richiesto, alla luce di diversi, oggettivi e sicuri elementi di prova o di riscontro, non potendo comunque considerarsi tali le valutazioni di tipo psicologico o neuropsichiatrico compiute dagli operatori di una struttura socio-assistenzale, in cui il minore sia ospitato o che frequenti (Cass. III, n. 1752/2017che ha precisato che qualora sia dedotta la violazione del diritto alla prova contraria, garantito anche con riferimento a quel particolare tipo di prova che è la prova scientifica, il giudice di appello deve decidere sulla ammissibilità della richiesta istruttoria attenendosi rigorosamente ai parametri di cui all'art. 190 cod. proc. pen., non potendo invece avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dall'art. 603, stesso codice, in ordine alla valutazione di ammissibilità di prove già acquisite in primo grado ovvero di prove nuove).

Il giudice di appello non può fondare la valutazione di attendibilità del minore in tenera età, vittima di abusi sessuali, sulla consulenza psicologica disposta dal pubblico ministero e sui pareri dei consulenti tecnici di parte, ma deve ordinare la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, qualora sollecitata dalla difesa, disponendo una perizia “personologica” nel contraddittorio delle parti (Cass. III, n. 17339/2013).

La capacità a testimoniare e l'attendibilità delle dichiarazioni del bambino in tenera età, vittima di abusi sessuali, devono essere accertate mediante perizia disposta dal giudice secondo i protocolli convalidati dalla comunità scientifica, le cui risultanze non possono essere sostituite dalle valutazioni psicologiche compiute informalmente dagli operatori in servizio presso la comunità in cui la vittima sia ospitata, sicché, in mancanza di detta perizia, il giudice può valorizzare altri elementi di prova o di riscontro oggettivi di cui deve fornire adeguata e puntuale motivazione (Cass. III, n. 1234/2013; nello stesso senso, Cass. III, n. 1235/2013).

In tema di valutazione dei risultati della perizia sulla capacità a testimoniare dei minori, effettuata con la metodica “step wise interview”, il giudice ha l'onere di verificare soltanto la validità scientifica dei criteri e del procedimento utilizzati dal perito o dal consulente tecnico, con la conseguenza che, stimati questi come validi, gli esiti non potranno essere disattesi sulla base della generica contestazione di una parte circa l'esistenza di una diversa metodologia che avrebbe permesso di conseguire risultati diversi, ove questa non sia adeguatamente supportata da argomenti o elaborati scientifici (Cass. III, n. 44627/2015).

In tema di esame testimoniale della persona minorenne, la scelta del metodo scientifico da utilizzare per valutare la capacità a testimoniare è riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivata (Cass. III, n. 44289/2019).

In tema di incidente probatorio, la preliminare somministrazione di test psicologici ai minori che devono essere ascoltati, volta a verificare la loro capacità a testimoniare ed in funzione preparatoria nell'approccio agli stessi, non ha natura di atto irripetibile e, come tale, non richiede necessariamente la partecipazione in contraddittorio dei consulenti di parte (Cass. III, che ha precisato che, nella fase di materiale somministrazione di test psicologici ai minori, ciò che rileva è la trasparenza della metodologia adottata e la verificabilità dei protocolli seguiti secondo quanto previsto dall'art. 4 della Carta di Noto).

In tema di testimonianza del minore vittima di abusi sessuali, il giudice non è vincolato, nell'assunzione e valutazione della prova, al rispetto delle metodiche suggerite dalla cd. “Carta di Noto”, salvo che non siano già trasfuse in disposizioni del codice di rito con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza, di modo che la loro violazione non comporta l'inutilizzabilità della prova così assunta; tuttavia, il giudice è tenuto a motivare perché, secondo il suo libero ma non arbitrario convincimento, ritenga comunque attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tali metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale sul punto tanto più stringente quanto più grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle citate linee guida (Cass. III, n. 648/2017; Cass. III, n. 39411/2014).

In tema di prova, l'accertamento peritale grafologico è di per sé fortemente condizionato dalla valutazione soggettiva di chi lo conduce, piuttosto che da leggi scientifiche universali, con la conseguenza che legittimamente il giudice, il quale aderisca ad una delle valutazioni tecniche emerse in sede istruttoria, disattendendo le altre, assolve all'onere di motivare le ragioni del suo convincimento mediante l'integrazione della prospettiva tecnico-scientifica, proveniente dall'indagine più propriamente grafologica, con quella logico-indiziaria, relativa al contesto circostanziale di ipotetica redazione dell'atto stesso (Cass. V, n. 18975/2017).

In tema di prova della falsità di un atto, il giudice che, a fronte di pareri tecnici discordanti (nella specie espressi dai consulenti tecnici del pubblico ministero e della parte civile), ritenga di aderire ad uno di essi, deve fornire autonoma, accurata e rigorosa giustificazione delle ragioni di condivisione del medesimo anziché dell'altro o degli altri, tenuto conto che l'accertamento grafologico è di per sé fortemente condizionato dalla valutazione soggettiva di chi lo conduce, piuttosto che da leggi scientifiche universali (Cass. V, n. 23613/2012).

In virtù del principio della libertà della prova e del libero convincimento del giudice, la prova dell'autenticità o della falsità di un atto può essere desunta anche da elementi diversi da una perizia grafica, la quale, per sua natura, ha valore meramente indiziario (Cass. V, n. 18975/2017).

In tema di omicidio imputabile a colpa medica, non è censurabile in sede di legittimità la decisione con cui il giudice di merito, nel contrasto tra opposte tesi scientifiche, all'esito di un accurato e completo esame delle diverse posizioni, ne privilegi una, purché dia congrua ragione della scelta e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di non dover seguire (Cass. IV, n. 15493/2016 che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito che, pur ravvisando l'errore del pediatra, che aveva sottovalutato l'urgenza di un intervento sanitario da eseguirsi in ambiente ospedaliero, ha escluso la sussistenza di un nesso causale con il decesso della paziente, la cui rapida ed irreversibile compromissione dei parametri vitali era stata dovuta a plurimi e gravi errori dell'anestesista rianimatore); conf. Cass. V, n. 9831/2015).

In tema di revisione, agli effetti dell'art. 630 lett. c) cod. proc. pen., una perizia può costituire prova nuova se basata su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e, quindi, suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati (Cass. V, n. 14255/2013 che ha censurato la sentenza della Corte di appello che aveva escluso a priori potesse considerarsi prova nuova una perizia fondata sulla metodologia IAT e TARA, volta a scandagliare la capacità mnemonica di un teste, metodologia illustrata in sede di richiesta di revisione da una consulenza tecnica effettuata come test nei confronti dell'imputato; Cass. VI, n. 34531/2013, che ha censurato la sentenza della Corte di appello che aveva escluso potesse considerarsi prova nuova una perizia sugli esiti di uno “stub” da effettuarsi sulla base della metodica, nuova e successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, dello “spettro di microanalisi”; Cass. I, n. 16455/2005 che, confermando la decisione dei giudici di merito, ha ritenuto che non rappresentino nuove prove neppure gli elementi desumibili da indagini difensive, quando siano posti a fondamento di elaborati peritali che non si basino su nuove acquisizioni scientifiche).

Bibliografia

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