Codice di Procedura Penale art. 233 - Consulenza tecnica fuori dei casi di perizia.

Aldo Aceto

Consulenza tecnica fuori dei casi di perizia.

1. Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici [225, 359; 73 att.; 223 1 coord.]. Questi possono esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie a norma dell'articolo 121 1.

1-bis. Il giudice, a richiesta del difensore, può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, ad intervenire alle ispezioni, ovvero ad esaminare l'oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto. Prima dell'esercizio dell'azione penale l'autorizzazione è disposta dal pubblico ministero a richiesta del difensore. Contro il decreto che respinge la richiesta il difensore può proporre opposizione al giudice, che provvede nelle forme di cui all'articolo 1272 .

1-ter. L'autorità giudiziaria impartisce le prescrizioni necessarie per la conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi e per il rispetto delle persone3 .

2. Qualora, successivamente alla nomina del consulente tecnico, sia disposta perizia, ai consulenti tecnici già nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà previsti dall'articolo 230, salvo il limite previsto dall'articolo 225, comma 1.

3. Si applica la disposizione dell'articolo 225, comma 3.

 

[2] Comma inserito dall'art. 5 l. 7 dicembre 2000, n. 397.

[3] Comma inserito dall'art. 5 l. 7 dicembre 2000, n. 397.

Inquadramento

Il sapere scientifico non è prerogativa del perito: nel processo di parti la scienza può farsi strada anche attraverso i consulenti; è compito del giudice farne buon governo, come di ogni prova, del resto.

La nomina del consulente tecnico

La facoltà delle parti di nominare propri consulenti trova la propria fonte in altre norme del codice di rito: l'art. 359 per il pubblico ministero; l'art. 327-bis per il difensore. La funzione della norma non è dunque quella di attribuire alle parti, pubblica e privata, questa facoltà, bensì di: a) ribadire il libero esercizio di questa facoltà, indipendentemente dal fatto che venga disposta una perizia; b) limitare il numero dei consulenti che ciascuna parte può nominare; c) indicarne le attribuzioni; d) stabilirne le incompatibilità.

La funzione della norma è anche un'altra: stabilire che la conoscenza scientifica non deve essere veicolata nel processo esclusivamente mediante perizia e che il giudice ben può avvalersi dell'apporto fornito dai consulenti di parte, non assumendo il perito il ruolo di “arbitro” chiamato a certificare la validità scientifica di tesi contrapposte. Certo, la funzione del consulente è quella di «sottoporre al giudice pareri qualificati idonei ad indurlo a valutare la convenienza di disporre perizia» (Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale), ma il giudice può liberamente decidere anche sulla base della sola consulenza di parte.

La nomina del consulente in assenza di perizia può essere effettuata in qualunque momento, anche successivamente all'esercizio dell'azione penale con l'unico limite rappresentato dal fatto che, se la nomina interviene dopo il termine previsto dall'art. 468, c. 1, per il deposito delle liste testimoniali, la parte non può chiederne l'esame, salva la possibilità di presentare memorie al giudice o di sollecitarne l'audizione ai sensi dell'art. 507.

Ciò che però deve esser chiaro è il fatto che ciascuna parte è astrattamente libera di nominare quanti consulenti ritenga, i quali possono svolgere il proprio compito nei termini e modi che ciascuna di esse ritiene opportuno, nell'ambito del rapporto, d'ufficio o professionale, che lega gli uni alle altre.

Tale rapporto ha una dimensione “interna” (rapporto con la parte conferente l'incarico) ed una proiezione “esterna” (dimensione “processuale”).

La dimensione “interna” è regolata, per quanto riguarda le parti private, dalle norme del codice civile: il consulente è un prestatore d'opera intellettuale legato alla parte da un contratto, non necessariamente scritto, che ne disciplina prestazioni e compensi (artt. 2229 e segg. c.c.).

Il rapporto che lega il consulente tecnico al pubblico ministero non ha natura contrattuale, trattandosi di ufficio pubblico che ha fonte legale, deve essere formalizzato con atto scritto (la nomina) e deve essere obbligatoriamente espletato (art. 366 c.p.); l'inadempimento non costituisce illecito contrattuale ma, se doloso, costituisce reato (art. 328 c.p.) e comunque condotta sanzionabile ai sensi degli artt. 70 e segg. disp. att. (se il consulente è iscritto all'albo dei periti; non necessariamente deve esserlo; amplius sub art. 359).

Nella sua proiezione esterna, il rapporto che lega la parte al consulente e l'attività di questi sono disciplinate, per l'appunto, dall'art. 233 .

La “nomina” costituisce, in questa prospettiva, non titolo costitutivo del rapporto interno parte/consulente ma fonte di legittimazione (e limite) del suo operato nel processo (e per il processo, come si desume dal comma 1-bis).

Il limite numerico dei consulenti che ciascuna parte può nominare si giustifica con l'esigenza di razionalità e speditezza del processo, fermo restando che tale limite si applica per singole discipline non per numero assoluto di consulenti: ove più siano le competenze richieste, non potranno essere nominati (i.e. non potranno essere indicati e non potranno operare nel processo) più di due consulenti per ciascuna disciplina (allo stesso modo, del resto, con cui il giudice può nominare più periti ove diverse siano le discipline). Ove il giudice, magari all'esito dell'audizione dei consulenti, dovesse disporre perizia il numero dei consulenti legittimati a operare nel processo ne risulterà ridotto (ove il perito sia uno), imponendo alla parte di fare una scelta, ma anche aumentato se il giudice dovesse nominare più di due periti per ciascuna disciplina.

Il terzo comma ribadisce un concetto: le incompatibilità previste dall'art. 225, c. 3, sono assolute e inderogabili e non dipendono dalla nomina del perito (che può anche mancare; su tali incompatibilità si rimanda al commento dell'art. 222).

Il consulente opera nel processo alla stessa stregua del testimone: previamente indicato nella lista di cui all'art. 468, deve essere sentito nel contraddittorio delle parti e, se del caso (come peraltro quasi sempre avviene), può presentare una memoria/relazione scritta. La sua “testimonianza” può essere acquisita anche ai sensi dell'art. 507, ove il giudice lo ritenga assolutamente necessario.

I commi 1-bis e 1-ter si applicano esclusivamente al consulente del difensore di una parte privata, non al consulente tecnico del pubblico ministero.

La norma regola alcune specifiche attività del consulente: a) l'esame delle cose sequestrate nel luogo in cui si trovano; b) l'intervento alle ispezioni (personali, locali e reali); c) l'esame delle cose ispezionate (nel caso in cui il consulente non abbia preso parte all'ispezione; si deve ritenere che, in questo caso, oggetto di esame siano solo le cose e i luoghi, non le persone). Se, successivamente alla nomina, viene disposta perizia ai consulenti spettano le facoltà e i diritti previsti dall'art. 230 (si veda il relativo commento).

Casistica

Il potere delle parti di nominare propri consulenti tecnici e la facoltà di questi ultimi di esporre il proprio parere al giudice, anche mediante memorie, soggiacciono alle disposizioni generali in materia di prove ed in particolare all'art. 190 c.p.p. sul diritto alla prova. Ne consegue che anche la consulenza, non essendone prevista la ammissibilità di ufficio, è ammessa solo a richiesta di parte. È pertanto evidente che se una parte, pubblica o privata, non ritiene di avvalersi della facoltà, prevista dall'art. 233 c.p.p., di presentare al giudice i propri consulenti o di esibire i pareri da essi redatti, l'altra parte non può pretendere di far acquisire di ufficio dal giudice i detti pareri, invocando le norme degli artt. 234 e segg. relative alla acquisizione dei documenti (Cass. I. n. 6506/1998).

In tema di sequestro preventivo, è appellabile ex art. 322-bis c.p.p. l'ordinanza di rigetto della richiesta di accertamento tecnico di cui all'art. 233, comma 1-bis, cod. proc. pen., trattandosi di provvedimento di natura processuale e non amministrativa in quanto inerente al diritto di difesa e riconducibile, pertanto, alla nozione di “ordinanze in materia di sequestro preventivo”. (Cass. V, n. 11585/2022che ha ritenuto appellabile la decisione del tribunale che aveva rigettato la richiesta degli imputati di procedere a rilievi con l'ausilio di propri consulenti in vista di alcuni interventi di consolidamento suscettibili di modificare irreversibilmente lo stato delle opere in sequestro).

È legittimo il provvedimento, emesso ai sensi dell'art. 233, comma 1-bis, cod. proc. pen., con cui il giudice o, prima dell'esercizio dell'azione penale, il pubblico ministero respingano la richiesta del difensore di una parte privata di autorizzare il proprio consulente tecnico ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, qualora detta richiesta sia priva di una specifica argomentazione a sostegno, ovvero sia generica, immotivata, inutile, tardiva, dilatoria o altrimenti infondata (Cass. I, n. 52872/2018).

Non è impugnabile il provvedimento, emesso ai sensi dell'art. 233 comma primo bis cod. proc. pen., con il quale il giudice rigetti la richiesta dell'imputato di autorizzare il proprio consulente tecnico ad esaminare il corpo del reato (Cass. V, n. 17349/2013).

In tema di prove, il parere che il consulente tecnico di parte abbia rassegnato in una memoria è acquisibile secondo le forme di cui all'art. 121 cod. proc. pen. solo quando si limiti ad esporre argomentazioni di carattere tecnico sul significato probatorio di dati processuali già presenti in atti, e non anche quando, trasmodando in una vera e propria consulenza tecnica, sia volto ad introdurre in giudizio un autonomo accertamento, idoneo, come tale, ad eludere le regole del contraddittorio sulla prova (Cass. I, n. 29845/2019); si veda, in senso contrario, Cass. IV, n. 14863/2004 secondo cui poiché le norme contenute nell'art. 230 cod. proc. pen. non esauriscono l'ambito di operatività consentito al consulente di parte, questi legittimamente può svolgere, al di fuori delle vere e proprie operazioni peritali, degli accertamenti e riferirne mediante memoria scritta al giudice, al quale spetta il compito di riconoscere, all'attività svolta dal consulente, valore probatorio. Ed invero, al fine di esercitare il diritto alla prova di cui all'art. 190 cod. proc. pen., le parti possono svolgere attività integrativa di indagine, così come previsto dall'art. 38 disp. att. cod. proc. pen. (ora 391 bis cod. proc. pen.) sicché i pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di relazione scritta, ritualmente formulata e acquisita agli atti del processo, possono ben essere utilizzati ai fini della decisione.

I pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di memoria scritta presentata a norma degli artt. 233 e 121 cod. pen. possono essere letti in udienza ed utilizzati ai fini della decisione anche in mancanza del previo esame del consulente , qualora le parti non ne abbiano contestato il contenuto ed il giudice abbia ritenuto superfluo di disporre sostitutivamente una perizia (Cass. III, n. 21018/2015 che ha precisato che non osta alla produzione e all'apprezzamento del contenuto dell'atto la circostanza che la memoria riporti, per estratto o per intero, atti di indagine contenuti nel fascicolo di parte e non acquisiti in sede di giudizio, potendo il giudice non tenere in considerazione le valutazioni tecniche che si fondano su atti inutilizzabili ai fini della decisione); in senso conforme, Cass. IV, n. 7663/2005. Secondo Cass. II, n. 10968/2019 e Cass. I, n. 43021/2012, la consulenza tecnica non può essere introdotta ed acquisita nel giudizio di appello, ex art. 121 c.p.p., come memoria e non può essere utilizzata dal giudice ai fini della decisione se le parti si oppongono alla sua utilizzazione.

Sull'omessa valutazione di memorie difensive, si rimanda al commento dell'art. 121.

È incompatibile con l'incarico di consulente colui che ha assunto la veste di testimone, essendo a tal fine irrilevante la presenza o meno di un formale atto di nomina dell'ausiliario (Cass. III, n. 37166/2016che ha ritenuto corretta la decisione della corte d'appello di non acquisire, in ragione della indicata incompatibilità, un elaborato redatto, in assenza di una nomina formale di consulente, da un esperto in neuropsichiatria, escusso come testimone nel giudizio di primo grado).

La violazione del diritto dell'imputato di farsi assistere dal proprio consulente nel corso dell'incidente probatorio integra una nullità generale a regime intermedio che, in quanto verificatasi alla presenza della parte, è da ritenersi sanata se non eccepita prima del compimento dell'atto, ovvero, se ciò non sia possibile, immediatamente dopo (Cass. III, n. 25992/2009).

È legittimo, in quanto non lesivo dell'esercizio del diritto di difesa, il diniego del rinvio dell'udienza dibattimentale chiesto dal difensore per consentire ai consulenti di parte, assenti per loro asserito impedimento, di assistere l'imputato durante l'esame del perito, qualora essi abbiano partecipato agli sviluppi dell'attività peritale ed avuto la possibilità di presentare sia al giudice, sia al perito osservazioni e riserve, in quanto la nomina dei consulenti tecnici e lo svolgimento delle loro attività non devono comportare ritardo alle attività processuali (Cass. V, n. 36052/2020).

Nei confronti del consulente tecnico del P.M . nominato ex art. 233 c.p.p. fuori dei casi di perizia, non sussistono le cause di incompatibilità richiamate dal comma terzo dell'art. 225 c.p.p., previste, per evidenti ragioni di imparzialità richieste a tale ausiliario del giudice, esclusivamente per il perito di ufficio (Cass. III, n. 5886/1998).

Bibliografia

 R. Adorno, Perizia (dir. proc. pen.), Enc. Dir., Annali, Vol III, Giuffrè, 2010, pagg. 885 e segg.; F. Cordero, Procedura penale, Giuffrè, 2012, pagg. 781 e segg.; Siracusano, Galati, Tranchina, Zappalà, Diritto processuale penale, Giuffrè 2013, pag. 289; P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2020, pagg. 332 e segg.; G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, Giappichelli, 2002, pag. 246 e seg.; G. Ubertis, Sistema di procedura penale, Giuffrè, 2020, Vol. II, pagg. 268 e segg.; P. Palladino, sub art. 233, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi e E. Lupo, Giuffrè, 2017, pagg. 344 e segg.; G. Conso, V. Grevi, Compendio di procedura penale, Padova, 2008, pag. 345 e seg.; vedi anche sub art. 220.

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