Codice di Procedura Penale art. 273 - Condizioni generali di applicabilità delle misure.Condizioni generali di applicabilità delle misure. 1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi [384, 714 2, 715, 736 2] di colpevolezza [250 trans.]. 1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 11. 2. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione [50-54 c.p.] o di non punibilità [45-48, 85 s., 308, 309, 384, 599, 649 c.p.] o se sussiste una causa di estinzione del reato [150 s. c.p.; 445 2] ovvero una causa di estinzione della pena [171 s. c.p.] che si ritiene possa essere irrogata [250 trans.].
[1] Comma inserito dall'art. 11 l. 1° marzo 2001, n. 63. InquadramentoL'art. 273 individua quella che è la prima verifica che il giudice è tenuta a fare a fronte di una richiesta di applicazione di misura cautelare: la esistenza a carico dell'indagato di gravi indizi di colpevolezza (fumus commissi delicti) e l'assenza di una causa di giustificazione o di una condizione di non punibilità ovvero di una causa di estinzione del reato o della pena. Gravi indizi di colpevolezza
Profili generali L'applicazione della misura cautelare personale è subordinata, in primo luogo, alla condizione della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, per tali intendendosi, per consolidata giurisprudenza, tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che — contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova — non valgono, di per sé, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Cass. S.U., n. 11/1995; Cass. III, n. 17527/2019). È evidente, pertanto, la diversità dell'oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza dell'indagato, rispetto a quella di merito, orientata invece all'acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato (Cass. S.U., n. 36267/2006 ; v. anche: Cass. I, n. 13980/2015). Peraltro, deve essere segnalato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale la nozione di indizio contenuta nell'art. 273, comma 1, va intesa come «prognosi di condanna futura» o come «qualificata probabilità di colpevolezza» e rappresenta l'oggetto stesso del giudizio cautelare, la cui sussistenza va dimostrata utilizzando il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio. A differenza che nel giudizio di cognizione, in cui il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio è funzionale all'accertamento della responsabilità dell'imputato, nel giudizio cautelare lo stesso canone è in funzione della dimostrazione della probabilità di colpevolezza dell'indagato (Cass. VI, n. 35243/2017). Tale giurisprudenza, però, da un lato non offre argomenti per spiegare la ragione per la quale il criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” previsto dal legislatore con riferimento al giudizio di cognizione (art. 533) si applichi anche al giudizio cautelare, dall'altro lato, si pone in contrasto con i prevalenti arresti giurisprudenziali, i quali affermano, in conformità, del resto, alla sopracitata giurisprudenza delle Sezioni Unite, che è sufficiente, ai fini dell'applicazione della misura cautelare, la gravità indiziaria, cioè un livello di verosimiglianza della responsabilità penale dell'indagato inferiore alla soglia del ragionevole dubbio (Cass. II, 43146/2016 nello stesso senso v. Cass. II, n. 28602/2015; Cass. VI, 11550/2017; Cass. II, n. 12851/2018; Cass. V, n. 28580/2020) Significato del termine “indizio” Secondo la prevalente giurisprudenza, ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari «gravi indizi di colpevolezza» non corrispondono agli «indizi» intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri validi per il giudizio di merito ai sensi dell'art. 192, comma 2, che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi ma anche precisi e concordanti). Tali principi sono stati affermati anche dopo l'introduzione del comma 1-bis dell'art. 273 per effetto dell'art. 11 l. 1 marzo 2001 n. 63, poiché, si è osservato, tale comma non richiama il comma 2 dell'art. 192, bensì soltanto i commi 3 e 4 (Cass. V, n. 36079/2012; Cass. VI, n. 7793/2013; Cass. IV, n. 18589/2013; Cass. II, n. 26764/2013; Cass. IV, n. 38466/2013; Cass. IV, n. 22345/2014 ; Cass. IV, n. 53369/2016; Cass. IV, n. 6660/2017; Cass. II, n. 22968/2017). Non mancano, però, pronunce, le, quali, in senso contrario, affermano che, ai fini dell'applicabilità di misure cautelari personali, per valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in caso di presenza di "prove" indirette, è necessario utilizzare anche il canone posto dall'art. 192, comma 2, laddove prevede che gli indizi devono essere plurimi, precisi e concordanti; ne consegue che, in assenza della pluralità e concordanza degli indizi, la discrezionalità valutativa del giudice non può esercitarsi in quanto difetta della certezza del fatto da cui trarre il convincimento; in tal senso si precisa che il mancato richiamo del comma secondo del citato art. 192 non rileva in quanto il codice di rito nell'esigere la esistenza di "gravi indizi di colpevolezza" ai fini dell'adozione di una misura cautelare non può che richiamare tale disposizione che, oltre a codificare una regola di inutilizzabilità, costituisce un canone di prudenza nella valutazione della probabilità di colpevolezza necessaria per esercitare il potere cautelare (Cass. IV, 40061/2012; Cass. IV, n. 31448/2013; Cass. IV, n. 25239/2016; Cass. V, n. 55410/2018). Tale orientamento minoritario è disatteso anche dalla giurisprudenza più recente, secondo la quale ai fini dell'adozione di una misura cautelare personale, la nozione di gravi indizi di colpevolezza non è omologa a quella applicabile per la formulazione del giudizio di colpevolezza finale, essendo sufficiente, in sede cautelare, l'emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare una qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato: l'art. 273, comma 1-bis, richiama soltanto i commi 5 3 e 4 dell'art. 192 del codice di rito e non il comma 2 (Cass. II, n. 18223/2018; Cass. IV, n. 17247/2019; Cass. IV, n. 16158/2021). Proprio la diversità dei criteri di valutazione degli indizi di colpevolezza da parte del giudice della cautela rispetto a quello del dibattimento, nonché l'autonomia del procedimento incidentale rispetto a quello di cognizione, ha condotto la giurisprudenza ad affermare che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza non è preclusa dalla sopravvenienza del rinvio a giudizio dell'imputato per il reato in ordine al quale tale misura è stata applicata (Cass. S.U., n. 39915/2002 ); mentre l'intervenuta pronuncia, nel corso del procedimento principale, di sentenza non definitiva di condanna implica la non riproponibilità, in sede di procedimento incidentale de libertate , della questione concernente la sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (Cass. I, n. 29107/2006 ), potendo, peraltro, il giudice cautelare valutare, in funzione di verificare la permanenza dei gravi indizi di colpevolezza, gli eventuali elementi sopravvenuti che siano idonei ad incidere sul quadro probatorio, ma non quelli che siano in grado di inficiare la legittimità delle prove su cui la condanna medesima è fondata, circostanze queste ultime che vanno proposte al giudice di appello nel giudizio di merito (Cass. Fer., n. 41667/2013 ; Cass. II, n. 5988/2014; Cass. I, n. 55459/2017 ). Il c.d. "principio di assorbimento", in base al quale l'intervento di una decisione sul merito dell'imputazione preclude al giudice cautelare un autonomo esame dell'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza si applica anche in caso di sentenza assolutoria, sul presupposto, però, che sussista identità di imputato, di reato e di procedimento; ne deriva che non può riconoscersi efficacia vincolante, ai fini predetti, alla sentenza di assoluzione eventualmente sopravvenuta nei confronti dei coimputati giudicati separatamente (Cass. II, n. 39473/2015). Anche in materia cautelare vale il principio generale della valutazione non parcellizzata degli elementi probatori, poiché «il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati ed apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall'art. 273. Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili ad un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un'apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonei a dimostrare il fatto se coordinati organicamente» (Cass. VI, n. 249/1999; Cass. II, n. 9269/2013; Cass. Fer., n. 38881/2015; Cass. I, n. 39125/2015). Le fonti dei gravi indizi di colpevolezza
Profili generali Tutti gli elementi di natura logica o rappresentativa possono essere utilizzati per valutare la gravità indiziaria, tenendo presenti i criteri di valutazione propri del giudizio cautelare quali sono stati sopra delineati e quali sono stati ulteriormente precisati dalla giurisprudenza con riferimento agli specifici elementi di prova, come risulta dalla seguente casistica. Narcotest In tema di traffico di sostanze stupefacenti, durante le indagini preliminari ed ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l'applicazione di una misura cautelare, non occorre una formale perizia sulla qualità della sostanza, essendo sufficiente allo scopo il narcotest eseguito dalla sezione narcotici della polizia (Cass. IV, n. 2782/1997; Cass. VI, n. 44789/2003; Cass. IV, n. 3380/2010; Cass. IV, n. 22652/2017). Chiamata in correità Risolvendo un contrasto giurisprudenziale, le Cass. S.U., n. 36267/2006 hanno ritenuto che, in virtù del disposto del comma 1-bis dell'art. 273, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato del medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato siano suscettibili di integrare gravi indizi di colpevolezza «soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri esterni individualizzanti, sì da assumere idoneità dimostrativa in ordine all'attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de libertate, e, quindi, allo stato degli atti, cioè sulla base di materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato». Dichiarazioni del collaboratore di giustizia Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia oltre il termine di centottanta giorni dalla manifestazione della volontà di collaborare sono utilizzabili nella fase delle indagini preliminari, in particolare ai fini della emissione delle misure cautelari personali e reali, oltre che nell'udienza preliminare e nel giudizio abbreviato (Cass. S.U., n. 1149/2009), anche nel caso in cui tali dichiarazioni siano state rese davanti al giudice nel dibattimento di un diverso processo e in assenza del difensore della persona nei cui confronti è stata richiesta l'applicazione della misura (Cass. S.U., n. 1150/2009). Peraltro, la utilizzazione delle suddette dichiarazioni richiede, ai fini della emissione di una misura cautelare personale, una motivazione la quale dia conto, con una valutazione particolarmente penetrante,della l'attendibilità delle stesse (Cass. I, n. 7454/2009; Cass. II, n. 12337/2016). Dichiarazioni rese alla p.g. da persone informate sui fatti Il fatto che le sommarie informazioni alla polizia giudiziaria, da parte di persone che hanno riferito circostanze utili ai fini delle indagini e al riferimento delle fonti di prova (art. 351), non abbiano alcuna rilevanza probatoria ai fini della decisione, non esclude che le stesse — debitamente documentate (art. 357, comma primo) e destinate a formare il fascicolo del P.M. (art. 373, comma 5) — possano essere utilizzate, nell'ambito della fase delle indagini preliminari, da sole o unitamente agli altri elementi posti a fondamento della contestazione, nei limiti di cui all'art. 191 stesso codice, ai fini della valutazione della gravità degli indizi di colpevolezza per l'emanazione di provvedimenti restrittivi della libertà personale (Cass. II, n. 1344/1991; Cass. I, n. 3106/1993). Sono utilizzabili per l'adozione di misure cautelari le dichiarazioni spontanee di persone informate sui fatti annotate dalla polizia giudiziaria e riportate nell'informativa di reato, ancorché non oggetto di verbalizzazione (Cass. I, n. 15563/2009; Cass. I, n. 33819/2014). Rifiuto di esame in incidente probatorio La regola della inutilizzabilità, ai fini della prova della colpevolezza dell'imputato, delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si sia sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore, stabilita dall'art. 526 comma 1-bis, non si applica nella fase delle indagini preliminari e non può, quindi, comportare l'inutilizzabilità, ai fini dell'applicazione o del mantenimento di misure cautelari, di dichiarazioni accusatorie rese da soggetto il quale abbia poi rifiutato di sottoporsi ad esame in sede di incidente probatorio (Cass. II, n. 11678/2002; Cass. V, n. 29252/2011). Dichiarazioni spontanee dell'indagato Nei casi in cui un soggetto, dovendo essere sentito in qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, sia stato avvertito di tale sua qualità, ed abbia reso, in assenza del difensore, dichiarazioni spontanee alla polizia giudiziaria, non è applicabile la disciplina del secondo comma dell'art. 63 — con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni nei confronti degli imputati di reato connesso o collegato —, bensì la regola di cui al comma settimo dell'art. 350, di talché le sue dichiarazioni, sebbene non utilizzabili nel dibattimento salvo quanto previsto dal terzo comma dell'art. 503, possono essere apprezzate nella fase delle indagini preliminari o nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l'adozione di un provvedimento cautelare (Cass. VI, n. 24679/2006; Cass. S.U., n. 1150/2009); purché emerga con chiarezza che le dichiarazioni sono state rese liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (Cass. IV, n. 2124/2021) Atti di altri procedimenti La giurisprudenza ha chiarito, in tema di acquisizione di atti da altri procedimenti, che le prescrizioni dell'art. 238 comma 1 sono applicabili soltanto in sede dibattimentale. Ne consegue che le limitazioni da esse imposte non operano nel procedimento in materia di libertà, né in sede di riesame, ai fini della verifica da parte del Tribunale in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273, né con riferimento alla fase della revoca e sostituzione delle misure cautelari ex art. 299 (Cass. VI, n. 3068/1994; Cass. III, n. 49595/2009; Cass. II, n. 31995/2016; Cass. II, n. 47411/2021). Atti compiuti da autorità giudiziaria straniera La sussistenza dei gravi indizi richiesti per l'adozione di provvedimenti coercitivi nella fase delle indagini preliminari può essere accertata mediante l'acquisizione della documentazione di atti compiuti dall'autorità giudiziaria straniera in un diverso procedimento penale all'estero, anche al di fuori dei limiti stabiliti per la loro utilizzabilità dagli artt. 238 e 78 disp. att. che operano solo per la fase dibattimentale. Tuttavia l'utilizzabilità della suddetta documentazione è subordinata al limite generale del rispetto dei diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento giuridico nazionale (Cass. II, n. 20100/2002; Cass. I, n. 21673/2009). Individuazione fotografica L'individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria, in assenza di profili di inattendibilità, è elemento idoneo per affermare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, indipendentemente dall'accertamento delle modalità e quindi della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell'art. 213, perché lascia fondatamente ritenere il successivo sviluppo in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale riconoscimento confermi (Cass. I, n. 47545/2008; Cass. II, n. 6505/2015). Fotogrammi ricavati da una registrazione La rassomiglianza tra le fotografie dell'indiziato di una rapina e i fotogrammi ricavati da una registrazione effettuata da TV a circuito chiuso durante la rapina stessa, verificata direttamente dal giudice, può costituire indizio utilizzabile ai fini dell'adozione di misure cautelari personali; invero per la validità del giudizio di «rassomiglianza» compiuto dal giudice non rileva la mancata osservanza delle forme stabilite per le ricognizioni, sia perché trattasi di giudizio compiuto per diretta percezione del giudice, sia perché il sistema processuale non impedisce che un riconoscimento, comunque effettuato, possa valere come indizio (Cass. II, n. 2282/1992; Cass. II, n. 40731/2009). Intercettazioni telefoniche Una conversazione intercettata, a seconda del contenuto, nella valutazione in sede cautelare può essere elemento indiziario diretto (ad esempio: "Tizio mi ha consegnato un quintale di roba buona") oppure indiretto (ad esempio: "debbo incontrare Tizio stasera alla Montagnola", noto luogo di spaccio dove in passato Tizio era stato visto cedere droga); il contenuto di intercettazioni captate fra terzi, dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell'imputato, può costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza senza necessità dei riscontri previsti dalla norma di cui all'art. 192, comma 3, fatto salvo l'obbligo del giudice di valutare il significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Cass. II, n. 18223/2018). Sentenze non irrevocabili I gravi indizi di colpevolezza richiesti per l'applicazione di una misura cautelare personale possono essere validamente costituiti dalle risultanze di altri procedimenti non ancora conclusi con sentenza divenuta irrevocabile, atteso che la previsione di cui all'art. 238-bis si riferisce esclusivamente alle fonti di prova utilizzabili nel giudizio (Cass. I, n. 17269/2001; Cass. VI, n. 88/2009; Cass. V, n. 57105/2018). Testimonianza indiretta e confidenti Il contenuto di dichiarazioni rese dalle persone offese dal reato, non formalmente verbalizzate da parte degli ufficiali di P.G., può costituire oggetto di testimonianza indiretta da parte di questi ultimi ai fini dell'integrazione del quadro indiziario necessario per l'applicazione di una misura coercitiva, in difetto di un obbligo legale di verbalizzazione, e non operando comunque il divieto di testimonianza previsto dall'art. 195, comma 4, ai fini cautelari; a ciò non osta il divieto sancito dall'art. 203, richiamato dal comma 1-bis dell'art. 273, nella specie inapplicabile per la non equiparabilità dei suddetti dichiaranti agli «informatori della polizia giudiziaria», da individuarsi nei «confidenti» che, agendo di regola dietro compenso in denaro od in vista di altri vantaggi, forniscono alla polizia giudiziaria, occasionalmente ma con sistematicità, notizie da loro apprese (Cass. II, n. 46023/2007; Cass. I, n. 33819/2014; Cass. I, n. 38602/2021). Sempre in applicazione del nuovo comma 1-bis dell'art. 273, ai fini della valutazione indiziaria delle dichiarazioni de relato, deve applicarsi la previsione dell'art. 195 comma 7 e, pertanto, non è possibile valutare ai fini cautelari la dichiarazione di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia oggetto dell'esame. Perizia La perizia, assunta in dibattimento o nell'incidente probatorio, può essere utilizzata in una procedura incidentale de libertate non appena sia stata depositata la relazione scritta, e quindi anche prima che il perito sia stato sentito, ponendosi il problema del rapporto temporale fra la lettura della relazione e l'esame orale del perito solo nella fase dibattimentale (Cass. I, n. 26077/2013). Causale del reato Ai fini dell'applicazione di una misura cautelare, l'esistenza di un movente, pur non costituendo, di per sé, un serio indizio, ha tuttavia la specifica funzione di rendere più credibile la riferibilità del fatto-reato all'indagato, a carico del quale debbono comunque esistere altri elementi dai quali sia possibile desumere, con un rilevante grado di probabilità, la sua colpevolezza (Cass. I, n. 5323/1994) Stato di latitanza Ai fini dell'applicazione di misure cautelari personali, non costituisce indizio di colpevolezza lo stato di latitanza intervenuto successivamente all'emissione del provvedimento restrittivo e nella consapevolezza, da parte dell'indagato, dell'adozione di quest'ultimo (nella fattispecie la Suprema Corte ha annullato con rinvio il provvedimento del Tribunale del riesame che aveva confermato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa sulla base di testimonianza de relato, in relazione alla quale, tra l'altro, era stato considerato elemento di riscontro lo stato di latitanza dell'indagato successivo all'emissione del provvedimento di cattura) (Cass. I, n. 20618/2015). Indagini genetiche E' stato affermato che, in tema di indagini genetiche, l'eccepita inosservanza delle regole procedurali prescritte dai protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e prelievo del DNA non comporta l'inutilizzabilità del dato probatorio ove non si dimostri che la violazione abbia condizionato in concreto l'esito dell'esame genetico comparativo fondante il giudizio di responsabilità (Cass. VI, n. 15140/2022). Secondo la prevalente giurisprudenza, invece, in tema di indagini genetiche, l'analisi comparativa del DNA svolta in violazione delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi, comporta che gli esiti di "compatibilità" del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori (Cass. V, n. 36080/2015; Cass. II, n. 38184/2022); a tal fine è stato precisato che nel processo penale possono trovare ingresso solo esperienze scientifiche verificate secondo canoni metodologici generalmente condivisi dalla comunità scientifica di riferimento; dunque, l'utilizzabilità dei risultati della prova scientifica comporta inevitabilmente il rispetto delle regole che ne disciplinano l'acquisizione e la formazione all'interno del processo, con la conseguenza che il giudizio di affidabilità dei relativi esiti deve essere parametrato sulla osservanza di preordinate garanzie nell'iter formativo della prova; pertanto, l'analisi genetica, svolta in violazione delle prescrizioni dei protocolli in materia di repertazione e conservazione, priva del carattere di gravità e precisione - ergo, di certezza (sia pure intesa non in termini di assolutezza, ma quale categoria processuale cui si giunge attraverso il procedimento probatorio) - i risultati cui è pervenuta (Cass. II, n. 27813/2024). Divieto di applicazione di misure cautelari
Profili generali Nonostante la formula letterale della disposizione di cui all'art. 273, comma 2, la giurisprudenza più recente afferma che l'operatività del divieto di applicazione delle misure cautelari personali — per il quale nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione — non richiede che la ricorrenza dell'esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza, essendo sufficiente, a tal fine, la sussistenza di un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia compiuto in presenza di una causa di giustificazione (Cass. I, n. 6630/2010; Cass. I, n. 72/2011; Cass. V, n. 11957/2020). Condizioni di procedibilità La locuzione “causa di non punibilità« è idonea a ricomprendere anche le cause di improcedibilità dell'azione penale, come è dato argomentare anche da quanto previsto dall'art. 129, comma 1, che, nello stabilire l'obbligo della immediata declaratoria di determinate “cause di non punibilità”, ha riguardo anche alla mancanza di una condizione di procedibilità. In applicazione di tale criterio interpretativo, la giurisprudenza ha ritenuto ostativo all'applicazione di misura cautelare personale l'identità del fatto contestato in sede cautelare rispetto a quello già oggetto di condanna irrevocabile (Cass. I, n. 40222/2007; Cass. VI, n. 8618/2016), l'assenza dello straniero, autore di un delitto commesso all'estero, nel territorio dello Stato (Cass. I, n. 41333/2003), l'archiviazione non seguita da un provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini (Cass. S.U., n. 9/2000), la pronuncia di non luogo a procedere non revocata (Cass. S.U., n. 8/2000). Indulto Nel giudizio prognostico, funzionale all'applicazione ed al mantenimento di una misura cautelare personale, la concedibilità dell'indulto per i reati per i quali si procede diviene elemento ostativo a condizione che detta causa estintiva della pena risulti oggettivamente applicabile in base ad elementi certi, che ne rendano probabile la futura concessione. Inoltre, quando la posizione giuridica del soggetto sia complessa, con pluralità di procedimenti e di pendenze a suo carico, la semplice prospettiva d'applicabilità di un provvedimento indulgenziale — la cui concreta incidenza in relazione ai reati per cui si procede può essere apprezzata soltanto in sede esecutiva — non rende operativo il divieto, stabilito dall'art. 273, comma 2, di applicare o mantenere misure coercitive se «sussiste» una causa d'estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata (Cass. S.U., n. 1235/2011). Occorre, poi, tenere presente che una causa di estinzione della pena ha efficacia vincolante e preclusiva per il giudice ai fini dell'applicazione di una misura cautelare personale solo nel caso in cui la causa estintiva copra per intero la pena astrattamente irrogabile; quando, invece, l'estinzione riguardi soltanto una parte di tale pena è compito del giudice cautelare determinare in via prognostica l'entità della pena presumibilmente irrogabile e stabilire di conseguenza se vi sia un margine residuo per l'applicabilità della misura coercitiva (Cass. VI, n. 37087/2007). BibliografiaAprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015. |