Codice di Procedura Penale art. 281 - Divieto di espatrio.Divieto di espatrio. 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di espatrio, il giudice [279] prescrive all'imputato [60, 61] di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del giudice che procede [215 coord.]. 2. Il giudice dà le disposizioni necessarie per assicurare l'esecuzione del provvedimento, anche al fine di impedire l'utilizzazione del passaporto e degli altri documenti di identità validi per l'espatrio. 2-bis. Con l'ordinanza che applica una delle altre misure coercitive previste dal presente capo, il giudice dispone in ogni caso il divieto di espatrio1.
[1] lI comma 2-bis è stato inserito dall'art. 9 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356. Successivamente la Corte cost., con sentenza 31 marzo 1994, n. 109, ne ha dichiarato l'illegittimità costituzionale. InquadramentoIl divieto di espatrio è una misura coercitiva che, pur connotata dal minor tasso di afflittività, incide nell' area della libertà personale e sulla libertà di circolazione del cittadino. Condizioni di applicabilitàIn generale Proprio per la sua natura coercitiva, il divieto di espatrio, per quanto concerne le condizioni della sua applicabilità, deve essere assoggettato allo stesso regime delle misure coercitive sia con riguardo all'esistenza di gravi indizi di colpevolezza, sia con riferimento alle esigenze cautelari. Sulla base di tali considerazioni la Corte costituzionale ha ritenuto (Corte cost. n. 109/1994) costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 3 Cost. l'automatica applicazione prevista dall'art. 281, comma secondo bis, del divieto di espatrio in ogni caso di applicazione di altra misura coercitiva, perché irragionevole e non rispondente ai principi di proporzionalità ed adeguatezza correlati all'imposizione di tali misure. Infatti, la sottrazione al giudice di qualunque discrezionalità che gli consenta di verificare l'esistenza delle esigenze cautelari che rendano necessaria adottare detto divieto come misura accessoria può farla risultare incongrua, se non addirittura incompatibile, con le altre misure già applicate, come nel caso della custodia cautelare, né, d'altra parte, alcuna ragione impedisce al giudice di disporre il divieto d'espatrio all'atto della cessazione della misura cautelare più afflittiva o quando particolari esigenze ciò consiglino. La disposizione de qua lede anche l'art. 13, comma 2, Cost. che postula come condizione per la legittimità dei provvedimenti giurisdizionali comunque operanti nell'area della libertà personale l'atto motivato dell'autorità giudiziaria, qui non richiesto, e l'art. 16, chiamato in causa per le limitazioni alla libertà di circolazione comunque derivanti dall'automatica applicazione del divieto di espatrio per il cittadino, senza che all'obbligo imposto di non uscire dal territorio nazionale corrisponda un'esigenza concretamente apprezzabile dal giudice. Pericolo di reiterazione del reato In merito al soddisfacimento delle esigenze cautelari previste per il pericolo di reiterazione del reato ex art. 274 comma 1 lett. c) esistono due orientamenti contrastanti. Secondo il primo, tale misura coercitiva non può essere applicata per il soddisfacimento delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c) (Cass VI, n. 3503/2014), Secondo altro orientamento, invece, la misura coercitiva del divieto di espatrio può essere applicata, nelle ipotesi in cui si proceda per uno dei delitti previsti dall'art. 280, anche per il soddisfacimento delle esigenze cautelari relative al pericolo di reiterazione del reato, di cui all'art. 274, lett. c) (Cass. I, n. 44727/2016; Cass. II, n. 38705/2017). Si osserva che un'interpretazione che conducesse a escludere le esigenze di cui alla lett. c) dell'art. 274 dal novero di quelle tutelabili con la misura del divieto di espatrio produrrebbe l'incongrua e illogica conclusione di imporre al giudice della cautela la necessaria applicazione, in caso di ritenuta sussistenza del pericolo (concreto e attuale) di recidiva per uno dei reati che la consentano, di una misura maggiormente afflittiva di quella (minima) prevista dall'art. 281, in violazione dei principi di adeguatezza, proporzionalità e reciproca autonomia ai quali è ispirato il sistema delle misure coercitive della libertà personale. Pericolo di fuga La misura coercitiva del divieto di espatrio può essere applicata in presenza di una ragionevole, concreta ed attuale probabilità, data da occasioni prossime e favorevoli, che l'indagato faccia perdere all'estero le proprie tracce e deve fondarsi su elementi e circostanze di fatto, non necessariamente rivelatori di una condotta prodromica all'espatrio, bensì idonei a conferire significativa consistenza al periculum libertatis (Cass. II, n. 30939/2015). È legittima l'applicazione della misura del divieto di espatrio a carico di un soggetto che si sia trasferito all'estero in epoca precedente all'inizio del procedimento a suo carico, qualora tale misura sia giustificata dall'esigenza di prevenire il pericolo di una sottrazione irreversibile dell'indagato all'istanza di giustizia dello Stato, pericolo cui la misura è diretta a porre rimedio, non appena si presenti la concreta possibilità di dare attuazione al divieto di espatrio a seguito della intervenuta presenza dell'indagato nel territorio dello Stato (Cass. VI, n. 2799/1996). Conseguenze della violazioneLa violazione dell'obbligo di non allontanarsi dallo Stato senza l'autorizzazione del giudice non dà luogo al reato di evasione, potendo costituire presupposto per l'adozione dei provvedimenti di cui all'art. 276 e, pertanto, di sostituzione della misura o di cumulo della stessa con altre (così Scalfati, 101). BibliografiaAprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015. |