Codice di Procedura Penale art. 295 - Verbale di vane ricerche.

Franco Fiandanese

Verbale di vane ricerche.

1. Se la persona nei cui confronti la misura è disposta non viene rintracciata e non è possibile procedere nei modi previsti dall'articolo 293, l'ufficiale o l'agente redige ugualmente il verbale, indicando specificamente le indagini svolte, e lo trasmette senza ritardo al giudice che ha emesso l'ordinanza [292].

2. Il giudice, se ritiene le ricerche esaurienti, dichiara, nei casi e con le modalità previste dall'articolo 296, lo stato di latitanza, altrimenti dispone la prosecuzione delle ricerche1.

3. Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero, nei limiti e con le modalità previste dagli articoli 266 e 267, può disporre l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione. Si applicano, ove possibile, le disposizioni degli articoli 268, 269 e 2702.

3-bis. Fermo quanto disposto nel comma 3 del presente articolo e nel comma 5 dell'articolo 103, il giudice o il pubblico ministero può disporre l'intercettazione di comunicazioni tra presenti [2662] quando si tratta di agevolare le ricerche di un latitante in relazione a uno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-bis nonché dall'articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4) 3.

3-ter. Nei giudizi davanti alla corte d'assise, ai fini di quanto previsto dai commi 3 e 3-bis, in luogo del giudice provvede il presidente della corte 4.

 

[1] Comma modificato dall'articolo 13, comma 1, lett. c) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150  che ha sostituito le parole: «nei casi e con le modalità previste»alle parole: «nei casi previsti»  e, dopo la parola: «latitanza», ha aggiunto le seguenti: «, altrimenti dispone la prosecuzione delle ricerche». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. 

[2] L'art. 3, comma 1, lett. h), d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, ha dapprima disposto la sostituzione delle parole «le disposizioni degli articoli 268, 269 e 270» con le parole «le disposizioni degli articoli 268, 268-bis, 268-ter, 268-quater, 269 e 270». Ai sensi dell'art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit.,  come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 1, lett. a) d.l. 30 aprile 2020, n. 28,  conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​tale disposizione si applica «ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020» (in precedenza l'art. 1, comma 1, n. 1) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, aveva modificato il suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., disponendo che la disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020»; lo stesso art. 1, comma 1, n. 1) d.l. n. 161, cit., anteriormente alla conversione in legge, aveva invece stabilito che la suddetta disposizione si applicasse «ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 »).  Il termine di applicabilità originariamente previsto dal suddetto art. 9 comma 1 d.lgs. n. 216, cit., ovvero « alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto », era stato già differito dall'art. 2  comma 1 d.l. 25 luglio 2018, n. 91, conv., con modif. in l. 21 settembre 2018, n. 108, sostituendolo con il termine « dopo il 31 marzo 2019 », poi dall'art. 1 comma 1139 lett. a) n. 1) l. 30 dicembre 2018, n. 145, Legge di bilancio 2019, sostituendolo con il termine « dopo il 31 luglio 2019 », e dall'art. 9 comma lett. a) d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif., in l. 8 agosto 2019, n. 77, sostituendolo con il termine « dopo il 31 dicembre 2019 ».  

Ma, da ultimo, l'art. 2, comma 1 lett. l) d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, ha confermato le originarie parole: «le disposizioni degli articoli 268, 269 e 270» in luogo delle parole: «le disposizioni degli articoli 268, 268-bis, 268-ter, 268-quater, 269 e 270». A norma dell'art. 2, comma 8, d.l. n. 161, cit.,conv. con modif. in l. 28 febbraio 2020, n. 7, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. 30 aprile 2020, n. 28, conv., con modif., in l. 25 giugno 2020, n. 70, ​prevede che le disposizioni del citato articolo si applicano « ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, ad eccezione delle disposizioni di cui al comma 6 che sono di immediata applicazione. ». 

[3] Comma dapprima inserito dall'art. 3-bis d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356, e successivamente così modificato, in sede di conversione, dall'art. 6 d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, conv., con modif., in l. 15 dicembre 2001, n. 438.

[4] Comma aggiunto dall'art. 1 l. 14 febbraio 2006, n. 56. 

Inquadramento

Gli artt. 295 e 296 disciplinano l'ipotesi in cui non sia possibile procedere ai prescritti adempimenti esecutivi dell'ordinanza che dispone la misura cautelare a causa dell'impossibilità di rintracciare la persona nei cui confronti la misura è disposta.

L'art. 295, in particolare, disciplina le modalità di ricerca, da parte dell'ufficiale o dell'agente incaricato dell'esecuzione, della persona nei cui confronti è disposta la misura cautelare, il potere del giudice di disporre a tal fine intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, i contenuti del verbale che deve essere redatto nel caso in cui detta persona non venga rintracciata, i presupposti per la conseguente dichiarazione di latitanza.

L'art. 13, comma 1, lett. c) e d) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – c.d. “riforma Cartabia” - ha introdotto negli artt. 295 e 296 alcune modifiche integrative dirette, come richiesto dalla delega, a “rivedere la disciplina della latitanza, di cui agli articoli 295 e 296 del codice di procedura penale, al fine di assicurare che la dichiarazione di latitanza sia sorretta da specifica motivazione circa l'effettiva conoscenza della misura cautelare e la volontà del destinatario di sottrarvisi”. Si è proceduto sotto tre diversi aspetti. Il primo (sull'art. 295 comma 2) con un intervento che esplicita l'onere del giudice di valutare il verbale di vane ricerche e di disporre la prosecuzione delle ricerche quando quelle compiute non siano soddisfacenti. Il secondo (sull'art. 296 comma 2) con un intervento che, oltre ad imporre la necessità che il decreto di latitanza sia motivato, espressamente collega la dichiarazione di latitanza, che sia conseguenza alla mancata esecuzione di un'ordinanza applicativa di misure cautelari, al fatto che siano indicati gli elementi che provano l'effettiva conoscenza della misura e la volontà di sottrarvisi. Infine, con un intervento (con l'aggiunta del comma 4-bis all'art. 296) che chiarisce il necessario raccordo tra esecuzione del provvedimento cautelare che ha dato causa alla dichiarazione di latitanza e il processo in corso, si è specificamente previsto che all'imputato nel caso in cui venga rintracciato dovrà essere comunicata la data dell'udienza.

In difetto di una normativa transitoria ad hoc, le modifiche introdotte dal d. lgs. n. 150 del 2022, in vigore dal 30/12/2022, si applicheranno secondo il principio tempus regit actum.

Verbale di vane ricerche

Risolvendo un contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno stabilito che, ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 295 — pur dovendo essere tali da risultare esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l'impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell'imputato e la volontaria sottrazione di quest'ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti — non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche le ricerche all'estero quando ricorrano le condizioni previste dall'art. 169, comma 4 (Cass. S.U., n. 18822/2014; da ultimo: Cass. VI, n. 31285/2017).

La completezza delle ricerche, ai fini della dichiarazione della latitanza, va valutata con  riferimento non a parametri prefissati, che non sono dettati dal codice, ma alla condizione personale del soggetto, così da consentire al giudice, in relazione allo specifico caso in esame, di valutare l'esaustività o meno delle indagini svolte [Cass. III, n. 46983/2009: nella specie la Corte ha ritenuto correttamente valutata l'esaustività di ricerche effettuate, in relazione alla condizione di nomade dell'imputato, unicamente in un campo nomadi quale luogo di precedente reperibilità dello stesso; Cass. V, n. 5932/2012, la quale ha precisato che, proprio in virtù della libertà di scelta nell'individuazione dei luoghi in cui ricercare l'imputato (o l'indagato), non può essere certamente censurato, neppure sotto il profilo logico, il tentativo di ottenere notizie sul suo conto nel luogo in cui da ultimo abbia abitato; Cass. II, n. 25315/2012].

Proprio per consentire al giudice la valutazione di sua competenza in ordine alla idoneità delle ricerche effettuate, il verbale di vane ricerche, che la polizia redige a seguito della mancata esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare, deve indicare in modo specifico le indagini svolte nei luoghi in cui si presume l'imputato possa trovarsi. Né tale situazione postula necessariamente la conoscenza dell'interessato in ordine alla avvenuta emissione a suo carico del provvedimento restrittivo della libertà personale, essendo semplicemente sufficiente che egli sappia che un ordine o un mandato può essere emesso nei suoi confronti, evenienza che, una volta positivamente apprezzata con provvedimento del giudice, legittima alle notificazioni mediante consegna al difensore (Cass. V, n. 4114/2010). La valutazione del giudice è ispirata ad un criterio — rebus sic stantibus — di certezza, cioè con riferimento alla situazione concreta accertata in quel momento, senza che possano avere rilevanza, ai fini della legittimità del provvedimento, e quindi delle notificazioni in virtù di questo eseguite, le eventuali informazioni successivamente pervenute (Cass. VI, n. 2978/1992).

Ricerche mediante intercettazioni

Al fine di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero (in casi di urgenza e salvo convalida) possono disporre intercettazioni di conversazioni o comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione, nei limiti e con le modalità previste dagli artt. 266 e 267.

Le operazioni di captazione, anche nell'ipotesi di cui all'art. 295 comma 3, devono esser effettuate attraverso gli impianti in dotazione alla competente Procura della Repubblica: ne consegue che l'autorizzazione all'utilizzo di apparecchiature esterne deve essere sorretta da adeguata motivazione circa l'inidoneità degli apparati dell'ufficio della Procura (Cass. I, n. 25511/2007). Peraltro, il comma 3 dell'art. 295 stabilisce che l'art. 268 si applica solo “ove possibile”: da tale previsione è stata tratta la conseguenza che l'utilizzo di impianti esterni alla Procura non richiede una particolare motivazione in relazione alle indilazionabili ragioni di urgenza in quanto la cattura di un latitante integra di per sé una eccezionale ragione di urgenza (Cass. I, n. 45479/2004; Cass. II, n. 215/2007; Cass. I, n. 5471/2006: nella specie la Corte ha affermato che correttamente l'affiliazione a un'organizzazione mafiosa e la partecipazione ad efferati delitti erano stati ritenuti elementi idonei, unitamente alla pericolosità, a configurare l'eccezionale urgenza di porre fine alla latitanza dell'imputato e che altrettanto correttamente l'inidoneità degli apparati disponibili presso l'ufficio del P.M. e l'utilizzazione di impianti situati presso il comando territoriale dei CC. erano stati motivati con l'esigenza di consentire in tempo reale il coordinamento tra l'attività di intercettazione e quella di riscontro sul territorio), nulla rilevando in contrario il fatto che il pubblico ministero non abbia ritenuto di avvalersi della facoltà, prevista dall'art. 267, comma 2, di disporre direttamente l'effettuazione delle operazioni e che la richiesta di autorizzazione da lui rivolta al giudice per le indagini preliminari sia stata accolta con ritardo, cui abbia fatto seguito altro ritardo nell'adozione del decreto esecutivo (Cass. V, n. 15322/2008). 

Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni disposte per la ricerca di latitanti possono essere autorizzate anche sulla base di informazioni anonime, prescindendo dai presupposti per l'applicazione dell'art. 203 (Cass. II, n. 39380/2010).

La competenza a disporre intercettazioni di conversazioni o comunicazioni al fine di agevolare le ricerche del latitante spetta al giudice per le indagini preliminari, ove si tratti di latitante sottrattosi ad ordinanza di custodia cautelare, e al giudice dell'esecuzione individuato a norma dell'art. 665, ove si tratti invece di latitante sottrattosi ad ordine di carcerazione, come si evince dal rinvio, operato dall'art. 295, alle «modalità» previste dalle norme che disciplinano il ricorso allo strumento captativo nelle indagini preliminari e considerato, altresì, che anche nella fase esecutiva non vengono meno le esigenze di garanzia della libertà e riservatezza delle comunicazioni con riferimento sia alla persona sottoposta al provvedimento che ad una non preventivamente determinabile pluralità di soggetti estranei al rapporto esecutivo salvo che sussistano, in tale ultimo caso, concorrenti necessità investigative (Cass. I, n. 4312/2001; Cass. V, n. 15322/2008; Cass. V, n. 48972/2009). Rientra, però, nelle attribuzioni del giudice per le indagini preliminari, e non del giudice dell'esecuzione, il potere di disporre le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni per la ricerca del latitante, che volontariamente si sottrae ad un ordine di carcerazione, nel caso in cui lo stato di latitanza dia al contempo rilievo a finalità di natura squisitamente investigativa. Tali finalità investigative, tipiche della fase delle indagini preliminari, sussistono quando lo strumento intercettativo è utilizzato non soltanto per consentire l'esecuzione dell'ordine di carcerazione, ma anche per l'acquisizione di elementi informativi volti a ricostruire, sia pure nel quadro e per l'attivazione delle ricerche del latitante, dimensioni associative, fatti e responsabilità riconducibili al gruppo criminale che, secondo l'ipotesi investigativa, favorisce la latitanza (Cass. II, n. 215/2007).

Consolidato è l'orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la violazione delle regole sulla competenza a disporre le intercettazioni per un verso non costituisce causa di inutilizzabilità c.d. «patologica» ai fini della possibilità di utilizzarle nel giudizio abbreviato (Cass. VI, n. 23778/2009; Cass. IV, n. 31304/2005); per altro verso la violazione delle regole sulla competenza non produce in ogni caso l'inutilizzabilità della prova per il disposto dell'art. 26, comma 1, che espressamente prevede il principio di conservazione dell'efficacia delle prove assunte dal giudice incompetente (Cass. IV, n. 31304/2005; Cass. IV, n. 37372/2006; Cass. IV, n. 45911/2009).

Nei giudizi innanzi alla corte d'assise, secondo quanto previsto dal comma 3-ter dell'art. 295, introdotto dalla l. n. 56/2006, ad autorizzare le intercettazioni telefoniche ed ambientali è il presidente della corte d'assise.

Le intercettazioni previste dall'art. 295 sono soggette al limite di durata fissato dal comma 3 dell'art. 267  (Grevi, 387 ss.); tuttavia, si è anche evidenziato, con riguardo alle intercettazioni ambientali di cui al comma 3-bis dell'art. 295, la non operatività del limite di cui al comma 2 dell'art. 266 per le captazioni ambientali nel domicilio, già derogato in via generale nei procedimenti di criminalità organizzata (Grevi, 387 ss.).

Nella giurisprudenza di legittimità il principio dell'utilizzabilità probatoria o nell'incidente cautelare delle risultanze delle intercettazioni disposte per la ricerca del latitante è ampiamente condiviso, sia che tale utilizzazione venga disposta nei confronti dello stesso latitante obiettivo delle intercettazioni, sia che la stessa avvenga nei confronti di altri soggetti in procedimenti diversi. Sulla base di questa premessa si è formato un orientamento che nega in tale ambito l'operatività dei divieti di utilizzazione previsti dall'art. 271, ricorrendo, a sostegno dell'affermazione, al principio di conservazione degli atti, nonché a quello di tassatività delle cause di inutilizzabilità degli stessi, rilevando come la norma da ultimo menzionata non sia in alcun modo richiamata nei commi 3 e 3-bis dell'art. 295, nei quali è contenuta la disciplina dell'attività di intercettazione per la ricerca dei latitanti, argomentando, inoltre, come l'omesso richiamo del citato art. 271 assume particolare significato in una materia in cui il legislatore «è stato sempre attento a garantire il massimo di legalità» e alla luce del fatto che nell'art. 295 lo stesso legislatore si è invece premurato di richiamare espressamente la disciplina dell'art. 270 sull'utilizzabilità degli esiti dell'attività di intercettazione in procedimenti diversi da quello in cui la stessa è stata disposta (Cass. VI, n. 44756/2003; Cass. I, n. 24178/2007; Cass. VI, n. 44522/2009; Cass. II, n. 39285/2009; Cass. I, n. 298/2010; Cass. II, n. 39380/2010). È presente nella giurisprudenza della Suprema Corte anche un orientamento di segno contrario, che, pur ribadendo l'utilizzabilità probatoria delle risultanze delle intercettazioni disposte per la ricerca dei latitanti, ha affermato che tale utilizzabilità è condizionata al rispetto delle prescrizioni e delle garanzie previste dagli artt. 266 e ss. e conseguentemente, nonostante la mancanza di un espresso richiamo nell'art. 295, devono ritenersi operanti i divieti di utilizzabilità previsti dall'art. 271 dello stesso codice (Cass. I, n. 4888/1999; Cass. I, n.1812/2007;Cass. I, n. 15112/2011).

Necessità del provvedimento del giudice

Lo stato di latitanza non consegue alla redazione del verbale di vane ricerche ad opera della polizia giudiziaria, bensì al provvedimento del giudice il quale, pur avendo natura dichiarativa, è il risultato di una valutazione di merito in ordine al carattere sufficientemente completo ed esauriente delle ricerche svolte; in mancanza di tale provvedimento, pertanto, non può parlarsi di latitanza nell'accezione giuridico — processuale del termine e non possono conseguentemente verificarsi gli effetti che le norme del codice di rito a tale stato attribuiscono, ivi compreso quello delle modalità di notifica degli atti ai sensi dell'art. 165 anziché dell'art. 157 (Cass. II, n. 4802/1997).

L'art. 13, comma 1, lett. c) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, aggiunge al comma 2 la precisa indicazione che il giudice se ritiene che le ricerche non siano esaurienti “dispone la prosecuzione delle ricerche”.

Proprio perché la dichiarazione dello stato di latitanza non è una conseguenza automatica della redazione del verbale di vane ricerche, ma presuppone uno specifico apprezzamento di merito del giudice in ordine alla ricorrenza di una situazione di «irreperibilità volontaria» della persona ricercata, ne consegue la nullità dell'avviso di fissazione dell'udienza davanti al Tribunale del riesame, quando lo stesso sia stato notificato ai sensi dell'art. 165, dopo la redazione del verbale di vane ricerche ad opera della polizia giudiziaria, ma in assenza della dichiarazione di latitanza (Cass. VI, n. 41762/2009). Per converso, è stato ritenuto legittimo, ancorché non sia stato redatto dalla polizia un verbale di vane ricerche, il decreto di latitanza emesso dopo che l'imputato, sottoposto all'obbligo di dimora di cui all'art. 238, non ha ottemperato alla prescrizione di recarsi presso l'autorità di polizia per indicare il luogo in cui avrebbe fissato la propria dimora, integrando tale condotta pienamente gli estremi della sottrazione volontaria alla misura stessa (Cass. VI, n. 2541/2003)

L'eventuale erronea dichiarazione di latitanza per irritualità delle ricerche non determina una nullità assoluta per omessa citazione dell'imputato, bensì una nullità a regime intermedio da dedurre prima della pronuncia della sentenza di primo grado (Cass. VI, n. 53599/2014; Cass. VI, n. 10957/2015).

In senso contrario, peraltro, è stato affermato che l'erronea dichiarazione di latitanza intervenuta antecedentemente all'esercizio dell'azione penale determina la nullità assoluta ed insanabile di tutti gli atti successivi, con conseguente regressione del procedimento e restituzione degli atti al pubblico ministero ove l'imputato non abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo  (Cass. I, n. 17703/2010; Cass. III, n. 1621/2016: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato le sentenze di primo e secondo grado emesse nei confronti di uno straniero espulso dal territorio dello Stato ed accompagnato alla frontiera prima dell'emissione della misura cautelare nei suoi confronti, al quale, dopo l'erronea dichiarazione di latitanza, era stato nominato un difensore di ufficio che aveva ricevuto, quale domiciliatario ex lege, la notificazione degli atti successivi). Anche di recente, la giurisprudenza ha formulato il seguente principio di diritto: l'erronea dichiarazione di latitanza dell'imputato, siccome fondata su decreto invalido, pur risultando dagli atti la stabile dimora all'estero dell'imputato medesimo, inficia la validità della citazione a giudizio che è da considerare "tamquam non esset" e travolge ogni atto successivo, imponendo la regressione del procedimento dinanzi al giudice dell'udienza preliminare (Cass. II, n. 33618/2021).

Bibliografia

Aimonetto, L'incapacità dell'imputato per infermità di mente, Milano, 1992; Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Aprile, La utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni disposte per la ricerca del latitante, in Cass. pen. 2010, 3905; De Matteo, voce Latitanza, in Dig. d. pen., VII, Torino, 1993, 335; Grevi, Misure cautelari, in G. Conso- Grevi, Compendio di procedura penale, Milano, 2010, 387; Peroni, Le misure interdittive nel sistema delle cautele penali, Milano, 1992.; Scalfati (a cura di), Le misure cautelari, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, Torino, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015; Ubertis, voce Irreperibilita`e latitanza, in Enc giur. Treccani, XVII, Roma, 1989, 1;

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