Codice di Procedura Penale art. 299 - Revoca e sostituzione delle misure.Revoca e sostituzione delle misure. 1. Le misure coercitive [281-286] e interdittive [288-290] sono immediatamente revocate [714 4, 715 6, 716 4, 718, 736 4-5; 97 3 att.; 6 reg.] quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall'articolo 273 o dalle disposizioni relative alle singole misure ovvero le esigenze cautelari previste dall'articolo 274 [250 2 trans.]. 2. Salvo quanto previsto dall'articolo 275, comma 3, quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata [275], il giudice sostituisce la misura con un'altra meno grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità meno gravose 1 2-bis. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore 2. 2-ter. Nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera i-ter), del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, l'estinzione, l'inefficacia pronunciata per qualsiasi ragione o la revoca delle misure coercitive previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 o la loro sostituzione con altra misura meno grave sono comunicati, a cura della cancelleria, anche per via telematica, all'autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione, ai fini dell'eventuale adozione dei relativi provvedimenti3. 2-quater. Nei procedimenti per i delitti di cui all'articolo 362, comma 1-ter, l'estinzione o la revoca delle misure coercitive di cui al comma 1 del presente articolo o la loro sostituzione con altra misura meno grave sono comunicate al prefetto che, sulla base delle valutazioni espresse nelle riunioni di coordinamento di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2002, n. 133, può adottare misure di vigilanza dinamica, da sottoporre a revisione trimestrale, a tutela della persona offesa4. 3. Il pubblico ministero e l'imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice [279], il quale provvede con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis del presente articolo, che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio. Il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi alla notifica, presentare memorie ai sensi dell'articolo 121. Decorso il predetto termine il giudice procede5 . Il giudice provvede anche di ufficio quando assume l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare [294] o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari [406] o dell'assunzione di incidente probatorio [393] ovvero quando procede all'udienza preliminare [416 s.] o al giudizio [438 s., 447, 465 s.]. 3-bis. Il giudice, prima di provvedere in ordine alla revoca o alla sostituzione delle misure coercitive e interdittive, di ufficio o su richiesta dell'imputato, deve sentire il pubblico ministero. Se nei due giorni successivi il pubblico ministero non esprime il proprio parere, il giudice procede6 . 3-ter. Il giudice, valutati gli elementi addotti per la revoca o la sostituzione delle misure, prima di provvedere può assumere l'interrogatorio [294 3] della persona sottoposta alle indagini. Se l'istanza di revoca o di sostituzione è basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, il giudice deve assumere l'interrogatorio dell'imputato che ne ha fatto richiesta7 . 4. Fermo quanto previsto dall'articolo 276, quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un'altra più grave ovvero ne dispone l'applicazione con modalità più gravose o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva 89. 4-bis. Dopo la chiusura delle indagini preliminari [405], se l'imputato chiede la revoca o la sostituzione della misura con altra meno grave ovvero la sua applicazione con modalità meno gravose, il giudice, se la richiesta non è presentata in udienza, ne dà comunicazione al pubblico ministero, il quale, nei due giorni successivi, formula le proprie richieste. La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis del presente articolo, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio 10. 4-ter. In ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato. Gli accertamenti sono eseguiti al più presto e comunque entro quindici giorni da quello in cui la richiesta è pervenuta al giudice. Se la richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere [285] è basata sulle condizioni di salute di cui all'articolo 275, comma 4-bis, ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, o risultano in altro modo al giudice, questi, se non ritiene di accogliere la richiesta sulla base degli atti, dispone con immediatezza, e comunque non oltre il termine previsto nel comma 3, gli accertamenti medici del caso, nominando perito ai sensi dell'articolo 220 e seguenti, il quale deve tener conto del parere del medico penitenziario e riferire entro il termine di cinque giorni, ovvero, nel caso di rilevata urgenza, non oltre due giorni dall'accertamento. Durante il periodo compreso tra il provvedimento che dispone gli accertamenti e la scadenza del termine per gli accertamenti medesimi, è sospeso il termine previsto dal comma 3 11 . 4-quater. Si applicano altresì le disposizioni di cui all'articolo 286-bis, comma 312 .
[1] Comma così modificato dall'art. 1 d.l. 9 settembre 1991, n. 292, conv., con modif., nella l. 8 novembre 1991, n. 356. [2] Comma dapprima inserito dall'art. 2, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, e successivamente così modificato dall'art. 15, comma 4, l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019, che ha sostituito le parole: «alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore» alle parole: «al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa». [3] Comma inserito dall'art. 14, comma 1, lett. b), l. 24 novembre 2023, n. 168. [4] Comma inserito dall'art. 14, comma 1, lett. b), l. 24 novembre 2023, n. 168. [5] L'art. 2, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, ha inserito nel presente comma gli attuali periodi secondo, terzo e quarto. [6] Comma inserito dall'art. 14, d.lg. 14 gennaio 1991, n. 12. [7] Comma inserito dall'art. 13 l. 8 agosto 1995, n. 332. [8] L'art. 9, l. 16 aprile 2015, n. 47 ha inserito le parole: «o applica congiuntamente altra misura coercitiva o interdittiva». [9] L'art. 2, comma 1, lett. h), l. 9 agosto 2024, n. 114, ha disposto l'aggiunta, in fine, del seguente periodo: «In questo caso, se ritiene che l'aggravamento debba comportare l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, il giudice per le indagini preliminari rimette la decisione al collegio di cui all'articolo 328, comma 1-quinquies». Ai sensi dell'art. 9, comma 1, della l. n. 114/2024 cit., la presente disposizione si applica decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della citata legge (25 agosto 2026). [10] Comma dapprima inserito dall'art. 14, d.lg. n. 12, cit.,e successivamente modificato dall'art. 2, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif. dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, che ha aggiunto l'ultimo periodo. [11] Comma inserito dall'art. 14, d.lg. n. 12, cit., e successivamente così modificato dall'art. 5 l. n. 332, cit., e dall'art. 41 lett. a)l. 12 luglio 1999, n. 231. [12] Comma aggiunto dall'art. 4 1 lett. b) l. n. 231, cit. InquadramentoIl complessivo disposto dell'art. 299 trova la sua ratio nella fondamentale esigenza di assicurare che le misure cautelari siano costantemente adeguate agli sviluppi del compendio indiziario e all'attenuazione o all'aggravamento delle esigenze cautelari, di modo che le misure stesse si mantengano proporzionate alla entità del fatto e alla natura e la grado delle esigenze di cautela. Nel sistema costituzionale e processuale penale in vigore, le misure cautelari personali sono, per loro natura, provvisorie, modificabili e revocabili. Invero il diritto inviolabile alla libertà personale, che l'art. 13 Cost. prevede possa essere limitato solo nei casi e modi tassativamente previsti dalla legge, esige - come regola generale - che i provvedimenti che lo limitano siano permanentemente assistiti dal carattere della loro legittimità, anche per la costante rispondenza ai presupposti ed ai requisiti voluti dalla legge in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari meritevoli di tutela. Ne deriva che il controllo sulla esistenza dei detti presupposti e requisiti non può essere aprioristicamente limitato a determinate fasi o a specifici momenti procedurali, tant'è che a mente dell'art. 299 comma 1 le misure cautelari debbono essere immediatamente revocate quando risultino mancanti le condizioni della loro applicabilità. Proprio in considerazione della suddetta ratio, ampio è il potere del giudice, anche a prescindere dalla richiesta delle parti, come evidenziato dalla Corte costituzionale già con la sentenza Corte cost. n. 89/1998, con la quale è stata ritenuta non fondata, con riferimento agli artt. 3,24, comma 2, e 76 Cost., in relazione all'art. 2, n. 59, l. n. 81/1987, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 299, comma 3, nella parte in cui limiterebbe il potere del giudice di provvedere d'ufficio, nel corso delle indagini preliminari, alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari quando assume l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare, o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell'assunzione di incidente probatorio, in quanto la disposizione impugnata deve essere interpretata, conformemente a Costituzione, nel senso che, se il potere di intervento d'ufficio è riconosciuto nelle situazioni, tassativamente previste dall'art. 299, comma 3, in cui il G.I.P. risulti investito del procedimento per l'esercizio di poteri attinenti alla sua competenza funzionale, ma estranei alla materia de libertate (e cioè: proroga del termine per le indagini preliminari e assunzione dell'incidente probatorio), a maggior ragione si deve ritenere che il giudice sia abilitato ad intervenire in bonam partem senza limiti derivanti dallo specifico petitum, quando sia comunque investito della competenza funzionale in materia cautelare da una richiesta dell'imputato; con la precisazione che tale interpretazione non estende le ipotesi, tassativamente previste dalla legge, in cui il giudice è abilitato a provvedere d'ufficio de libertate, ma si limita a riconoscere un potere di intervento pro libertate quando il giudice è già investito di una domanda cautelare. Presupposti della revoca o della sostituzione
In genere L'art. 299 prevede che la misura cautelare, coercitiva o interdittiva, sia revocata quando risultino mancanti “anche per fatto sopravvenuti” le condizioni di applicabilità attinenti alla gravità indiziaria o alle esigenze cautelari (comma 1), ovvero sia sostituita, con misura meno grave o con modalità meno gravose, quando le esigenze cautelari risultino attenuate o la misura non appaia più proporzionata (comma 2), ovvero con misura più grave o con modalità più gravose o con più misure congiunte, quando le esigenze cautelari risultano aggravate (comma 4). Revoca o sostituzione con misura meno gravosa Ai fini del giudizio in ordine alla permanenza o alla intervenuta modificazione delle condizioni che legittimano il mantenimento della misura cautelare, secondo quanto richiesto dall'art. 299, comma 1, sono da ritenere «fatti nuovi» quelli che comunque il giudice non ha in precedenza considerato e quindi anche quelli preesistenti e persino quelli già acquisiti al procedimento e trascurati, come ben si desume dal testuale tenore della norma la quale, facendo riferimento «anche» ai fatti sopravvenuti, lascia ben intendere come la valutazione del giudice debba in ogni caso estendersi a quelli preesistenti, purché non siano già stati valutati. Pertanto, l'ordinanza in tema di revoca della misura, che può essere adottata, senza l'osservanza di termini, in qualsiasi fase del procedimento, in cui se ne ravvisi la necessità, mira a verificare la sussistenza attuale delle condizioni di applicabilità della misura stessa prescritta dagli artt. 273 e 274 o di quelle relative alle singole misure, avendo riguardo sia ai fatti sopravvenuti, sia a quelli originari e coevi all'ordinanza impositiva, facendoli oggetto di una valutazione eventualmente diversa da quella prescelta dal giudice che ha applicato la misura (Cass. S.U. , n. 11/1994; Cass. I, n. 4153/1993; Cass. VI, n. 32018/2003). L'art. 299, comma 1, prevede espressamente la revoca, tra l'altro, nel caso che vengano a mancare le condizioni di applicabilità relative alle singole misure e, quindi, anche la condizione prevista in generale dall'art. 280. Tra i casi in cui vengono a mancare le condizioni di applicabilità di quest'ultima norma sono compresi anche quelli nei quali la sentenza di condanna abbia derubricato il fatto in ipotesi diversa da quella contestata o abbia escluso - ovvero ritenute equivalenti o soccombenti rispetto alle attenuanti riconosciute - quelle particolari aggravanti delle quali si deve tener conto ai sensi dell'art. 278, con la conseguenza che per il «reato ritenuto in sentenza» la pena stabilita dalla legge (uguale o inferiore ai tre anni di reclusione) più non consente l'applicazione della misura cautelare (Cass. VI, n. 394/1991). In ogni caso, una sentenza di condanna per un reato derubricato rispetto a quello contestato costituisce un fatto nuovo ai fini della valutazione dell'adeguatezza della misura cautelare e della persistenza delle esigenze di cautela, giacché si tratta di circostanza direttamente inerente allo sviluppo del processo e, come tale, astrattamente idonea a influire, congiuntamente all'elemento legato al decorso del tempo, sulla consistenza delle esigenze cautelari e a giustificare un nuovo esame non soggetto alla preclusione derivante da precedente decisione sulla libertà assunta prima della sentenza (Cass. I, n. 5601/1996). Proprio con specifico riferimento alle esigenze cautelari, è stato affermato che il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale (Cass. S.U., n. 16085/2011). L'elemento nuovo costituito dall'esclusione di una o più circostanze aggravanti ad effetto speciale, stabilita da una sentenza definitiva emessa nei confronti di coimputati giudicati separatamente, pur essendo valutabile nel procedimento in corso ai fini dell'apprezzamento di una riduzione dei termini di custodia cautelare, con eventuale scadenza degli stessi, non soggiace ad alcun automatismo, attesa la libera valutazione del compendio probatorio da parte del giudice cautelare, né, comunque, pur se condivisa, comporta la rideterminazione retroattiva dei termini di durata massima per le precedenti fasi del procedimento, stante l'autonomia di ciascuna di esse (Cass. I, n. 44424/2017; Cass. VI, n. 14943/2018). La giurisprudenza ha preso in esame, in particolare, la rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del reato, affermando che, in materia di richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere, la attuale sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura prevista dagli artt. 273 e 274, in quanto correlata sia ai fatti sopravvenuti sia a quelli coevi all'ordinanza impositiva, può esser valutata tenendo conto anche del tempo trascorso dal commesso reato; tuttavia detto tempo può acquistare rilevanza solo se accompagnato da altri elementi che siano certamente sintomatici di un mutamento della complessiva situazione inerente lo status libertatis del soggetto interessato (Cass. IV, n. 598/1996; Cass. VI, n. 920/1997; Cass. IV, n. 35861/2006); comunque, è legittimo il mantenimento della misura coercitiva, pur se sia trascorso un lungo periodo di tempo dalla commissione del fatto, se la misura sia stata applicata per scongiurare il pericolo di inquinamento probatorio e se risultino in atto condotte tali da compromettere l'esigenza di salvaguardare la genuinità della prova (Cass. III, n. 24434/2011). Con riferimento alla problematica del tempo trascorso dalla commissione del reato, in particolare in relazione al delitto di cui all'art. 416-bis c.p.v. art. 274 § 4.2. Mentre al tempo trascorso dalla commissione del reato attribuisce specifica rilievo la stessa disciplina codicistica (art. 292, comma 2, lett. c), con riferimento al tempo trascorso in regime cautelare, la giurisprudenza non attribuisce uno specifico rilievo, in quanto la valenza di tale circostanza si esaurisce nell'ambito della disciplina dei termini massimi di custodia (Cass. I, n. 277/1996), di modo che l'attenuazione o l'esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall'osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all'inizio del trattamento cautelare e idonei a suffragare la tesi dell'affievolimento delle esigenze cautelari (Cass. II, n. 45213/2007; Cass. V, n. 16425/2010; Cass. I, n. 24897/2013; Cass. II, n. 1858/2014; Cass. III, n.43113/2015 da ultimo: Cass. IV, n. 17470/2024). A fronte di un orientamento giurisprudenziale dei giudici di merito che tendeva ad escludere la proporzionalità della misura in ragione della durata della sua applicazione calcolata in termini percentuali rispetto all'entità della pena, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato il principio secondo il quale è illegittimo il provvedimento di revoca della custodia cautelare motivato esclusivamente in riferimento alla sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura in ragione della corrispondenza della durata della stessa ad una percentuale, rigidamente predeterminata ricorrendo ad un criterio aritmetico, della pena irroganda nel giudizio di merito e prescindendo da ogni valutazione della persistenza e della consistenza delle esigenze cautelari che ne avevano originariamente giustificato l'applicazione (Cass. S.U., n. 16085/2011; conf. Cass. II, n. 6510/2015). Sostituzione con misura più gravosa Il comma 4 dell'art. 299 prevede, in caso di aggravamento delle esigenze cautelari, la sostituzione, su richiesta del pubblico ministero, della misura applicata con altra più grave oppure l'aggravamento delle modalità di quella in atto o, ancora, l'applicazione congiunta di altra misura coercitiva o interdittiva. Quest'ultima possibilità era stata esclusa dalla Corte di cassazione, la quale aveva ritenuto che l'applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge agli artt. 276, comma 1, e 307, comma 1-bis, (Cass. S.U., n. 29907/2006), ed ora è stata introdotta dall'art. 9 l. 16 aprile 2015, n. 47. Il comma 4 dell'art. 299 fa salvo quanto previsto dall'art. 276, pertanto, si è ritenuto che può essere disposto d'ufficio l'aggravamento della misura cautelare a seguito della segnalazione, da parte degli organi di polizia giudiziaria, della trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura meno grave precedentemente applicata, trattandosi dell'attivazione della procedura prevista dall'art. 276 in cui le esigenze cautelari restano inalterate e che si conclude con un provvedimento sanzionatorio dovuto al comportamento trasgressivo dell'indagato e, pertanto, alla sua inaffidabilità; in tal caso, non rileva l'ipotesi di cui all'art. 299, comma 4, che prevede l'adozione di una misura cautelare più grave a seguito di richiesta del P.M. e presuppone l'aggravamento delle esigenze cautelari, l'accertamento della cui sussistenza richiede il contraddittorio di tutte le parti (Cass. VI, n. 270/2000; Cass. III, n. 41770/2010; Cass. V, n. 489/2015). E' stato, inoltre, precisato che la richiesta di ripristino, nei confronti dell'imputato sottoposto ad un presidio non custodiale (nella specie l'obbligo di dimora), di un regime restrittivo (nella specie gli arresti domiciliari) impone al giudice della cautela di tener conto, nella valutazione della misura da applicare, della pregressa osservanza delle prescrizioni connesse al vincolo non detentivo, dando ragione, ove questa non abbia dato luogo a rilievi, dei motivi per i quali la misura medesima si sia dimostrata inadeguata rispetto alla finalità cautelare da prevenire (Cass. V, n. 17827/2022). Presupposto per l'emissione del provvedimento cautelare che sostituisce la misura cautelare o ne aggrava le modalità di esecuzione, ai sensi del comma 4 dell'art. 299, è la sopravvenienza di circostanze tali da far ritenere aggravate le esigenze di cui all'art. 274 (Cass. I, n. 3285/2016) e costituite da elementi fattuali non presi in considerazione, perché non ancora verificatisi ovvero accertati o esaminati nelle precedenti decisioni inerenti alla libertà del soggetto interessato, in quanto, diversamente operandosi, verrebbero illegittimamente a rivalutarsi circostanze già esaminate in precedenza e coperte dalla preclusione processuale, caratterizzante tutto il procedimento de libertate (Cass. I, n. 3276/1995). Così, ad esempio, si è ritenuto che la reiterazione di condotte persecutorie (art. 612-bis c.p.) nei confronti della persona offesa legittima, in virtù dell'art. 299, comma 4, la sostituzione della misura applicata con altra più grave, con riferimento all'aggravarsi delle esigenze cautelari, trattandosi di fatti sintomatici di un più elevato grado di pericolosità (Cass. V, n. 34520/2011). La contestazione di un nuovo addebito può giustificare l'applicazione dell'art. 299, comma 4, con riferimento all'aggravarsi delle esigenze cautelari che giustificano la sostituzione della misura cautelare applicata con altra più grave, trattandosi di fatti che, lungi dall'essere giudicati in sé, possono essere sintomatici di un più elevato grado di pericolosità (Cass. IV, n. 3072/1999). La pronuncia di una sentenza di condanna costituisce di per sé non solo un fatto nuovo che legittima l'emissione di una misura coercitiva personale, non ostando a tal fine la formazione di un giudicato cautelare precedente, ma anche, quando sia relativa ad uno dei reati di cui all'art. 275, comma 3, elemento idoneo a fondare la presunzione di pericolosità che impone la misura della custodia in carcere (Cass. I, n. 18955/2004; Cass. VI, n. 30582/2003; Cass. I, n. 13904/2008; Cass. VI, n. 30144/2015). Anche la sopravvenuta condanna dell'imputato in appello ad una gravosa pena detentiva e l'accertato inserimento dello stesso in una consorteria transnazionale può rendere più attuale e concreto il pericolo di fuga e giustificare un aggravamento della misura cautelare (Cass. I, n. 3285/2016). Venuta meno la situazione sanitaria giustificativa di una misura custodiale affievolita ai sensi dell'art. 275, comma 4-bis, è possibile riconsiderare il quadro cautelare ed eventualmente ripristinare la custodia in carcere, sulla base del recupero dell'efficienza fisica da parte dell'imputato e della persistenza delle ragioni di difesa social-preventive, già poste a base dell'originario provvedimento restrittivo della libertà personale (Cass. VI, n. 31901/2002). L'ordinanza di aggravamento di una tale misura emessa nei confronti dell'imputato alloglotto, che non abbia conoscenza della lingua italiana, deve essere tradotta in una lingua a lui nota a pena di nullità, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 143 e 178, comma 1, lett. c), c.p.p., in quanto incide sensibilmente sulla libertà personale (Cass. II, n. 14657/2024; v. Cass. S.U., n. 15069/2024 sub art. 292) Procedimento
La domanda cautelare La richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare può essere avanzata dal pubblico ministero o dall'imputato. Il giudice, di regola, deve attenersi al principio della domanda cautelare (Cass. VI, n. 35106/2003) e, in particolare, non può applicare una misura più grave di quella richiesta dal pubblico ministero né può, in assenza di tale richiesta, disporre modalità più gravose o applicare congiuntamente altre misure (art. 309, comma 4), determinandosi altrimenti la nullità assoluta del provvedimento applicativo a norma degli artt. 178, lett. b), e 179 (Cass. VI, n. 33858/2008; Cass. VI, n. 2948/2009). Con D.M. 4 luglio 2023 (GU Serie Generale n.155 del 05-07-2023) sono stati individuati gli atti il cui deposito da parte dei difensori deve avvenire esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico ai sensi dell'art. 87, comma 6-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, tra questi atti vi è anche la richiesta di sostituzione, revoca o modifica di misura cautelare. Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore ventiquattro del giorno di scadenza. Con successivo D.M. 18 luglio 2023 (G.U. serie generale n. 166 del 18 luglio 2023) è stato disposto che «L'efficacia del decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, nella parte in cui dispone che il deposito da parte dei difensori degli atti indicati nell'elenco di cui all'art. 1 dello stesso decreto avviene esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico, decorre dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Sino alla scadenza del termine di cui al periodo che precede, negli uffici indicati dal decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, è possibile, in via sperimentale, il deposito da parte dei difensori degli atti elencati nell'art. 1 del medesimo decreto anche mediante il portale del processo penale telematico con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia». Il giudice può provvedere ex officio alla revoca o alla sostituzione della misura cautelare nei casi espressamente previsti: a norma dell'art. 299, comma 3, quando assume l'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare [294] o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari o dell'assunzione di incidente probatorio ovvero quando procede all'udienza preliminare o al giudizio; a norma dell'art. 276, nel caso di trasgressione alle prescrizioni imposte con una misura cautelare; quando riscontri che la misura cautelare ha perso efficacia, per decorrenza termini di custodia cautelare ex art. 303, per applicazione della disciplina della c.d. contestazione a catena (art. 297), per omessa o intempestiva celebrazione dell'interrogatorio di garanzia (artt. 302 e 294), per effetto della pronuncia di determinate sentenze (art. 300). La concessione di autorizzazioni ad assentarsi dal domicilio per esigenza di vita o di lavoro o la sostituzione del luogo di privata dimora di esecuzione degli arresti domiciliari, non determinano un'attenuazione o un aggravamento della misura cautelare, né una modifica della stessa, trattandosi di modalità di applicazione di tale misura, ne consegue che è legittima l'iniziativa officiosa del giudice, in mancanza di una richiesta o del parere del pubblico ministero (Cass. VI, n. 35338/2003; Cass. V, n. 10638/2009; Cass. II, n. 13495/2013), mentre, è affetto da nullità assoluta a norma degli artt. 178, lett. b), e 179 il provvedimento del giudice che, disponendo l'applicazione della misura degli arresti domiciliari, impone limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono, in difetto di una previa corrispondente richiesta del pubblico ministero (Cass. VI, n. 17950/2013 ; Cass. II, n. 53671/2014 : in motivazione la Corte ha chiarito che la nullità determina unicamente la eliminazione delle modalità "ultra petita" di esecuzione della misura, senza travolgere nella restante parte la validità ed efficacia della misura). In ipotesi di revoca o di sostituzione di misure cautelari, il giudice provvede sulle relative istanze con procedura de plano, sentito il pubblico ministero, poiché l'adozione delle forme del procedimento camerale ex art. 127 è riservato alle sole ipotesi espressamente indicate e non estensibile alle altre (Cass. I, n. 671/1994). Il procedimento in camera di consiglio davanti alla Corte d'appello chiamata a deliberare sulla richiesta di revoca o sostituzione della misura coercitiva disposta nei confronti dell'estradando deve svolgersi nelle forme "partecipate" previste dall'art. 127 e non secondo la procedura "de plano" stabilita in via ordinaria dall'art. 299 (Cass. S.U., n. 26156/2003). Il parere del P.M Il giudice, qualora debba provvedere, anche d'ufficio, in ordine alla revoca o alla sostituzione della misura coercitiva, ha l'obbligo di rivolgere al pubblico ministero richiesta di parere, il cui inadempimento comporta la nullità prevista dall'art. 178 lett. b) per inosservanza delle disposizioni concernenti la partecipazione del pubblico ministero al procedimento; l'uso dell'avverbio «immediatamente» nell'art. 299, comma 1, esprime l'esigenza di una celere definizione della procedura, ma non implica la possibilità di provvedere senza il rispetto del contraddittorio. Si tratta, peraltro, di una nullità che può essere fatta valere soltanto dal pubblico ministero (Cass. I, n. 13981/2003; Cass. II, n. 39495/2005; Cass. I, n. 45313/2008; Cass. VI, n. 30422/2010). È stata, peraltro, ritenuto che la mancata acquisizione del parere del pubblico ministero in ordine alla istanza di revoca della misura cautelare, richiesto dall'art. 299 comma 3-bis, non determina la nullità del provvedimento ex art. 178 lett. b), a condizione che il rappresentante della pubblica accusa sia stato messo in condizione di esprimere le proprie conclusioni, ancorché in concreto non lo abbia fatto (Cass. II, n. 8392/2002: in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso la nullità del provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca della misura cautelare proposta, in pubblica udienza, alla presenza del p.m., il quale si era poi spontaneamente allontanato prima di concludere; Cass. VI, n. 33165/2012). La Corte costituzionale, con sentenza n. 69 del 2021 ha dichiarato manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale - sollevata dal GUP del Tribunale di Cosenza in riferimento agli artt. 13 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 5, par. 1, CEDU, nonché al «principio di ragionevolezza» - dell'art. 299, comma 3- bis , cod. proc. pen., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, nei casi di proscioglimento per infermità psichica dell'imputato in stato di custodia cautelare, impone al giudice di sentire il pubblico ministero ai fini della revoca della misura. Il rimettente deve decidere sulla richiesta del pubblico ministero di revocare l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in una residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), disposta dallo stesso giudice a carico di un imputato ai sensi degli artt. 300, comma 2, e 312 cod. proc. pen. contestualmente alla sentenza con la quale, in esito a giudizio abbreviato, lo aveva prosciolto per infermità mentale. Ciò costituisce vicenda distinta - seppur, nel caso di specie, contestuale - rispetto alla declaratoria di perdita di efficacia della custodia cautelare per intervenuto proscioglimento, ai sensi dell'art. 300, comma 1, del medesimo codice. Il parere del P.M. deve essere nuovamente richiesto ove il giudice, dopo l'acquisizione del predetto parere, abbia proceduto ad accertamenti di carattere istruttorio (Cass. III, n. 18935/2021). Al termine di due giorni nel quale, ai sensi dell'art. 299, comma 3-bis, il pubblico ministero deve esprimere il proprio parere circa la richiesta di revoca o sostituzione delle misure coercitive o interdittive, si applica l'art. 172, comma 4, secondo cui nel termine non si computa il giorno in cui ne è iniziata la decorrenza (Cass. II, n. 3843/1997). Il parere del Pubblico Ministero circa l'istanza dell'indagato diretta ad ottenere la cessazione o la modificazione della custodia cautelare già disposta, non è vincolante per il giudice in senso assoluto. Il giudice non può prescindere dalla richiesta del P.M. per l'applicazione di una determinata misura cautelare e non può adottare una misura più grave senza la richiesta del medesimo P.M., ma da ciò non consegue che lo stesso giudice non possa adottare statuizioni in malam partem in contrasto con la volontà espressa dal P.M., permanendo la sua autonomia di giudizio (Cass. I, n. 2668/1991; Cass. VI, n. 8860/2003). Delitti commessi con violenza alla persona L'art. 299, oltre a prevedere, nel comma 2-bis, introdotto dall'art. 2, d.l. n. 93/2013, conv., con modif., dalla l. n. 119/2013 e successivamente modificato dall'art. 15, comma 4, l. 19 luglio 2019, n. 69, l'obbligo di comunicare immediatamente, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali alla persona offesa e, ove nominato, al suo difensore i provvedimenti di revoca o sostituzione con altra meno gravosa relativi alle misure di cui agli artt. 282-bis (allontanamento dalla casa familiare), 282-ter (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa), 283 (divieto e obbligo di dimora), 284 (arresti domiciliari), 285 (custodia cautelare) e 286 (custodia cautelare in luogo di cura), applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, con il successivo comma 3, come modificato dall'art. 2, d.l n. 93/2013 cit., prevede che, nella fase delle indagini preliminari, la richiesta di revoca o sostituzione, del pubblico ministero o dell'imputato, che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest'ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio. Il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi alla notifica, presentare memorie ai sensi dell'art. 121 .e solo decorso tale termine il giudice può procedere. Dopo la chiusura delle indagini preliminari, la richiesta di revoca o sostituzione presentata dall'imputato, se non presentata in udienza, deve essere dal giudice comunicata al pubblico ministero, il quale deve formulare le sue richieste nei due giorni successivi e deve essere notificata, a cura della parte richiedente e a pena di inammissibilità, al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa personalmente. È stato precisato che l'obbligo di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall'obbligo di presentazione alla p.g.) applicate nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, previsto a pena di inammissibilità dall'art. 299, comma 4-bis, si estende anche al caso in cui la richiesta abbia ad oggetto il mutamento delle modalità esecutive delle misure coercitive (Cass. VI, n. 6864/2016; Cass. V, n. 18306/2016; Cass. VI, n. 27975/2016 ), quale la modifica del luogo di esecuzione dell'obbligo di dimora (Cass. VI, n. 27975/2016) o il trasferimento del luogo del domicilio degli arresti domiciliari (Cass. V, n. 18565/2016; Cass. IV, n. 29770/2017). È stata ritenuta validamente effettuata la notifica tramite “pec” dal difensore dell'imputato al difensore della persona offesa (Cass. II, n. 6320/2017) ed anche quella consegnata "brevi manu" al difensore della persona offesa il quale vi abbia apposto la sottoscrizione per presa visione (Cass. II, n. 57845/2018). Tali previsioni si inseriscono nel più ampio ventaglio delle misure intese a rafforzare il diritto partecipativo della persona offesa, rappresentate dalla modifica dell'art. 101, comma 1, che ha introdotto l'obbligo a carico dell'organo che riceve la notizia di reato di informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di richiedere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, dall'obbligatorietà dell'avviso ex art. 408 alla persona offesa dei delitti commessi con violenza alla persona, anche in assenza di esplicita richiesta, dall'inclusione tra i destinatari dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis) del «difensore della persona offesa o, in mancanza di questo», della «persona offesa» quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612-bis c.p. È palese, pertanto, la volontà del legislatore di rendere informata la persona offesa di ogni evoluzione della vicenda che la riguarda come vittima, nei diversi snodi procedimentali. La novella legislativa attua, in parte, la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 (recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato) e la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (maggio 2011), ratificata dall'Italia con l. n. 77/2013. L'inammissibilità dell'istanza di revoca o sostituzione, quale conseguenza della mancata notifica della richiesta medesima, a cura della parte richiedente alla persona offesa, deve ritenersi una sanzione che ha la funzione di garantire, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, l'adeguata informazione della vittima del reato circa l'evoluzione del regime cautelare in atto, e, quindi, la possibilità per la stessa di fornire eventuali elementi ulteriori al giudice procedente, attivando un contraddittorio cartolare mediante la presentazione, nei due giorni successivi alla notifica, di una memoria ai sensi dell'art. 121 del codice di rito. Pertanto, l'inammissibilità è stata ritenuta rilevabile d'ufficio fino al formarsi del giudicato (Cass. II, n. 29045/2014: in applicazione del principio, la Corte ha annullato senza rinvio sia il provvedimento di revoca della misura sia quello di rigetto dell'appello cautelare, sebbene la causa di inammissibilità dell'istanza non fosse stata dedotta tra i motivi di impugnazione proposti al tribunale della libertà ex art. 310; Cass. VI, n. 6717/2015; Cass. VI, n. 35613/2015; Cass. II, n. 33576/2016: nella motivazione la Corte ha altresì precisato che, in sede di appello cautelare, il controllo officioso del giudice prescinde totalmente dal principio devolutivo, fissato in via generale dall'art. 597, in quanto attiene alla legittimità del provvedimento impugnato; Cass. V, n. 43103/2017). Le Sezioni Unite (n. 36754/2022), risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno stabilito che la persona offesa non è legittimata ad impugnare, neanche con il ricorso per cassazione, l'ordinanza che, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, disponga la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva, diversa da quella del divieto di espatrio o dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in violazione del diritto di intervento per mezzo di memorie riconosciutole dall'art. 299, comma 3, ma può chiedere al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 572, di proporre impugnazione. La nozione di «delitti commessi con violenza alla persona», utilizzata dal legislatore, evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall'elemento della violenza (sia essa fisica, psicologica o morale) alla persona, bensì tutti quei delitti, consumati o tentati, che, in concreto, si sono manifestati con atti di violenza, fisica ovvero morale o psicologica, in danno della persona offesa (Cass. I, n. 49339/2015: fattispecie in tema di tentato sequestro di persona a scopo di estorsione, in cui la Corte ha ritenuto insussistente l'obbligo di notifica in quanto la condotta criminosa si era interrotta per l'intervento delle forze di polizia prima che qualsiasi forma di violenza, anche solo morale, potesse essere percepita dall'ignara vittima; Cass. II, n. 30302/2016 : fattispecie in tema di estorsione posta in essere con minaccia; Cass. VI, n. 27601/2019: fattispecie relativa ai delitti di usura ed estorsione, posti in essere con violenza morale e con l'aggravante dell'uso del metodo mafioso). E' stata ritenuto che l'irrilevanza del consenso della vittima, unitamente alla funzione di protezione dell'integrità psicofisica del minore con riguardo alla sfera sessuale, consentono di ricondurre il reato contemplato dall'art. 609-quater c.p. tra quelli commessi con violenza alla persona, nel senso richiesto dall'art. 299, comma 2 bis, in quanto esso comporta una lesione della integrità psicofisica e implica per la sua commissione una violazione della relativa sfera; è stato ulteriormente precisato che non si tratta di una indebita estensione analogica in malam partem della nozione di violenza alla persona, bensì di una interpretazione di tale concetto coerente con gli obblighi convenzionali assunti dallo Stato e con le direttive comunitarie, in quanto la nozione di violenza in ambito comunitario e internazionale è più ampia di quella positivamente disciplinata nel nostro codice penale, ed è sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza di genere, contro le donne e nell'ambito delle relazioni affettive, sia o meno attuata con violenza fisica o anche solo morale, tale cioè da cagionare una sofferenza anche solo psicologica alla vittima del reato; in tale nozione rientrano le condotte alternativamente contemplate dall'art. 609-quater c.p., che comportano una compromissione della integrità psicofisica riguardo alla sfera sessuale dei minori che ne siano vittime (Cass. III, n. 5832/2018). Si è posto, peraltro, il problema se, tra i delitti commessi con violenza alla persona, debbano rientrare solo quelli in cui la condotta violenta si caratterizza anche per l'esistenza di un pregresso rapporto relazionale tra autore del reato e vittima, in cui perciò la violenza alla persona è per così dire mirata in danno di una determinata persona offesa, oppure anche quelli in cui l'azione violenta è del tutto occasionale. Sul punto si registra un contrasto di giurisprudenza. Infatti, secondo un primo orientamento, si è argomentato che, se, da un verso, appare indiscutibile che le vittime occasionali, magari solo per essersi risolte alla denuncia, sono esposte al rischio di una vittimizzazione secondaria che può tradursi in nuovi episodi delittuosi, atteggiamenti ritorsivi o minacciosi, va tuttavia considerato che, sotto il profilo informativo, il fine che si vuole raggiungere attraverso detto incombente è quello di offrire alle vittime, mediante la possibilità di presentare memorie ai sensi dell'art. 121, uno strumento per partecipare elementi di conoscenza ulteriori - che solo un pregresso rapporto diretto tra vittima e aggressore può presumibilmente consentire di avere - al fine di scongiurare il pericolo di recidivazione dalla richiesta modifica di misura. Fuori da questo ambito, il rapporto di maggior tutela, rivolto indiscriminatamente a tutte le vittime di reati con violenza alla persona, appare ridursi ad un mero formalismo, in quanto alla vittima occasionale della rapina, di regola solo casualmente - anche nella «scelta» dell'aggressore - vittima del reato, non può derivare ragionevolmente alcun pregiudizio dalla circostanza che all'imputato si revochi o si modifichi l'originaria misura cautelare. L'interpretazione restrittiva circa la portata applicativa delle modifiche dell'art. 299, apparirebbe così preferibile in quanto consente di bilanciare meglio la scelta legislativa di offrire comunque tutela alle persone offese, bersaglio diretto dell'aggressione altrui, con la contemporanea esigenza di non rendere eccessivamente gravoso, senza un'effettiva ragione giustificativa, il diritto di difesa che si estrinseca non solo con le istanza di revoca o di sostituzione delle misure in atto ma anche con le istanze volte a modificare le modalità di applicazione delle medesime (Cass. II, n. 43353/2015; Cass. II, n. 25135/2016; Cass. II, n. 36167/2017; Cass. II, n. 46996/2017; Cass. II, n. 17335/2019;Cass. VI, n. 9529/2021). Secondo un altro orientamento, invece, non è richiamato, né implicitamente, né esplicitamente nel testo normativo un pregresso legame relazionale tra autore e vittima, né una "forza" commissiva che si orienti, proprio in ragione d'un pregresso rapporto, in danno di una determinata persona offesa. Piuttosto il legislatore aderendo alle sollecitazioni internazionali sul piano della tutela delle vittime del reato ha inteso operare includendo anche le ipotesi di azioni violente occasionali. Ciò perché allorquando la violenza (nelle sue diverse forme di manifestazione) diventa mezzo commissivo del delitto e si orienta verso la persona è idonea ex se ad instaurare un legame relazionale tra autore e vittima, in guisa da legittimare quest'ultima ad interloquire, nella neointrodotta forma litisconsortile, sulle possibili vicende modificative del trattamento cautelare in essere. Centro di tutela è, pertanto, la vittima di azioni violente contro la persona. Non risulta corretta, a fronte del testo normativo, alcuna delimitazione concettuale o distinzioni volte a valorizzare rapporti pregressi, tipi di relazioni o altri parametri sostanziali cui il legislatore non ha inteso dare ingresso nella selezione dei presupposti operativi dell'istituto (Cass. I, n. 14831/2016; Cass. II, n. 19704/2016; Cass. II, n. 4921/2021; Cass. V, n. 14028/2021). L'art. 299, commi 3 e 4-bis, è stato, inoltre, oggetto di diverse interpretazioni, anche con riferimento alla affermazione della sussistenza o meno di un onere in capo alla parte offesa di manifestare la volontà di partecipare al procedimento, espressa dalla nomina del difensore o dalla dichiarazione ovvero elezione di domicilio, per esercitare il diritto di informazione e partecipazione. Le Sezioni Unite (Cass. S.U.,n. 17156/2022), risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno deciso che: «Nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare deve essere notificata, a cura del richiedente, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza, alla persona offesa, a condizione, in quest'ultimo caso, che essa abbia dichiarato o eletto domicilio»; «in ragione delle finalità eminentemente informative e partecipative al processo, della notifica di cui all'art. 299, commi 3 e 4-bis c.p.p., essa, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, deve essere effettuata, con le stesse modalità previste per la vittima, ai prossimi congiunti o alla persona a quella legata da relazione affettiva e stabilmente convivente». La richiesta di modifica della misura dell'obbligo di dimora, con divieto di allontanamento nelle ore notturne, applicata nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona deve ritenersi ritualmente notificata ove risulti proposta in udienza alla presenza delle persone offese e del loro difensore (Cass. V, n. 9872/2019). Altri obblighi di comunicazione Altri obblighi di comunicazione sono stati introdotti con l'art. 14, comma 1, lett. b) L. 24 Novembre 2023, n. 168 (Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica), che ha aggiunto i commi 2-ter e 2-quater, prevedendo, in caso di inefficacia, estinzione, revoca di misure coercitive o sostituzione con altra misura meno grave, per alcune tipologie di delitti (i delitti di cui all'articolo 4,comma 1, lettera i-ter), del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159) la comunicazione «a cura della cancelleria, anche per via telematica, all'autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione, ai fini dell'eventuale adozione dei relativi provvedimenti», per altra tipologia di delitti (i delitti di cui all'articolo 362, comma 1-ter) la comunicazione «al prefetto che, sulla base delle valutazio ni espresse nelle riunioni di coordinamento di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83,convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2002, n. 133,puo' adottare misure di vigilanza dinamica, da sottoporre a revisione trimestrale, a tutela della persona offesa». La decisione Il termine di cinque giorni previsto dall'art. 299, comma 3, per la decisione sull'istanza di revoca o sostituzione delle misure coercitive ha natura ordinatoria e, quindi, la sua inosservanza non determina la perdita di efficacia della misura (Cass. VI, n. 7319/2009; Cass. VI, n. 44092/2014). A fronte di una richiesta di revoca o di sostituzione delle misure cautelari, il giudice, prima di procedere, ha facoltà di assumere l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini, ma la seconda parte del comma 3-ter dell'art. 299, stabilisce l'obbligo del giudice di provvedere all'interrogatorio dell'imputato che ne abbia fatto richiesta, allorché l'istanza sia basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già considerati. Peraltro, si è ritenuto che non sussiste alcun obbligo per il giudice di assumere l'interrogatorio dell'indagato, a fronte di una richiesta di quest'ultimo che prospetti l'esistenza di elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati, permanendo in capo al giudice il potere di escludere motivatamente la sussistenza dei presupposti di applicazione della norma processuale (Cass. III, n. 2712/2012; Cass. VI, n. 19509/2016 ); tale potere non sussiste, però, nel caso in cui il giudice ritenga non concludenti o non decisivi gli elementi posti alla base della richiesta (Cass. III, n. 55122/2016). Il giudice, investito della richiesta di revoca o di modifica di una misura cautelare, ai sensi dell'art. 299,non è tenuto, né facoltizzato, ad assumere prove, d'ufficio o su richiesta di parte, ma deve decidere necessariamente sulla base degli atti a sua disposizione (Cass. I, n. 289/1992). In tema di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, occorre tenere presente il principio affermato, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, secondo il quale la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui all'art. 275, comma 3, opera non solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari (Cass. S.U., n. 34473/2012). Qualora il giudice provveda alla sostituzione della misura cautelare con altra più grave, non è tenuto a procedere ad un nuovo interrogatorio di garanzia dell'indagato (Cass. VI, n. 41025/2009;Cass. III, n. 16623/2022; anche: Cass. S.U., n. 4932/2009, con riferimento all'art. 276). I provvedimenti relativi all'applicazione, alla revoca ed alla sostituzione delle misure cautelari devono essere adottati con ordinanza. Tuttavia, nel caso in cui siano adottati con sentenza, non vi è carenza di forma (che anzi risulta sovrabbondante), ma eventualmente può esservi un ritardo nella motivazione del provvedimento, ove il giudice non espliciti la motivazione nel dispositivo della sentenza, potendo questa essere motivata successivamente alla pronuncia del dispositivo. Per la parte relativa all'applicazione, revoca e sostituzione delle misure cautelari la sentenza deve essere qualificata ordinanza e, come tale, è suscettibile di impugnazione davanti al Tribunale del riesame (Cass. I, n. 353/1992). Si è ritenuto che il giudice che respinge la richiesta di revoca di una misura cautelare ha l'obbligo di depositare, unitamente al provvedimento, gli atti prodotti dal pubblico ministero al momento della formulazione del parere contrario all'accoglimento della richiesta, in considerazione della analogia tra la situazione che si determina con il rigetto della richiesta di revoca e la previsione del comma 3 dell'art. 293, che impone, con l'emissione della misura, il deposito degli atti posti dal pubblico ministero a base della propria richiesta. È stato, però, chiarito che l'omesso deposito da parte del Gip della richiesta del P.M., insieme all'ordinanza di rigetto della istanza di revoca della misura cautelare, non determina alcuna lesione del diritto di difesa - e di conseguenza non determina alcuna nullità del procedimento - allorché dalla richiesta stessa non emergano elementi nuovi che, non essendo a conoscenza della difesa, avrebbero dovuto essere depositati per il rispetto del principio del contraddittorio (Cass. VI, n. 976/1997; Cass. II, n. 2063/2001). Richieste per motivi di saluteIl comma 4-ter dell'art. 299 dispone che, in ogni stato e grado del procedimento, quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato. Gli accertamenti sono eseguiti al più presto e comunque entro quindici giorni da quello in cui la richiesta è pervenuta al giudice. Con particolare riferimento alle condizioni di salute di cui all'articolo 275, comma 4-bis (condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione, o comunque tali da non consentire adeguate cure inframurarie), la norma stabilisce che sia nel caso in cui la richiesta di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere provenga dal sottoposto alla misura stessa, sia nel caso di segnalazione da parte del servizio sanitario penitenziario sia, infine, nel caso in cui dette condizioni “risultano in altro modo al giudice”, questi, ove non ritenga di accogliere la richiesta sulla base degli atti, dispone non oltre cinque giorni dalla richiesta, gli accertamenti medici del caso, nominando un perito. In primo luogo, deve osservarsi che la norma prevede l'obbligo della perizia con esclusivo riferimento al caso in cui venga dedotta l'esistenza di condizioni di salute incompatibili con la custodia cautelare in carcere. Resta, quindi, al di fuori della previsione normativa l'ipotesi degli arresti domiciliari, essendo sempre in facoltà dell'interessato di richiedere che gli arresti abbiano esecuzione presso una struttura pubblica di cura o di assistenza (Cass. VI, n. 3852/1999). Inoltre, poiché l'attivazione del procedimento di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere a causa di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione, o comunque tali da non consentire adeguate cure inframurarie, postula solo che «risultino» al giudice sulla base della richiesta, ovvero della segnalazione del servizio sanitario penitenziario, o «in altro modo», le condizioni predette, non può essere posto a carico dell'interessato un onere di allegazione sanitaria a pena di inammissibilità della richiesta (Cass. S.U., n. 3/1999). Qualora ricorrano particolari esigenze diagnostiche o terapeutiche che non possano essere soddisfatte all'interno della struttura penitenziaria il giudice può disporre, ai sensi dell'art. 286-bis comma 3, il ricovero provvisorio in idonea struttura sanitaria esterna per il tempo necessario, eventualmente adottando i provvedimenti idonei ad evitare la fuga (art. 299, comma 4-quater). Rapporti tra revoca e riesameAl Tribunale in sede di riesame è attribuito in via esclusiva il controllo sulla validità dell'ordinanza cautelare, con riguardo ai requisiti formali enumerati nell'art. 292, la cui carenza può essere dedotta solo con l'istanza di riesame. Inoltre lo stesso Tribunale deve verificare, alla stregua degli artt. 273,274,275 e 280 la legittimità dell'adozione della misura cautelare, avendo anzitutto riguardo alla situazione processuale coeva al provvedimento impugnato, senza, tuttavia, omettere di valutare anche gli elementi sopravvenuti, eventualmente a seguito dell'interrogatorio, purché dedotti nell'udienza camerale da celebrarsi nel termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti. Invece, l'ordinanza di revoca della misura - che può essere adottata, senza l'osservanza di termini, in qualsiasi fase del procedimento, in cui se ne ravvisi la necessità - mira a verificare la sussistenza attuale delle condizioni di applicabilità della misura stessa prescritta dagli artt. 273 e 274 o di quelle relative alle singole misure, avendo riguardo sia ai fatti sopravvenuti, sia a quelli originari e coevi all'ordinanza impositiva, facendoli oggetto di una valutazione eventualmente diversa da quella prescelta dal giudice che ha applicato la misura (Cass.S.U., n. 11/1994). Il riesame delle ordinanze che dispongono misure cautelari costituisce mezzo di impugnazione, ancorché fornito di caratteristiche peculiari rispetto agli altri mezzi di impugnazione, mentre tale natura giuridica non può essere riconosciuta alla richiesta di revoca di misura cautelare. Ne consegue che l'istanza di riesame non è preclusa da quella di revoca della misura, e pertanto non può essere ritenuta inammissibile solo perché proposta successivamente ad essa. La S.C., premesso che nell'ordinamento processuale penale manca, a differenza di quanto accade in quello civile, una norma che configuri l'acquiescenza come causa di improponibilità dell'impugnazione, ha chiarito che la richiesta di revoca di una misura cautelare non comporta tacita acquiescenza in ordine alla legittimità originaria dell'ordinanza che l'abbia disposta (Cass.S.U., n. 11/1994). Il giudicato cautelareSi rinvia a quanto esposto sub art. 309, § 14. Devono solo essere segnalati alcuni principi specifici relativi alla disposizione commentata. E' illegittima l'ordinanza con la quale il tribunale - in sede di appello cautelare ex art. 310 - rigetti, opponendo l'esistenza del giudicato cautelare, l'istanza di sostituzione della misura della custodia in carcere, senza valutare e dar conto, con congrua motivazione, dei fatti sopravvenuti; infatti, l'operatività della preclusione processuale (o giudicato cautelare) - limitata, comunque, allo stato degli atti - è strettamente connessa al contenuto dell'art. 299, commi 1 e 2, che attribuisce alle misure cautelari coercitive una precisa connotazione dinamica, nel senso che i relativi provvedimenti de libertate devono essere costantemente adeguati agli sviluppi che intervengono nel corso delle indagini, con la conseguenza che il giudice ha l'obbligo di procedere ad una rivalutazione globale, «anche per fatti sopravvenuti», del quadro di gravità indiziaria, della persistenza delle esigenze cautelari o della loro attenuazione e della proporzione della misura adottata all'entità del fatto o alla sanzione irrogabile (Cass. I, n. 45379/2004). Quanto poi al tipo di preclusione suscettibile di formarsi a seguito delle pronunce che intervengano - ad opera della Corte suprema, ovvero del tribunale in sede di riesame o di appello - all'esito del procedimento incidentale avente ad oggetto la misura cautelare, esso ha una portata più modesta rispetto a quello determinato dalla "cosa giudicata", sia perché esso è limitato allo stato degli atti, sia perché esso copre solo le questioni dedotte (implicitamente o esplicitamente), e non anche quelle deducibili. Ne consegue che il giudice adito con la richiesta di revoca o con la successiva impugnazione di una decisione di diniego della revoca può limitarsi a richiamare le decisioni conclusive di precedenti procedure de libertate, qualora rilevi la riproposizione di questioni già valutate in precedenza, ma non può dichiarare inammissibili, in forza del giudicato cautelare, né le richieste di revoca né le impugnazioni, essendo sempre tenuto ad accertare d'ufficio la sussistenza di ragioni, pur diverse da quelle prospettate dall'interessato, indicative dell'insussistenza dei presupposti della misura (Cass. IV, n. 2604/2000; Cass. V, n. 28437/2004; Cass. V, n. 40281/2005; Cass. III, n. 32707/2015). BibliografiaAprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2006; Marzaduri, voce Misure cautelari personali (principi generali e disciplina), in Dig. d. pen., VIII, Torino, 1994, 59; Marzaduri, Giusto processo e misure cautelari, in AA.VV., Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, a cura di Kostoris, Torino, 2002, 254; Spagnolo, Il Tribunale della libertà. Tra normativa nazionale e normativa internazionale, Milano, 2008; Spangher, Le misure cautelari personali, in Procedura penale teoria e pratica del processo, Torino, 2015; Terrusi, Le misure personali di coercizione, Torino, 2000; De Robbio, Misure cautelari: dopo gli accertamenti sulle condizioni di salute in seguito a istanza di revoca o sostituzione occorre nuovamente il parere del P.M, in sito online “Ilpenalista.it” dicembre 2021. |