Codice di Procedura Penale art. 311 - Ricorso per cassazione 1 .

Franco Fiandanese

Ricorso per cassazione1.

1. Contro le decisioni emesse a norma degli articoli 309 e 310, il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura, l'imputato [60, 61] e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione [1112 Cost.; 5682] entro dieci giorni [99 att.] dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito [1277, 5852a] del provvedimento. Il ricorso può essere proposto anche dal pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 dell'articolo 309 2.

2. Entro i termini previsti dall'articolo 309, commi 1, 2 e 3 [99 att.], l'imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione [569] per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva [281-286, 3133]. La proposizione del ricorso rende inammissibile la richiesta di riesame [309].

3. Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero, nel caso previsto dal comma 2, in quella del giudice che ha emesso l'ordinanza [291, 292]. Si osservano le forme previste dall'articolo 582. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla corte di cassazione [100 att.]3.

4. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, ma il ricorrente ha facoltà di enunciare nuovi motivi [5854, 6111] davanti alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione.

5. La corte di cassazione decide entro trenta giorni dalla ricezione degli atti osservando le forme previste dall'articolo 127 [611].

5-bis. Se è stata annullata con rinvio, su ricorso dell'imputato, un'ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi dell'articolo 309, comma 9, il giudice decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e l'ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. Se la decisione ovvero il deposito dell'ordinanza non intervengono entro i termini prescritti, l'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia, salvo che l'esecuzione sia sospesa ai sensi dell'articolo 310, comma 3, e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata 4.

 

[1] [1] Per la sospensione dei termini processuali per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 v. art. 83, comma 9, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modif., in l. 24 aprile 2020, n. 27. empre in tema di disposizioni per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 vedi quanto disposto con art. 23, commi 2 e 4,  del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 176. Da ultimo,  v. art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, conv., con modif. in l. 25 febbraio 2022, n. 15, che stabilisce che «Le disposizioni di cui all'articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonché le disposizioni di cui all'articolo 23, commi 2,  6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022»; in particolare, ai sensi dell'art. 16, comma 1-bis, aggiunto in sede di conversione, l'art. 23, comma 4, del d.l. n. 137/2020 cit., in materia di processo penale, continua ad applicarsi fino alla data di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19. V. anche art. 16, comma 2, d.l. n. 228, cit.

[2] [2] Comma così sostituito dall'art. 3 d.l. 23 ottobre 1996, n. 553, conv., con modif., in l. 23 dicembre 1996, n. 652.

[3] [3] Comma modificato dall'articolo 13, comma 1, lett. h) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 che dopo il primo periodo, ha inserito il seguente: «Si osservano le forme previste dall'articolo 582.». Con riferimento alle disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico, v. art. 87, comma 4 d.lgs. 150 , cit. che prevede:  «4. Sino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3, ovvero sino al diverso termine di transizione previsto dal regolamento di cui al comma 3 per gli uffici giudiziari e per le tipologie di atti in esso indicati, continuano ad applicarsi, nel testo vigente al momento dell'entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni di cui agli articoli 110, 111, comma 1, 116, comma 3-bis, 125, comma 5, 134, comma 2, 135, comma 2, 162, comma 1, 311, comma 3, 391-octies, comma 3, 419, comma 5, primo periodo, 447, comma 1, primo periodo, 461, comma 1, 462, comma 1, 582, comma 1, 585, comma 4, del codice di procedura penale, nonché le disposizioni di cui l'articolo 154, commi 2, 3 e 4 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271» .

[4] [4] Comma inserito dall'art. 13 l. 16 aprile 2015, n. 47

Inquadramento

L'art. 311 precede due ipotesi di ricorso per cassazione in materia cautelare: una nei confronti delle decisioni del Tribunale in sede di riesame o di appello cautelari, l'altra direttamente avverso le ordinanze che dispongono una misura coercitiva (c.d. ricorso per saltum), in quest'ultimo caso il motivo di ricorso può essere solo per violazione di legge e la presentazione del ricorso è alternativa alla richiesta di riesame.

Ricorso avverso decisioni del Tribunale della libertà

 

In genere

La prima tipologia di ricorso per cassazione prevista dall'art. 311 è quella relativa alle decisione emesse ex artt. 309 e 310. Tale ricorso è soggetto a specifici presupposti di ammissibilità e ha un contenuto che lo differenzia, come avanti si esporrà, dal ricorso diretto.

Modalità di presentazione

Le specifiche modalità fissate dal legislatore per la presentazione del gravame costituiscono evidente deroga alle norme che regolano in via generale la presentazione dell'impugnazione. Ne consegue che il ricorso per cassazione avverso la decisione del tribunale della libertà va presentato nella cancelleria dello stesso tribunale, con esclusione, anche per la parte, di qualsiasi soluzione alternativa. In particolare, è stato affermato che il ricorso per Cassazione proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza emessa in materia di misure cautelari personali dal tribunale della libertà, è inammissibile qualora sia presentata direttamente in Cassazione e non nella cancelleria del suddetto tribunale e che nel caso in cui il ricorso sia depositato tempestivamente presso la Cassazione e, dopo la scadenza del termine ex art. 311, comma 1, anche presso la cancelleria del tribunale del riesame, non si verifica alcun effetto sanante (Cass. II, n. 2056/1991; Cass. VI, n. 3718/2000; Cass. VI, n. 29477/2017).

Risolvendo un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 1626/2021), hanno deciso che: «Il ricorso cautelare per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame o, in caso di ricorso immediato, del giudice che ha emesso la misura, deve essere presentato esclusivamente presso la cancelleria del tribunale che ha emesso la decisione o, nel caso indicato dall'art. 311, comma 2, c.p.p., del giudice che ha emesso l'ordinanza, ponendosi a carico del ricorrente il rischio che l'impugnazione, presentata ad un ufficio diverso da quello indicato dalla legge, sia dichiarata inammissibile per tardività, in quanto la data di presentazione rilevante ai fini della tempestività è quella in cui l'atto perviene all'ufficio competente a riceverlo».

A seguito delle modifiche apportate dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 agli artt. 571 e 613, con cui si è esclusa la facoltà dell'imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione, le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 8914/2018), chiamate a stabilire se permanga la legittimazione di questi [o dell'indagato] a proporre personalmente ricorso in materia di misure cautelari personali, ai sensi dell'art. 311, hanno deciso che il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere personalmente proposto dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena d'inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione.

Con D.M. 4 luglio 2023 (GU Serie Generale n.155 del 05-07-2023) sono stati individuati gli atti il cui deposito da parte dei difensori deve avvenire esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico ai sensi dell'art. 87, comma 6-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, tra questi atti vi è anche il ricorso per cassazione avverso le ordinanze in materia di misure cautelari personali. Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore ventiquattro del giorno di scadenza.  Con successivo D.M. 18 luglio 2023 (G.U. serie generale n. 166 del 18 luglio 2023) è stato disposto che «L'efficacia del decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, nella parte in cui dispone che il deposito da parte dei difensori degli atti indicati nell'elenco di cui all'art. 1 dello stesso decreto avviene esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico, decorre dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Sino alla scadenza del termine di cui al periodo che precede, negli uffici indicati dal decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, è possibile, in via sperimentale, il deposito da parte dei difensori degli atti elencati nell'art. 1 del medesimo decreto anche mediante il portale del processo penale telematico con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia».

È stato precisato che il termine per proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal tribunale in sede di appello cautelare è rimasto, ai sensi dell'art. 311, quello di dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento anche successivamente alla modifica dell'art. 310 c.p.p. (ex lege 16 aprile 2015, n. 47), che ha previsto la possibilità per il tribunale di indicare, per il deposito della motivazione, un termine non eccedente il quarantacinquesimo giorno dalla decisione (Cass. III, n. 13139/2020).

Per quanto concerne la completa disciplina delle modalità di presentazione dell'impugnazione, l'art. 13, comma 1, lett. g) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 – c.d. “riforma Cartabia” - ha introdotto al comma 3 il rinvio alle «forme previste dall'articolo 582». Sul punto si richiama quanto esposto al § 5 dell'art. 309.

Legittimazione al ricorso

Il comma 1 dell'art. 311 prevede che legittimati a proporre ricorso per cassazione sono “il pubblico ministero che ha richiesto l'applicazione della misura” o dal pubblico ministero presso il tribunale che ha emesso l'ordinanza, oltre all'imputato e al suo difensore. Per quanto riguarda il pubblico ministero, è stato precisato che il Procuratore Generale presso la Corte di Appello non è legittimato, salvo che sia stato egli stesso a chiedere l'applicazione della misura cautelare, a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal Tribunale della libertà sui provvedimenti adottati in materia cautelare dalla Corte di appello, perché, individuando l'art. 311 in maniera espressa i soggetti legittimati al ricorso nell'incidente cautelare, l'inammissibilità dell'impugnazione presentata dal Procuratore Generale discende dall'applicazione del principio per cui il diritto di impugnare spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce (Cass. S.U., n. 31011/2009).

Poiché il diritto di proporre ricorso per cassazione avverso le decisioni emesse dal tribunale in sede di appello o di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali spetta sia al pubblico ministero presso il predetto tribunale, sia a quello che ha chiesto l'applicazione della misura, nei procedimenti per uno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3- bis, in cui la competenza ad esercitare le funzioni di P.M. nelle indagini preliminari e a richiedere, quindi, le misure coercitive spetta al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, e detto tribunale ha competenza esclusiva alla cognizione del riesame e dell'appello de libertate, legittimato al ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 311, è solo l'organo del P.M. individuato come sopra, e non anche quello del P.M. presso il giudice territorialmente competente a conoscere del reato, a nulla rilevando che quest'ultimo sia stato designato a svolgere le funzioni di pubblico ministero nel dibattimento a norma dell'art. 51, comma 3-ter, stante il principio di tassatività delle impugnazioni, operante non solo relativamente ai casi e ai mezzi di impugnazione, ma anche con riguardo ai soggetti titolari del relativo diritto (Cass. S.U., n. 3/2000).

Non è consentito al pubblico ministero, a seguito di una decisione del tribunale del riesame che abbia annullato per motivi formali un provvedimento cautelare, richiedere nei confronti dell'indagato una nuova misura coercitiva per lo stesso fatto e sulla base degli stessi elementi della precedente, e contemporaneamente proporre ricorso avverso la decisione del riesame, al fine di conseguire, attraverso il suo annullamento, una nuova pronuncia di merito sul medesimo fatto oggetto della nuova iniziativa cautelare (Cass. VI, n. 11937/2009).

Risolvendo un contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno ritenuto che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto nell'interesse dell'imputato latitante dal difensore d'ufficio non iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, in quanto il mancato titolo abilitativo rende il difensore privo di legittimazione a proporre l'impugnazione; la stessa Corte ha altresì affermato che il difensore d'ufficio del latitante, che non sia legittimato a proporre ricorso per cassazione, può richiedere di essere sostituito a norma dell'art. 97, comma 5, e 30 disp. att. (Cass. S.U., n. 24486/2006).

Provvedimenti impugnabili

I provvedimenti ricorribili sono solo quelli con i quali il tribunale ha deciso sul riesame o sull'appello cautelari.

È soggetta a ricorso per cassazione la decisione sulla richiesta di riesame, mentre non è prevista l'impugnazione separata di eventuali provvedimenti interlocutori emessi prima della decisione conclusiva del procedimento di riesame. Ne consegue, in virtù del principio di tassatività sul quale è basato il sistema delle impugnazioni, che il provvedimento con il quale il tribunale del riesame, in via interlocutoria, rigetti l'eccezione di inammissibilità dell'istanza di riesame — avanzata dal pubblico ministero sul rilievo della sua proposizione prima della notificazione al difensore dell'avviso di deposito dell'ordinanza di custodia cautelare — e richieda, insieme, la trasmissione degli atti occorrenti per la decisione sull'istanza medesima, non è ricorribile per cassazione (Cass.S.U., n. 3/1995); nello stesso modo, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento interlocutorio del Tribunale del riesame che, nel fissare l'udienza camerale ex art. 309, comma 8, si pronunci incidentalmente sulla richiesta d'inefficacia della misura, né lo stesso è qualificabile come atto abnorme in quanto detta pronuncia rientra tra i poteri ordinatori del giudice (Cass. III, n. 43329/2008).

È anche inammissibile il ricorso proposto, prima del deposito della motivazione, avverso il solo dispositivo dell'ordinanza  per genericità l'impugnazione, in quanto non è consentito che l'ammissibilità di un gravame possa essere valutata "ex post", richiedendosi, invece, che i relativi requisiti siano apprezzabili in presenza del provvedimento gravato nel suo insieme e costituito tanto dalla parte dispositiva, quanto da quella motivazionale  (Cass. V, n. 6402/2010; Cass. VI, n. 22145/2015; Cass. III, n. 50790/2019). Di contrario avviso è quella giurisprudenza la quale afferma che la presentazione dell'impugnazione prima del deposito della motivazione non è di per sé causa d'inammissibilità, purchè le censure dedotte si riferiscano ad aspetti della decisione evincibili inequivocabilmente dal solo dispositivo ed il vizio denunciato sia apprezzabile senza necessità di fare riferimento alla motivazione (Cass. II, n. 50099/2017: nella fattispecie la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto l'imputato lamentava l'omesso esame su tutte le richieste avanzate nei motivi di appello e nei motivi aggiunti). 

Sono sempre ricorribili i provvedimenti abnormi, nei casi in cui l'illegalità del provvedimento sia ictu oculi evidente ed incida direttamente sullo status libertatis, con la conseguente necessità di immediata rimozione del vulnus arrecato all'ordine giuridico (Cass. VI, n. 4794/1996: principio affermato con riguardo a provvedimento del Pubblico ministero che ebbe a disporre l'esecuzione di un'ordinanza custodiale a seguito di annullamento con rinvio da parte della cassazione della decisione di revoca della stessa adottata dal Tribunale del riesame, dovendo ancora esperirsi il giudizio rescissorio. In particolare la Corte Suprema ha posto in luce come solo la tassatività dei casi e non anche quella dei mezzi di impugnazione preclude ogni possibilità di deroga; pertanto, a prescindere dalla circostanza che avverso il provvedimento in questione fosse possibile esperire incidente di esecuzione, ha annullato lo stesso senza rinvio).

Interesse a ricorrere: casistica

Rinviando a quanto esposto in linea generale sub artt. 309 e 310, si evidenziano i seguenti casi esaminati dalla giurisprudenza.

Una volta che il Tribunale della Libertà abbia dichiarato inammissibile l'istanza di riesame sotto il duplice profilo della proposizione mediante strumento non consentito (nella specie telefax) e per tardività, il ricorso per cassazione con il quale si censuri l'ordinanza di inammissibilità solo sul punto concernente la sua irrituale proposizione, va dichiarato inammissibile per carenza di interesse, avendo il ricorrente prestato acquiescenza alla declaratoria relativa a questo secondo profilo (Cass.  S.U. , n. 15/1994).

L'impugnazione cautelare non è sostenuta da adeguato interesse quando l'eventuale accoglimento del ricorso relativo al giudizio di gravità indiziaria per il solo reato associativo non sortirebbe alcun concreto effetto positivo nei confronti dell'indagato ricorrente, essendo stata applicata la misura cautelare personale anche in relazione a numerosissimi e più gravi reati-fine, in ordine ai quali non risulti articolata alcuna censura (Cass. II, n. 33623/2023).

È inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale del riesame che abbia disatteso la rinuncia al riesame da parte del difensore dell'indagato, in quanto l'eventuale accoglimento dell'impugnazione non è idoneo a incidere sul provvedimento impositivo della misura cautelare (Cass. III, n. 1717/1993). Di contrario avviso è quella giurisprudenza che afferma, invece, che è illegittimo il provvedimento con il quale viene rigettata nel merito un'istanza di riesame, pur in presenza di una tempestiva rinuncia ad essa da parte dell'interessato, che ne comporta immediata declaratoria di inammissibilità; e ciò perché è configurabile un suo interesse a non consentire il formarsi, attraverso il riesame, di un giudicato cautelare, per poter presentare successivamente domanda di revoca della misura e, se del caso, appello a norma dell'art. 310. avverso l'eventuale provvedimento di rigetto (Cass. I, n. 5211/1998).

È inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso un'ordinanza applicativa di misura cautelare ove nello stesso procedimento venga successivamente adottata, in relazione al medesimo evento criminoso e previa modifica dell'originaria contestazione, un nuovo provvedimento coercitivo applicativo di una misura maggiormente afflittiva (Cass. VI, n. 43959/2015: fattispecie in cui, dopo l'emissione di un provvedimento impositivo del divieto di espatrio per il reato di favoreggiamento personale in relazione ad un fatto di omicidio, era stata disposta, nei confronti del medesimo indagato, la misura della custodia in carcere per il delitto di omicidio; v. anche Cass. III, n. 20362/2001sulla formazione del giudicato cautelare e contra Cass. III, n. 535/2010).

È inammissibile per mancanza di interesse concreto ed attuale il ricorso del pubblico ministero avverso un provvedimento del tribunale che, in sede di rinvio, abbia annullato un ordinanza applicativa della misura cautelare in carcere, qualora il termine di durata della misura stessa, disposta al solo fine di salvaguardare le esigenze cautelari attinenti alle indagini, sia scaduto per cui, anche in caso di accoglimento del ricorso l'ordinanza cautelare non potrebbe più rivivere (Cass. VI, n. 1298/1994).

È inammissibile per carenza d'interesse il ricorso con il quale il pubblico ministero si duole della mancata dichiarazione d'inammissibilità dell'appello proposto dall'imputato avverso un'ordinanza in materia cautelare, quando la decisione del tribunale abbia accolto pienamente, nel merito, le conclusioni dello stesso organo di pubblica accusa; non può, infatti, sussistere interesse meramente teorico e formale all'esattezza della decisione, priva di riflessi in punto di utilità concreta, dovendo l'impugnazione essere sempre diretta al conseguimento di un risultato favorevole, che sia anche indirettamente utile al proponente. Da ciò discende, ancora, che tale carenza d'interesse, quand'anche non la si voglia ravvisare come preesistente, debba comunque ritenersi sopravvenuta in tutte le ipotesi in cui vada rigettato il ricorso proposto dallo imputato avverso il medesimo provvedimento così impugnato dal pubblico ministero (Cass. I, n. 2345/1994). Nello stesso senso, si è ritenuto che è inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso del pubblico ministero avverso l'ordinanza del tribunale del riesame, preordinato ad ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto, qualora ad essa non consegua alcuna utilità in ordine alle richieste dello stesso P.m., posto che nel nostro ordinamento non esiste un interesse meramente teorico e formale all'esattezza della decisione. Ne consegue che l'unico interesse che il P.m. può perseguire, in sede cautelare, deve avere per oggetto il mantenimento, la modifica o l'imposizione di una misura cautelare e che, pertanto, egli non può agire in sede di legittimità una volta che abbia ottenuto l'accoglimento delle conclusioni proposte in sede di appello (Cass. V, n. 46151/2003; Cass. VI, n. 17527/2018: nella specie il tribunale del riesame aveva riqualificato il fatto, confermando la ricorrenza di circostanza aggravante ad effetto speciale (nella specie, l'impiego del c.d. metodo mafioso, ex art. 7, legge 12 luglio 1991, n. 203), non incidendo la riqualificazione sulla durata della custodia ex art. 278, comma 1 c.p.p.).

Nel procedimento incidentale cautelare, deve ritenersi concreto ed attuale l'interesse del pubblico ministero a ricorrere per cassazione avverso l'ordinanza con la quale il tribunale del riesame, pur confermando il provvedimento applicativo della custodia in carcere, abbia escluso la sussistenza della circostanza aggravante ad effetto speciale del c.d. metodo mafioso, quando dal riconoscimento della predetta circostanza possa conseguire l'applicazione di termini di durata della misura maggiori, ovvero l'applicazione della presunzione relativa di adeguatezza della misura custodiale prevista dall'art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (In motivazione la Corte ha evidenziato anche che dall'esclusione dell'aggravante potrebbe derivare il radicarsi di una diversa competenza a svolgere l'attività di indagine in capo ad ufficio diverso da quello distrettuale procedente) (Cass. II, n. 37977/2020). Peraltro, secondo un diverso orientamento, è inammissibile, per difetto di attualità dell'interesse all'impugnazione, l'appello del pubblico ministero avverso l'ordinanza del giudice delle indagini preliminari che abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale, in quanto l'incidenza della contestazione cautelare della circostanza sui termini di durata massima della custodia cautelare costituisce oggetto di situazioni future (Cass. I, n. 20286/2020).

Deve ritenersi sussistere l'interesse del pubblico ministero a proporre gravame avverso una decisione, emessa in sede di riesame di annullamento di ordinanza impositiva di custodia cautelare per insussistenza di gravi indizi, anche se nelle more la misura è stata revocata: ciò al fine di precludere all'indagato la possibilità di crearsi un titolo per la riparazione per ingiusta detenzione che può essere costituito solo dalla decisione impugnata (Cass. VI, n. 1831/1996).

Il ricorso del pubblico ministero avverso un'ordinanza del tribunale del riesame che abbia annullato il provvedimento di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere per mancanza dei gravi indizi di colpevolezza è inammissibile per difetto di interesse nel caso in cui si limiti a contestare unicamente il mancato riconoscimento della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, atteso che l'accoglimento del ricorso in ordine a tale profilo non potrebbe comunque condurre al ripristino della misura, quale unico oggetto dell'interesse giuridicamente tutelato del pubblico ministero, dovendo il pubblico ministero rappresentare elementi idonei a suffragare la persistenza dell'interesse alla decisione in ragione della attualità delle esigenze cautelari. Tuttavia, qualora venga in rilievo uno dei reati per cui opera la presunzione di cui all'art. 275, comma 3, rispetto alla quale devono essere concretamente valutati eventuali elementi contrari, forniti dalla parte interessata, la contestazione del giudizio in ordine all'esclusione della gravità indiziaria di per sé comporta la sottostante reviviscenza della presunzione, ove la stessa non sia stata già concretamente superata sulla base di pregresse argomentazioni di merito (Cass. VI, n. 46129/2021).

Non può ravvisarsi interesse a ricorrere contro la sospensione dei termini di fase di custodia cautelare per la complessità del dibattimento nel caso in cui il processo si sia concluso nel rispetto dei termini ordinari, giacché dall'accoglimento del ricorso non potrebbero .comunque sortire effetti favorevoli per il. ricorrente, attesa la continenza della definizione avvenuta entro i termini ordinari della fase (Cass. II, n. 2928/2022).

Vi è carenza di interesse sia al riesame che al ricorso per cassazione quando, con essi, l'indagato tenda ad ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto  o la esclusione di una circostanza aggravante dalla quale non consegua, per lui, alcuna concreta utilità, poichè il mutamento invocato non incide sulla possibilità di adottare o mantenere la misura.

V. più ampiamente sul punto sub art. 309, § 7.2 e 7.3.

Motivi del ricorso

L'art. 311, comma 4, diversamente da quanto previsto per la richiesta di riesame, stabilisce che i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, salva la possibilità di presentare motivi nuovi prima dell'inizio della discussione. Questi ultimi devono avere ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell'originario atto di gravame ai sensi dell'art. 581, lett. a), in quanto il principio generale delle impugnazioni, concernente la necessaria connessione tra i motivi originariamente proposti e i motivi nuovi, non è derogato nell'ambito del ricorso per cassazione contro provvedimenti de libertate, e l'unica diversità rispetto alla ordinaria disciplina attiene al termine per la proposizione dei motivi nuovi, che non è quello di quindici giorni prima dell'udienza ma è spostato all'inizio della discussione (Cass. S.U., n. 4683/1998; Cass. I, n. 46711/2011; Cass. IV, n. 12995/2016; Cass. II, n. 15693/2016); mentre sarebbe inammissibile quello presentato dopo l'inizio della discussione (Cass. II, n. 2797/2016).

Il comma 4 dell'art. 311 consente in via eccezionale la presentazione di motivi nuovi prima dell'inizio della discussione, ma non attiene alla produzione di documenti, che resta disciplinata dalle regole generali concernenti il procedimento di legittimità. Ne consegue che, dovendosi per i ricorsi in materia cautelare personale osservare le forme previste dall'art. 127 (art. 311, comma 5), le produzioni documentali devono intervenire al più tardi con una memoria depositata nella cancelleria della Corte di Cassazione cinque giorni prima dell'udienza (Cass. sez. fer., n. 34554/2003; Cass. III, n. 12641/2013; Cass. III, n. 209/2021).

I motivi proponibili con il ricorso per cassazione ex art. 311 sono quelli di cui all'art. 606. Peraltro, è stato precisato che, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie, senza possibilità di “rilettura” degli elementi probatori (Cass. S.U., n. 11/2000); ferma restando la diversità dell'oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all'acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell'imputato (Cass. S.U., n. 36267/2006) (sull'inapplicabilità del criterio dell' “oltre ogni ragionevole dubbio” in materia cautelare v. art. 273, § 2.1).

Inoltre, la denunzia dell'omessa o inadeguata valutazione, nell'ordinanza di rigetto della richiesta di riesame cautelare, di elementi di prova presenti in atti, ovvero della carente verifica delle fonti, richiamate solo succintamente dal tribunale del riesame è compatibile con il ricorso per cassazione solo quando i suddetti vizi emergono in maniera evidente dalla mera lettura del provvedimento impugnato o dal suo confronto con specifiche deduzioni scritte presentate precedentemente alla sua adozione, non essendo invece sufficiente, in assenza dell'illustrata condizione, l'allegazione al ricorso degli atti o dei documenti probatori di cui si lamenta la mancata considerazione  (Cass. IV, n. 20575/2016).

È inammissibile il ricorso avverso il provvedimento del Tribunale del riesame che deduca per la prima volta vizi di motivazione inerenti ad argomentazioni presenti nel provvedimento genetico della misura coercitiva che non avevano costituito oggetto di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale, non risultandone traccia né dal testo dell'ordinanza impugnata, né da eventuali motivi o memorie scritte, né dalla verbalizzazione delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell'udienza camerale  (Cass. II, n. 42408/2012; Cass. V, n. 24693/2014; Cass. IV, n. 44146/2014; Cass. II, n. 11027/2016).

Una parte della giurisprudenza ritiene che non possa costituire motivo di ricorso per cassazione la violazione delle regole di competenza territoriale del giudice che ha emesso l'ordinanza cautelare, se detta violazione, che non è rilevabile d'ufficio nel giudizio di legittimità, non è stata dedotta nel giudizio di riesame, in quanto è precluso al giudice di legittimità di decidere su violazioni di legge i cui presupposti di fatto non siano stati già esaminati dal giudice del merito (Cass. III, n. 3816/2009; Cass. III, n. 32904/2018). In contrasto con tale orientamento, si è, invece, affermato che l’ eccezione sull'incompetenza territoriale dell'autorità giudiziaria procedente può essere sollevata per la prima volta anche con il ricorso per cassazione, purché il ricorrente adempia all'obbligo di specificità nella deduzione dei motivi e non fondi le sue lamentele su elementi di fatto mai introdotti dinanzi al giudice del merito ovvero sui quali sia necessario procedere a valutazioni o ad accertamenti comunque inammissibili nel giudizio di legittimità (Cass. VI, n. 13096/2014; Cass. VI, n. 2336/2015).

Ricorso diretto

In tema di impugnazioni contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva, la proposizione del ricorso immediato per cassazione rende inammissibile la richiesta di riesame, pur se già presentata, indipendentemente dalla vicenda del ricorso stesso, connessa alla ritualità o meno della presentazione, all'eventuale resipiscenza del ricorrente, alla deduzione di motivi di annullamento consentiti o meno (Cass. I, n. 2049/1992; Cass. II, n. 3166/2012).

Il ricorso diretto è ammissibile solo contro le ordinanze che “dispongono una misura coercitiva” e solo per il vizio di violazione di legge (art. 311, comma 2), tale dovendosi intendere, con riferimento al vizio inerente alla motivazione, quella avente ad oggetto i soli requisiti minimi di esistenza e di completezza della stessa, atteso che tale tipo di gravame è alternativo a quello del riesame, ove possono esser proposte le censure riguardanti lo sviluppo logico-giuridico delle argomentazioni del provvedimento impugnato, ovvero le prospettazioni del ricorrente in ordine agli elementi probatori acquisiti agli atti (Cass. S.U. , n. 5/1991; Cass. VI, n. 44996/2008). 

La  violazione della prescrizione della necessaria autonoma valutazione, da parte del giudice, delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell'art. 292, comma 1, lett. c), come modificato dalla l. n. 47/2015, determina un vizio di violazione di legge del provvedimento avverso il quale può essere proposto ricorso per saltum in cassazione  (Cass. VI, n. 26050/2016; Cass. VI, n. 53940/2018).

Per espressa disposizione di legge (art. 311, comma 2), il ricorso diretto può essere proposto solo dall'imputato e dal suo difensore non anche dal pubblico ministero, in virtù del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione (art.568), ne consegue, in particolare, che è inammissibile il ricorso per saltum proposto dal P.M. avverso l'ordinanza con cui il g.i.p. abbia disposto una misura coercitiva meno afflittiva di quella richiesta dallo stesso P.M. (Cass. II, n. 11420/2003).

Il ricorso diretto proposto in assenza dei presupposti sopra indicati, può essere qualificato come richiesta di riesame ovvero come appello, con conseguente trasmissione degli atti al competente Tribunale della libertà (Cass. I, n. 9511/2009; Cass. III, n. 10232/2010; Cass. I, n. 22642/2010; Cass. V, n. 34675/2011; Cass. III, n. 9151/2016).

Sul punto, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con una prima pronuncia specifica in materia cautelare, hanno affermato che il precetto di cui al comma 5 dell'art. 568, secondo cui l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l'ha proposta, deve essere inteso nel senso che solo l'erronea attribuzione del nomen juris non può pregiudicare l'ammissibilità di quel mezzo di impugnazione di cui l'interessato, ad onta dell'inesatta «etichetta», abbia effettivamente inteso avvalersi: ciò significa che il giudice ha il potere-dovere di provvedere all'appropriata qualificazione del gravame, privilegiando rispetto alla formale apparenza la volontà della parte di attivare il rimedio all'uopo predisposto dall'ordinamento giuridico. Ma proprio perché la disposizione indicata è finalizzata alla salvezza e non alla modifica della volontà reale dell'interessato, al giudice non è consentito sostituire il mezzo d'impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato ma inammissibilmente proposto dalla parte, con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamente ammissibile: in tale ipotesi, infatti, non può parlarsi di inesatta qualificazione giuridica del gravame, come tale suscettibile di rettifica ope iudicis, ma di una infondata pretesa da sanzionare con l'inammissibilità. In applicazione di tale principio la Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso per saltum proposto avverso un provvedimento del giudice dibattimentale in tema di decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare — immediatamente impugnabile solo con l'appello ai sensi dell'art. 310 — individuando nei requisiti formali e sostanziali dell'atto di impugnazione la chiara volontà dell'interessato di proporre effettivamente il ricorso per cassazione, non consentito nel caso di specie (Cass. S.U., n. 16/1998). Con successiva pronuncia, invece, le stesse Sezioni Unite hanno affermato che allorché un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l'atto deve limitarsi, a norma dell'art. 568, comma 5, c.p.p. a verificare l'oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonché l'esistenza di una voluntas impugnationis, consistente nell'intento di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente (Cass.  S.U., n. 45371/2001). Di conseguenza, è stato affermato che il ricorso diretto per cassazione, avverso l'ordinanza che dispone una misura cautelare coercitiva, proposto per vizio di motivazione e non per violazione di legge, deve essere qualificato come richiesta di riesame, con conseguente trasmissione degli atti al competente tribunale della libertà  (Cass. III, n. 9151/2016; Cass. V, n. 32391/2018). La più recente giurisprudenza, invece, ritiene che il ricorso diretto per cassazione contro le ordinanze che dispongano una misura coercitiva, rende inammissibile la richiesta di riesame, sicchè ove il ricorso diretto sia proposto per motivi non consentiti, ne consegue l'inammissibilità ex art. 606, comma 3, e non la sua conversione in richiesta di riesame ai sensi dell'art. 568, comma 5, in quanto il ricorrente ha già consumato la facoltà di scelta tra i diversi mezzi di impugnazione a sua disposizione (Cass. VI, n. 35816/2020; Cass. VI, n. 36597/2020; Cass. IV , n. 45611/2021).

Decisione sul ricorso

Nel giudizio di cassazione che, al contrario del giudizio di riesame — caratterizzato per atipicità e indefettibile immediatezza rispetto agli altri procedimenti di impugnazione - non si discosta dallo schema ordinario, il termine di trenta giorni per la decisione, che decorre dalla ricezione degli atti, è ordinatorio, mentre il termine di deposito della sentenza, a seguito di udienza camerale nelle forme di cui all'art. 127, è rimesso alla disciplina ordinaria (Cass. S.U., n. 11/1998). È stata ritenuta manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 311, comma 5, sollevata in riferimento agli artt. 3,13 e 24 Cost. nella parte in cui non prevede che l'ordinanza applicativa della misura coercitiva perda efficacia ove la Corte di cassazione non pronunci la sua decisione entro trenta giorni dalla ricezione degli atti. La norma impugnata, infatti, non lede né il principio di uguaglianza, né quello della inviolabilità della libertà personale, né il diritto di difesa. Si tratta di una previsione che, pur non contemplando sanzioni per l'inosservanza, contiene comunque un comando, il cui effetto è di comportare quanto meno l'obbligo di priorità nella fissazione dei relativi procedimenti e che deve essere vista in relazione all'art. 309, comma 10, con il quale viene già assicurato in un tempo assai ristretto ed efficacemente tutelato un pieno controllo giurisdizionale. (Cass. VI, n. 1599/1998).

In caso di annullamento con rinvio di un'ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva, il comma 5-bis dell'art. 311, introdotto dall'art. 13 l. n. 47/2015, impone al giudice di decidere entro dieci giorni dalla ricezione degli atti e di depositare la relativa ordinanza entro trenta giorni dalla decisione; in caso di inosservanza dei suddetti termini l'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia, salvo che l'esecuzione sia sospesa ai sensi dell'art. 310, comma 3; la stessa misura, inoltre, non può essere rinnovata salvo eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate. 

Le Sezioni Unite  (n. 27104 del 29 settembre 2020), risolvendo un contrasto di giurisprudenza, e rispondendo al seguente quesito: “se, in tema di misure cautelari personali, nel caso di giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza. che abbia disposto o confermato la misura, il termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti previsto per la decisione dall' art. 311, comma 5-bis, decorra dalla data dell'arrivo alla cancelleria del tribunale o alla cancelleria della sezione del riesame del fascicolo relativo al ricorso per cassazione, comprendente la sentenza rescindente e gli atti allegati, ovvero dalla data in cui il tribunale riceva nuovamente dall'autorità procedente gli atti ad essa richiesti a norma dell'art. 309, comma 5”, hanno deciso che “nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento di ordinanza che abbia disposto o confermato la misura cautelare personale, il procedimento di riesame si svolge seguendo le stesse cadenze temporali e con le stesse sanzioni processuali previste dall'art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., con inizio di decorrenza dei relativi termini dal momento in cui gli atti trasmessi dalla Corte di cassazione pervengono alla cancelleria del tribunale e non dalla data in cui il tribunale riceva nuovamente dall'autorità procedente gli atti ad essa richiesti”. Le Sezioni Unite hanno anche ribadito, in motivazione, che «il pubblico ministero non ha l'obbligo di mettere a disposizione del giudice per le indagini preliminari, con la richiesta di misura cautelare, l'interezza degli atti dell'indagine, potendo l'organo dell'accusa utilizzare a questi fini gli elementi che egli ritenga rilevanti e ostensibili», ed inoltre che non sono previste dal codice di rito cause d'inefficacia della misura per effetto della mancata trasmissione al Tribunale delle registrazioni delle intercettazioni, in quanto non facenti parte del compendio degli atti valutati dal Giudice per le indagini preliminari, poiché «l'art. 309, comma 5, c.p.p. prevede che, per la decisione sul riesame, vengano posti a disposizione del tribunale gli atti presentati a norma dell'art. 291, comma 1, e quindi quelli inviati al giudice per le indagini preliminari con la richiesta di applicazione della misura, oltre agli elementi sopravvenuti a favore dell'indagato»: di conseguenza, solo con riguardo a tali atti è ravvisabile la sanzione di inefficacia della misura per l'omessa trasmissione.

Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno ritenuto che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva, il tribunale del riesame deve depositare il provvedimento nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 311, comma 5-bis, a pena di perdita di efficacia della misura, e non nel più lungo termine, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno, previsto dall'art. 309, comma 10 (Cass. S.U., n. 47970/2017).

Il tribunale del riesame, quale giudice di rinvio, è vincolato al principio di diritto della sentenza di annullamento pur quando abbia nel frattempo proceduto a una diversa valutazione del compendio indiziario in riguardo alla posizione di altri coindagati, non potendo detta evenienza costituire fatto nuovo, sempre valutabile in un giudizio allo stato degli atti, salva la rigorosa dimostrazione dell'interdipendenza delle posizioni processuali (Cass. II, n. 11009/2009). Peraltro, si è ritenuto che nel giudizio cautelare di rinvio possono essere introdotti elementi sopravvenuti, tanto favorevoli quanto sfavorevoli all'imputato, purché nel rispetto del contraddittorio ed entro i limiti segnati dalla pronuncia di annullamento (Cass. II, n. 17991/2006) e, inoltre, non costituisce violazione dell'obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte di cassazione la rilevazione del sopravvenuto decreto dispositivo del giudizio e della sua eventuale incidenza sul quadro indiziario (Cass. S.U., n. 39915/2002).

Il giudice del rinvio non può abbandonare il thema decidendum segnato dai motivi di ricorso che hanno determinato l'annullamento, e definire il giudizio attraverso l'introduzione di nuovi punti per la decisione, ma deve in primo luogo eliminare il vizio rilevato dalla Corte di cassazione, e solo successivamente, muovendo da tale presupposto, può affrontare ulteriori questioni attinenti all'attualità delle condizioni legittimanti la cautela, poiché, per effetto del collegamento sequenziale tra pronuncia rescindente e fase rescissoria, non deve venir meno la continuità di oggetto del giudizio (Cass. VI, n. 18634/2015: fattispecie in cui il giudice del rinvio, dopo precedente annullamento della decisione del giudice di appello per avere quest'ultimo erroneamente negato la sussistenza dei gravi indizi per l'applicazione di misure cautelari e interdittive nei confronti di una persona giuridica, si era limitato a revocare l'ordinanza genetica per difetto sopravvenuto delle condizioni che legittimavano l'applicazione della temporanea interdizione; Cass. II, n. 11209/2016: fattispecie in tema di responsabilità da reato degli enti, in cui la Corte, in applicazione di tale principio, ha annullato l'ordinanza del tribunale della libertà che, dovendosi pronunciare in sede di giudizio di rinvio sulla sussistenza dei presupposti legittimanti l'applicazione di una misura interdittiva, aveva revocato detta misura, in accoglimento di un'istanza difensiva, per sopravvenuta mancanza del pericolo di reiterazione del reato ).

Nel giudizio di rinvio che si svolge dopo l’annullamento, in sede di legittimità (per carenza di motivazione in ordine al fumus commissi delicti) del provvedimento che abbia disposto un sequestro preventivo, il Tribunale del riesame deve valutare la configurabilità del predetto requisito anche nel caso in cui sia sopravvenuto il rinvio a giudizio dell’indagato, nei casi in cui la regola di giudizio fissata dalla sentenza di annullamento imponga una valutazione del fumus diversa e più stringente rispetto a quella che abbia legittimato il rinvio a giudizio (Cass. VI, n. 2181/2021).

L'annullamento senza rinvio da parte della Corte di cassazione dell'ordinanza con la quale è stata dichiarata l'inefficacia della misura custodiale, implica l'immediato ripristino della misura cautelare per la cui esecuzione è sufficiente l'iniziativa del pubblico ministero, quale organo cui spetta l'esecuzione delle decisioni del giudice penale (Cass. VI, n. 42971/2016).

Spese del procedimento

Con specifico riferimento al giudizio di cassazione, è stato affermato, proprio con riferimento al procedimento de libertate che, qualora il venir meno dell'interesse alla decisione del ricorso per cassazione sopraggiunga alla sua proposizione, alla dichiarazione di inammissibilità non consegue la condanna del ricorrente né alle spese del procedimento, né al pagamento della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende (Cass.S.U., n. 7/1997).

Bibliografia

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