Codice di Procedura Penale art. 321 - Oggetto del sequestro preventivo 1 21. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero [262 3] il giudice competente a pronunciarsi nel merito [91 att.] ne dispone il sequestro [104 att.] con decreto motivato. Prima dell'esercizio dell'azione penale [405] provvede il giudice per le indagini preliminari [328] 3. 2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca [240 c.p.; 737, 737-bis, 745]. 2-bis. Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca 4. 3. Il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell'interessato quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione [322-bis]. Se vi è richiesta di revoca dell'interessato, il pubblico ministero, quando ritiene che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria 5 . 3-bis. Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell'intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria [57 1], i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale [357 3] al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito [229 coord.]. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l'emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria 6. 3-ter. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis ovvero se il giudice non emette ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate 7.
[1] [1] Per il procedimento davanti al giudice di pace, v. art. 192d.lg. 28 agosto 2000, n. 274. V. anche art. 3 d.l. 23 maggio 2008, n. 90, conv. , con modif., in l. 14 luglio 2008, n. 123. Sull'esercizio dell'attività di impresa di stabilimenti oggetto di sequestro v. art. 1, comma 4 d.l. 3 dicembre 2012, n. 207, conv. in l. 24 dicembre 2012, n. 231. Per l'interdizione dell'accesso al dominio internet nelle forme e con le modalità di cui al presente articolo, v. art. 2, comma 4 d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, conv., con modif., in l. 17 aprile 2015, n. 43. Ai sensi dell'art. 21-octies d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv., con modif., in l. 6 agosto 2015, n. 132, le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche ai provvedimenti di sequestro già adottati alla data di entrata in vigore del suddetto decreto. [2] [2] Per una ipotesi di sequestro assimilabile a quello preventivo, v. gli artt. 1 e 7 d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv., con modif., nella l. 15 marzo 1991, n. 82, come modificati dalla l. 13 febbraio 2001, n. 45. Per il permanere della vigenza delle previsioni contenute in leggi speciali che attribuiscono alla polizia giudiziaria poteri di sequestro, anche di natura preventiva, v. Corte cost. ord. n. 323 del 1990. Vedi, inoltre, quanto disposto dall'art. 3, l. 29 ottobre 2016, n. 199. [3] [3] La Corte cost., con ordinanza 11 luglio 1991, n. 334 nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 321, nella parte in cui non prevede che, nei reati perseguibili a querela, la richiesta di sequestro preventivo possa essere presentata anche dalla persona offesa querelante, ha affermato che l'esigenza di tutela della collettività che è alla base dell'istituto «non può ontologicamente confondersi con l'eventuale interesse della parte offesa querelante alla cessazione della situazione di illecito, che non sempre sussiste e che comunque è ben distinto dall'interesse manifestato - attraverso la presentazione della querela - all'esercizio dell'azione penale nei confronti dell'autore del reato». [4] [4] Comma inserito dall'art. 63l. 27 marzo 2001, n. 97. Vedi l'art. 6 4 l. n. 97, cit. [5] [5] L'art. 15 d.lg. 14 gennaio 1991, n. 12 ha aggiunto gli ultimi tre periodi del comma 3 nonché i commi 3-bis e 3-ter. [6] [6] L'art. 15 d.lg. 14 gennaio 1991, n. 12 ha aggiunto gli ultimi tre periodi del comma 3 nonché i commi 3-bis e 3-ter. [7] [7] L'art. 15 d.lg. 14 gennaio 1991, n. 12 ha aggiunto gli ultimi tre periodi del comma 3 nonché i commi 3-bis e 3-ter. InquadramentoL'art. 321 disciplina il sequestro preventivo quale misura cautelare reale la cui finalità è quella di impedire la libera disponibilità di un bene. La collocazione sistematica della norma è significativa della unificazione nella categoria delle misure cautelari, sia di quelle personali che di quelle reali. Il legislatore ha, cioè, preso atto della rilevanza sociale ed economica di taluni interventi di cautela reale su beni materiali e su diritti costituzionalmente garantiti (proprietà, domicilio, libertà di iniziativa economica), non dissimili da quelli incidenti sulla libertà personale. Ne è derivata una disciplina unificante che ha comportato che anche per le misure cautelari reali venissero previsti gli stessi caratteri fondamentali delle misure cautelari personali in tema di autorità competente ad emettere la misura, predeterminazione dei criteri di applicazione, garanzie dei soggetti destinatari. Tale assimilazione è stata ribadita ed addirittura accentuata nella introduzione del comma 3-bis dell'art. 321, laddove nei lavori preparatori si definisce la misura come «fermo reale» con un evidente esplicito parallelismo con il «fermo personale». Il sequestro preventivo si distingue, perciò, dal sequestro probatorio, benché l'oggetto dei due provvedimenti non sia diverso, consentendo entrambi l'acquisizione sia del corpo del reato, sia di cose pertinenti al reato, poiché perseguono scopi diversi, in quanto il secondo è diretto all'acquisizione delle prove, mentre il primo è diretto ad evitare che le conseguenze del reato siano aggravate o protratte ovvero che siano commessi altri reati ovvero, ancora, a consentire la confisca. Il sequestro preventivo può essere disposto in due casi: 1) quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati (comma 1); 2) quando si tratti di cose di cui è consentita la confisca (comma 2). Presupposti applicativi
In genere Con riferimento alla ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 321, il testo normativo individua con precisione il presupposto applicativo costituito dal c.d. periculum in mora, cioè “il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati”, mentre non fornisce elementi per delimitare l'ambito dell'altro presupposto applicativo, il c.d. fumus commissi delicti, la cui necessità si desume implicitamente ma chiaramente dal riferimento alla pertinenza della cose a “reato” e dalla finalità di prevenire ulteriori conseguenze di un “reato”. Il fumus commissi delicti Presupposto del sequestro preventivo è la commissione di un reato, sia pure accertato in via incidentale. È quindi illegittimo il sequestro preventivo disposto prima che il reato sia commesso, sul mero presupposto che l'agente avesse intenzione di commetterlo: risulterebbero infatti violate non solo la norma dell'art. 321, che prevede implicitamente il reato come presupposto del sequestro, ma anche quelle dell'art. 1 c.p. e dell'art. 25 comma 2 Cost., giacché il principio di legalità condiziona alla previsione tipica non solo la punibilità dell'agente, ma anche l'applicabilità delle misure cautelari e delle altre misure strumentali al giudizio penale (Cass. III, n. 778/1993: in applicazione di questi principi la S.C. ha annullato senza rinvio il provvedimento che disponeva il sequestro preventivo di opere edilizie interne, conformi al disposto dell'art. 26 della l. n. 47/1985, sul presupposto che esse, in quanto preliminari a un mutamento di destinazione d'uso dell'immobile vietato dagli strumenti urbanistici vigenti, potessero integrare in futuro la contravvenzione di cui all'art. 20 della stessa l. n. 47/1985; Cass. III, n. 2718/1996; Cass.. III, n. 27929/2004: la S.C. ha ritenuto illegittimo il sequestro preventivo di un immobile in corso di realizzazione, e regolarmente assentito, effettuato sulla base della presunta e ipotizzata intenzione di contravvenire alla norme edilizie o urbanistiche). È stato, peraltro, dibattuto se il presupposto in esame richiedesse anche la verifica della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (per una sintesi della dottrina v. Turco, 2786). La Corte Suprema di cassazione è ormai costantemente orientata nel senso che le condizioni generali per l'applicabilità delle misure cautelari personali, indicate nell'art. 273, non sono estensibili, per le loro peculiarità, alle misure cautelari reali; ne consegue che ai fini della doverosa verifica della legittimità del provvedimento con il quale sia stato ordinato il sequestro preventivo di un bene pertinente ad uno o più reati, è preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi, pertanto, il controllo del giudice non può investire, in relazione alle misure cautelari reali, la concreta fondatezza di un'accusa, ma deve limitarsi all'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato (Cass. S.U., n. 4/1993; Cass. S.U., n. 7/2000 ; da ultimo: Cass. I, n. 18491/2018). Soluzione interpretativa che ha trovato l'avallo della Corte cost. n. 48/1994, la quale ha ritenuto non fondata, in riferimento agli artt. 24,42,97 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 321 e 324, affermando che la preclusione, per il giudice investito dal gravame relativo all'applicazione delle misure cautelari di natura reale, di ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla loro gravità — diversamente da quanto previsto per le misure cautelari personali — non si pone in contrasto con il diritto di difesa, sia perché non vi è un obbligo costituzionale ad assegnare uguale «contenuto difensivo» a rimedi che, pur se identici per denominazione (riesame delle misure cautelari personali e riesame di quelle reali), si distinguono sul piano strutturale e dei soggetti che possono essere coinvolti, e sia perché, per altro verso, è consentito al giudice a quo, quanto meno, il controllo sulla astratta configurabilità del reato contestato. Deve anche escludersi la violazione dell'art. 42 Cost., in quanto i limiti che in base alle norme in questione possono essere apposti alla disponibilità dei beni, si correlano ad esigenze connesse ad una situazione di pericolo per la collettività tale da giustificare l'imposizione del vincolo, così come insussistente è il contrasto con gli artt. 97 e 111 Cost., poiché il controllo che il giudice è chiamato ad operare è tutt'altro che burocratico dovendosi invece incentrare sulla verifica della integralità dei presupposti che legittimano la misura. Da tale soluzione interpretativa discende come conseguenza l'affermazione secondo la quale ai fini dell'applicazione della misura del sequestro preventivo è necessario che sussistano elementi che rendano ipotizzabile il reato per cui si procede, non essendo, tuttavia, richiesto che gli stessi riguardino un soggetto individuato, potendo, infatti, il vincolo essere disposto anche nei confronti di ignoti ed anche se è ancora provvisoria la qualificazione giuridica del fatto (Cass. III, n. 1897/1997; Cass. III, n. 35312/2011). Deve, peraltro, rilevarsi che la giurisprudenza successiva si è evoluta nel senso di imporre al giudice una valutazione più stringente che non si limiti alla “astratta configurabilità del reato”, ma si estenda alla valutazione, in modo puntuale e coerente, di tutte le risultanze processuali, e quindi non solo degli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche delle confutazioni e degli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (Cass. I, n. 1885/2004; Cass. IV, n. 10979/2007; Cass. V, n. 37695/2008; Cass. III, n. 27715/2010; in quanto anche la «serietà degli indizi» di reato costituisce presupposto per l'applicazione delle misure cautelari reali (Cass. III, n. 37851/2014). Anzi, la più recente giurisprudenza è arrivata fino al punto di ritenere che la valutazione del giudice debba riguardare anche l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (Cass. I, n. 21736/2007; Cass. VI, n. 16153/2014 ; Cass. III, n. 26007/2019), e debba anche indicare, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l'impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l'indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell'accusa (Cass. V, n. 49596/2014; Cass. VI, n. 49478/2015 ; Cass. VI, n. 18183/2018). Proprio la formulazione da parte della giurisprudenza di questi ultimi principi di diritto, hanno condotto la Corte cost., n. 153/2007 a ritenere manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 324, censurato, in riferimento all'art. 111, comma 2, Cost., nella parte in cui, secondo l'interpretazione offerta dalla Corte di cassazione limita i poteri del tribunale del riesame, in caso di impugnazione del decreto di sequestro preventivo, alla sola astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato. La Corte dopo avere ribadito la diversa ampiezza del sindacato giurisdizionale relativo alla verifica della «base fattuale» richiesta per l'adozione delle misure cautelari personali e reali: valendo il paradigma della «elevata probabilità di responsabilità» nel caso delle misure cautelari personali; ed il diverso metro del «fumus commissi delicti» in tema di sequestri: e ciò tenuto conto anche del fatto che il nesso di pertinenzialità che, ai fini dell'applicabilità della cautela, deve sussistere tra oggetto del sequestro e reato, può prescindere da qualsiasi profilo di responsabilità del titolare del bene sequestrato; rileva che la giurisprudenza non risulta prescrivere soltanto un controllo meramente «cartolare» e formale, né, correlativamente, risulta impedire — negli ovvi limiti, dianzi ricordati, propri del giudizio di riesame delle misure cautelare reali — la verifica, nel singolo caso concreto, del fumus del reato ipotizzato dall'accusa, come risulta evidente, dall'esplicito riferimento del principio di diritto stesso alla rilevabilità del difetto di elemento soggettivo, purché ictu oculi. Con riferimento specifico al delitto di ricettazione, la giurisprudenza ha affermato che quando venga disposto sequestro preventivo, non è richiesto l'accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell'esatta tipologia del reato, poiché il giudice può affermarne l'esistenza attraverso prove logiche (Cass. II, n. 4051/2021). Un diverso e prevalente orientamento, invece, ritiene che, ai fini della configurabilità del "fumus" dei reati contro il patrimonio presupponenti la consumazione di un altro reato (artt. 648,648-bis, 648-ter, 648-ter.1 cod. pen.), è necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, sia individuato quantomeno nella sua tipologia, pur non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali. (Cass. II, n. 6584/2022: in applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del tribunale del riesame confermativa - in relazione alla contestazione alternativa di ricettazione o di riciclaggio - del sequestro preventivo di euro 30.000, rinvenuti all'interno dell'autovettura condotta dall'indagato, che aveva dichiarato trattarsi dei suoi risparmi, rilevando l'inidoneità, quanto all'individuazione del reato presupposto, del riferimento compiuto dall'ordinanza a pregresse cariche dell'indagato in società fallite o cessate per le quali non erano state presentate dichiarazioni fiscali ed alla percezione da parte sua del reddito di cittadinanza; nello stesso senso: Cass. II, n. 46773/2021; Cass. II, n. 29689/2019). La giurisprudenza si è anche pronunciata sulla modifica della qualificazione giuridica del fatto, da riciclaggio a ricettazione, affermando che il Giudice della misura cautelare, pur essendo vincolato agli elementi prospettati dal P.M. con la sua richiesta, tuttavia conserva il potere-dovere di inquadrare autonomamente quanto sottoposto alla sua valutazione, e quindi di ritenere la disposizione incriminatrice che stimi più propria rispetto al fatto descritto; e ciò tanto più quando la qualifica in termini di ricettazione dell'originaria imputazione di riciclaggio non comporta alcuna variazione del fatto storico (Cass. II, n. 5616/2021: nel caso di specie, l'imputazione provvisoria di riciclaggio individuava la condotta nel trasferimento e trasporto, con occultamento nella vettura, di una somma di denaro al fine di ostacolare l'identificazione della sua provenienza delittuosa, e il delitto di ricettazione identificato dal giudice faceva leva sull'occultamento della somma di origine illecita: la sostanza valorizza in entrambi le ipotesi l'attività occultamento, descritta in termini più generali nel suo riferimento alla ricettazione, e in termini più specifici quanto al riciclaggio. D'altronde, la figura astratta del delitto di cui all'art. 648 bis cod. pen. esige un quid pluris rispetto a quella di cui all'art. 648, per cui ravvisare nella specie quest'ultimo non contraddice radicalmente quanto ipotizzato dal P.M.). Rientra nella valutazione del giudice del riesame relativa alla sussistenza del "fumus commissi delicti", il compito di valutare incidentalmente la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 131-bis c.p., ove la stessa emerga i ctu oculi sulla base degli elementi indiziari raccolti (Cass. III, n. 8989/2020). Periculum in mora I l "periculum" rilevante al fine della adozione della misura cautelare deve presentare i requisiti della concretezza e della attualità e deve essere valutato con riferimento alla situazione esistente al momento della sua adozione, sicché esso deve essere inteso, non già come mera astratta eventualità, ma come concreta possibilità o ragionevole certezza- desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto - che la libera disponibilità del bene assuma carattere strumentale rispetto alla agevolazione della commissione di altri reati della stessa specie o per l'aggravamento o la prosecuzione di quello per cui si procede (Cass. V, n. 12064/2010; Cass. VI, n. 56446/2018; Cass. III, n. 42129/2019). La giurisprudenza ha ritenuto che il periculum in mora derivante dal protrarsi o dall'aggravarsi delle conseguenze del reato non possa essere escluso per il solo fatto che il reo abbia risarcito il danno stipulando un accordo transattivo con la persona danneggiata dal reato. (Cass. V, n. 7392/2024). Il concetto di protrazione del comportamento illecito è proprio del reato permanente, mentre la reiterazione della condotta criminosa richiama le caratteristiche del reato abituale e l'agevolazione della commissione di altri reati quello continuato, ma le espressioni utilizzate non si limitano ad individuare solo dette figure di reati, ma tutti quelli che producono alcune delle conseguenze su evidenziate, istantanei con effetti permanenti e delitto tentato per rimanere alla enucleazione di alcune categorie generali. Il pericolo va inteso in senso oggettivo come probabilità di danno futuro in conseguenza dell'effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa e può derivare non solo dalla potenzialità della res oggetto del sequestro preventivo di recare una lesione all'interesse protetto dalla norma penale, ma anche dalla semplice possibilità di contribuire al perfezionamento del reato (Cass. III, n. 490/1996). La «conseguenza», di cui è menzione nell'art. 321, è rappresentata non da un qualsiasi effetto, ma soltanto da quello che sia attinente agli elementi strutturali dell'illecito topico o che con questi ultimi sia strettamente collegato, costituendone uno sviluppo ulteriore (Cass. III, n. 155/1992; Cass. VI, n. 2819/1995: fattispecie nella quale è stato ritenuto che mentre il perfezionamento della costruzione d'un immobile, effettuata grazie ad un abuso d'ufficio, costituisce conseguenza diretta del reato, diversamente è a dire per la locazione o la vendita dell'immobile stesso, una volta che la costruzione sia stata ultimata, in quanto sviluppi della condotta solo indirettamente collegati all'illecito). Il sequestro preventivo è consentito non solo per non aggravare o protrarre le conseguenze del reato, bensì anche per non «agevolare la commissione di altri reati». Si deve, in tal caso, dimostrare che la libera disponibilità della cosa agevoli la commissione di altri specifici reati, in modo da non dilatare il concetto di «agevolazione» in maniera eccessiva e da consentire di accertare l'attuazione della funzione preventiva della misura cautelare, sicché la specificità e la probabilità dell'agevolazione di detti nuovi reati, considerati quale conseguenzialità logica della fattispecie criminosa, sono i parametri cui ci si deve riferire per valutare la legittimità del sequestro preventivo sotto questo profilo (Cass. III, n. 2676/1996). Il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa — che va accertato dal giudice con adeguata motivazione — presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato. (Fattispecie relativa a sequestro preventivo di alcuni manufatti abusivi, uno dei quali in muratura, la cui costruzione era già stata ultimata) (Cass. S.U., n. 12878/2003). In particolare, in materia edilizia, anche in caso di immobile abusivamente costruito e che risulti ultimato, è ipotizzabile la sussistenza delle esigenze cautelari richieste dalla legge per disporre il sequestro preventivo dell'immobile, atteso che le conseguenze che tale misura tende ad evitare sono ulteriori rispetto alla fattispecie tipica già realizzata e che in materia urbanistica l'esistenza di una costruzione abusiva può aggravare il cd. carico urbanistico e quindi protrarre le conseguenze del reato (Cass. III, n. 11146/2002; Cass. V, n. 8441/2007; Cass. II, n. 23681/2008). Più in generale, in tema di reati edilizi o urbanistici, la valutazione che, al fine di disporre il sequestro preventivo di manufatto abusivo, il giudice di merito ha il dovere di compiere in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto (anche con riferimento ad eventuali interventi di competenza della p.a. in relazione a costruzioni non assistite da concessione edilizia, ma tuttavia conformi agli strumenti urbanistici) ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività (Cass. S.U., n. 12878/2003). Anche con riferimento ai reati paesaggistici è stato affermato che la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dall'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata (Cass. III, n. 24539/2013; Cass. III, n. 42363/2013); in senso contrario, però, si è ritenuto che in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, il presupposto del periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza delle opere ultimate, ma è necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l'ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, dovendo valutarsi l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela (Cass. III, n. 48958/2015; Cass. III, n. 28388/2016; Cass. III, n. 40677/2016; Cass. III, n. 50336/2016; Cass. III, n. 2001/2018; Cass. IV, n. 15254/2018). Con riferimento al sequestro preventivo di un immobile la cui realizzazione sia soggetta al rispetto della normativa antisismica, si è, invece, ritenuto che il pericolo di aggravamento del reato, con riferimento al suo perdurante utilizzo, sia insito nella violazione della disciplina antisismica (Cass. VI n. 190/2018). Il sequestro preventivo può avere ad oggetto beni appartenenti a terzi estranei al procedimento penale, incombendo, in tale caso, sul giudice un dovere specifico di motivazione sul requisito del periculum in mora in termini di semplice probabilità del collegamento di tali beni con le attività delittuose dell'indagato, sulla base di elementi che appaiano indicativi della loro effettiva disponibilità da parte di quest'ultimo, per effetto del carattere meramente fittizio della loro intestazione ovvero di particolari rapporti in atto tra il terzo titolare e l'indagato stesso (Cass. V, n. 11287/2010; Cass. VI, n. 18766/2014;Cass. II, n. 5657/2014; Cass. II, n. 32647/2015; Cass. II, n. 47007/2016). È stato, a tal fine, affermato che la sussistenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora non può pregiudicare l'eventuale diritto del terzo in buona fede; il giudice di merito deve conseguentemente verificare la sussistenza sia del vantato titolo di proprietà che della buona fede del terzo, ed in caso contrario sussiste carenza assoluta di motivazione (Cass. II, n. 47411/2011), ma la buona fede, si precisa, deve risultare immediatamente evidente (Cass. III, n. 24435/2011: nella specie il sequestro preventivo era stato disposto sull'area e sui manufatti ivi insistenti, acquistati da terzi asseritamente in buona fede, buona fede che però, non era percepibile ictu oculi in presenza delle plurime violazioni riscontrate nel piano di lottizzazione e per la notevole sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle vicende giudiziarie riguardanti le costruzioni in questione). In particolare, si è affermato che non è legittimo, per l'assenza dei presupposti normativi, il sequestro preventivo di un bene mobile registrato appartenente, per valido acquisto in buona fede, ad una persona estranea al reato, poiché non può sussistere né il pericolo di agevolazione della commissione di altri reati, dato che il legittimo possessore è persona estranea al reato, né il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze dannose, perché l'impossibilità di recuperare il bene da parte della vittima si è già irrimediabilmente verificata con l'acquisto in buona fede da parte del terzo infine, il bene non è confiscabile, in quanto appunto appartenente a persona estranea al reato (Cass. II, n. 2810/2006). Peraltro, si è ritenuto che sia legittimo il sequestro preventivo dell'intero compendio di deposito in conto corrente, cointestato anche a persone diverse dall'imputato ed estranee al reato, in quanto la libera disponibilità del bene, sia pure da parte di un terzo di buona fede, può determinare la protrazione del fatto criminoso nel tempo o l'aggravamento delle sue conseguenze, né, per converso, l'imposizione del vincolo sottrae all'interessato strumenti idonei al recupero di ciò di cui sia stato privato (Cass. S.U., n. 25933/2008). La messa in liquidazione della società, le cui quote ed i cui beni costituiscano oggetto della misura cautelare reale, non esclude il pericolo di protrazione e aggravamento delle conseguenze del reato, ben potendo i liquidatori esercitare poteri di gestione del patrimonio sociale e lo stato di liquidazione essere revocato ovvero evolvere in una ripresa dell'attività (Cass. II, n. 45209/2007; Cass. I, n. 51462/2017). Oggetto: cose pertinenti al reato
In genere La nozione di «cosa pertinente al reato» ha un significato ampio e comprende anche il corpo del reato, e cioè le cose sulle quali o mediante le quali il reato stesso è stato commesso o che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo (art. 253, comma 2). Le due categorie, infatti, si pongono tra loro in rapporto di continenza, nel senso che la prima è più vasta e contiene anche la seconda: la categoria delle cose pertinenti al reato non comprende solo il corpo del reato, ma abbraccia tutte le cose legate anche indirettamente alla fattispecie criminosa (Cass. III, n. 490/1996; Cass. II, n. 17372/2009). Deve trattarsi di una cosa che abbia un qualsiasi legame funzionale con il reato, il bene oggetto di sequestro preventivo deve caratterizzarsi da una intrinseca, specifica e strutturale strumentalità rispetto al reato commesso non essendo sufficiente una relazione meramente occasionale tra la res ed il reato commesso. Nel rapporto di pertinenza, che deve essere chiaramente individuato nel provvedimento di sequestro, rientra dunque un'ampia gamma di situazioni, potendo queste riguardare la progettazione e l'esecuzione del reato, la protezione del suo autore, la tutela degli effetti, la reiterazione della condotta, con l'ulteriore precisazione che la nozione di cosa pertinente al reato deve essere collegata — per evitare una indiscriminata compressione dei diritti individuali di proprietà e di uso della cosa — alla finalità di impedire che la disponibilità della cosa stessa da parte dell'imputato o dell'indagato costituisca un pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di altri reati. Ne deriva che è incensurabile l'apprezzamento del giudice di merito qualora il provvedimento impugnato sia congruamente motivato con riferimento alla specifica, stabile ed organica strumentalità della cosa sottoposta a sequestro rispetto all'attività illecita, e purché risulti con chiarezza la probabilità che venga reiterata o aggravata- in caso di libera disponibilità della cosa — la condotta vietata (Cass. III, n. 1510/1994; Cass. III, n. 2734/1995; Cass. III, n. 1236/1995; Cass. VI, n. 469/1998; Cass. VI, n. 231/2000; Cass. V, n. 12064/2009; Cass. VI, n. 32807/2012). Casistica Nella nozione di «cose pertinenti al reato», assoggettabili, in quanto tali, a sequestro preventivo debbono necessariamente farsi rientrare anche gli animali, non potendo questi essere considerati «persone» e dovendo, quindi, necessariamente essere assimilati, anche ai fini della legge processuale, secondo i principi civilistici, alle «cose» (Cass. I, n. 373/1995;Cass. V, n. 231/2012; Cass. II, n. 18749/2013). Il sequestro preventivo può avere ad oggetto solo il risultato di un'attività e non l'attività in sé, perché è estranea ad esso la funzione di inibizione di comportamenti, sicché è illegittimo, peraltro risolvendosi nell'indebita invasione della sfera di attribuzioni della giurisdizione civile, il sequestro di un fascicolo processuale relativo all'esecuzione immobiliare in corso nei confronti di un soggetto vittima di fatti estorsivi, finalizzato ad impedire che il reato sia portato ad ulteriori conseguenze (Cass. II, n. 10437/2006); analogamente, è illegittimo il sequestro preventivo di documenti in originale di un procedimento amministrativo finalizzato esclusivamente ad impedire l'ulteriore protrazione dell'azione amministrativa ritenuta illecita (Cass. VI, n. 15015/2014). È stato affermato che non può disporsi il sequestro preventivo di un decreto ingiuntivo, al fine di impedire le ulteriori conseguenze del reato, sul presupposto che l'ingiunzione sia fondata su scritture rilasciate dalla parte offesa a fronte di un prestito usuraio; e ciò sia perché non è configurabile alcun rapporto pertinenziale fra il reato ed il provvedimento del giudice, sia in quanto l'applicazione della misura cautelare stravolgerebbe il sistema di impugnazioni e garanzie previste dal codice di procedura civile a salvaguardia dei diritti delle parti (Cass. II, n. 2726/1995; Cass. II, n. 41727/2013). In contrasto con tale affermazione, si è, invece, ritenuto che può disporsi il sequestro preventivo, ove ne ricorrano in concreto tutte le condizioni, anche di un decreto ingiuntivo (Cass. VI, n. 2698/2006; Cass. I, n. 40046/2013). Non è suscettibile di sequestro preventivo il lodo arbitrale rituale per la mancanza di un rapporto di pertinenzialità tra il reato ipotizzato e la decisione arbitrale, a meno che il lodo stesso costituisca conseguenza immediata e diretta della commissione di un reato, come nel caso in cui la decisione sia il risultato di una attività illecita commessa da una delle parti in concorso con gli arbitri (Cass. II, n. 52627/2014). Invece, il sequestro preventivo può avere ad oggetto anche il lodo arbitrale irrituale, quale documento che consacra l'assunzione di obblighi economicamente apprezzabili e dunque come cosa suscettibile di coercizione reale (Cass. V, n. 1804/1993). Per quanto concerne il sequestro di aziende, ora espressamente previsto dall'art. 104-bis disp. att., introdotto dall'art. 2, comma 9, lett. b), l. n. 94/2009, si è affermato che è legittimo il sequestro preventivo di un'intera azienda anche se soltanto alcuni dei beni che la compongono siano stati utilizzati per la consumazione del reato, a nulla rilevando la circostanza che l'azienda svolga anche normali attività imprenditoriali, ma il giudice, in ossequio al principio di proporzionalità, deve motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato della misura cautelare con misure invasive, anche di natura interdittiva (Cass. VI, n. 27340/2008; Cass. IV, n. 18603/2013). In particolare, è stato ritenuto legittimo il sequestro preventivo di immobili, strutture e apparecchi costituenti l'azienda funzionalmente ed economicamente produttiva, allorché essi siano impiegati per lo svolgimento dell'attività lavorativa prevalente di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, essendo l'imposizione del vincolo funzionale ad impedire la prosecuzione dello sfruttamento di manodopera illegale (Cass. I, n. 18550/2009). Può essere oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo anche un'intera azienda, utilizzata per traffici illeciti che si affianchino alla normale attività, purché siano individuati precisi e concreti elementi indicativi di una prognosi di pericolosità derivante dal mantenimento della disponibilità della cosa (Cass. VI, n. 36773/2003). È illegittimo, per assenza del vincolo di essenziale strumentalità con il reato di evasione dell'Iva, il sequestro preventivo di un'azienda operante nel settore del commercio di autovetture, poiché l'obbligo di versare all'erario il tributo è collegato al negozio giuridico mediante il quale si realizza un lecito contratto di compravendita del singolo bene e il suo altrettanto lecito trasferimento nel patrimonio dell'acquirente, mentre le autovetture, che non sono prodotto o profitto del reato, non hanno alcun nesso strumentale con la condotta illecita ipotizzata, che costituirebbe un posterius rispetto alla compravendita e al trasferimento di proprietà con essa realizzato (Cass. VI, n. 24250/2003). È legittimo il sequestro preventivo dell'intero complesso dei beni, materiali e immateriali, di un'azienda, facente capo ad una società, nell'ipotesi in cui tale società risulti utilizzata soltanto per sottrarre alla massa dei creditori il complesso dei beni costituiti dall'azienda posta sotto sequestro (Cass. V, n. 25489/2002). In tema di gestione dei rifiuti è legittimo il sequestro dell'intera azienda allorché vi siano i richiesti indizi che anche soltanto taluno dei beni aziendali sia, per la sua collocazione strumentale, utilizzato per la consumazione del reato, né osta a ciò il fatto che l'azienda in questione svolga anche normali attività imprenditoriali (Cass. III, n. 47918/2003). Non possono essere sottoposti a sequestro preventivo l'immobile, le strutture e gli apparecchi costituenti l'azienda funzionante ed economicamente produttiva in ragione dell'occupazione non totalitaria o prevalente di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, in quanto tali beni non sono in rapporto di pertinenzialità rispetto al reato di cui all'art. 22, d.lgs. n. 286/1998 e succ. mod. (Cass. I, n. 34605/2007). Il sequestro preventivo delle quote o delle azioni sociali è idoneo ad impedire la commissione di ulteriori reati, pur se in maniera mediata e indiretta, poiché esso priva i soci dei diritti relativi alle quote, mentre la partecipazione alle assemblee ed il diritto di voto (anche in ordine all'eventuale nomina e revoca degli amministratori) spettano al custode designato in sede penale (Cass. V, n. 5002/1998; Cass. V, n. 21810/2004; Cass. II, n. 31914/2015); nello stesso senso, è legittimo il sequestro preventivo di una società se si dimostra il durevole asservimento della stessa e del suo patrimonio alla commissione delle attività illecite, quale società strutturalmente illecita o di comodo (Cass. VI, n. 20244/2018; Cass. Sez. IV, n. 7107/2022). In particolare, in tema di procedimento per bancarotta fraudolenta, è legittimo il sequestro preventivo di quote di società intestate agli indagati, quando vi sia motivo di ritenere che esse possano essere utilizzate per sottrarre beni alla curatela, senza che il giudice debba fornire indicazioni di dettaglio sulle condotte distrattive già accertate, sui rischi di aggravamento delle conseguenze dei reati commessi, ovvero sui rischi di commissione di nuovi reati, con riferimento ai singoli cespiti sottoposti a sequestro (Cass. V, n. 106/2000); invece è illegittimo il sequestro preventivo totalitario delle quote di una società, indicata come destinataria di beni distratti dalla società fallita, laddove sia disposto a prescindere dall'accertamento del collegamento strumentale tra il reato fallimentare e la cosa sequestrata e per un valore eccedente quello attribuito ai beni distratti (Cass. V, n. 5868/2019). In tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è illegittima l'apprensione diretta delle somme di denaro entrate nel patrimonio del reo in base ad un titolo lecito, ovvero in relazione ad un credito sorto dopo la commissione del reato, che non risultino allo stesso collegate, neppure indirettamente (Cass. VI, n. 6816/2019). La natura fungibile del denaro non consente la confisca diretta delle somme depositate su conto corrente bancario del reo, ove si abbia la prova che le stesse, non derivando dal reato, non costituiscano profitto dell'illecito (Cass. III, n. 41104/2018). Pertanto il sequestro preventivo di somme di denaro depositate presso banche, ossia beni normalmente non destinati alla commissione di reati, comporta la previa individuazione del rapporto di pertinenza con i reati per i quali si procede, di cui deve darsi atto nella motivazione del provvedimento, nel senso che deve trattarsi di denaro che costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a commetterlo o, comunque, concretamente destinato alla commissione del medesimo, sicché l'astratta possibilità di destinare il denaro a tale fine non è sufficiente a farlo ritenere cosa pertinente al reato (Cass. II, n. 38600/2007;Cass. V, n. 11288/2010; Cass. VI, n. 17997/2018). In tema di frode fiscale, non può automaticamente ritenersi la legittimità di un provvedimento di sequestro preventivo di somme di denaro depositate presso istituti bancari, poiché il necessario rapporto pertinenziale con il reato non è ravvisabile ictu oculi, ma va specificamente individuato e chiarito nella motivazione del provvedimento ablativo, nel senso che deve trattarsi di denaro che costituisca il prodotto, il profitto o il prezzo del reato oppure che sia servito a commetterlo o, comunque, concretamente destinato alla commissione del medesimo, non essendo sufficiente l'astratta possibilità di destinare il denaro a tal fine a farlo ritenere cosa pertinente al reato (Cass. II, n. 38600/2007). In tema di procedimenti per reati di bancarotta fraudolenta deve ritenersi legittimo il sequestro preventivo di tutti i depositi bancari i titoli e i conti correnti intestati agli indagati quando vi sia motivo di ritenere che tali somme possano essere utilizzate per sottrarre beni alla curatela o per compiere ulteriori delitti di bancarotta senza che il giudice debba fornire indicazioni di dettaglio sulle condotte distrattive già accertate o sui rischi di aggravamento delle conseguenze dei reati commessi, o di commissione di nuovi, con riferimento ai singoli cespiti sottoposti a sequestro (Cass. V, n. 2148/1997). Ugualmente si è ritenuto che, sempre in tema di bancarotta fraudolenta, è legittimo il sequestro preventivo sulle giacenze di conto corrente acceso dall'indagato presso una banca, quando si sospetti che siffatta ricchezza costituisca il provento di distrazioni fraudolente commesse in pregiudizio di società fallite; né, a tal fine, rileva la confusione con il personale patrimonio qualora il cespite sequestrato rappresenti il prodotto o il profitto del reato della distrazione fraudolenta in pregiudizio della fallita società, quale risultato della condotta criminosa, con la conseguenza che esso mantiene una sua intrinseca pericolosità che non si esaurisce nella confusione patrimoniale (Cass. V, n. 42235/2010; Cass. V, n. 45510/2014). Il sequestro preventivo a scopo impeditivo può avere ad oggetto anche beni che siano stati costituiti dall'indagato in pegno regolare, e ciò in quanto la disponibilità di questi da parte del creditore, pur penetrante, non può essere considerata assoluta né esaustiva di tutte le facoltà spettanti al debitore garante il quale, oltre all'eventuale recupero dell'eccedenza del pegno, può sempre alienare il bene o attivarsi per l'estinzione dell'obbligazione ed ottenere la restituzione dell'«eadem res» fornita in garanzia. In tali ipotesi, tuttavia, il giudice di merito che dispone la misura può limitare l'estensione del vincolo alle facoltà spettanti al debitore indagato o imputato, lasciando impregiudicate le facoltà di esclusiva pertinenza del creditore pignoratizio estraneo all'illecito penale; ed anzi tale scissione delle rispettive sfere di disponibilità, ai fini di una diversa diversificazione dell'ambito di efficacia del vincolo, è da considerarsi doverosa quando le esigenze cautelari che fondano la misura consistono nel pericolo di commissione di nuovi reati, o di aggravamento di quelli già commessi, derivante soltanto dal comportamento del debitore indagato (Cass. S.U. , n. 9/1994). Resta riservato al merito l'aspetto del necessario bilanciamento fra l'interesse pubblico alla non dispersione definitiva dei beni nella disponibilità dell'indagato e la tutela delle ragioni del terzo creditore estraneo al reato (Cass. III, n. 36293/2011). Non può essere disposto il sequestro preventivo di un conto corrente bancario le cui somme risultino già costituite in pegno irregolare a garanzia dell'anticipazione concessa dalla banca al correntista, in virtù dell'effetto proprio del pegno irregolare che determina il trasferimento in proprietà al creditore delle somme gravate dalla garanzia (Cass. II, n. 23659/2010; Cass. III, n. 42464/2015). Il sequestro preventivo può avere ad oggetto il fondo patrimoniale coniugale, poiché i vincoli di disponibilità previsti dall'art. 169 cod. civ. non riguardano la disciplina della responsabilità penale (Cass. II, 29940/2007; Cass. III, n. 6290/2010). Possono legittimamente essere oggetto di sequestro preventivo i locali nei quali si tiene il gioco d'azzardo allorché si abbia motivo di ritenere che siano adibiti al gioco, non essendovi dubbio in tal caso che la disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare la commissione di altri reati. Nè il sequestro può essere escluso in quanto dei locali non è consentita la confisca, perché la confiscabilità della cosa non è presupposto della misura cautelare, tant'è che la possibilità di sequestro delle cose di cui è consentita la confisca è prevista con disposizione autonoma rispetto a quella che pone i requisiti in genere del sequestro preventivo (Cass. III, n. 453/1993). È legittimo il sequestro preventivo di una stalla dalla quale promanino continuativamente esalazioni maleodoranti: il fatto integra il reato di cui all'art. 674 c.p. e la libera disponibilità del locale avrebbe potuto aggravare o protrarre le emissioni maleodoranti, che nella specie promanavano dagli escrementi di sessanta ovini, con grave pregiudizio per la igiene di una contigua abitazione (Cass. I, n. 3669/1992). È legittimo il sequestro preventivo di un bene demaniale destinato a soddisfare i bisogni e gli interessi di una serie indeterminata di utenti (Cass. IV, n. 17129/2020: nella specie un'area paesaggistica costituita da un bacino del tipo gola fluviale, ove, a seguito di una piena improvvisa, avevano perso la vita dieci escursionisti), disposto al fine di impedire la commissione di altri reati, in ragione della pericolosità del bene per la pubblica incolumità).Una farmacia può essere qualificata come cosa pertinente al reato ed essere, di conseguenza, possibile oggetto della misura cautelare reale al fine di evitare la prosecuzione del reato (Cass. V, n. 11949/2020). È legittimo il sequestro preventivo di un albergo privo della licenza di abitabilità (Cass. III, n. 2113/1997). Per quanto riguarda gli immobili abusivamente costruiti e già ultimati v. supra. È legittimo il sequestro preventivo del bene demaniale, disposto al fine di impedire il protrarsi di una illecita occupazione di suolo pubblico, derivante non solo dall'insistenza di manufatti sulle predette aree, ma anche dalla attività ad essi connesse (Cass. VI, n. 3947/2001; Cass. III, n. 12504/2012); peraltro, è stato ritenuto che tale sequestro è legittimo nella misura in cui l'occupazione illecita sottragga l'area alla fruizione collettiva, ma non può estendersi alle porzioni non occupate che permangano nell'uso pubblico (Cass. III, n. 28911/2013). In tema di tutela del diritto d'autore, il sequestro dell'opera in caso di violazione dell'art. 171, comma 1 lett. a) e comma 2, della l. n. 633/1941 (abusiva riproduzione con usurpazione della paternità dell'opera ed offesa all'onore ed alla reputazione dell'autore), può essere disposto soltanto dopo la preventiva verifica che le esigenze cautelari non possano essere soddisfatte mediante strumenti diversi dal sequestro, atteso che ai sensi dell'art. 169 della l. n. 633/1941 la sanzione ivi prevista della rimozione e distruzione dell'opera è individuata soltanto allorché la violazione non possa essere riparata mediante aggiunte o soppressioni sull'opera che ne chiariscano la paternità, o con altri mezzi di pubblicità (Cass. III, n. 1934/2005). L'autorità giudiziaria, ove ricorrano i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, può disporre, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo di un intero sito web o di una singola pagina telematica, imponendo al fornitore dei servizi internet, anche in via d'urgenza, di oscurare una risorsa elettronica o di impedirne l'accesso agli utenti ai sensi degli artt. 14,15 e 16 del d.lgs. 70/2003, in quanto la equiparazione dei dati informatici alle cose in senso giuridico consente di inibire la disponibilità delle informazioni in rete e di impedire la protrazione delle conseguenze dannose del reato . Invece, per quanto riguarda il sequestro di giornali e di altre pubblicazioni, la testata giornalistica telematica, funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo, rientra nella nozione di "stampa" di cui all'art. 1 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e, pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico. La Corte ha precisato che, in tale ambito, non rientrano i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via telematica quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, che, pur essendo espressione del diritto di manifestazione del pensiero, non possono godere delle garanzie costituzionali relative al sequestro della stampa) (Cass. S.U., n. 31022/2015; Cass. V, n. 27675/2019: fattispecie relativa a un "blog" pubblicato su un sito gestito da un soggetto non iscritto nel Registro degli operatori di comunicazione, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto da un lato legittimo il sequestro, dall'altro insussistenti i presupposti del reato di pubblicazione di stampa clandestina, contestato insieme a varie ipotesi di diffamazione. Sequestro di cose di cui è consentita la confisca
In genere Secondo la prevalente giurisprudenza, il sequestro strumentale alla confisca previsto dall'art. 321, comma 2, costituisce figura specifica ed autonoma rispetto al sequestro preventivo regolato dal primo comma dello stesso articolo. La particolarità di tale figura consiste nel fatto che per la legittimità di essa non occorre necessariamente la presenza dei presupposti di applicabilità previsti per il sequestro preventivo «tipico» (pericolo che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati). Peraltro, le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 36959/2021), risolvendo un contrasto di giurisprudenza, hanno ritenuto che, per la legittimità del sequestro, non sia sempre sufficiente il semplice presupposto della confiscabilità, affermando il seguente principio di diritto: «il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all'art. 240 c.p., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege». Il comma 2-bis dell'art. 321, introdotto dall'art. 6, comma 3, l. n. 97/2001, prevede che con riferimento ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione il giudice “dispone” il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca, in tal modo imponendo un obbligo al giudice di disporre la misura cautelare, nel caso in cui sussistano i presupposti di legge. Peraltro, si è ritenuto che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all'art. 321, comma 2-bis, debba contenere la concisa motivazione anche del “periculum in mora”, da rapportare – nel rispetto dei criteri di proporzionalità, adeguatezza e proporzionalità della misura reale – alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera confiscabilità obbligatoria del bene oggetto di sequestro (Cass. VI, n. 32582/2022). Il decorso del termine di prescrizione non ha effetti sul sequestro preventivo funzionale a garantire l'esecuzione della confisca obbligatoria dato che questa, se vi sono gli elementi per l'accertamento di responsabilità sostanziale, può essere disposta ai sensi dell'art. 578-bis anche se il reato è estinto per prescrizione; pertanto il correlato vincolo cautelare disposto ai sensi dell'art. 321 comma 2, trova la sua legittimazione, indipendentemente dal decorso dei termini di prescrizione, nella perdurante sussistenza dei tipici presupposti che legittimano la cautela reale (fumus e periculum in mora) (Cass. II, n. 48632/2019). In dottrina, peraltro, è stato osservato (Adorno, 415 s.), che, una volta accertati, in chiave prognostica, i presupposti per l'applicabilità della misura di sicurezza, il giudice non può rigettare la richiesta cautelare formulata dal p.m.: diversamente opinandosi, la decisione giudiziale sarebbe affidata a parametri valutativi incontrollabili. Seguendosi questa linea interpretativa, dunque, nessuna differenza, sotto tale profilo, potrebbe essere ravvisata tra il sequestro preventivo delle cose suscettibili di confisca di cui al comma 2 dell'art. 321 e quello previsto dal successivo comma 2-bis. All’udienza 22/06/2023, Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione Cass. S.U., n. 40797/2023), chiamate a stabilire “se in caso di dichiarazione di fallimento intervenuta anteriormente all’adozione del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari e riguardante beni attratti alla massa fallimentare, l’avvenuto spossessamento del debitore erariale per effetto dell’apertura della procedura concorsuale osti al sequestro stesso, ovvero se, invece, il sequestro debba comunque prevalere, attesa l’obbligatorietà della confisca cui la misura cautelare è diretta”, hanno stabilito che “l’avvio della procedura fallimentare non osta all’adozione o alla permanenza, se già disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari”. In tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca del prezzo o del profitto del reato eseguito su conto corrente cointestato all'indagato ed a soggetto terzo, è necessario accertare la derivazione del denaro dal reato e la sua provenienza dall'indagato dovendosi verificare, anche solo a livello indiziario, che questi abbia alimentato il conto mediante risorse derivanti esclusivamente dalla commissione del reato (Cass. VI, n. 19766/2020). La giurisprudenza ha fatto una particolare applicazione del del principio di proporzionalità della misura cautelare nel caso in cui sia stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei profitti illeciti dell'ente ai sensi degli artt. 19,25 e 53 del d.lgs. n. 231 del 2001. In tal caso, si è ritenuto che il giudice possa autorizzare il dissequestro parziale delle somme sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per consentire all'ente di pagare le imposte dovute sulle medesime quale profitto di attività illecite, quando l'entità del vincolo reale disposto, pur legittimamente determinato in misura corrispondente al prezzo o al profitto del reato rischi di determinare, anche in ragione dell'incidenza dell'obbligo tributario, già prima della definizione del processo, la cessazione definitiva dell'esercizio dell'attività dell'ente. In tali specifici casi lo svincolo parziale delle somme sequestrate deve ritenersi ammesso alla stringente condizione della dimostrazione di un sequestro finalizzato alla confisca che, nella sua concreta dimensione afflittiva, metta in pericolo la operatività corrente e, dunque, la sussistenza stessa del soggetto economico e al solo limitato fine di pagare il debito tributario, con vincolo espresso di destinazione e pagamento in forme “controllate” (Cass. VI, n. 13936/2022). Sequestro per equivalente Il sequestro preventivo può essere disposto anche in funzione della confisca per equivalente. Si tratta di un'istituto previsto inizialmente solo con riferimento al delitto di usura (art. 644, comma 6, c.p., con le modifiche apportate dalla l. 7 marzo 1996, n. 108). Successivamente è stato previsto dall'art. 322-ter c.p. per i reati commessi dai pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt. 314-320 c.p.) o contro organismi internazionali (art. 322-bis c.p.); dall'art. 474-bis c.p. per i delitti di cui agli artt. 473 e 474 c.p.; dall'art. 648-quater c.p. per i delitti di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) ed impiego ed impiego di denaro, beni e altre utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.); dall'art. 640-quater c.p. per le ipotesi di truffa di cui agli artt. 640, comma 2 n. 1, e 640-bis c.p.; dall'art. 600 septies c.p. per i delitti contro la personalità individuale. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di valore, per la sua sussidiarietà alla confisca diretta ai sensi dell'art. 2641 c.c., è subordinato alla impossibilità, anche solo transitoria e reversibile, di individuare e apprendere i beni costituenti il prodotto, profitto o strumento del reato (Cass. V, n. 6391/2021). Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, ricade su beni comunque nella disponibilità dell'indagato, senza che a tal fine possano rilevare presunzioni o vincoli posti dal c.c. a regolare rapporti interni tra creditori e debitori solidali, ex art. 1298, comma 2, c.c. o i rapporti tra banca e depositante, ex art. 1834 c.c., considerato che su queste disposizioni prevalgono le norme penali in materia di sequestro preventivo preordinato ad evitare che, nelle more dell'adozione del definitivo provvedimento di confisca, i beni che si trovino comunque nella disponibilità dell'indagato possano essere definitivamente dispersi. In applicazione di questo principio si è ritenuto legittimo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente di un conto corrente cointestato, in quanto la mera cointestazione non può, in mancanza di una prova che dimostri la reale consistenza degli incrementi di propria pertinenza, accreditare la presunzione che le somme in deposito siano spettanti a ciascuno dei co-intestatari in parti uguali e, parimenti, legittimo il sequestro, ai medesimi fini, di un finanziamento erogato in favore dell'indagato e accreditato su di un conto corrente bancario a quest'ultimo intestato, trattandosi di somme nella disponibilità dell'indagato, indipendentemente dai rapporti interni tra costui e l'ente erogatore (Cass. VI, n. 24633/2006; Cass. II, n. 36175/2017; Cass. II, n. VI, n. 24432/2019). La misura in questione non richiede nessuna prova sul nesso di pertinenzialità tra il reato e la cosa da confiscare, potendo essere applicata ai beni anche nella sola disponibilità dell'indagato per quest'ultima intendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi (Cass. III, n. 15210/2012; Cass. II, n. 22153/2013; Cass. III, n. 4887/2019). Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l'impossibilità del reperimento dei beni pertinenti al reato sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata (Cass. S.U., n. 10561/2014). Le Sezioni Unite hanno affermato che i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a titolo di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengano luogo di pensione o di assegno di quiescenza, previsti dall'art. 545 c.p.c., si applicano anche alla confisca per equivalente ed al sequestro ad essa finalizzato (Cass. S.U., n. 26252/2022). La stessa Corte ha, peraltro, precisato che la stretta correlazione tra natura dei crediti tutelati e limiti di pignorabilità stabiliti per legge comporta, evidentemente, quale necessario presupposto dell'applicabilità degli stessi anche nel campo cautelare penale, che risulti attestata la causale dei versamenti e che gli importi da sequestrare siano imputabili con certezza a detti titoli e tale aspetto inevitabilmente si riflette anche sul piano degli oneri di allegazione e probatori incombenti sul soggetto interessato. Sicché, in altri termini, la mancata emersione della natura qualificata dei crediti oggetto del sequestro implica la inoperatività delle norme processualcivilistiche. Inoltre, le Sezioni Unite hanno mantenuti fermi, sul piano strettamente interno alla stessa interpretazione dell'art. 545 c.p.c., gli approdi raggiunti dalla giurisprudenza della Corte in sede di giurisdizione civile, in particolare, con riguardo alla non assimilabilità ai crediti da lavoro o pensionistici degli emolumenti derivanti da incarico di amministratore di persone giuridiche. Procedimento applicativo
Richiesta del p.m. L'applicazione delle misure cautelari, sia personali che reali, postula come indefettibile presupposto la domanda del pubblico ministero (Cass. II, n. 47257/2009; Cass. VI, n. 2658/2014; Cass. II, n. 25375/2015). Un provvedimento adottato in assenza di tale richiesta dà luogo a nullità assoluta, insanabile e rilevabile, anche di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, per violazione del principio posto dall'art. 178 lett. b) (Cass. V, n. 1050/1999). Tuttavia, non incorre nel vizio di ultrapetizione, il provvedimento con il quale il giudice accoglie la richiesta di applicazione di sequestro preventivo, sulla base di una delle plurime finalità rappresentate dal P.M. nella domanda cautelare (Cass. I, n. 1313/2016); inoltre, il giudice, pur potendo disporre misure cautelari solo su richiesta del P.M. e sulla base di elementi dallo stesso presentati, è tuttavia investito del potere-dovere di qualificare ed inquadrare autonomamente i detti elementi, collocandoli nell'ambito di quella o di quelle, tra le disposizioni normative regolanti la materia, che meglio appaiono atte a giustificare l'adozione della misura richiesta (Cass. II, n. 47563/2008). La richiesta del P.M., benché espressamente richiamata dal solo art. 321, comma 1, è presupposto necessario anche dell'ordinanza di sequestro preventivo finalizzato alla confisca (Cass. III, n. 39323/2009). La richiesta di sequestro può essere rivolta al Giudice — il quale su essa può provvedere — anche oltre la scadenza del termine fissato per le indagini o la celebrazione dell'udienza preliminare, attesa la scadenza di detto termine non preclude il compimento di qualsiasi attività processuale, ma solo di quegli atti che per contenuto e funzione riguardano le indagini stesse, ovvero l'acquisizione delle prove, con la conseguenza che anche a termine scaduto, nel caso in cui il pubblico ministero non abbia ancora esercitato l'azione penale ed il procuratore generale quello di avocazione, il P.M. può richiedere ed il giudice provvedere all'applicazione del sequestro preventivo, atteso che questo non è atto ad efficacia probatoria (Cass. III, n. 12294/2001; Cass. II, n. 46278/2003 ; Cass. II, n. 53148/2016). La richiesta di sequestro preventivo può essere formulata anche mediante l'utilizzo di un modulo a stampa privo di motivazione, in quanto la legge richiede la motivazione solo per il decreto del giudice e non anche per la richiesta del pubblico ministero (Cass. III, n. 10703/2009). A norma dell'art. 3 d.lgs. n. 106/2006, per la richiesta di misure cautelari sia personali che reali è richiesto l'assenso scritto del procuratore della Repubblica, ovvero del procuratore aggiunto o del magistrato appositamente delegati, ma il procuratore della Repubblica può disporre, con apposita direttiva di carattere generale, che l'assenso scritto non sia necessario per le richieste di misure cautelari reali, avuto riguardo al valore del bene oggetto della richiesta ovvero alla rilevanza del fatto per il quale si procede e, comunque l'assenso non è necessario nel caso di richiesta di misure cautelari reali formulate, in occasione della richiesta di convalida del sequestro preventivo in caso d'urgenza ai sensi dell'articolo 321, comma 3-bis. Occorre, inoltre, tenere presente che le Sezioni Unite, con riferimento alla misure cautelari personali, hanno ritenuto che il suddetto assenso scritto non sia condizione di validità della conseguente ordinanza cautelare del giudice ( Cass. S.U., n. 8388/2009 ). E' stata ritenuta errata la decisione del Tribunale dell'appello cautelare che, pur ritenendo sussistenti gli estremi del delitto di abuso di ufficio a carico dell'imputato, ha escluso di poter decidere sulla richiesta del P.M. di applicazione della misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca in quanto formalizzata ai sensi dell'art. 322- ter c.p. e non anche dell'art. 335-bis dello stesso codice. Ed infatti, il primo degli appena indicati articoli prevede la possibilità tanto della confisca diretta del prezzo o del profitto del reato, quanto, in via sussidiaria, di beni del valore corrispondente, di cui il reo abbia la disponibilità, laddove ovviamente il prezzo o il profitto non sia rinvenibile. La domanda che il P.M. formuli per l'applicazione della misura del sequestro preventivo finalizzata a quel tipo di confisca contempla, dunque, necessariamente l'ipotesi della misura di sicurezza diretta del profitto del reato: con la conseguenza che, laddove il giudice ritenga che non sia configurabile un reato che, a mente dell'art. 322-ter c.p., consente tanto la confisca diretta quanto l'eventuale confisca per equivalente, bensì un reato contro la pubblica amministrazione che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 240, primo comma, e 335-bis c.p., impone la confisca diretta del profitto, è circostanza irrilevante che il rappresentante della pubblica accusa non abbia espressamente menzionato nella sua istanza tali ultime disposizioni del codice penale (Cass. VI, n. 10096/2021). Il sequestro preventivo può essere disposto esclusivamente su richiesta del pubblico ministero e non anche della persona offesa (Cass. S.U. , n. 4/1990). Sul punto si è pronunciata anche la Corte cost. n. 334/1991), che, nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 321, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione, ha rilevato che l'esigenza di tutela della collettività con riferimento al protrarsi dell'attività criminosa e dei suoi effetti, perseguita mediante l'adozione della misura del sequestro preventivo, non può ontologicamente confondersi con l'eventuale interesse della parte offesa querelante alla cessazione della situazione di illecito, che non sempre sussiste e che comunque è ben distinto dall'interesse manifestato — attraverso la presentazione della querela — all'esercizio dell'azione penale nei confronti dell'autore del reato. Pertanto la mancata inclusione della tutela di tale interesse nell'ambito delle finalità perseguite dall'istituto del sequestro preventivo è questione che attiene alle scelte del legislatore e, in ogni caso, non viola i diritti della difesa sia perché il predetto interesse non deve necessariamente trovare la sua garanzia, seppure indiretta, negli strumenti del processo penale, sia perché appare comunque sufficientemente tutelato dalle misure cautelari esperibili nel processo civile. Giudice competente L'art. 321, comma 1, stabilisce che sulla richiesta di sequestro preventivo dispone il “giudice competente a pronunciarsi nel merito” e che prima dell'esercizio dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari. Pertanto, dopo il rinvio a giudizio, è competente il giudice che procede, cioè il giudice che ha la disponibilità degli atti, ossia il giudice per le indagini preliminari e non ancora il giudice del dibattimento nell'ipotesi in cui, pur essendo sottoposto a giudizio, non sono ancora stati trasmessi gli atti al Tribunale, essendo applicabile, in via analogica, quanto previsto dall'art. 317 comma 2 per il sequestro conservativo. Nel caso di trasmissione per competenza territoriale del procedimento penale nel cui ambito il sequestro preventivo è stato disposto, competente a decidere sulle questioni relative all'amministrazione dei beni sequestrati è il giudice per le indagini preliminari che procede (Cass. I, n. 11509/2023). Non può sorgere infatti competenza a provvedere in ordine alla misura cautelare senza la relativa «investitura formale», che avviene con la trasmissione degli atti (Cass. I, n. 180/1993; Cass. I, n. 47240/2004; Cass. I, n. 40524/2008; Cass. II, n. 1426/2014). In caso di udienza preliminare, sussiste la competenza del giudice dell'udienza preliminare ad emettere il decreto di sequestro preventivo, ex art. 321, considerate, da un lato, le profonde modificazioni, intervenute a seguito della l. n. 479/1999, che hanno accentuato i poteri di apprezzamento del merito del G.u.p. e, dall'altro e correlativamente, che, prima dell'emissione del decreto che dispone il giudizio, il giudice del dibattimento non può considerarsi «competente a pronunciarsi nel merito», dato che l'udienza preliminare può concludersi con la sentenza di non luogo a procedere e che, comunque, sarebbe del tutto irragionevole riconoscere al giudice del dibattimento la competenza a disporre il sequestro preventivo in una fase in cui è il G.u.p. ad essere investito della cognizione del processo (Cass. V, n. 11677/2005). L'esigenza di disporre il sequestro preventivo può verificarsi in ogni fase e grado del procedimento e, pertanto, anche dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, atteso che esso è finalizzato ad evitare le conseguenze del reato anche dopo la sua consumazione (Cass. I, n. 33414/2001). Secondo la prevalente e più recente giurisprudenza, rientra nella sfera di attribuzioni del giudice dell'esecuzione il potere di disporre il sequestro preventivo dei beni ai sensi dell'art. 321, considerato che egli è competente ad adottare il provvedimento di confisca in virtù dell'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992 (convertito nella l. n. 356/1992), e che pertanto si può ben ricorrere in fase esecutiva al sequestro preventivo per salvaguardare la conservazione dei medesimi beni (Cass. II, n. 814/2004; Cass. VI, n. 33964/2005; Cass. I, n. 38589/2005; Cass. I, n. 29566/2008; Cass. VI, n. 5018/2012). Altro contrastante indirizzo, afferma, invece, che debba escludersi che rientri nella sfera delle attribuzioni del giudice dell'esecuzione il potere di disporre questo tipo di sequestro, anche quando serva a mantenere un vincolo sulla cosa in vista della successiva confisca a norma dell'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992. Si ritiene, infatti, che il sequestro ex art. 321 integri una misura cautelare adottabile nel corso del procedimento dal giudice competente a pronunciarsi nel merito e che tale regime non venga derogato qualora il sequestro sia finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-sexies cit., che tra l'altro richiama, al comma 4, le generali previsioni in materia di sequestro preventivo e postula l'esistenza di un procedimento in corso (Cass. VI, n. 2667/1999; Cass. V, n. 27613/2005). Decreto di sequestro Il giudice dispone il sequestro preventivo adottando un decreto motivato, secondo la espressa previsione del comma 1 dell'art. 321. L'art. 321, comma 1, si limita a prescrivere che il provvedimento di sequestro preventivo abbia la forma del decreto motivato, senza nulla aggiungere con riguardo al suo specifico contenuto; deve, però, ritenersi che sia inquadrabile nell'ambito del vizio di motivazione anche la mancata indicazione, in detto provvedimento, del titolo del reato in relazione al quale esso è adottato come pure del tempo e del luogo in cui il reato medesimo sarebbe stato commesso (Cass. I, n. 3843/1997); anche se è stato ritenuto sufficientemente motivato il provvedimento di sequestro preventivo che, pur non recando l'indicazione delle norme che si assumono violate, contenga una compiuta descrizione della condotta, tale da esaurire l'onere di indicazione del titolo del reato per il quale si procede (Cass. II, n. 35481/2007). La motivazione richiesta è diretta a consentire all'interessato ed al giudice degli eventuali successivi gradi di giurisdizione la conoscenza delle ragioni del provvedimento, per verificarne correttezza e legittimità. Ne consegue che quando nell'ambito del medesimo procedimento vengono emanati più provvedimenti, è legittima la motivazione per relationem al provvedimento precedente, giacché lo scopo della forma prevista è raggiunto in quanto la motivazione richiamata è conosciuta o conoscibile dall'interessato, per modo che egli è in grado di controllarne congruenza, logicità e legittimità (Cass. VI, n. 1022/1995). Non è previsto da alcuna disposizione di legge l'obbligo del previo avviso al difensore di fiducia dell'indagato della esecuzione del sequestro disposto dal giudice, né sussiste l'obbligo per la polizia giudiziaria di avvisare l'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, posto che le norme di cui agli artt. 356 e 364 e 114 disp. att., che prevedono tale avviso in tema di sequestro probatorio, non trovano applicazione nell'ipotesi di sequestro preventivo (Cass. IV, n. 42512/2009; Cass. IV, n. 37937/2010; Cass. I, n. 25849/2012 ; Cass. III, n. 13605/2015; Cass. III, n. 22120/2015). Il difensore dell'indagato, pur essendo legittimato ad impugnare il provvedimento che dispone il sequestro preventivo, non ha diritto alla notificazione dell'avviso di deposito. Conseguentemente, ai fini della decorrenza del termine per la presentazione della richiesta di riesame (che é unico per il difensore e per l'indagato) occorre fare riferimento al momento dell'esecuzione del sequestro o della sua effettiva conoscenza, e non al dato formale della notificazione dell'avviso di deposito del provvedimento (Cass. S.U., n. 27777/2006). Quando il provvedimento di sequestro preventivo sia emesso prima che all'indagato sia stata inviata informazione di garanzia, come primo atto cui il difensore ha diritto di assistere, è necessario che il provvedimento contenga tutti i requisiti dell'informazione di garanzia e la mancanza di uno di questi determina la nullità del provvedimento per violazione dell'art. 178, comma primo, lett. c) (Cass. III, n. 1970/1996; Cass. V, n. 6519/2012; Cass. V, n. 28336/2013). Le modalità esecutive sono disciplinate dall'art. 104 disp. att., come modificato ad opera dell'art. 2 l. n. 94/2009. Sul tema sono stati formulati i principi di cui alle seguenti massime. È legittimo il provvedimento con cui il giudice rigetta l'istanza dell'indagato tesa ad ottenere il prelievo mensile dalla somma di danaro oggetto di sequestro preventivo di un ammontare funzionale a garantirgli di far fronte alle primarie esigenze di vita, atteso che il limite di operatività della misura cautelare reale in tal senso è già fissato a priori dall'art. 104 disp. att., il quale impedisce il sequestro dei beni mobili assolutamente impignorabili ai sensi delle disposizioni civilistiche (Cass. III, n. 23106/2013). In tema di sequestro preventivo di beni immobili, la previsione dell'art. 104, comma 1, lett. b) disp. att., secondo cui il sequestro si esegue con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici, non impedisce al giudice di nominare un custode per meglio garantire le esigenze cautelari attraverso la materiale privazione della disponibilità del bene al titolare (Cass. V, n. 25118/2012; Cass. II, n. 35810/2013). La decisione di nominare un amministratore giudiziario ai sensi dell'art. 104-bis disp. att. per consentire la gestione e l'esercizio del complesso dei beni aziendali non è obbligatoria ma è rimessa alla sfera discrezionale del giudice (Cass. III, n. 13041/2013). La nomina dell'amministratore giudiziario dei beni oggetto della misura cautelare è di competenza del pubblico ministero, atteso il contenuto delle previsioni di cui agli artt. 104 e 104-bis disp. att., a seguito dell'intervento normativo ex l. 94/2009, e il relativo decreto, data la sua natura meramente esecutiva, non è appellabile ai sensi dell'art. 322 bis, ma può essere sottoposto a controllo solo nelle forme dell'incidente di esecuzione (Cass. II, n. 6459/2011; Cass. V, n. 10105/2015). Revoca del sequestroL'istituto della revoca del sequestro preventivo di cui all'art. 321, comma 3, non costituisce un mezzo per riproporre motivi che sono stati già dedotti in sede di riesame, perché, se ciò fosse possibile, si darebbe adito ad una nuova ed eventualmente diversa valutazione di elementi già precedentemente presi in considerazione. Ma al di fuori di tale ipotesi nessun limite è dato rilevare dalla lettera e dallo spirito della norma in ordine alla deducibilità di motivi non proposti antecedentemente, di modo che la revoca può essere disposta sia quando i presupposti per l'applicazione della misura cautelare reale siano venuti meno in epoca successiva all'adozione della misura stessa e sia quando i detti presupposti mancassero fin dall'origine (Cass. III, n. 912/1992; Cass. III, n. 2327/1993). Pertanto, la mancata tempestiva proposizione, da parte dell'interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, neanche in assenza di fatti sopravvenuti. Peraltro, in sede di istanza di revoca, non possono essere riproposti motivi già dedotti in sede di riesame e che, in assenza di un mutamento del quadro processuale di riferimento, è inammissibile la riproposizione di istanze fondate sui medesimi motivi rigettati con decisione definitiva (Cass. S.U., n. 29952/2004 ). Sebbene la successiva giurisprudenza abbia aderito in maggioranza ai principi espressi dalle Sezioni Unite, un orientamento minoritario aveva, invece, affermato che nel giudizio di appello proposto avverso un decreto di sequestro preventivo possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità dell'imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni che giustificano il mantenimento della misura, mentre il riscontro del fumus delicti è riservato alla fase del riesame, con la conseguenza dell'inammissibilità del gravame che deduca per la prima volta in sede di appello motivi inerenti unicamente alla carenza, nel momento genetico della misura, delle condizioni previste dall'art. 321 (Cass. V, n. 31725/2015; Cass. VI, n. 5016/2012; Cass. III, n. 17364/2007): Le Sezioni Unite, chiamate nuovamente a risolvere il contrasto, hanno affermato che la mancata tempestiva proposizione, da parte dell'interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, neanche in assenza di fatti sopravvenuti (Cass. S.U., n. 46201/2018). La giurisprudenza ha affrontato anche il problema della rilevanza del decorso del tempo rispetto all'applicazione di una misura cautelare reale e, dopo avere osservato che risulta consolidato - sia nell'ordinamento interno sia nell'ordinamento sovranazionale - il principio per cui il decorso del tempo determina un pregiudizio ai diritti fondamentali attinti dai provvedimenti coercitivi assunti dalla Pubblica Autorità, ha affermato che, in ragione della mancanza di una specifica regolamentazione codicistica della durata di un vincolo che incide sulla afflittività della misura reale, il giudizio in ordine ai profili di proporzionalità e necessità della misura in conseguenza del protrarsi del vincolo rimane non fissato in parametri predeterminati dal legislatore e deve intendersi rimesso alla valutazione giudiziale; ne consegue che risulta illegittimo il provvedimento del Tribunale del riesame che - a fronte di una esplicita doglianza in punto eccessiva onerosità del vincolo in conseguenza del passaggio di un lasso di tempo pluriennale dalla applicazione della misura reale - non si pronunci sul punto (Cass. II, n. 1740/2022). È possibile la revoca del sequestro preventivo in relazione a fattispecie di reato per le quali è prevista la confisca obbligatoria, ma soltanto nell'ipotesi nella quale vengano a mancare gli elementi costituenti il fumus commissi delicti e non per il venire meno delle esigenze cautelari, atteso che in tali ipotesi la pericolosità della res non è suscettibile di valutazioni discrezionali, ma è presunta dalla legge (Cass. III, n. 17439/2005; Cass. III, n. 43945/2013). La legge prevede una richiesta di revoca da parte del pubblico ministero o dell'interessato; peraltro, in giurisprudenza si è affermato che anche in relazione alle misure cautelari reali trova applicazione il principio, fissato dal comma 1 dell'art. 299 in tema di misure cautelari personali, secondo il quale il giudice, anche d'ufficio, deve disporre la sostituzione o la revoca delle misure medesime quando risultino mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni della loro applicabilità ovvero le esigenze di cautela (Cass. II, n. 1690/1996; Cass. II, n. 42843/2002). Con D.M. 4 luglio 2023 (GU Serie Generale n.155 del 05-07-2023) sono stati individuati gli atti il cui deposito da parte dei difensori deve avvenire esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico ai sensi dell'art. 87, comma 6-ter, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, tra questi atti vi è anche la richiesta di revoca del sequestro preventivo. Il deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro le ore ventiquattro del giorno di scadenza. Con successivo D.M. 18 luglio 2023 (G.U. serie generale n. 166 del 18 luglio 2023) è stato disposto che «L'efficacia del decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, nella parte in cui dispone che il deposito da parte dei difensori degli atti indicati nell'elenco di cui all'art. 1 dello stesso decreto avviene esclusivamente mediante il portale del processo penale telematico, decorre dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150. Sino alla scadenza del termine di cui al periodo che precede, negli uffici indicati dal decreto del Ministro della giustizia del 4 luglio 2023, è possibile, in via sperimentale, il deposito da parte dei difensori degli atti elencati nell'art. 1 del medesimo decreto anche mediante il portale del processo penale telematico con le modalità individuate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia». In caso di coesistenza del sequestro preventivo finalizzato alla confisca e della procedura esecutiva civile sul medesimo bene, il terzo aggiudicatario in sede civile non può richiedere la consegna del bene e la revoca del sequestro, qualora la trascrizione dell'atto di pignoramento sia avvenuta successivamente rispetto alla trascrizione del sequestro preventivo (Cass. VI, n.6814/2020). Il creditore assistito da garanzia reale non è legittimato a chiedere la revoca della misura mentre il processo è pendente, in quanto la sua posizione giuridica non è assimilabile a quella del titolare del diritto di proprietà ed il suo diritto di sequela non esclude l'assoggettabilità del bene a vincolo, essendo destinato a trovare soddisfazione solo nella successiva fase della confisca e non attraverso l'immediata restituzione del bene, come invece accadrebbe per il proprietario. La previsione, nell'ambito del giudizio di cognizione, del contraddittorio con i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, ai sensi degli artt. 240-bis c. p. e 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., non comporta l'anticipazione della tutela di tali diritti prima che la statuizione sulla confisca sia divenuta definitiva (Cass. III, n. 26273/2018; Cass. II, n. 57407/2018). Sulla legittimazione alla richiesta di revoca del curatore fallimentare v. sub art. 322, § 3 Sulla richiesta di revoca dell'interessato provvede il pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Tuttavia, quando il p.m. ritiene che la richiesta vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice “non oltre il giorno successivo” a quella del deposito nella segreteria. È abnorme, pertanto ricorribile in cassazione, il provvedimento con cui il P.M. rigetti la richiesta di revoca del sequestro preventivo ovvero dichiari non luogo a provvedere anziché trasmetterla, ex art. 321, comma 3, al giudice competente, trattandosi di provvedimento estraneo alla sua sfera di attribuzioni, potendo egli solo disporre la revoca, con decreto motivato, del sequestro preventivo durante la fase delle indagini preliminari ed essendogli, invece, inibito il relativo provvedimento negativo, devoluto alla cognizione del giudice (Cass. VI, n. 30/1998; Cass. V, n. 37293/2010; Cass. III, n. 3449/2013; Cass. III, n. 15459/2018). Per converso, è abnorme il provvedimento con il quale il g.i.p., investito di una richiesta di revoca di sequestro preventivo avente ad oggetto una pluralità di beni, rimessi gli atti al P.M. perché decida sulla restituzione di alcuni di essi, si riservi la decisione sulla destinazione dei restanti all'esito di accertamenti della polizia giudiziaria delegata dallo stesso giudice, verificandosi in tal caso una stasi ed una regressione del procedimento in palese violazione dell'art. 321, comma, nonché un'investitura diretta della polizia giudiziaria contrastante con l'art. 326 (Cass. III, n. 7674/2012). Nessuna inefficacia del provvedimento cautelare consegue alla trasmissione al G.I.P. con ritardo della istanza di revoca. La natura ordinatoria del termine di trasmissione al G.I.P. dell'istanza di revoca è coerente applicazione del principio che le disposizioni sanzionatorie di natura processuale sono tassative e non sono suscettibili di essere applicate fuori dei casi per i quali sono comunicate (Cass. III, n. 1439/1993; Cass. III, n. 3376/1995). Competente a conoscere dell'istanza di revoca del sequestro preventivo, proposta a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, è il giudice che procede al momento dell'istanza, da identificarsi, nel caso in cui gli atti non siano stati ancora trasmessi al giudice dell'opposizione, nel Giudice per le indagini preliminari, secondo la regola generale di cui all'art. 91 disp. att. (Cass. III, n. 22240/2010) È legittima l'emissione di un provvedimento di sequestro preventivo, dopo la revoca di uno precedente, in quanto trattasi di provvedimenti reiterabili ed autonomi l'uno dall'altro, purché, nell'ipotesi in cui sia intervenuto un provvedimento del Tribunale in sede di riesame o di appello ex art. 322 bis, la revoca sia basata su profili formali e/o processuali e non sulla insussistenza del fumus delicti. La reiterazione del sequestro è sempre ammessa, qualora sia poggiata su fatti nuovi, giacché in questo caso l'astratta configurabilità del reato prima esclusa potrebbe essere evidenziata dall'emergere dei differenti elementi, acquisiti nel corso delle ulteriori indagini (Cass. III, n. 3123/1996; Cass. III, n. 39332/2009; Cass. III, n. 29975/2014). Sequestro d'urgenzaCon l'introduzione dei commi 3-bis e 3-ter per effetto dell'art. 15 d.lgs. n. 12/1991, è stato previsto un sequestro d'urgenza, comunemente definito “fermo reale”, con evidente parallelismo con il “fermo personale”. Nelle situazioni di urgenza, che non consentono di attendere il provvedimento del giudice, il sequestro può essere disposto con decreto motivato del pubblico ministero o, ancora prima dell'intervento di questo, dagli ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, però, devono trasmettere il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito nella quarantotto ore successive. Il pubblico ministero, a sua volta, richiede al giudice la convalida e l'emissione del decreto di sequestro entro quarantotto ore dal sequestro da lui disposto o dalla ricezione del verbale se eseguito di iniziativa della P.G.. Il giudice a sua volta deve emettere ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Tutti i suddetti termini sono prescritti a pena di inefficacia del sequestro. La qualificazione giuridica del sequestro operato dalla polizia giudiziaria spetta al pubblico ministero il quale ben può qualificare come sequestro preventivo quello disposto dalla polizia con dichiarate finalità probatorie, con la conseguenza che il regime delle impugnazioni deve adeguarsi alla scelta del P.M. pertanto, se lo ritiene sequestro preventivo, il P.M. richiede al giudice la convalida; se invece lo ritiene sequestro probatorio, lo può convalidare lui stesso a norma dell'art. 355, comma 1,: poiché contro la convalida è ammessa richiesta di riesame al tribunale ex artt. 355, comma 3, e 324, non viene eluso il controllo giurisdizionale sulla decisione del P.M. (Cass. VI, n. 2061/2004; Cass. III, n. 26916/2009; Cass. IV, n. 21000/2016). Invece, il giudice per le indagini preliminari, chiamato a decidere sulla richiesta di convalida del sequestro preventivo, non ha il potere di qualificare la misura reale come sequestro probatorio (Cass. I, n. 16906/2010). In caso di sequestro preventivo disposto di iniziativa della polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 321, comma 3-bis, non vi è obbligo di dare avviso all'indagato presente al compimento dell'atto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia ex art. 104 disp. att. (Cass. S.U., n. 15453/2016). Il precetto posto dal comma 3- ter dell'art. 321, secondo il quale copia dell' ordinanza di convalida del sequestro preventivo è «immediatamente» notificata alla persona cui le cose sono state sequestrate, non è sanzionato con la nullità; esso è infatti previsto al fine di accelerare la possibilità dell'interessato di proporre impugnazione, ma il ritardo nella notifica (e quindi nella conoscenza del provvedimento) ha solo l'effetto di ritardare la decorrenza del termine di impugnazione per l'interessato, ma non pregiudica l'intervento, l'assistenza o la rappresentanza dell'interessato stesso, ai sensi dell'art. 178, lett. c) (Cass. III, n. 6914/2009; Cass. III, n. 40362/2016; Cass. III, n. 4885/2019). Ai sensi dell'art. 321, comma 3-bis, è prevista la richiesta da parte del pubblico ministero al G.I.P. di due provvedimenti: la convalida della misura adottata in via di urgenza dallo stesso P.M. e l'emissione di decreto di sequestro. I due provvedimenti non sono inscindibilmente connessi, essendo possibile che il giudice neghi la convalida, non condividendo le ragioni di urgenza ravvisate dal P.M. e, tuttavia, autonomamente ritenendo i presupposti di legge per l'emissione del decreto di sequestro preventivo, provveda in conseguenza disponendo la misura, che prenderà efficacia da quel momento. Ne consegue che è inammissibile, per carenza di interesse, l'impugnazione avverso il provvedimento di convalida, in mancanza di impugnazione avverso il decreto del G.I.P. costitutivo del sequestro, in quanto l'impugnazione deve tendere alla rimozione del pregiudizio derivante dall'adozione della misura, mentre il vincolo alla cosa è autonomamente imposto dal provvedimento di sequestro da parte del G.I.P. (Cass. VI, n. 4112/1994). Proprio in considerazione dell'autonomia dei due provvedimenti, l'inosservanza dei termini di quarantotto ore di cui all'art. 321, comma 3-bis, non preclude al giudice il potere di imporre ugualmente il vincolo reale, sicché è ben possibile che, pur negando la convalida, disponga autonomamente il sequestro con efficacia ex nunc (Cass. III, n. 15717/2009). Ove si proceda con giudizio direttissimo, giudice competente per la convalida della misura, disposta d'urgenza dalla polizia giudiziaria ex art. 321, comma 3-bis, non è il giudice per le indagini preliminari, ma quello deputato a pronunciarsi nel merito, sicché è affetto da abnormità il provvedimento con cui quest'ultimo dichiari non luogo a provvedere sulla richiesta di convalida, determinando la stasi del procedimento in relazione alla necessaria convalida del vincolo reale adottato d'urgenza e la sua regressione ad una fase anteriore e già esaurita con l'avvenuto esercizio dell'azione penale (Cass. VI, n. 49330/2022). Non sono impugnabili né il decreto di sequestro preventivo disposto in via d'urgenza dal P.M. né l'ordinanza con la quale il giudice, a norma dell'art. 321, comma 3-bis, ne dispone la convalida. Infatti, il decreto del PM ha carattere provvisorio, in quanto destinato ad una automatica caducazione a seguito della mancata convalida ovvero, in caso di controllo positivo, ad essere sostituito per effetto dell'autonomo decreto di sequestro giudiziale che il giudice emette dopo l'ordinanza di convalida e che costituisce il titolo legittimante il vincolo reale sul bene sequestrato (Cass. S.U., n. 21334/2005; sulla esclusione della impugnabilità dell'ordinanza v. sub art. 322, § 2; Cass. III, n. 5770/2014; Cass. V, n. 49616/2016; Cass. II, n. 50740/2019). BibliografiaAdorno, Il riesame delle misure cautelari reali, Milano 2004; Aprile, Le misure cautelari nel processo penale, Milano 2006; Bellantoni, Sequestro probatorio e processo penale, Piacenza, 2005; Bevere, Coercizione reale. Limiti e garanzie, Milano 1999; Castellano-Montagna, voce Misure cautelari reali, in Dig. d. pen., VII, Torino, 1994; Corso, Le misure cautelari, in Corso-Dean-Dominioni-Gaito-Garuti-Mazza-Spangher, Procedura penale, Torino, 2010; Di Trocchio, voce Provvedimenti cautelari, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 853; D'Onofrio, Il sequestro conservativo penale, Torino, 1997; Galantini, voce Sequestro conservativo penale, in Enc. dir., XLII, 1990, 134; Garavelli, Il sequestro nel processo penale, Torino, 2002; Montagna, I sequestri nel sistema delle cautele penali, Torino, 2005; Ramajoli, Le misure cautelari (personali e reali) nel codice di procedura penale, Milano, 1996; Turco, Codice di procedura penale, a cura di Canzio-Tranchina, Milano, 2012; Zappalà, Le misure cautelari, in Siracusano-Galati-Tranchina-Zappalà, Diritto processuale penale, I, Milano 2011. |