Codice di Procedura Penale art. 326 - Finalità delle indagini preliminari 1 .

Aldo Aceto

Finalità delle indagini preliminari1.

1. Il pubblico ministero [50 s.] e la polizia giudiziaria [55 s.] svolgono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni, le indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale [50, 55, 347 s., 358 s., 405] 23 4.

 

[1] Per talune disposizioni per favorire  l'esercizio dell’attività  giurisdizionale  nella  vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in particolare per il collegamento da remoto per la partecipazione alle udienze o nel corso delle indagini preliminari vedi l’art. 23, comma 2 , del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 176. Da ultimo, da ultimo v. art. 16, comma 1, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, conv., con modif. in l. 25 febbraio 2022, n. 15, dispone che «Le disposizioni di cui all'articolo 221, commi 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nonché le disposizioni di cui all'articolo 23, commi 2, 6, 7, 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, 8-bis, primo, secondo, terzo e quarto periodo, 9, 9-bis e 10, e agli articoli 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e 24 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in materia di processo civile e penale, continuano ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022»; in particolare, ai sensi dell'art. 16, comma 1-bis, aggiunto in sede di conversione, l'art. 23, comma 4, del d.l. n. 137/2020 cit., in materia di processo penale, continua ad applicarsi fino alla data di cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19. V. anche art. 16, comma 2, d.l. n. 228, cit.

[2] Per l'attività di indagine concernente i reati ministeriali e quelli indicati nell'art. 90 Cost., v. l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1 e l. 5 giugno 1989, n. 219.

[3] Per il procedimento davanti al giudice di pace, v. gli artt. 11 e 12 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

[4] V. art. 4 comma 3 l. 20 dicembre 2012, n. 237, per la legittimazione della corte di appello di Roma per l'esecuzione delle richieste della Corte penale internazionale. V., anche, artt. 318-ter ss. d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per le contravvenzioni in materia ambientale.

Inquadramento

Il processo è atto di ragione; l’atto di impulso è (e certamente dovrebbe essere) consapevole (e ragionata anch’essa) previsione del suo fruttuoso esito.

La finalità delle indagini preliminari

Lo dice la norma: «le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale». È attribuzione del pubblico ministero, non della polizia giudiziaria che da lui funzionalmente dipende (si veda il commento dell'art. 50, al quale si rinvia); la valutazione prognostica gli spetta in quanto titolare dell'azione penale: se gli elementi raccolti non ne rendono prevedibile un esito fruttuoso, dovrà chiedere l'archiviazione (art. 408) e se dovesse condividere tale scelta il giudice per le indagini preliminari la decreterà, altrimenti imporrà ulteriori indagini o la formulazione dell'imputazione (art. 409).

L'indagine preliminare ha dunque uno scopo conoscitivo; presuppone l'esistenza di una notizia di reato presentata o trasmessa da privati cittadini (art. 333), da pubblici ufficiali o persone incaricate di pubblico servizio (artt. 331,347), nonché da persone esercenti una professione sanitaria (art. 334) . La notizia può essere acquisita anche di iniziativa dallo stesso pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria (art. 55); che il P.M. possa acquisire di iniziativa una notizia di reato è evenienza tutt'altro che remota; si pensi ai cd. “esposti” presentati (il più delle volte) da privati che rappresentano fatti la cui valenza penalistica non è di immediata evidenza e che tuttavia nemmeno “meritano” una cestinazione immediata. In questi casi, l'attività del P.M. è volta alla acquisizione di una notizia di reato vera e propria. Se il magistrato addetto ad una procura della Repubblica, fuori dell'esercizio delle sue funzioni, viene comunque a conoscenza di fatti che possono determinare l'inizio dell'azione penale o di indagini preliminari, può (non è dunque obbligato a) segnalarli per iscritto al titolare dell'ufficio. Questi, quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione e non intende procedere personalmente, provvede a designare per la trattazione uno o più magistrati dell'ufficio (art. 70, co. 5, r.d. n. 12/1941, Ord. giud.).

Secondo l'intenzione del codificatore dell'88, la finalità dell'indagine era rappresentata «esclusivamente dalla necessità di delibare la notitia criminis al fine di configurarla entro una precisa imputazione e di scegliere un tipo di domanda da proporre al giudice competente. Questa limitata finalizzazione delle indagini preliminari, che emerge con evidenza dai lavori preparatori, costituisce uno dei punti salienti della riforma (...) Dovrebbe quindi risultare ben chiaro che le indagini rivestono il carattere di una fase eventuale, nel senso che il compimento dell'attività investigativa non costituisce il passaggio obbligato verso il procedimento, perché può verificarsi l'ipotesi di un immediato promovimento dell'azione penale sulla base della notizia di reato o dei risultati dell'attività diretta della polizia giudiziaria» (Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del codice di procedura penale, pubblicate sulla GU n. 250 del 24/10/1988, S.O. n, 93). Evidente la ratio ispiratrice: bandito il rito inquisitorio, l'indagine preliminare non doveva correre il rischio di replicare la “pesantezza” dell'istruttoria (formale o sommaria che fosse) fucina delle prove sulle quali avrebbe lavorato il giudice della fase “pubblica”. L'indagine preliminare non doveva produrre prove ma fornire solo elementi conoscitivi sulla base dei quali decidere se esercitare o meno l'azione; in questo contesto, l'anticipazione dell'assunzione della prova ad una fase precedente l'esercizio dell'azione penale assumeva i tratti dell'eccezionalità fondata su circostanze tipizzate e non estensibili oltre quelle espressamente previste. Anche il termine “ordinario” di svolgimento delle indagini (sei mesi, pur prorogabili) costituiva la logica conseguenza di un processo pensato per ridurre al massimo i suoi tempi, in ispecie di quelli coperti da un segreto, legittimo nella sua funzione di tutela dell'attività, ma moralmente non più sopportabile nella misura in cui lasciava mano libera al rischio di pratiche inquisitorie.

L'art. 130, disp. att. costituiva la “spia” della diffidenza del legislatore verso l'esercizio cumulativo dell'azione penale e l'incoraggiamento verso un nuovo modello di processo con poche imputazioni e, possibilmente, un solo imputato. L'art. 130 disp. att. c.p.p., insegnava la giurisprudenza, costituisce uno dei cardini del nuovo sistema proiettato alla realizzazione di un generale favor separationis, proteso, quindi, verso l'esigenza di favorire, quando una frazione del procedimento sia ormai pervenuta al punto di consentire l'adozione dell'atto che segna il passaggio dalla fase delle indagini alla fase del processo, quelle scomposizioni di res iudicandae in grado di permettere una pronta decisione. Un'opera che resta affidata all'utilizzazione di moduli che – ovviamente, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge anche in tema di connessione – appartengono all'esclusivo potere procedimentale del pubblico ministero, autorizzato così a verificare quando, in presenza di indagini connesse o collegate, sia necessario – alla stregua dei principi che concernono l'esercizio dell'azione penale – disporre lo stralcio di talune posizioni relative allo stesso imputato ovvero di quelle riguardanti imputati diversi, in modo da non ritardare la presa di contatto con il giudice (Cass. VI, n. 12729/1994, secondo cui l'art. 130, disp. att. fa conseguire, “di fatto”, una separazione del procedimento, nel senso che una parte di esso, cioè quella rimessa al giudice, passa nella fase processuale in senso proprio, mentre l'altra resta nella fase procedimentale. Si tratta, però, di una scelta operativa in relazione allo sviluppo progressivo delle indagini rimessa all'autonomia e alla discrezionalità del pubblico ministero, non soggetta neppure al dovere di enunciare le ragioni che possono averla giustificata, in sintonia con la particolare funzione assegnata alla fase processuale, preordinata allo svolgimento delle “indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale. Nello stesso senso si è pronunciata Cass. V, n. 1055/1992, secondo cui devolvere al giudice la cognizione di uno solo tra più reati connessi non significa precludere, con effetti definitivi ed irreversibili, una cognizione unitaria di tutte le imputazioni emergenti dal fatto che ha formato oggetto di indagini, in quanto il giudice, competente per il giudizio, potrà sempre riunire i processi ancorché questi a lui pervengano in tempi diversi, una volta verificata la sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 17 nuovo c.p.p. Successivamente l'art. 130-bis, disp. att. c.p.p., aggiunto dall'art. 1, comma 4, d.l. n. 341/2000, convertito con modificazioni dalla l. n. 341/2000, ha stabilito che il pubblico ministero proceda di regola separatamente nei confronti delle persone sottoposte a indagine per uno dei reati di cui all'art. 407, c. 2, lett. a, che sia sottoposta a misura cautelare detentiva e sia prossima ad essere rimessa in libertà per scadenza dei termini ove manchino altri titoli di detenzione)

E però, un rito che faceva (ingenuamente e contraddittoriamente) affidamento sul fatto che una percentuale elevatissima di processi sarebbe stata definita con i riti alternativi era destinato a fallire: un'indagine “light”, magari incompleta, apriva le porte a processi quasi “esplorativi”, non arginati da un giudice per l'udienza preliminare cui si chiedeva soltanto una delibazione decisamente sommaria sulla tenuta del quadro accusatorio.

Dopo soli due anni dall'entrata un vigore del codice, la Corte costituzionale (sent. n. 88/91) ha fissato due fondamentali principi: a) il principio della legalità del procedere, fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (in particolare, alla legge penale), il quale costituisce precipitato della obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 Cost.); b) il principio di completezza delle indagini preliminari che assolve alla duplice, fondamentale funzione di indurre l'imputato ad accettare i riti alternativi (ciò che presuppone una qualche solidità del quadro probatorio) e di fungere da argine contro eventuali prassi di esercizio “apparente” dell'azione penale, che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbero in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale.

I criteri di priorità

Oggi le “determinazioni” del pubblico ministero nella trattazione delle notizie di reato e nell'esercizio dell'azione penale devono tener conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell'ufficio (art. 3-bis, disp. att., aggiunto dall'art. 41, c. 1, lett. a, d.lgs. n. 150/2022). Il progetto organizzativo dell'ufficio del pubblico ministero è previsto dall'art. 1, commi 6 e 7, d.lgs. 106/2006, modificato dall'art. 13, legge n. 71/2022; esso stabilisce “i criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell'utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili”.

La norma attua il principio affermato dall'art. 1, comma 9, lett. i), della legge delega (n. 134/2021) che imponeva di «prevedere che gli uffici del pubblico ministero, per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuino criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell'utilizzo efficiente delle risorse disponibili; allineare la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti».

I criteri di priorità non hanno valenza puramente organizzativa, ma sono destinati a incidere sulle scelte procedimentali del pubblico ministero, sin dall'attività successiva all'iscrizione della notizia di reato.

La reiterata o grave inosservanza delle direttive contenute nel progetto organizzativo costituisce illecito disciplinare (art. 2, comma 1, lett. n, d.lgs. n. 109/2006, come modificato dall'art. 11, comma 1, lett. a, n. 3, l. n. 71/2022).  

Bibliografia

Silvestri, Sub art. 326, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi e E. Lupo, V, Milano, 2017.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario