Codice di Procedura Penale art. 407 - Termini di durata massima delle indagini preliminari 1

Alessio Scarcella

Termini di durata massima delle indagini preliminari1

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi o, se si procede per una contravvenzione, un anno2.

2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano:

a) i delitti appresso indicati:

1) delitti di cui agli articoli 285,286, 416-bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291-quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 433;

2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575,628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale;

3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo;

4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni , nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma, [270-bis, secondo comma,] e 306, secondo comma, del codice penale4;

5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110;

6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico, delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni:

7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza5;

7-bis) dei delitti previsto dagli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'articolo 609-ter, 609-quater, 609-octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dagli articoli 12, comma 3, e 12-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni6;

7-ter) delitti previsti dagli articoli 615-ter, 615-quater, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quater.1 e 635-quinquies del codice penale, quando il fatto e' commesso in danno di sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanita' o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico7;

b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;

c) indagini che richiedono il compimento di atti all'estero;

d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell'articolo 371.

3. Salvo quanto previsto dall'articolo 415- bis, non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice8.

[3-bis. In ogni caso il pubblico ministero è tenuto a esercitare l'azione penale o a richiedere l'archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 415-bis. Nel caso di cui al comma 2, lettera b), del presente articolo, su richiesta presentata dal pubblico ministero prima della scadenza, il procuratore generale presso la corte di appello può prorogare, con decreto motivato, il termine per non più di tre mesi, dandone notizia al procuratore della Repubblica. Il termine di cui al primo periodo del presente comma è di quindici mesi per i reati di cui al comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), del presente articolo. Ove non assuma le proprie determinazioni in ordine all'azione penale nel termine stabilito dal presente comma, il pubblico ministero ne dà immediata comunicazione al procuratore generale presso la corte di appello9.]

 

[1]  Per la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, v. art. 56 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231.

[2]  Comma modificato dall'art. 22, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.

[3] Numero così sostituito dall'art. 5 , comma 3, l. 19 marzo 2001, n. 92.

[5] Lettera sostituita dall'art. 6, comma 3, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv.,  conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356. Si tenga inoltre presente che nei procedimenti per reati di criminalità organizzata non opera la sospensione dei termini per le indagini preliminari nel periodo feriale: v. sub art. 240-bis coord. Successivamente dall'   art. 21, comma 1, l. 8 agosto 1995, n. 332.

[6] Numero aggiunto dall'art. 3, comma 2, d.l. 24 novembre 2000, n. 341,  conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4 ; successivamente modificata dall'art. 6, comma 1, lett. c),  l. 11 agosto 2003, n. 228 dall'art. 1, comma 27, l. 15 luglio 2009, n. 94 e, da ultimo, dall'art. 5, comma 1, lett. i) l. 1 ottobre 2012, n. 172. Da ultimo l'art. 8, comma 4,  d.l. 10 marzo 2023, n. 20, conv. con modif. in l. 5 maggio 2023, n. 50, ha sostituito le parole «dagli articoli 12, comma 3, e 12-bis» alle parole «dall'articolo 12, comma 3,».

[8] Comma sostituito dall'art. 22, comma 1, lett. c), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 . Il testo del comma , come modificato dall'art. 17, comma 1, l. 16 dicembre 1999, n. 479, era il seguente: «Salvo quanto previsto dall'articolo 415-bis, qualora il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati».  Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.  Per le disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari vedi l'art. 88-bis  del citato d.lgs. n. 150/2022 come aggiunto dall'art. 5-sexies d.l. n. 162/2022 cit., conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.

[9] Comma aggiunto dall'art. 1, comma 30, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell'art. 1,  comma 36, l. n. 103, cit., le disposizioni di cui al presente comma, si applicano ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell'apposito registro di cui all'articolo 335 del codice di procedura penale successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. Successivamente abrogato  dall'art. 98, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.  Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.

Inquadramento

L'art. 407 prevede che la durata delle indagini preliminari, proroghe incluse, non può comunque superare diciotto mesi, o, se si procede per una contravvenzione, un anno, salvo che il P.M. e l'indagato abbiano chiesto la proroga del termine delle indagini preliminari ai fini dell'esecuzione dell'incidente probatorio. Il termine massimo di durata è tuttavia fissato per legge in due anni se le indagini preliminari riguardano sia i reati indicati dal comma 2 (per i quali v'è maggiore allarme sociale e, quindi, necessità di concedere più tempo all'organo dell'accusa per svolgere le opportune attività di investigazione), o se si tratta di notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese, per quelle attività di indagine che richiedono il compimento di atti all'estero oppure, infine, quando si tratti di procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero. Non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, salvo che, a seguito della notifica dell'avviso ex art. 415-bis, c.p.p. (ossia l'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari) vengano fatte richieste dell'indagato e il P.m. disponga nuove indagini, comunque da concludersi, proroga compresa, entro sessanta giorni.

Generalità

I termini di durata massima delle indagini preliminari e la disciplina transitoria

La norma prevede limiti massimi di durata delle indagini individuandoli in diciotto mesi. L'art. 22, comma 1, lett. c), del d.lg. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia) ha inoltre indicato i limiti massimi di durata delle indagini per le contravvenzioni individuandoli in un anno. Tale modifica, in quanto maggiormente “conservativa” e di più semplice attuazione, è stata considerata preferibile dal Legislatore rispetto alla soppressione dell'intero art. 407, che avrebbe tra l'altro comportato la necessità di modificare le numerose norme – anche extracodicistiche – che rinviano al catalogo di cui al comma 2 e di individuare una diversa collocazione delle disposizioni non immediatamente caducate in conseguenza dell'introduzione delle nuove regole.

L'art. 98, comma 1, lett. a), d.lg. n. 150 del 2022 ha previsto una disciplina transitoria. Si è posto infatti il problema – di rilevantissimo impatto pratico, perché involge centinaia di migliaia di fascicoli pendenti presso gli uffici requirenti ed involge aspetti organizzativo-gestionali delle Procure e del personale dell'amministrazione da impiegare per il disbrigo degli adempimenti – dell'individuazione dell'esatto momento temporale di applicazione della nuova disciplina de qua. Per quanto concerne la disciplina transitoria della riforma “Cartabia”, l'immediata applicazione, nei procedimenti pendenti, delle nuove disposizioni in materia di termini di durata delle indagini preliminari e di termini per l'esercizio dell'azione penale, nonché delle disposizioni concernenti i rimedi introdotti al fine di garantire l'effettivo rispetto dei termini suddetti, è suscettibile di sollevare consistenti problematiche sia in sede interpretativa sia sotto il profilo pratico-operativo. Infatti, in più sedi sono stati sollevati dubbi in merito alla possibilità di considerare immediatamente operative le nuove regole sulla durata delle indagini preliminari, tanto in relazione alla (asserita) novità della definizione di notizia di reato, quanto con riferimento alla più breve durata del termine per i reati contravvenzionali e alla limitazione ad una soltanto delle proroghe assentibili dal GIP. Allo stesso modo, appare oggettivamente opinabile che i nuovi rimedi alla stasi del procedimento possano immediatamente operare nei procedimenti in cui i termini di indagine (o, addirittura, i termini per l'assunzione delle determinazioni inerenti all'azione penale) siano già scaduti alla data di entrata in vigore del d.lg. 150/2022: ciò anche e soprattutto in quanto, da un lato, il funzionamento di detti rimedi si fonda pure su flussi comunicativi, intercorrenti tra le segreterie dei pubblici ministeri e le procure generali, che hanno ad oggetto dati da acquisirsi, elaborarsi e trasmettersi in forma automatizzata; dall'altro, occorre scongiurare la possibilità che il pubblico ministero procedente si trovi costretto alla discovery degli atti senza averne potuto ottenere il differimento in presenza di esigenze ostative. Al fine di risolvere le incertezze interpretative e le altre problematiche prospettate è intervenuto l'art. 88-bis (Disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari), d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199, con cui si è ritenuto opportuno escludere dall'applicazione delle disposizioni in tema di indagini preliminari, dettate dagli articoli 335-quater, 407-bis e 415-ter, c.p.p. Il co. 2 dell'art. 88-bis, in particolare, ha previsto che “Nei procedimenti di cui al comma 1 continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 405,406,407,412 e 415-bis del codice di procedura penale e dell'articolo 127 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto”.

Nel senso di una circoscritta ultrattività delle norme vigenti, hanno avuto rilievo dirimente sia la necessità di scongiurare le evidenti complicazioni di natura pratica derivanti dalla contestuale applicazione di regimi diversi nell'ambito d'un medesimo procedimento, sia la considerazione delle possibili ricadute negative sulle indagini in corso dell 'attivazione – rispetto alle notitiae criminis connesse o collegate – dei nuovi rimedi introdotti e, segnatamente, dei meccanismi di discovery forzosa degli atti di indagine. L'intervento sulla materia de qua, rigorosamente circoscritto alla risoluzione delle problematiche di diritto transitorio, prescinde dagli esiti delle verifiche in corso circa eventuali correzioni da apportarsi al contenuto delle nuove norme in tema di indagini preliminari, anche con riferimento all'assetto delle competenze previste dalla riforma per l'adozione dei provvedimenti di autorizzazione al differimento del deposito di atti e delle connesse notifiche, alla conclusione delle indagini. L'avvenuta sterilizzazione di alcuni effetti problematici della riforma sui procedimenti di indagine in corso consente, nell'ottica del Legislatore, di portare a compimento le verifiche su menzionate ed elaborare eventuali modifiche della novella normativa entro un orizzonte temporale adeguato alla complessità e alla delicatezza delle tematiche che ne sono oggetto.

Alla regola fa eccezione il disposto del comma 2 che prevede una serie di casi in cui il limite è di due anni (ad esempio, quanto al delitto di associazione per delinquere si è affermato che il termine di durata delle indagini è di sei mesi, salvo che nei casi in cui questa sia diretta alla commissione dei reati previsti dall'art. 380, comma secondo, lett. a), b), c), d), f), g) ed i), e sia quindi obbligatorio l'arresto in flagranza: Cass. VI, n. 9097/2013), limite che – applicabile anche ai procedimenti contro ignoti qualora si proceda per taluno dei delitti indicati nell'art. 407, comma 2, lett. a), atteso il rinvio operato dall'art. 415, comma terzo « alle disposizioni del presente titolo »: Cass. I, n. 33283/2013) – può essere superato: a) nel caso in cui, nel corso delle indagini, venga formulata richiesta di incidente probatorio dal P.m. o dall'indagato il cui espletamento non possa essere esaurito nei termini predetti; b) nel caso di avocazione delle indagini da parte del P.G. ex art. 412, comma 1, comportando l'avocazione una proroga ex lege di trenta giorni per consentire al medesimo di adottare le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale.

Il dies a quo da cui decorre il termine massimo di durata delle indagini preliminari, secondo unanime dottrina, dovrebbe essere individuato nella data di effettiva iscrizione del nome dell'indagato nel registro delle notizie di reato (precisandosi in giurisprudenza che l'iscrizione per un nuovo reato a carico del medesimo indagato, individua il dies a quo da cui decorre il termine, ferma restando l'utilizzabilità degli elementi emersi prima della nuova iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti, attesa l'assenza di preclusioni derivanti dall'art. 407:Cass. II, n. 150/2013; Cass. III, n. 32998/2015).

Secondo la giurisprudenza, però, nel caso di trasmissione degli atti del procedimento, per competenza territoriale, da un ufficio del pubblico ministero ad altro ufficio del pubblico ministero, il dies a quo della durata delle indagini preliminari deve individuarsi nella data in cui il nome dell'indagato è stato iscritto nel registro delle notizie di reato del pubblico ministero ritenutosi successivamente competente (Cass. V, n. 45725/2005).

L'eventuale inosservanza dell'immediata iscrizione, tuttavia, non comporta conseguenze sul piano processuale. In particolare la giurisprudenza ha ormai, con orientamento consolidato, affermato che il termine di durata massima delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il P.M. iscrive nell'apposito registro la notizia di reato e non dalla data nella quale avrebbe dovuta iscriverla. La disposizione dell'art. 335 comma 1 – secondo cui l'iscrizione deve essere effettuata dal P.M. « immediatamente » – non prevede alcun termine entro il quale il P.M. deve procedere a detta iscrizione ed è inoltre sprovvista di sanzione; onde la mancata iscrizione immediata della notizia di reato, non produce nullità – in ossequio al principio di tassatività fissato nell'art. 177 – ma può determinare, allorquando ne ricorrano gli estremi, sanzioni (disciplinari o, al limite, penali) nei confronti di coloro i quali sono tenuti ad attuare le disposizioni in questione (Cass. V, n. 3156/1993; Cass. VI, n. 1863/1997; Cass. I, n. 34637/2013).

Secondo la Cassazione, inoltre, al giudice non spetta il potere di sindacare le scelte del pubblico ministero in ordine al momento dell'iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro, al fine di rideterminare il « dies a quo » dei termini di indagine e di dichiarare quindi l'inutilizzabilità degli atti compiuti oltre il termine così ricomputato (Cass. II, n. 23299/2008).

Le Sezioni Unite della Cassazione, peraltro, componendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che li termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall'art. 407, comma 3, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l'iscrizione (Cass. S.U. , n. 40538/2009 ).

Con particolare riferimento, poi, ai rapporti intercorrenti tra omessa iscrizione della notitia criminis, da un lato, e inutilizzabilità degli atti di indagine, dall'altro lato, si erano già pronunciate le Sezioni Unite, affermando che l'omessa annotazione della notitia criminis nel registro previsto dall'art. 335, con l'indicazione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad indagini « contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta », non determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti sino al momento dell'effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall'art. 407, al cui scadere consegue l'inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre per l'indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato, e non dalla presunta data nella quale il pubblico ministero avrebbe dovuto iscriverla.

L'apprezzamento della tempestività dell'iscrizione, il cui obbligo nasce solo ove a carico di una persona emerga l'esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti, rientra nell'esclusiva valutazione discrezionale del pubblico ministero ed è sottratto, in ordine all'« an » e al « quando », al sindacato del giudice, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o addirittura penali nei confronti del P.M. negligente (Cass. S.U. , n. 16/2000 ).

Le recenti modifiche alla disciplina delle indagini preliminari e dell’archiviazione

Il recente intervento normativo attuato con lal. 23 giugno 2017, n. 103, aveva introdotto mediante la previsione dell'art. 1, comma 30, all'art. 407, il nuovo comma 3-bis, prevedendosi che, alla scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari (e comunque alla scadenza dei termini previsti dall'art. 415-bis per l'avviso all'indagato della conclusione delle indagini) il Pubblico Ministero avesse tempo 3 mesi (salva proroga di ulteriori 3 mesi concessa dal Procuratore generale presso la corte d'appello) per decidere se chiedere l'archiviazione o esercitare l'azione penale (secondo il comma 36 della legge citata, le presenti disposizioni si applicavano ai procedimenti nei quali le notizie di reato sono iscritte nell'apposito registro di cui all'articolo 335 c.p.p. successivamente alla data di entrata in vigore della nuova legge, v. comma 95, dell'art. 1, della l. n. 103/2017).

Il citato termine concesso al Pubblico Ministero era di 15 mesi per reati di mafia, terrorismo ed altri specifici gravi reati, ossia dei reati di cui al comma 2 lettera a) nn. 1), 3) e 4) dell'art. 407. Non erano chiare, tuttavia, le ragioni dell'esclusione dal regime derogatorio dei reati, altrettanto gravi, di cui al n. 2) (es. omicidio, sequestro di persona) e n. 6) (es. associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti). Non era dato agevolmente comprendere, in tal senso, se il criterio adottato fosse quello di garantire maggiore sollecitudine nelle materie escluse o, viceversa, mantenere elasticità operativa in quelle ricomprese.

La norma doveva, peraltro, essere coordinata con la previsione (art. 412 c.p.p.) che riconnette al mancato esercizio, nel termine, dell'azione penale o dell'archiviazione.

Sulla modifica erano state sollevate alcune preoccupazioni dalla Magistratura Associata nel parere espresso nella fase di approvazione del d.d.l. di riforma, in particolare con riferimento a quest'ultima disposizione normativa che introduceva nuovi stringenti termini per l'archiviazione o per l'esercizio dell'azione penale, la violazione dei quali comportava un obbligo di comunicazione alla Procura Generale e la conseguente avocazione del procedimento. Si tratta – osservava l'A.N.M. – di una norma permeata dal medesimo approccio culturale che, non troppi anni fa, diede vita alla proposta di riforma c.d. del processo breve, quest'ultima poi abbandonata anche a seguito delle forti critiche degli osservatori esterni e dell'opinione pubblica. La norma, infatti, prevedeva che nel termine di 3 mesi dalla scadenza delle indagini preliminari, prorogabile una sola volta per le indagini particolarmente complesse (termine aumentato a 15 mesi, come visto, solo per alcuni reati di maggiore gravità e non per tutti quelli il cui accertamento é di maggiore complessità), il Pubblico Ministero fosse tenuto a richiedere l'archiviazione del procedimento o ad esercitare l'azione penale, a pena di avocazione del procedimento da parte della Procura Generale. Si era giustamente osservato nel parere dell'A.N.M. che chiunque frequenti le aule di giustizia é consapevole che tali termini non si confrontano con la realtà degli uffici giudiziari, con i carichi di lavoro delle Procure, ma anche con la complessità di alcune indagini per le quali l'esercizio dell'azione penale richiede necessariamente un tempo maggiore. Così, ad esempio, appariva impossibile rispettare tali termini allorquando, terminata la fase investigativa, il Pubblico Ministero doveva attendere il deposito dell'informativa da parte della polizia giudiziaria (la cui stesura poteva essere anche molto laboriosa, allorquando ad esempio si trattasse di riportare esiti di attività di intercettazione protrattesi per mesi). Ci si era chiesto poi come il Pubblico Ministero potesse rispettare tali termini allorquando, terminata la fase investigativa, formulasse al GIP richiesta di misura cautelare, alla cui eventuale emissione, che già di per sé poteva impegnare anche un tempo considerevole nei casi di maggiore complessità, seguissero le fasi degli interrogatori degli indagati e dell'impugnazione al Tribunale del Riesame, da cui poteva certamente derivare la necessità di procedere ad ulteriori accertamenti, anche nell'interesse degli indagati. Era evidente come in pendenza di richiesta cautelare il Pubblico Ministero non potesse esercitare l'azione penale e come la conseguente avocazione del procedimento da parte del Procuratore Generale avrebbe avuto l'unico effetto di sottrarre l'indagine al PM titolare della stessa. Ed ancora, proseguiva l'A.N.M. nel suo parere, non era dato comprendere come le Procure Generali, i cui organici restano invariati, avrebbero potuto far fronte alla gestione di un numero elevatissimo di procedimenti. L'analisi dei dati statistici relativi ai procedimenti pendenti presso le Procure ordinarie consentiva di comprendere come, nella vigenza di una tal norma, un numero impressionante di essi sarebbe stato destinato all'avocazione, con evidente perdita di efficienza del sistema complessivo, derivante anche dai tempi ulteriori che ovviamente necessitavano al soggetto avocante per lo studio e la definizione di un procedimento trattato da altri. E dunque l'introduzione di una tale norma non avrebbe avuto alcun effetto positivo sulla durata dei procedimenti, laddove avrebbe determinato gravi disfunzioni per la gestione delle indagini, rendendo di fatto impossibile alle Procure portare avanti proprio le indagini più complesse, generalmente relative a fatti di criminalità organizzata o a fenomeni di corruzione nella Pubblica Amministrazione.

Il d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), ha soppresso la previsione del comma 3-bis, dell'art. 407, c.p.p., soppressione resasi necessaria a seguito della modifica dell'art. 406, c.p.p., attesa la possibilità di richiedere solo una volta la proroga del termine.

La giurisprudenza riconnetteva conseguenze disciplinari alla mancata osservanza da parte del P.M. della regola introdotta dal comma 3-bis. In particolare, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione hanno affermato che sussiste, anche con riguardo alla disciplina processuale anteriore all'introduzione del comma 3-bis nell'art. 407 c.p.p. da parte della l. n. 103/2017, l'illecito disciplinare di cui all'art. 2, comma 1, lett. q), d.lg. n. 109/2006 nel comportamento del p.m. che, scaduti i termini delle indagini preliminari, ritardi in maniera reiterata, grave ed ingiustificata la definizione dei procedimenti assegnatigli mediante esercizio dell'azione penale o richiesta di archiviazione (Cass. S.U., n. 37017/2021).

Le conseguenze del mancato rispetto del termine di durata massima delle indagini preliminari

Unica conseguenza derivante dal mancato rispetto del termine fissato dalla legge processuale per lo svolgimento delle indagini preliminari è l'inutilizzabilità dell'attività d'indagine successivamente svolta.

Nell'ipotesi in cui le indagini non vengano completate nel termine legislativamente fissato, infatti, si è affermato che la mancata avocazione da parte del procuratore generale non comporta alcuna nullità, non essendo questa tassativamente prevista: l'unica conseguenza è dunque la inutilizzabilità degli atti, compiuti dopo la scadenza del termine: Cass. III, n. 12086/1992; Cass. II, n. 17240/2006).

La stessa Corte costituzionale, infatti, ha precisato che il decorso del termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, per il compimento delle indagini preliminari non determina la decadenza del pubblico ministero dal potere di formulare le sue richieste, essendo inutilizzabile la sola attività d'indagine eventualmente compiuta dal P.M. oltre il suddetto termine. Di conseguenza, una volta formulate le richieste, la disciplina dei termini stabilita dagli artt. 405, 406 e 407 non ha più modo di operare, mentre, in caso di ritenuta necessità di ulteriori indagini, al rigoroso meccanismo legale sopra evidenziato viene a sostituirsi una «flessibile» delibazione giurisdizionale volta a calibrare il termine stesso in funzione della indispensabilità di quelle indagini che il giudice è chiamato ad indicare (Corte cost., n. 436/1991, con cui la Consulta dichiarò la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 409, comma 4 e 554, in relazione all'art. 407, sollevata, in riferimento all'art. 112 Cost., questione formulata in base all'erroneo assunto che la prescrizione dell'art. 407, comma 3, non soltanto precluderebbe l'utilizzazione degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine, ma impedirebbe altresì al giudice di adottare la procedura prevista dall'art. 409, comma 4).

La sanzione dell'inutilizzabilità non riguarda poi l'incidente probatorio, il quale non è atto di indagine ma mezzo di acquisizione anticipata della prova, il cui espletamento non è correlato a termini perentori, trattandosi dell'assunzione anticipata di prove non rinviabili al dibattimento, indispensabili per l'accertamento dei fatti e preordinati a garantire l'effettività del diritto alla prova, altrimenti irrimediabilmente perduto (Cass. V, n. 15844/2013).

In ogni caso, non può ritenersi perento il potere del P.m. di scegliere tra esercitare l'azione penale o richiedere l'archiviazione (v., in tal senso: Cass. VI, n. 3046/1991).

I termini indicati dagli artt. 405 e 407, peraltro, attengono soltanto al compimento delle indagini autonomamente svolte dal pubblico ministero e non anche al compimento delle ulteriori indagini da svolgere, ai sensi dell'art. 409, comma 4, su indicazione del giudice per le indagini preliminari (né è riferibile ad elementi di prova la cui acquisizione sia avvenuta per fatti di terzi, indipendentemente da qualsiasi impulso della pubblica accusa: Cass. III, n. 8732/2010, nella specie, si trattava delle denunce sporte da due prostitute contenenti dichiarazioni accusatorie nei confronti del loro sfruttatore, rese quando era ormai scaduto il termine di durata delle indagini preliminari). Questi può quindi provvedere a tale indicazione pur quando i suddetti termini siano scaduti e la scadenza abbia preceduto la stessa richiesta di archiviazione. Ciò anche in adesione a quanto ritenuto dalla Corte cost. n. 436/1991, secondo cui il decorso del termine per le indagini preliminari non comporta la decadenza del pubblico ministero dal potere di formulare le sue richieste, a seguito delle quali la disciplina stabilita in materia di termini dagli artt.405, 406 e 407 non ha più modo di operare, poiché al rigoroso meccanismo legale che predetermina la durata delle indagini preliminari viene a sostituirsi una «flessibile» delibazione giurisdizionale, volta a calibrare il termine in funzione delle ulteriori indagini indicate come necessarie dal giudice (Cass. I, n. 3191/2000; Cass. VI, n. 20742/2012).

Si noti, ancora, che la sanzione della inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari stabilito dall'art. 405, non riguarda gli atti compiuti prima, ma depositati successivamente alla sua scadenza (Cass. III, n. 10664/1995; Cass. II, n. 40409/2008) né opera quando l'atto sia stato assunto nell'ambito di un diverso procedimento relativo ad altri reati ed acquisito ai sensi dell'art. 238, in quanto la sanzione è geneticamente connessa alle indagini endoprocessuali (Cass. II, n. 7055/2014).

Per «atto di indagine» compiuto dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, dunque, deve intendersi solo quello con efficacia probatoria. In tale categoria non rientrano quelli attinenti le richieste di misure cautelari, che non hanno alcuna efficacia probatoria in quanto mirano esclusivamente ad ottenere un provvedimento incidentale sulla sfera della libertà personale dell'indagato, anche per assicurarne la presenza in giudizio (Cass. VI, n. 1304/1998; Cass. VI, n. 2856/1993). Non può nemmeno ricomprendersi in detta categoria il sequestro preventivo, che non ha alcuna efficacia probatoria e mira esclusivamente ad interrompere la condotta vietata (Cass. VI, n. 3651/1994; Cass. III, n. 12294/2001) né, ancora, la consulenza, disposta dal pubblico ministero in funzione della applicazione provvisoria di misura di sicurezza sulla capacità di intendere e di volere e sulla pericolosità sociale della persona sottoposta alle indagini (Cass. I, n. 5879/2014). Inoltre, sono utilizzabili gli esiti degli accertamenti effettuati nella diversa sede amministrativa in tempi successivi alla scadenza del termine delle indagini preliminari, in quanto aventi autonoma natura documentale e, pertanto, acquisibili ai sensi dell'art. 234 c.p.p. quali prove dei fatti oggettivi in essi rappresentati (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto utilizzabile, ai fini dell'emissione del provvedimento di sequestro preventivo oggetto di impugnazione, una nota di polizia giudiziaria proveniente dal fascicolo della procedura fallimentare ed in esso già esistente, non derivante da indagini dirette ad integrare gli elementi già raccolti nel procedimento penale successivamente alla scadenza del termine previsto per la loro chiusura: Cass. V, n. 20824/2018).

Non rientrano, tra gli atti di indagine inutilizzabili se compiuti dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari, quelli costituenti mera rielaborazione di attività precedentemente svolte, come ad esempio le note riassuntive o conclusive della P.G., e quelli meramente ricognitivi giacché finalizzati a documentare la permanenza ed attualità di situazioni già in precedenza compiutamente accertate (Cass. III, n. 4089/2012).

Diversamente, sono inutilizzabili le informative di P.G. depositate dopo la scadenza del termine di durata delle indagini che non siano meramente ricognitive di atti già acquisiti, bensì contengano la rielaborazione di atti tempestivamente inseriti nel fascicolo del pubblico ministero sulla base di altri atti e materiale probatorio acquisito successivamente, in modo da assumere autonoma attitudine probatoria (Cass. VI, n. 9386/2018).

Si è poi precisato che le intercettazioni telefoniche sono utilizzabili in dibattimento indipendentemente dalle relative trascrizioni, poiché tali trascrizioni non rientrano negli atti di indagini preliminari e integrano una mera attività materiale e riproduttiva del contenuto delle intercettazioni telefoniche, soggette alla disciplina prevista dall'art. 268 commi 7 ed 8, Tale utilizzabilità in sede dibattimentale è, quindi, possibile anche se le trascrizioni eventualmente eseguite fuori termine non possono essere inserite, per l'art. 407 stesso codice, nel fascicolo del dibattimento: ciò in quanto è consentito al giudice di procedere all'ascolto diretto delle registrazioni o di far trascrivere il contenuto delle intercettazioni acquisite tramite un ausiliario designato ad hoc (Cass. II, n. 2065/1993). Inoltre, le valutazioni in tema di inutilizzabilità delle intercettazioni, compiute in sede di giudizio incidentale promosso nei confronti di altro imputato, non producono alcun effetto nei confronti di chi sia rimasto estraneo al suddetto giudizio (Cass. II, n. 3314/2018).

Sono utilizzabili nel procedimento di riesame cautelare gli atti d'indagine assunti dal pubblico ministero dopo la scadenza del termine delle indagini preliminari, di cui sia stata tempestivamente richiesta la proroga solo successivamente concessa (Cass. VI, n. 16171/2011). Inoltre, la sanzione di inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine previsto per le indagini preliminari non opera quando l'atto sia stato assunto nell'ambito di indagini diverse volte ad individuare i soggetti responsabili di altri reati, in quanto la sanzione è geneticamente connessa alle indagini endoprocessuali (Cass. I, n. 24564/2004); è comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all'approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti (Cass. I, n. 36327/2015), ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi (Fattispecie relativa all'acquisizione ed utilizzo, a fini cautelari, di dichiarazioni di un collaboratore di giustizia assunte formalmente in un separato procedimento, ma espressamente dirette ad approfondire fatti posti a fondamento della misura cautelare richiesta nel procedimento in cui era già intervenuta la scadenza dei termini di durata delle indagini: Cass. VI, n. 9386/2018).

Tuttavia, va precisato che la riapertura delle indagini, dopo l'emanazione del provvedimento di archiviazione, non può avvenire a seguito della rivalutazione degli elementi già acquisiti al procedimento, poiché ciò comporterebbe la violazione delle norme caducative di cui all'art. 407. circa i termini di durata massima delle indagini preliminari. Pertanto, quando le nuove acquisizioni riguardino il medesimo fatto oggetto del procedimento archiviato la riapertura avviene previa autorizzazione del G.I.P., mentre tale autorizzazione non è necessaria se la «notitia criminis» riguarda fatti diversi o un soggetto diverso (Cass. I, n. 2948/1996).

Sotto il versante della riapertura delle indagini, peraltro, in base a considerazioni tanto di ordine letterale quanto di ordine logico-sistematico, si riteneva che l'autorizzazione alla riapertura delle indagini, prevista dall'art. 414, fosse necessaria, una volta intervenuto provvedimento di archiviazione, anche quando detto provvedimento sia stato pronunciato, ai sensi dell'art. 415, per essere rimasti ignoti gli autori del reato, conseguendone che, in caso di indagini condotte in assenza della suindicata autorizzazione, i relativi atti dovevano ritenersi colpiti di inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 407, comma 3, (Cass. I, n. 4857/1996). Tale principio è stato, tuttavia, disatteso dalle Sezioni Unite della Cassazione, che hanno affermato il principio secondo cui nel procedimento contro ignoti non è richiesta l'autorizzazione del G.i.p. alla riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato, in quanto il regime autorizzatorio prescritto dall'art. 414 è diretto a garantire la posizione della persona già individuata e sottoposta ad indagini, mentre nel procedimento contro ignoti l'archiviazione ha la semplice funzione di legittimare il congelamento delle indagini, senza alcuna preclusione allo svolgimento di ulteriori, successive attività investigative, ricollegabili direttamente al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale (Cass. S.U., n. 13040/2006; da ultimo, senso conforme: Cass. II, n. 42655/2015).

Sempre le Sezioni Unite, inoltre, hanno precisato che il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l'inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero (Cass. S.U., n. 33885/2010, che ha precisato ulteriormente che il provvedimento di archiviazione adottato nel regime normativo del codice di rito penale del 1930 non produce l'indicato effetto preclusivo).

Pacifico, poi, è il principio per cui, trattandosi di inutilizzabilità fisiologica, gli atti d'investigazione compiuti dopo la scadenza dei termini di indagine preliminare sono utilizzabili nel giudizio abbreviato (Cass. V, n. 38420/2010). Ed invero, ciò si giustifica in quanto l'inutilizzabilità degli atti d'indagine prevista per il caso in cui tali atti siano stati effettuati dopo la scadenza dei termini prescritti, non è equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all'art. 191), con la conseguenza che la stessa non è rilevabile d'ufficio ma solo su eccezione di parte immediatamente dopo il compimento dell'atto o nella prima occasione utile (Cass. I, n. 36671/2013; Cass. VI, n. 21265/2012; Cass. VI, n. 12085/2012; Cass. VI, n. 4694/2018). Si è peraltro puntualizzato che la declaratoria di inutilizzabilità di un atto pronunciata dal giudice dell'udienza preliminare non preclude nel successivo giudizio abbreviato una diversa valutazione di utilizzabilità del medesimo atto da parte del giudice, a condizione che venga garantito il contraddittorio delle parti (Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto immune da censure la valutazione da parte del giudice dell'appello di utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee auto indizianti, rese nel corso delle indagini dall'imputato alla polizia giudiziaria, che erano state dichiarate inutilizzabili dal gup: Cass. II, n. 25943/2018).

Infine, si è affermato che al fine della verifica della inutilizzabilità prevista per gli atti compiuti dopo la scadenza del termine di durata per le indagini preliminari, deve farsi riferimento alla data in cui i singoli atti di indagine sono compiuti e non a quella del deposito della informativa che li riassume (Cass. V, n. 19553/2014), ritenendosi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si eccepisce la inutilizzabilità delle informative di polizia giudiziaria, per decorrenza del termine di durata delle indagini preliminari, senza, tuttavia, individuare con precisione l'atto specifico, in esse contenuto, asseritamente inutilizzabile, non spettando alla Corte, in mancanza di specifiche deduzioni, di verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che, non apparendo manifeste, implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Cass. V, n. 19553/2014 cit.). Da ultimo, in senso conforme, la Cassazione ha ribadito che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si eccepisce la inutilizzabilità delle informative di polizia giudiziaria, per decorrenza del termine di durata delle indagini preliminari, senza, tuttavia, individuare con precisione l'atto specifico, in esse contenuto, asseritamente inutilizzabile, non spettando alla Corte, in mancanza di specifiche deduzioni, di verificare se esistano cause di inutilizzabilità o di invalidità di atti del procedimento che, non apparendo manifeste, implichino la ricerca di evidenze processuali o di dati fattuali che è onere della parte interessata rappresentare adeguatamente (Cass. II, n. 35659/2018).

L'applicabilità della sospensione feriale dei termini anche a quelli di durata delle indagini

Pacifico è secondo la giurisprudenza che i termini di durata delle indagini preliminari sono soggetti al regime di sospensione previsto dalla l. 7 ottobre 1969 n. 742, come modificata dall'art. 240-bis disp. att.

Infatti, in virtù dell'art. 1 della citata l. n.742 del 1969, nel periodo feriale rimangono sospesi, in via generale, tutti i termini che abbiano rilevanza processuale, e ciò in ogni fase del processo, senza alcuna esclusione (Cass. I, n. 2837/2005; Cass. IV, n. 32976/2009; contra, l'isolata Cass. VI, n. 34/1992, secondo cui al termine fissato per il compimento delle indagini preliminari non si applica la sospensione stabilita per il periodo feriale dalla l. n. 742 del 1969 essendo invece prevista, dall'art. 3, comma 3, di tale legge (come sostituito dall'art. 240-bis disp. att.), su richiesta del P.M., un'ordinanza del G.i.p. dichiarativa d'urgenza relativamente ad atti specificamente indicati da compiere).

Rapporti tra termini di durata massima e custodia cautelare

Quanto, infine, ai rapporti intercorrenti tra il termine di durata delle indagini e la proroga della custodia cautelare, la Cassazione, dopo aver premesso che tra i termini di durata delle indagini preliminari (art. 407) e quelli di durata della custodia cautelare (art. 303) non esiste un rapporto di pregiudizialità (Cass. V, n. 2156/1992), ha affermato che la proroga della custodia cautelare può essere disposta ancorché sia prossimo a scadere il termine di conclusione delle indagini preliminari, e che la scadenza di quest'ultimo non comporta né la decadenza dalla potestà di chiedere l'archiviazione o di esercitare l'azione penale, né la estinzione della custodia cautelare già applicata, ma soltanto l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine stesso, secondo il disposto dell'art. 407, comma 3, La proroga del termine della custodia cautelare può essere infatti disposta ove permanga taluna delle tre esigenze cautelari stabilite dall'art. 274, comma 1, e non soltanto per l'esigenza attinente alle indagini, sempre che in relazione ad esse si debbano compiere «accertamenti particolarmente complessi» (Cass. VI, n. 3046/1991).

In ogni caso, la legittimità della proroga della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 305, comma 2, in relazione alla complessità degli accertamenti da compiere, deve essere valutata ex ante, con riferimento al momento della sottoposizione della relativa richiesta al giudice per le indagini preliminari. Le successive vicende processuali che, valutate ex post, eventualmente palesino l'assenza della necessità della proroga, non infirmano, quindi, la legittimità del provvedimento che l'ha disposta (Cass. I, n. 2219/1994).

 

Casistica

I termini di durata massima delle indagini preliminari

Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 407, la stessa può così sintetizzarsi:

a ) prevede che la durata delle indagini preliminari, proroghe incluse, non può comunque superare diciotto mesi o, se si procede per una contravvenzione, un anno;

b ) fa eccezione il caso in cui il P.m. e l'indagato hanno chiesto la proroga del termine delle indagini preliminari ai fini dell'esecuzione dell'incidente probatorio;

c ) il termine massimo di durata è tuttavia fissato per legge in due anni:

1) se le indagini preliminari riguardano i reati indicati dal comma 2 (per i quali v'è maggiore allarme sociale e, quindi, necessità di concedere più tempo all'organo dell'accusa per svolgere le opportune attività di investigazione);

2) se si tratta di notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese;

3) se si tratta di attività di indagine che richiedono il compimento di atti all'estero;

4) se si tratta di procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero;

d ) non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice;;

e ) fa eccezione l'ipotesi in cui, a seguito della notifica dell'avviso ex art. 415-bis (ossia l'avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari) vengano fatte richieste dell'indagato e il P.m. disponga nuove indagini (indagini, comunque, da concludersi, proroga compresa, entro sessanta giorni).

Bibliografia

Adorno, Decorrenza del termine per le indagini preliminari e sanzione di inutilizzabilità ex art. 407, 3° co.,c.p.p., in Cass. pen. 1996, 3714; Aimonetto, La «durata ragionevole» del processo penale, Torino, 1997; Belluta, D.lg. 28 agosto 2000, n. 274 - Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'art. 14 della l. 24 novembre 1999, n. 468, in Leg. pen. 2001, 106; Bricchetti, Chiusura delle indagini preliminari ed udienza preliminare, in AA.VV., Il nuovo processo penale davanti al giudice unico, Milano, 2000, 108; Brichetti - Pistorelli, La sentenza liberatoria va in Cassazione, in Guida dir. 2006, 69; Caprioli, L'archiviazione, Napoli, 1994; Caprioli, Nuovi epiloghi della fase investigativa: procedimento contro ignoti e avviso di conclusione delle indagini preliminari, in Peroni (a cura di), Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Padova, 2000, 245; Cassibba, Sub art. 405, in Conso-Grevi, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2005, 1399; Celletti, Principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale e ipotesi di archiviazione della notizia di reato nel nuovo codice di procedura penale, in Arch. n. proc. pen. 1991, 350; Chiavario, L'obbligatorietà dell'azione penale: il principio e la realtà, in Cass. pen. 1993, 2665; Conso, Introduzione alla riforma, in AA.VV., Pubblico Ministero e accusa penale. Problemi e prospettive di riforma, Bologna, 1979, XVI; Conti - Macchia, Indagini preliminari, in Enc. giur. Treccani XIV, Roma, 1989, 1; Contu, Decreto di archiviazione, assenza di autorizzazione alla riapertura delle indagini ed improcedibilità dell'azione penale, in Riv. giur. sarda 2001, 911; Cordero, Procedura penale, Milano, 2006; Curtotti, Sul dies a quo del termine di durata delle indagini preliminari, in Cass. pen. 1995, 633; Daniele, Le modifiche in materia di termini per le indagini preliminari, in Bargis (a cura di), Il decreto antiscarcerazione, Torino, 2001, 81; Di Federico, Il Pubblico Ministero: indipendenza, responsabilità, carriera separata, in Indice pen. 1995, 321; Ferraioli, Il ruolo di garante del giudice per le indagini preliminari, Padova, 2006; Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2002, 538; Gaito, Natura, caratteristiche e funzioni del Pubblico Ministero. Premesse per una discussione, in AA.VV., Accusa penale e ruolo del Pubblico Ministero, Napoli, 1991, 11; Gaito, La nuova disciplina delle impugnazioni dopo la «legge pecorella», Torino, 2006; Galantini, Limiti e deroghe al contraddittorio nella formazione della prova, in Cass. pen. 2002, 1840; Garuti, Chiusura delle indagini preliminari e archiviazione, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale, diretta da Chiavario-Marzaduri, Torino, 1999, 397; Garuti, Dall'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento ai nuovi «vincoli» in punto di archiviazione e di condanna dell'imputato, in Dir. pen. e proc. 2006, 813; Giostra, L'archiviazione. Lineamenti sistematici e questioni interpretative, Torino, 1994; Giostra, Una norma in difficoltà di senso il nuovo comma 1-bis dell'art. 405, in Giur. it. 2007, 2101; Giuliani, La regola di giudizio in materia di archiviazione (art. 125 disp. att.) all'esame della Corte Costituzionale, in Cass. pen. 1992, 250; Giunchedi, La «rinnovazione» dell'interrogatorio nella disciplina transitoria del «giusto processo», in Giur. it. 2003, 980; Grevi, Funzioni di garanzia e funzioni di controllo del giudice nel corso delle indagini preliminari, in AA.VV., Il nuovo processo penale. Dalle indagini preliminari al dibattimento, Milano, 1989, 32; Grevi, Archiviazione per inidoneità probatoria ed obbligatorietà dell'azione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1990, 1281; Gualtieri, Il registro delle notizie di reato. Il punto di vista di un avvocato, in Dir. pen. e proc. 1996, 494; Ichino, Alcuni spunti di riflessione sul tema delle indagini preliminari, in Dir. pen. e proc. 1993, 700; Marandola, L'iscrizione soggettiva della notizia di reato ed i suoi effetti sui «tempi negativi», in Studium iuris 2000, 884; Marzaduri, Imputato e imputazione, in Dig. d. pen. VI, Torino, 1992, 278; Marzaduri, Azione (diritto processuale penale), in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1996, 1; Marzaduri, Riflessioni sull'obbligatorietà dell'azione penale alla luce della riforma del codice di procedura penale, in AA.VV., Recenti orientamenti in tema di Pubblico Ministero ed esercizio dell'azione penale. Atti del convegno, Milano, 1998, 45; Morselli, Archiviazione, in Dig. d. pen., XI, Torino, 1996; Neppi Modona, Indagini preliminari e udienza preliminare, in Conso, Grevi, Profili del nuovo codice di procedura penale, Padova, 1996, 367; Piattoli, Sub art. 405, in Commentario al codice di procedura penale, a cura di Corso, Piacenza, 2008, 1830; Ramajoli, Chiusura delle indagini preliminari e udienza preliminare, Padova, 1992; Reynaud, D.l. 24 novembre 2000, n. 341, convertito con modificazioni in l. 19 gennaio 2001, n. 4, recante «Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia», in Leg. pen. 2001, 343; Sammarco, La richiesta di archiviazione, Milano, 1993; Sfrecola, L'invito a fornire deduzioni nel processo di responsabilità amministrativa tra esigenze istruttorie del Pubblico Ministero e garanzie di difesa per il «presunto responsabile», Amm. Contab. Stato e Enti pubblici, 2002, 209; Siracusano, La completezza delle indagini preliminari, Torino, 2005; Spangher, L'imputazione coatta: controllo o esercizio dell'azione penale?, in AA.VV., Le riforme complementari. Il nuovo processo minorile e l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario, Padova, 1991, 143; Ubertis, Non termini astratti, ma garanzia del contraddittorio, in Quest. giust. 1992, 2, 484; Zagrebelsky, Stabilire le priorità nell'esercizio obbligatorio dell'azione penale, in AA.VV., Il Pubblico Ministero oggi, Milano, 1994, 101.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario