Codice di Procedura Penale art. 416 - Presentazione della richiesta del pubblico ministero.Presentazione della richiesta del pubblico ministero. 1. La richiesta di rinvio a giudizio [405] è depositata dal pubblico ministero nella cancelleria del giudice [328]. La richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall'avviso previsto dall'articolo 415-bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all'articolo 415-bis, comma 3 1. 2. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo [130 att.] contenente la notizia di reato [330 s.], la documentazione relativa alle indagini espletate [357, 373] e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari [294, 391, 401]. Il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove [259, 373 5, 447 1, 454 2, 459 1; 82 att.] 2. [2-bis. Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 589-bis del codice penale, la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero deve essere depositata entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari ]3.
[1] [1] Comma dapprima modificato dall'art. 22l. 16 luglio 1997, n. 234, poi così modificato dall'art. 173l. 16 dicembre 1999, n. 479. V. anche l'art. 3 l. n. 234, cit. [2] [2] La Corte cost., con sentenza interpretativa di rigetto, 5 aprile 1991, n. 145, ha affermato che l'art. 4162 «pone a carico del p.m. l'obbligo di trasmettere al giudice dell'udienza preliminare tutti gli atti attraverso cui l'indagine preliminare si è sviluppata e che concorrono a formare il fascicolo processuale nella sua interezza», salvo il disposto dell'art. 130 att. [3] [3] Comma abrogato dall'art. 98, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Precedentemente il presente comma era stato aggiunto dall'art. 42l. 21 febbraio 2006, n. 102 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 5, lett.d), l. 23 marzo 2016, n. 41 che ha sostituito le parole «per il reato di cui all'articolo 589, secondo comma, del codice penale» con «per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 589-bis del codice penale». InquadramentoL'art. 416 riflette quanto disposto dal principio di obbligatorietà dell'azione penale ex art. 112 Cost., in virtù del quale, ricevuta la notizia di reato e in presenza di precisi presupposti definiti ex lege, il P.M. è tenuto ad esercitare l'azione penale. La richiesta di rinvio a giudizio è l'atto propulsivo dell'azione penale, esercitato dal p.m., allorquando ritenga di scartare l'ipotesi alternativa dell'archiviazione (nel caso in cui ritenga l'infondatezza della notizia di reato, poiché gli elementi acquisiti non siano idonei a sostenere l'accusa). La richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 è depositata dal p.m. nella cancelleria del G.i.p. quando, al termine delle indagini preliminari, lo stesso ravvisi l'esistenza di elementi sufficienti a sostenere l'accusa in un eventuale giudizio nei confronti dell'indagato. Il codice prevede alcuni casi di nullità ove la richiesta di rinvio a giudizio non è preceduta da determinati atti: a) dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari; b) dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio qualora l'indagato abbia chiesto di esservi sottoposto entro il termine indicato dall'art. 415-bis, comma 3, La presentazione della richiesta di rinvio a giudizio determina la discovery completa degli elementi acquisiti dal p.m.. Per tale ragione il codice prevede che con la richiesta debba essere trasmesso dal p.m. il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari. Al fascicolo vanno altresì allegati il corpo del reato e le cose ad esso pertinenti, qualora non debbano essere custoditi altrove. Il codice non fissa di regola un termine per il deposito della richiesta di rinvio a giudizio. E' stata, peraltro, soppressa dalla c.d. riforma Cartabia (d.lgs. n. 150/2022), l' eccezione che era stata introdotta per talune tipologie di reati (omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro; omicidio stradale), nei quali la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero doveva essere depositata entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari. Generalità
Gli interventi della Corte costituzionale Plurimi gli interventi della Corte costituzionale sulla norma processuale in esame. Nutrita, anzitutto, la serie di decisioni che hanno dichiarato la manifesta infondatezza od inammissibilità delle diverse questioni di costituzionalità sollevate nel corso degli anni: a) è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento agli artt. 24, 101 e 102 Cost., dell'art. 416, comma 2, (in particolare, ha osservato la Corte costituzionale, l'art. 416, comma 2, nella sua corretta lettura, non conferisce al P.M. un potere di scelta degli atti da trasmettere al giudice per le indagini preliminari insieme con la richiesta di rinvio a giudizio, imponendo allo stesso P.M. l'obbligo di trasmettere l'intera documentazione raccolta nel corso delle indagini. Conseguentemente la trasmissione dell'intero fascicolo processuale da parte del P.M. comporta, da un lato, che nessun atto inerente alle indagini espletate fino all'udienza preliminare possa essere sottratto alla piena conoscenza delle parti e dall'altro, che nessuna indebita limitazione possa essere apposta alla cognizione del giudice per le indagini preliminari ai fini dell'adozione delle determinazioni allo stesso spettanti. Pertanto, nessuna lesione dei diritti garantiti e protetti dagli art. 24, 101 e 102 Cost. può essere lamentata); b) è stata dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 415-bis e 416, comma 1, del d.P.R. n. 447/1988 (Approvazione del codice di procedura penale), sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, comma 2, e 111, comma 2, della Costituzione (in sentenza la Corte ha osservato che il giudice rimettente deve preliminarmente esaminare la quaestio juris relativa alla configurabilità di una nullità di ordine generale nel mancato rispetto del termine di legge per il deposito degli atti da parte del Pubblico Ministero, prima dell'inoltro della richiesta di rinvio a giudizio); c) infine, è stata ritenuta infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 416, sollevata in riferimento agli artt. 24, comma 2 e 111, comma 3, Cost., nella parte in cui non prevede la sanzione di nullità per i casi in cui il fascicolo trasmesso al giudice con la richiesta di rinvio a giudizio sia predisposto senza l'osservanza delle prescrizioni relative alla formazione dei fascicoli (art. 416, art. 130 disp.att. e art. 3 D.M. 30 settembre 1989, n. 334; secondo la Corte costituzionale, infatti, l'intervento additivo richiesto dal rimettente — mediante l'introduzione di una nuova causa di nullità — avrebbe l'effetto di determinare una eccessiva rigidità delle conseguenze derivanti da un'irregolare formazione del fascicolo, evenienza alla quale può porsi rimedio attraverso l'intervento del giudice che può sollecitare il pubblico ministero a riordinare il fascicolo nel rispetto delle norme relative alla sua formazione, rinviando, se del caso, anche l'udienza, con segnalazione della disfunzione al capo dell'ufficio ai sensi dell'art. 124, comma 2, La regressione del procedimento che conseguirebbe alla declaratoria di nullità potrebbe, poi, risultare contraria agli stessi legittimi interessi delle parti e in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo fissato dall'art. 111, comma 2, Cost.). Il problema del mancato deposito degli atti delle intercettazioni telefoniche Erano sorti nella giurisprudenza dubbi in ordine all'esistenza di un obbligo per il p.m. di trasmettere, insieme alla documentazione relativa alle indagini espletate, anche i decreti di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche esperite in altro procedimento. A fronte, infatti, di alcune decisioni, secondo le quali doveva ritenersi che, unitamente ai verbali di intercettazione ed al materiale magnetofonico, nel procedimento «diverso» vanno depositati anche — ovviamente, in copia — i decreti di autorizzazione adottati dal giudice per le indagini preliminari nel procedimento di origine. Il momento ultimo in cui tale deposito deve essere effettuato coincide con la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 (Cass. VI, n. 3107/1992), altre decisioni diversamente sostenevano che il mancato deposito, contestualmente all'avviso di conclusione delle indagini preliminari, degli atti relativi alle intercettazioni telefoniche non determina l'inutilizzabilità delle stesse, allorché si tratti di intercettazioni disposte in un procedimento diverso, poiché le limitazioni temporali di cui agli artt. 415-bis e 416 sono operative solo con riguardo alle indagini espletate nell'ambito dello stesso procedimento (Cass. VI, n. 30966/2002). Sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione che, sul punto, hanno affermato che ai fini dell'utilizzabilità degli esiti di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale esse furono disposte, non occorre la produzione del relativo decreto autorizzativo, essendo sufficiente il deposito, presso l'Autorità giudiziaria competente per il «diverso» procedimento, dei verbali e delle registrazioni delle intercettazioni medesime (Cass. S.U. n. 45189/2004; conforme la giurisprudenza successiva: Cass. I, n. 19791/2015). Il giudice competente e le sue incompatibilitàLa richiesta di rinvio a giudizio deve essere presentata al g.i.p. presso il tribunale ordinario territorialmente competente che, nel processo minorile, ha una composizione allargata con la presenza di membri non togati (art. 50-bis ord. giud.). Sulla sovrapposizione delle due funzioni di g.i.p. e di g.u.p. e, quindi, sulla correlata questione della esistenza o meno di un'incompatibilità ad assommare le due funzioni in capo al medesimo giudice — persona fisica, si registravano interventi della Corte costituzionale, che aveva sempre escluso l'esistenza di una situazione di incompatibilità tra le predette funzioni, quand'anche, durante le indagini preliminari, lo stesso giudice-persona fisica avesse emesso provvedimenti cautelari personali o avesse ordinato al P.M. di formulare coattivamente l'imputazione. Secondo il Giudice delle Leggi, infatti, pur a seguito delle modifiche normative operate all'art. 425 dalla l. 8 aprile 1993, n. 105, la valutazione operata dal g.u.p. in sede di udienza preliminare non comportava alcun esame di merito, ciò che avrebbe determinato diversamente la incostituzionalità della norma processuale (Corte cost. n. 232/1997; Corte cost n. 24/1996; Corte cost. n. 124/1992; Corte cost. n. 502/1991; Corte cost. n. 401/1991). La questione appare, peraltro, definitivamente superata per effetto della modifica legislativa apportata, da un lato, al testo dell'art. 7-ter, comma 1, r.d. n. 12/1941, dall'art. 6, d.lgs. 51/1998 (che prevede la designazione di un giudice diverso rispetto al g.i.p. per lo svolgimento delle funzioni di g.u.p.) e, dall'altro, al testo dell'art. 34, comma 2-bis, inserito dall'art. 171, d.lgs. 51/1998 (che esclude possa esercitare le funzioni di g.u.p. il giudice che, nell'ambito del medesimo procedimento, abbia svolto il ruolo di g.i.p., fatta eccezione per le ipotesi disciplinate dagli artt. 34, comma 2-ter e comma 2-quater). Costante è peraltro l'orientamento giurisprudenziale secondo cui qualora il giudice delle indagini preliminari si ritenga incompatibile a tenere, a norma dell'art. 34, comma 2-bis, l'udienza preliminare, legittimamente la rinvia, in quanto l'incompatibilità opera in relazione ad attività e provvedimenti di natura giurisdizionale decisoria e non già con riguardo a provvedimenti meramente ordinatori che non incidono sul merito delle questioni oggetto del giudizio, e il provvedimento di fissazione della nuova udienza è efficace indipendentemente dalla circostanza che non sia ancora intervenuta la decisione del presidente del tribunale in ordine alla dichiarazione di astensione determinata dalla causa di incompatibilità, atteso che esso non può considerarsi «atto del procedimento» ai sensi dell'art. 42, comma 1, stesso codice (Cass. I, n. 23049/2002; Cass. II, n. 4478/2012). La giurisprudenza di legittimità ritiene inoltre che, a seguito delle modificazioni introdotte nell'art. 7-ter, r.d. n. 12/1941 (cd. ordinamento giudiziario) ad opera dell'art. 6 d.lgs. 51/1998, che ha distinto nettamente le funzioni del giudice delle indagini preliminari da quelle del giudice dell'udienza preliminare, il mancato rispetto delle relative attribuzioni si risolve in una violazione delle regole in materia di competenza funzionale, ne consegue che, una volta formulata la richiesta di rinvio a giudizio e, quindi esercitata l'azione penale da parte del pubblico ministero, la competenza a emettere provvedimenti «de libertate», pur se l'udienza preliminare debba ancora svolgersi, appartiene esclusivamente al giudice della udienza preliminare e non al giudice per le indagini preliminari (Cass. VI, n. 3047/2000; Cass. I, n. 5609/2008). Per ciò che concerne, infine, il tema dell'incompatibilità g.i.p. — g.u.p., gli interventi della Corte costituzionale si sono limitati a dichiarare l'illegittimità dell'art. 34, comma 1, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità a svolgere la relativa funzione del giudice che abbia pronunciato concorso a pronunciare sentenza poi annullata nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto (Corte cost., 6 luglio 2001), mentre la stessa Consulta ha, da un lato, dichiarato manifestamente infondata la questione diretta a ritenere l'incompatibilità del g.u.p. — sollevata con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost. — il quale abbia già esaminato, in un diverso procedimento, la posizione del correo, poiché nel caso di concorso di persone nel reato ogni condotta forma oggetto di distinta e autonoma valutazione (Corte cost. n. 367/2002) e, dall'altro, analogo giudizio di manifesta infondatezza è stato espresso quanto alla presunta legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 2-ter e comma 2-quater, — sotto il profilo della pretesa irragionevolezza della disciplina legislativa — nella parte in cui non prevedono l'inapplicabilità della regola sulla incapacità a tenere l'udienza preliminare nel medesimo procedimento anche per il giudice che, durante le indagini, abbia adottato un provvedimento di carattere interlocutorio quale la fissazione dell'interrogatorio preventivo di cui all'art. 289, comma 2, non seguita poi dall'assunzione in concreto dell'adempimento (Corte cost. n. 406/2002). Infine, con un ultimo intervento, la Corte costituzionale ha ritenuto che, da un punto di vista esegetico, ben può rientrare nell'ambito dei soggetti incompatibili a tenere l'udienza preliminare il giudice che abbia emesso il decreto di giudizio poi annullato (Corte cost. n. 335/2002), così dovendosi ritenere superata la precedente interpretazione che aveva ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 34, comma 2, — sollevata avendo riguardo agli artt. 3, 24 e 111 Cost. — volta ad escludere la compatibilità a tenere nuovamente l'udienza preliminare, nei confronti dello stesso imputato e del medesimo reato, del giudice il quale abbia disposto il decreto di giudizio poi annullato (Corte cost., 27 aprile 2001, n. 112). Il giudice competente nei c.d. reati ministerialiIl problema che si pone con riferimento alla disciplina applicabile ove si tratti di giudicare i soggetti sottoposti alle forme contemplate dalla L. Cost. 16 gennaio 1989, n. 1 è quello di individuare il g.u.p. competente, ossia se questi debba essere individuato nel c.d. tribunale distrettuale dei ministri o, invece, nel g.i.p. territorialmente competente in via ordinaria. La giurisprudenza della Cassazione è nel senso che deve escludersi l'applicabilità dell'ordinario regime della competenza per connessione con riferimento alla cognizione di reati per alcuni dei quali è competente l'autorità giudiziaria ordinaria e per altri il Collegio di cui all'art. 7 l. 16 gennaio 1989 n. 1: (Collegio per i reati ministeriali). Invero gli artt. 13 e 14 in tema di connessione prescrivono un assetto che trova la sua «ratio» di base nel pieno potere cognitorio sia della Corte costituzionale sia della giurisdizione ordinaria; potere che invece, con riguardo ai procedimenti di competenza del suddetto Collegio, non può eccedere la fase di chiusura delle indagini preliminari (Cass. VI, n. 5021/1996). A ciò si è aggiunto che l'attribuzione al Collegio competente per i reati ministeriali dei poteri di pubblico ministero in materia di indagini preliminari, la limitazione della sfera delle attribuzioni del pubblico ministero ai momenti di iniziativa e di partecipazione, il potere propositivo e decisionale riconosciuto al Collegio con riguardo sia all'archiviazione sia alla trasmissione della richiesta al Presidente della Camera competente nonché il potere di conferire al fatto una qualificazione diversa da quella indicata dall'art. 96 della Costituzione, con trasmissione degli atti direttamente all'autorità giudiziaria competente, sono aspetti che conferiscono al Collegio natura e caratterizzazione tali da rendere non compatibile la riconduzione di esso e delle relative funzioni agli attributi processuali del giudice per le indagini preliminari e, quindi, di definire la dialettica processuale tra il Collegio ed il pubblico ministero entro l'area dei rapporti tra giudice per le indagini preliminari e pubblico ministero nella fase stessa delle indagini disciplinata dal vigente codice di procedura penale (Cass. VI, n. 598/1993). Le perplessità della dottrina sulla scelta operata dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, del peraltro, sono state rafforzate dall'esegesi della norma costituzionale operata dalla Consulta la quale ha, infatti, ritenuto, con sentenza interpretativa di rigetto, come nei procedimenti per reati ministeriali l'udienza preliminare vada svolta dinanzi al giudice competente secondo le regole comuni, anziché di fronte al collegio distrettuale (Corte cost. n. 134/2002). I rapporti tra richiesta di rinvio a giudizio ed avviso ex art. 415-bisA seguito delle modifiche legislative intervenute tra il 1997 ed il 1999, la norma processuale in esame prevede oggi la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, anzitutto, se non è preceduta dall'avviso previsto dall'art. 415-bis La giurisprudenza, sul punto, è unanime nell'affermare che non è impugnabile, neanche sotto il profilo dell'abnormità, l'ordinanza con la quale il G.I.P., a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero, individuatane una nullità, dispone che lo stesso P.M. provveda al rinnovo dell'atto viziato (Cass. VI, n. 21113/2013). Si aggiunge, peraltro, che non è abnorme — in quanto non si pone fuori dal sistema organico della legge né, dal punto di vista funzionale, determina una stasi irreversibile del processo — il provvedimento con il quale il Gip dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per omesso avviso all'indagato della conclusione delle indagini preliminari (Cass. IV, n. 43679/2003). Quanto alla natura della nullità, si afferma che la nullità conseguente all'omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, prima della richiesta di rinvio a giudizio, rientra tra le nullità a regime intermedio, posta a garanzia dei diritti della difesa, e non tra le nullità assolute, non potendo il disposto di cui all'art. 415-bis ritenersi funzionale all'esercizio dell'azione penale da parte del P.M. (Cass. VI, n. 21436/2003; Cass. V, n. 21875/2014). Si discute, però, in giurisprudenza circa l'individuazione del termine entro cui eccepire detta nullità. A fronte di decisioni (Cass. V, n. 34515/2014), secondo cui detta nullità relativa deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 491, subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti, altre sentenze, invece, individuano il predetto termine nella deliberazione della sentenza di primo grado (Cass. VI, n. 2382/2018; da ultimo, in senso conforme: Cass. II, n. 46763/2018) od ancora prima del decreto che dispone il giudizio o della sentenza di non luogo a procedere ovvero, nel caso in cui non si proceda con udienza preliminare, nel termine stabilito dall'art. 491 per la proposizione delle questioni preliminari, restando altrimenti preclusa (Cass. VI, n. 23246/2003). In tale contesto, si osserva, l'omesso avviso di deposito della conclusione delle indagini ad uno dei due difensori di fiducia costituisce una nullità di ordine generale a regime intermedio e come tale sanabile. Ne consegue che, qualora la parte si sia avvalsa della facoltà al cui esercizio l'atto omesso era preordinato, recandosi ugualmente in cancelleria per visionare gli atti ed estrarne copia, la nullità risulta sanata (Cass. III, n. 47578/2003). Di contro, si osserva, è abnorme, in quanto comporta un'indebita regressione del procedimento, la declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio, derivante dalla nullità dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato all'indagato ed al difensore di ufficio, perché non reiterato al difensore di fiducia successivamente nominato. L'art. 415-bis, infatti, non prevede una nuova notifica dell'avviso una volta espletate le indagini a seguito dell'interrogatorio dell'indagato, in quanto il contraddittorio risulta assicurato dal deposito della documentazione relativa alle nuove indagini, imposto dall'art. 416 (Cass. III, n. 14756/2004). È invece abnorme, perché determina una illegittima regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari ritualmente conclusa, la declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, derivante dall'inosservanza delle prescrizioni concernenti l'avviso di conclusione delle indagini preliminari — come fissate all'art. 415-bis — pronunciata anche nei confronti dei coindagati che tale avviso hanno ritualmente ricevuto (Cass. VI, n. 4306/2004). Quanto, infine, alle ulteriori ipotesi di nullità della richiesta di rinvio a giudizio, si afferma in giurisprudenza che non è abnorme il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare che dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, in virtù dell'imprecisa enunciazione del fatto contestato (ex art. 18, l. 16 dicembre 1999, n. 479 che ha modificato la formulazione dell'art. 417, lett. b), disponendo conseguentemente la restituzione degli atti al Pubblico Ministero per quanto di competenza. Rientra, infatti, nei poteri del giudice dell'udienza preliminare verificare l'adempimento, da parte del PM, della prescrizione di legge introdotta con la novella predetta, in ordine alla enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, di guisa che l'esercizio di detto potere, per quanto opinabile nella sua concreta esplicazione, non può comunque ritenersi extra ordinem al punto da determinare l'abnormità del provvedimento (Cass. V, n. 36009/2001; contra, però, nel senso che è abnorme il provvedimento con il quale il giudice dell'udienza preliminare dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per la ritenuta indeterminatezza dell'imputazione: Cass. VI, n. 2567/2005). Altra questione affrontata dalla giurisprudenza è quella che attiene alle conseguenze dell'omissione del deposito di alcuni atti dell'indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell'avviso previsto dall'art. 415-bis; secondo la prevalente giurisprudenza, ciò comporta l'inutilizzabilità dei suddetti atti, ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio, stante il principio di tassatività delle nullità (Cass. V, n. 21593/2009). Infine, pur se non attinente direttamente al processo penale nei confronti della persona fisica, si segnala l’importante principio affermato dalla Cassazione in tema di processo all’Ente, secondo cui è affetta da nullità, ai sensi dell'art. 416, comma 1, c.p.p., la richiesta di rinvio a giudizio dell'ente che non sia stata preceduta dall'invito del legale rappresentante a rendere l'interrogatorio tempestivamente richiesto a seguito dell'emissione dell'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. (Cass. IV, n. 31641/2018). La nullità derivante dall'omesso espletamento dell'interrogatorio richiestoAltra ipotesi di nullità della richiesta di rinvio a giudizio è espressamente prevista nel caso in cui venga omesso l'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all'art. 415-bis, comma 3, stesso codice. La giurisprudenza prevalente, sul punto, afferma che la nullità della richiesta di rinvio a giudizio (e quella, derivata, del decreto che la dispone) conseguente al mancato invito all'imputato a presentarsi per rendere interrogatorio (art.416, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dall'art.17, comma 3, l. 16 dicembre 1999, n.479) sussiste anche nella ipotesi in cui lo stesso imputato sia stato sottoposto in precedenza a interrogatorio di garanzia ai sensi dell'art.294 a seguito di emissione di ordinanza applicativa di misura cautelare, essendo in ogni caso necessario che l'indagato non venga a trovarsi dinanzi al giudice dell'udienza preliminare senza essere messo in condizione di conoscere i fatti dai quali dovrà difendersi; detta nullità deve essere qualificata a regime intermedio ai sensi degli artt.178, lett.c) e 180, con la conseguenza che non può più essere rilevata o dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado (Cass. III, n. 4526/2002; Cass. V, n. 21875/2014). Altro orientamento giurisprudenziale, invece, sostiene che l'omissione dell'invito all'imputato a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art.375 non dà luogo alla nullità della richiesta di rinvio a giudizio prevista dall'art.416, comma 1 (nella formulazione introdotta dall'art.2, l. 16 luglio 1997 n.234 e antecedente alle ulteriori modifiche apportate dall'art.17, l. 16 dicembre 1999 n.479), qualora l'imputato, sottoposto a misura cautelare, abbia a suo tempo reso l'interrogatorio «di garanzia» ai sensi dell'art.294 e non abbia poi chiesto di essere nuovamente interrogato ovvero non siano stati compiuti dal pubblico ministero ulteriori atti d'indagine dai quali derivasse, ai fini del completamento del contraddittorio tra accusa e difesa, la necessità di una rinnovazione dell'atto (Cass. I, n. 43236/2001; Cass. V, n. 32030/2014). Va da sé, comunque, che la richiesta di rinvio a giudizio è nulla ex art. 416-bis, comma 1, (nel testo novellato dall'art. 2, comma 2, l. 16 luglio 1997, n.234) se non è preceduta dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari completo degli avvertimenti di cui all'art.415-bis, comma 3, ma la detta nullità non ricorre nell'ipotesi in cui detto avviso sia validamente notificato all'indagato e l'interrogatorio non abbia poi, di fatto, avuto luogo in quanto quest'ultimo, pur essendosi presentato, si sia rifiutato di rispondere (Cass. V, n. 32363/2002; Cass. III, n. 38785/2015). Mentre si osserva, ancora, che l'invito a presentarsi per rendere interrogatorio, che a norma dell'art. 416, comma 1, (nel testo novellato dall'art. 2, comma 2, l. 16 luglio 1997 n. 234 e antecedente alla modifica apportata dalla l. 16 dicembre 1999, n. 479) deve precedere la richiesta di rinvio a giudizio, ha la finalità di rendere possibile all'indagato di esporre le sue difese in ordine all'imputazione prima dell'esercizio dell'azione penale, onde essere eventualmente in grado di evitare il rinvio a giudizio. Ne consegue che non spiega alcuna conseguenza invalidante l'omissione di questa formalità nel caso in cui l'imputato ha chiesto ed ottenuto di essere giudicato con rito abbreviato, poiché, con l'accettazione di un giudizio allo stato degli atti, egli non tende a impedire la devoluzione del processo al giudice del dibattimento, ma vuole solo difendersi dall'accusa davanti al giudice per l'udienza preliminare (Cass. VI, n. 937/2002). È considerata però abnorme, in quanto determina un'indebita regressione del procedimento, l'ordinanza con la quale il Giudice dell'udienza preliminare annulli la richiesta di citazione a giudizio, e restituisca gli atti al P.M., per violazione dell'articolo 415-bis, sull'erroneo presupposto del mancato rispetto del termine di preavviso di cui all'art. 375, comma 4, in ordine alla previsione di cui al comma precedente circa l'invito all'indagato a presentarsi per rendere l'interrogatorio. Invero, la sanzione di nullità comminata dall'art. 416 per il caso di mancato invito ai sensi dell'art. 375, comma 3, non si estende al termine previsto dal comma 4: disposizione quest'ultima operativa soltanto con riferimento all'interrogatorio da rendere nel corso delle indagini preliminari e non, invece, nella diversa ipotesi di cui all'art. 415-bis (Cass. IV, n. 704/2004). Inoltre, la richiesta dell'indagato di rendere l'interrogatorio al pubblico ministero ai sensi dell'art. 375, eventualmente presentata nel corso delle indagini preliminari, non ha valore equipollente alla richiesta di interrogatorio prevista dal comma 3 dell'art. 415-bis, che obbliga l'organo dell'accusa ad assumere l'atto di indagine preliminare; pertanto non è nullo il decreto di citazione a giudizio emesso senza procedere all'interrogatorio dell'indagato che non ne abbia avanzato espressa richiesta nel termine di venti giorni dalla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, anche se in precedenza lo stesso aveva reiteratamente espresso la volontà di essere sentito dal pubblico ministero (Cass. VI, n. 17702/2004). Si noti che, secondo la giurisprudenza, l'obbligo del confronto preventivo tra accusa e difesa, imposto dall'art 416 comma 1 (il quale —in quanto atto propedeutico alla effettuazione dell'interrogatorio prima della chiusura delle indagini preliminari- prevede la nullità della richiesta predetta, quando essa non sia preceduta, tra l'altro, dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio) non può ritenersi soddisfatto dalla emissione di un invito a comparire per una data posteriore a quella figurante sulla richiesta di rinvio a giudizio (Cass. VI, n. 164/2001; Cass. I, n. 26021/2003). Peraltro, il mancato espletamento da parte del pubblico ministero dell'attività d'indagine richiesta dall'indagato ai sensi dell'art. 415-bis non è causa di nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio (Cass. I, n. 16908/2009, in cui la S.C. ha precisato che la sanzione della nullità è prevista solo per il mancato interrogatorio richiesto dall'indagato). Infine, con riferimento al rimedio impugnatorio, si sostiene da un lato, che il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare, constatato l'omesso invio dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 415-bis, dichiara «de plano», fuori dall'udienza e in assenza di contraddittorio tra le parti, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pubblico ministero è illegittimo, ma non abnorme, in quanto rientra nell'ambito dei poteri riconosciuti al giudice, non si colloca al di fuori dell'ordinamento e non determina una stasi processuale non altrimenti rimovibile (Cass. IV, n. 22859/2004); dall'altro, che non è impugnabile, né può ritenersi abnorme per la sola circostanza che il P.M. abbia formulato la richiesta a seguito della convalida dell'arresto e senza procedere ad ulteriori atti di indagine, in quanto esso è adottato in forza di un potere del quale il giudice è investito, né si discosta dagli abituali schemi procedimentali prescritti dalla legge (Cass. I, n. 28585/2004; Cass. II, n. 47691/2003). Le conseguenze derivanti dal deposito della richiesta di r.a.g.A seguito del deposito della richiesta di rinvio a giudizio si vengono a determinare alcune rilevanti conseguenze. Anzitutto, si ritiene tempestiva la richiesta di proroga della custodia cautelare avanzata dal P.M. prima della scadenza del termine per esercitare la facoltà prevista dall'art. 419, comma 3, (Cass. I, n. 1336/1993), ciò in quanto le indagini preliminari non possono considerarsi indefettibilmente concluse con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Pubblico Ministero, sicché non è irrituale la richiesta di proroga dei termini di custodia cautelare, ex art. 305, comma 2, presentata dopo la richiesta di rinvio a giudizio (Cass. I, n. 3498/1991). Secondo le Sezioni Unite, inoltre, in tema di proroga dei termini massimi della custodia cautelare, presupposto del provvedimento del giudice per le indagini preliminari, nei casi in cui ricorra la necessità — non ascrivibile ad inerzia colpevole del pubblico ministero — di compiere accertamenti particolarmente complessi ovvero nuove indagini a seguito delle richieste dell'indagato ai sensi dell'art. 415-bis, comma 4, è la sussistenza di una qualsiasi delle esigenze cautelari fra quelle indicate dall'art. 274 dello stesso codice, la quale deve essere tuttavia connotata da una rilevanza ed un'intensità maggiori rispetto a quelle ordinariamente sufficienti per l'applicazione della misura custodiale, con esclusione, comunque, dell'operatività della presunzione di cui all'art. 275 (Cass. S.U., n. 33541/2001). Ancora, si è affermato che l'assunzione delle prove nel contraddittorio delle parti disposta dal giudice ai sensi dell'art. 422, come modificato dalla l. n. 479 del 1999, non rientra nella fase delle indagini preliminari (caratterizzate dalla finalizzazione all'esercizio dell'azione penale, dalla direzione da parte del P.M. e dalla segretezza); ne consegue che non è applicabile, durante tale fase, la proroga della custodia cautelare, attinente soltanto alla fase delle indagini preliminari, né può essere ordinata la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, espressamente esclusa in relazione alle esigenze di acquisizione probatoria (Cass. II, n. 4352/2000). Si sottolinea, peraltro, che una misura restrittiva della libertà personale può essere applicata o mantenuta anche sulla base di acquisizioni probatorie successive all'invio dell'avviso di cui all'art. 415-bis, in quanto tale comunicazione non comporta limitazioni o decadenze rispetto al procedimento cautelare, che mantiene la sua autonomia (Cass. I, n. 23491/2003). Sotto altro aspetto, si afferma invece che la preclusione processuale determinata dal decreto di archiviazione (che impedisce, non solo l'utilizzabilità degli elementi acquisiti dal Pubblico ministero prima della formale riapertura delle indagini ai fini di prova, ma anche l'uso di questi per la richiesta di emissione di una misura cautelare) non opera quando, dopo la formale riapertura delle indagini, il contenuto informativo degli atti predetti sia stato recuperato attraverso nuovo espletamento degli stessi (Cass. V, n. 7480/2002). Sotto tale profilo, dunque, poiché l'archiviazione può essere equiparata ai provvedimenti indicati nell'art. 649 in ordine al ne bis in idem, l'azione va dichiarata improcedibile se non è preceduta da un decreto di riapertura delle indagini (Corte cost. n. 27/1995). La soppressione della corsia preferenziale per l’omicidio colposo e quello “stradale”Il comma 2-bis prevedeva che qualora si procedesse per i reati di cui agli articoli 589, comma e, e 589-bis c.p. (omicidio stradale, introdotto dalla recente l. 23 marzo 2016, n. 41), la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero doveva essere depositata entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari. Il termine indicato non era tuttavia perentorio ma solo ordinatorio ed era, conseguentemente, sfornito di sanzione processuale. L'art. 98, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2022, attuativo della c.d. riforma Cartabia, ha tuttavia soppresso il comma 2-bis (unitamente al comma 1-bis dell'art. 552) in tema di omicidio e lesioni stradali: anch'essi erano infatti incompatibili con il criterio di delega sub e), dell'art. 1 comma 9, della l. 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), relativo all'individuazione di un termine entro cui il P.M. deve determinarsi circa l'esercizio dell'azione penale, che contempla la «gravità del reato» unicamente quale fattore di prolungamento (e non già di abbreviazione) del cd. termine di riflessione. L'obbligo del p.m. di procedere alla trasmissione degli attiIl comma 2 dell'articolo in commento prevede che con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari e che il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove. Secondo la giurisprudenza non è configurabile inosservanza da parte del P. M. dell'obbligo di cui all'art. 416, comma 2, di depositare, con la richiesta di rinvio a giudizio, tutta la documentazione relativa alle indagini espletate, allorché, pur difettando l'immediata disponibilità di parte del materiale probatorio, esso risulti,in base gli atti, trasmesso sicché la difesa è in condizione di chiederne l'acquisizione al fine di prenderne visione ed estrarne copia (Cass. II, n. 6950/1998). Si afferma, poi, che il mancato deposito, contestualmente all'avviso di conclusione delle indagini preliminari, degli atti relativi alle intercettazioni telefoniche non determina l'inutilizzabilità delle stesse, allorché si tratti di intercettazioni disposte in un procedimento diverso, poiché le limitazioni temporali di cui agli art.415-bis e 416 sono operative solo con riguardo alle indagini espletate nell'ambito dello stesso procedimento (Cass. VI, n. 30966/2002). Ove sia stato autorizzato il ritardo sino alla conclusione delle indagini preliminari per il deposito delle trascrizioni, delle registrazioni e dei relativi decreti autorizzatori, il termine di cui all'art. 268, comma 5, coincide con quello di cui all'art. 415-bis stesso codice, sicché si fa luogo ad un unico deposito e l'indagato ed il suo difensore possono esercitare anche le facoltà di cui all'art. 268, comma 6 del codice di rito (Cass. V, n. 22957/2003). Si aggiunge che la mancata trasmissione al giudice per le indagini preliminari, con la richiesta di rinvio a giudizio, delle registrazioni di conversazioni intercettate, non determina alcuna nullità, né l'inutilizzabilità del relativo contenuto, se nel fascicolo vi è comunque traccia di tutte le indagini espletate e, più specificamente, dell'attività di intercettazione, attraverso la trascrizione del contenuto delle relative comunicazioni, essendo ciò sufficiente a porre la parte interessata nella condizione di difendersi, anche contestando la fedeltà delle trascrizioni e richiedendo, se del caso, l'ascolto diretto dei nastri (Cass. I, n. 3649/2010). Si esclude, poi, che possa essere qualificato come abnorme il provvedimento con il quale il giudice dell'udienza preliminare rigetta la richiesta avanzata dal P.M. di ammissione di atti e documenti prodotti dopo la richiesta di rinvio a giudizio (Cass. V, n. 32262/2003). Secondo la giurisprudenza, peraltro, gli artt. 416 e 130 disp. att., delegando al pubblico ministero l'onere di formare il fascicolo da trasmettere al giudice per le indagini preliminari con la richiesta di rinvio a giudizio degli imputati, attribuiscono in via esclusiva al potere delibativo dell'organo di accusa il compito di individuare e allegare quegli atti che attengono, strettamente, ai soggetti e all'oggetto del rinvio a giudizio, con la conseguenza che non può ipotizzarsi, a carico dello stesso pubblico ministero, alcun obbligo di allegazione di atti che riguardino persone estranee a tale oggetto ovvero afferenti a indagini diverse o ancora in corso di sviluppo (Cass. VI, n. 33067/2003). Da qui, dunque, l'affermazione che non lede il diritto di difesa l'esercizio da parte del pubblico ministero, ex art. 130 disp. att. del potere di formare il fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, mediante l'inserimento soltanto degli atti che si riferiscono alle persone ed alle imputazioni per cui richiede il rinvio a giudizio, a meno che non risulti da concreti elementi, recuperati anche attraverso investigazioni difensive, che la selezione abbia sottratto alla integrale «discovery» atti rilevanti per gli interessi della difesa (Cass. VI, n. 33435/2006, in cui la Corte ha aggiunto che, in ogni caso, la sanzione per la violazione dell'obbligo di cui all'art. 416, comma 2, è esclusivamente quella dell'inutilizzabilità degli atti non trasmessi, non essendo prevista la nullità dell'udienza preliminare e del decreto di rinvio a giudizio). In merito alle conseguenze derivanti dalla mancata trasmissione, la giurisprudenza afferma che l'omissione del deposito di atti dell'indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell'avviso di conclusione prescritto dall'art. 415-bis, comporta l'inutilizzabilità degli atti stessi, ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio (Cass. III, n. 24979/2018; Cass. III, n. 44422/2003; Cass. IV, n. 7597/2014). Nessuna violazione del principio del contraddittorio e nessuna lesione dei diritti della difesa si configura nell'ipotesi in cui si sia proceduto all'istruzione dibattimentale in mancanza del deposito, da parte del pubblico ministero, della documentazione relativa alle indagini espletate in un procedimento separato nei confronti dei presunti concorrenti nel reato ascritto all'imputato, quando tali atti non siano stati utilizzati nel dibattimento, neppure per le contestazioni; per assicurare la garanzia del contraddittorio, infatti, è necessario che sia comune a tutte le parti la conoscenza degli atti sui quali deve formarsi il convincimento del giudice, mentre non rilevano le pregresse conoscenze diversamente acquisite da ciascuna di esse (Cass. V, n. 1245/1998). Peraltro, il mancato deposito insieme con la richiesta di rinvio a giudizio, ai sensi dell'art. 416, di parte della documentazione relativa alle indagini espletate non è causa di nullità della richiesta stessa, comportando soltanto l'inutilizzabilità degli atti non trasmessi (Cass. I, n. 21376/2004; Cass. III, n. 49643/2015; Cass. I, n. 4071/2020). Al fine dell'assolvimento dell'onere di trasmissione al g.i.p., con la richiesta di rinvio a giudizio, della documentazione relativa alle indagini espletate, il P.M. ha il potere di individuare e allegare gli atti che attengono strettamente ai soggetti e alle imputazioni per cui viene esercitata l'azione penale e, nell'esercizio di esso, ben può stralciare, mediante degli «omissis», parti di dichiarazioni rese da persone informate sui fatti o da coimputati in un unico contesto e nell'ambito del medesimo atto processuale (Cass. I, n. 18362/2002). È stata invece considerata abnorme la sentenza mediante la quale il giudice definisca il dibattimento di primo grado con dichiarazione di non doversi procedere nei confronti dell'imputato con la formula «perché l'azione penale non deve essere proseguita in costanza di insanabile violazione del diritto di difesa” (Cass. I, n. 25707/2003, relativa a fattispecie nella quale il giudice di merito — rilevato che il pubblico ministero, nel formare il fascicolo ai sensi dell'art. 416 comma 2 in vista dell'udienza preliminare, aveva omesso di trasmettere atti di indagine favorevoli agli imputati — ha ritenuto integrata una causa di nullità del successivo decreto di rinvio a giudizio, e ormai inidonea anche la regressione del procedimento a consentire un »giusto processo”; in motivazione la Corte ha osservato che una decisione siffatta esprime una formula terminativa non contemplata dall'ordinamento, collegandosi una causa di improcedibilità ad una fattispecie di invalidità e paralizzando l'esercizio dell'azione penale al di fuori di ogni previsione legislativa). Conclusivamente, la violazione dell'obbligo del pubblico ministero di trasmettere al giudice per le indagini preliminari l'intera documentazione raccolta nel corso delle indagini è sanzionata esclusivamente dall'inutilizzabilità degli atti non trasmessi, non essendo prevista un'autonoma sanzione di invalidità per il mancato deposito degli atti, indipendentemente dalla loro utilizzazione (Cass. VI, n. 33067/2003; Cass. IV, n. 47497/2008). Da qui, dunque, l'affermazione di abnormità del provvedimento con il quale il tribunale dichiari la nullità del decreto che dispone il giudizio, sul presupposto dell'omesso deposito di alcuni atti delle indagini preliminari, da parte del pubblico ministero, in occasione dell'avviso di conclusione delle indagini stesse, posto che detta omissione comporta solo l'inutilizzabilità degli atti interessati, mentre il provvedimento dichiarativo della nullità comporta l'indebita regressione del procedimento (Cass. I, n. 8779/2004; Cass. IV, n. 26867/2006). CasisticaLa presentazione della richiesta del pubblico ministero Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 416, la stessa può così sintetizzarsi: a) la richiesta di rinvio a giudizio è l'atto propulsivo dell'azione penale, esercitato dal p.m., allorquando ritenga di scartare l'ipotesi alternativa dell'archiviazione; b) la richiesta di rinvio a giudizio è depositata dal p.m. nella cancelleria del G.i.p.; c) si prevedono alcuni casi di nullità ove la richiesta di rinvio a giudizio non è preceduta da determinati atti: 1) dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari; 2) dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio qualora l'indagato abbia chiesto di esservi sottoposto entro il termine indicato dall'art. 415-bis, comma 3; d) la presentazione della richiesta di rinvio a giudizio determina la discovery completa degli elementi acquisiti dal p.m.; e) si prevede che con la richiesta debba essere trasmesso dal p.m. il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari; f) al fascicolo vanno altresì allegati il corpo del reato e le cose ad esso pertinenti, qualora non debbano essere custoditi altrove; g) non esiste un termine per il deposito della richiesta di rinvio a giudizio, fatta eccezione per talune tipologie di reati. 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