Codice di Procedura Penale art. 418 - Fissazione dell'udienza.Fissazione dell'udienza. 1. Entro cinque giorni dal deposito della richiesta [409 5], il giudice [328] fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in camera di consiglio [127], provvedendo a norma dell'articolo 97 quando l'imputato è privo di difensore di fiducia1. 2. Tra la data di deposito della richiesta e la data dell'udienza non può intercorrere un termine superiore a trenta giorni.
[1] Il termine di cinque giorni è stato sostituito a quello di due giorni dall'art. 19 1 l. 16 dicembre 1999, n. 479. InquadramentoL'art. 418 prevede che la decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio è sottoposta al vaglio giurisdizionale operato in sede di udienza preliminare, al fine di impedire così dibattimenti superflui, garantendo al contempo la possibilità per le parti di accedere a forme di definizione del processo alternative al dibattimento. La norma processuale prevede che nel termine di cinque giorni dal deposito della richiesta, il giudice fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in camera di consiglio, nominando un difensore d'ufficio all'imputato quando questi è privo di difensore di fiducia. Tra la data di deposito della richiesta e la data dell'udienza non può intercorrere un termine superiore a trenta giorni. GeneralitàGli interventi della Corte costituzionale La norma processuale è sempre passata indenne al vaglio della Consulta. A tal proposito si registrano i seguenti interventi: a) è manifestamente inammissibile, in quanto irrilevante e sollevata con ordinanza motivata per relationem ad altri provvedimenti dello stesso giudice in ordine alla rilevanza ed alla non manifesta infondatezza, la questione di legittimità costituzionale degli art. 418, comma 1, e 419, comma 5 e 6, nella parte in cui rendono obbligatoria l'udienza preliminare, inibendo al giudice per le indagini preliminari ogni forma di controllo sulla scelta del rito da parte del p. m. e subordinano il rifiuto dell'udienza preliminare alla discrezionalità dell'imputato, in riferimento agli art. 2, 3, 97 e 101, comma 2, Cost. (Corte cost. n. 243/1991); b) sono manifestamente inammissibili, investendo scelte legislative riservate al legislatore (risultando altresì quella relativa all'art. 418 comma 2, priva di rilevanza), le questioni di legittimità costituzionale degli art. 418 e 419, comma 4; si sostiene, che entrambi i termini (rispettivamente di giorni trenta per celebrare l'udienza preliminare e giorni dieci per l'avviso alla difesa della data dell'udienza) appaiono sproporzionatamente troppo esigui e si tramutano in una inefficienza dell'udienza preliminare, che viene intasata quantitativamente e qualitativamente da un carico eccessivo di processi che snaturano la funzione di filtro selettore e di deflazione dibattimentale assegnata all'udienza stessa dal legislatore, violando l'art. 418, comma 2, l'art. 97 Cost. e l'art. 419, comma 4, l'art. 24 cost. sul diritto di difesa, che compete in egual misura a tutte le parti, pubbliche o private che siano, essendo tra l'altro il difensore di ufficio ulteriormente penalizzato rispetto al difensore di fiducia per la causale specificamente indicata all'odierna udienza dalla parte (Corte cost. n. 243/1991); c) è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 2, 3, 97 e 101, comma 2, Cost., la questione di legittimità costituzionale, esaminata per la prima volta, dell'art. 418, comma 1, (La Corte affermò che non sono tra loro comparabili le situazioni relative, da un lato alla mancata previsione, negli impugnati art. 418, comma 1, e art. 419, comma 5 e 6, di poteri del giudice rispetto alla richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio, previa udienza preliminare, e di poteri dello stesso giudice rispetto alla richiesta di giudizio immediato da parte dell'imputato, previa rinuncia all'udienza preliminare, e, da altro lato, alla prevista vincolatività della richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio, previa udienza preliminare (art. 418, comma 1), e sindacabilità, da parte del giudice, della richiesta del pubblico ministero di giudizio immediato (art. 455; invero, l'udienza preliminare, in quanto vaglio sulla sostenibilità dell'accusa, è oggetto di una garanzia preordinata a favore dell'imputato (e pertanto da lui rinunziabile), sicché si giustifica che l'attuazione della garanzia si ponga come regola e che la richiesta di rinvio a tale udienza da parte del pubblico ministero o la rinunzia dell'imputato alla stessa udienza non siano subordinate al controllo, quanto all'esistenza dei requisiti, del giudice, controllo che comporterebbe il sostituirsi del giudice alle parti nella scelta loro spettante. Non sussiste perciò violazione dell'art. 3 Cost., né, quindi, dell'art. 97 Cost., in quanto tale precetto non impone ad ogni costo la deflazione dei dibattimenti — che è solo un fine indiretto ed eventuale dell'udienza preliminare — né tantomeno dell'art. 101, comma 2, Cost., il quale non esclude presupposti rimessi all'iniziativa delle parti del giudizio penale né impone l'unicità del rito o la riserva al giudice della scelta fra riti alternativi, scelta che rappresenta punto di equilibrio fra azione del pubblico ministero e difesa dell'imputato: Corte cost. n. 256/1991); d) è manifestamente inammissibile, in quanto già dichiarata tale rispetto ad uno dei profili dedotti, con argomentazioni estensibili a fortiori a quello dedotto ex novo (richiedendosi alla Corte cost. interventi additivi in materia di termini processuali) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 418, comma 1 e 2, c. p. p. prospettata in riferimento agli art. 2 e 97 cost.; il giudice a quo, premesso che ai sensi del denunciato art. 418, il giudice è tenuto, per un verso, a procedere alla fissazione della detta udienza entro due giorni dalla richiesta (comma 1) e, per un altro verso, a stabilire la data dell'udienza entro un termine non superiore a trenta giorni dalla richiesta stessa; che «i detti termini sembrano univocamente perentori per la stessa tassativa dizione legislativa (''non superiore'), quindi a pena di decadenza, suscettibili di relativa eccezione nell'ipotesi di mancata osservanza degli stessi (art. 173 stesso cod.) e non passibili di proroga, non consentendolo il dettato della legge»; e che «la detta perentorietà ed esiguità dei termini» vulnera gli artt. 2 e 97 cost., «norma quest'ultima che, tramite l'organizzazione dei pubblici uffici secondo disposizioni di legge, assicura il buon andamento della p. a., in quanto al contrario la detta esiguità è fonte di grande disservizio costringendo», da un lato, «la cancelleria dell'ufficio del G.i.p. e gli ufficiali giudiziari nonché talvolta la polizia giudiziaria (art. 148, comma 2) ad un eccesso di lavoro» e, dall'altro lato, «il giudice competente ad un »intasamento« del suo ruolo d'udienza» e ciò a scapito delle «esigenze qualitative del lavoro», con la frequente necessità di «rinvii dell'udienza», cosicché il rispetto dei trenta giorni «diviene a tal punto meramente formale», quando, invece, «una interpretazione del termine in senso meramente ordinatorio» si adeguerebbe al principio di buon andamento; ha impugnato, ancora una volta, il predetto art. 418, in entrambi i commi in cui si articola, restandone coinvolta la funzionalità genetica del processo penale giunto allo stadio dell'udienza preliminare, ponendosi il problema dell'urgenza della trattazione dell'instaurato procedimento «laddove stabilisce termini perentori per l'emissione del decreto di citazione a giudizio e per la fissazione dell'udienza preliminare» (Corte cost. n. 306/1991); e) è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 2, 3 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 418, comma 2, sollevata sul presupposto che tale norma, nello stabilire un termine rigido per la fissazione della data dell'udienza preliminare senza distinguere a seconda che l'imputato sia domiciliato in Italia o all'estero, determini una disparità di trattamento rispetto alla disciplina differenziata dei termini per comparire nei giudizi civili prevista dall'art. 163-bis c.p.c.; la disciplina delle notificazioni nel procedimento penale, invero, non è confrontabile, ai fini del principio di eguaglianza, con quella prevista nel procedimento civile, diversi essendo gli interessi che nell'uno e nell'altro devono trovare tutela (Corte cost. n. 12/1992); f) è manifestamente inammissibile la q.l.c. degli art. 418 e 419, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare il decreto di fissazione dell'udienza preliminare ed il relativo avviso da notificare all'imputato, non prevedono — a differenza di quanto invece espressamente previsto all'art. 552, comma 1, lett. f), a favore dell'imputato tratto a giudizio mediante decreto di citazione diretta — che all'imputato medesimo sia dato l'avvertimento che, ricorrendone i presupposti, può presentare richiesta di applicazione della pena entro il termine di cui all'art. 421, comma 3, in quanto il rimettente, da un lato, omette di precisare, nella parte dispositiva dell'ordinanza, che l'avvertimento andrebbe previsto a pena di nullità nonché di indicare la ragione per la quale sarebbe ricavabile dal sistema una sanzione di nullità tale da determinare la regressione del procedimento alla fase ormai esaurita dell'udienza preliminare, e, dall'altro, omette di considerare che la nullità per mancato avvertimento, prevista all'art. 552, comma 2, ripropone il contenuto della declaratoria di illegittimità costituzionale del previgente art. 555, comma 2, di cui alla sentenza n. 497 del 1995, né chiarisce se, nel mutato quadro normativo, quelle stesse ragioni siano riferibili alla disciplina nella quale si vorrebbe introdurre un avviso analogo a quello previsto dall'attuale art. 552, comma 1, lett. f), sicché sussiste il difetto di motivazione circa i requisiti della pregiudizialità e della rilevanza della questione nel giudizio «a quo» (Corte cost. n. 484/2002); g) è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 418 del d.P.R. n. 447/1988 (Approvazione del codice di procedura penale), sollevata con riferimento agli artt. 3, 101, comma 2, e 111, comma 2, Cost., in quanto nella scelta legislativa della necessaria fissazione dell'udienza preliminare in esito all'inoltro della richiesta di rinvio a giudizio — ancorché ritenuta nulla o inammissibile — risiede l'evidente intento di valorizzare la garanzia del contraddittorio attraverso la doverosa celebrazione dell'udienza (Corte cost. n. 452/2005). Le scansioni temporali: i doveri del g.u.p.Premesso che il principio di immutabilità del giudice, ancorché applicabile nel procedimento camerale, non è, tuttavia, azionabile quando il giudice sostituito, nel corso dell'udienza preliminare, non abbia compiuto alcuna attività istruttoria; a tal fine, nessun rilievo svolge la mancata rinnovazione da parte del nuovo giudice dell'incidente probatorio — disposto, nella specie, per l'espletamento di una perizia contabile — in quanto esso non è parte dell'udienza preliminare, costituendone appunto un incidente, destinato all'acquisizione di una prova che per definizione potrà essere valutata da un giudice diverso da quello innanzi al quale detto incidente si svolge (Cass. V, n. 11938/2010), la norma processuale in esame stabilisce termini apparentemente rigidi per il giudice che riceve la richiesta di rinvio a giudizio del p.m. In particolare egli ha cinque giorni di tempo dal deposito della richiesta per fissare con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in camera di consiglio, provvedendo a nominare un difensore d'ufficio all'imputato che sia privo di difensore di fiducia. In giurisprudenza si è ritenuto abnorme e, come tale, ricorribile per cassazione il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di rinvio a giudizio, in luogo di fissare l'udienza, come prescritto dall'art. 418, dichiari la inammissibilità di detta richiesta (Cass. I, n. 6943/1997, nella specie sull'assunto che trattavasi di reati per i quali appariva obbligatorio il rito direttissimo). Pacifico è poi in giurisprudenza che l'art. 568 ha ribadito il principio, già esistente nel codice di rito del 1930, della impugnabilità dei provvedimenti del giudice solo nei casi tassativamente previsti dalla legge ed il decreto con cui il g.i.p., su richiesta del p.m., fissa l'udienza preliminare non rientra fra gli atti o provvedimenti impugnabili (Cass. I, n. 3628/1990). Significativa quella decisione che ha affermato che la sentenza con la quale il giudice ordinario dichiari il proprio difetto di giurisdizione nei riguardi del giudice speciale, in tanto può determinare, ai sensi dell'art. 29, la cessazione di conflitto di giurisdizione, in quanto un conflitto sia concretamente insorto in conseguenza della contemporanea cognizione del medesimo fatto, attribuito alla stessa persona, da parte di entrambi i giudici. In particolare, si trattava di una fattispecie, nella quale il G.I.P. presso il Tribunale ordinario aveva disposto, a richiesta del P.M., la fissazione dell'udienza preliminare, aveva fatto notificare all'imputato e alle persone offese il relativo avviso, con la richiesta di rinvio a giudizio del P.M., e comunicare al P.M. e al difensore dell'imputato il medesimo avviso, con l'avvertenza della facoltà di prendere visione degli atti e di presentare memorie e produrre documenti. In tale situazione, la S.C. ha ritenuto insussistente il conflitto, sul rilievo che le attività svolte dal G.I.P., rivestendo natura e funzione di atti — di regola dovuti e vincolati — meramente propulsivi del prescritto rito camerale, e perciò neutri, non comportando, di per sé soli e in assenza di altri qualificanti elementi di segno concludente, neppure implicitamente, la presa di cognizione del fatto-reato da parte del giudice delle indagini preliminari (Cass. I, n. 2639/1996). A fronte della richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pubblico ministero, il giudice non può però pronunciare «de plano» sentenza di non luogo a procedere, in applicazione dell'art.129, ma deve in ogni caso provvedere alla fissazione e alla celebrazione dell'udienza preliminare (Cass. I, n. 6747/1998). La richiesta di rinvio a giudizio apre infatti una fase processuale informata al principio del contraddittorio, che trova la sua sede naturale nell'udienza preliminare, istituzionalmente preordinata all'esame e alla discussione del fondamento della richiesta, all'esito della quale il giudice potrà esprimere le proprie determinazioni, compresa la pronuncia eventuale di una sentenza ai sensi dell'art. 129 (Cass. VI, n. 783/1999). Sul punto, però, per dirimere un contrasto giurisprudenziale (essendosi, ad esempio, affermato che il giudice per le indagini preliminari, richiesto del rinvio a giudizio, anche senza procedere all'udienza preliminare può pronunciare sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 129, ma ciò mai in base ad una modifica della qualificazione giuridica dei fatti, non operabile autonomamente dal giudice al di fuori del dibattimento: Cass. VI, n. 2624/1995), sono dovute intervenire le Sezioni Unite, affermando che il giudice dell'udienza preliminare, investito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio dell'imputato, non può emettere sentenza di non doversi procedere per la ritenuta sussistenza di una causa di non punibilità senza la previa fissazione della udienza in camera di consiglio: Il Supremo Consesso ha osservato che l'art. 129 non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo — artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice —, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio (Cass., S.U., n. 12283/2005). Da ultimo, si è infine chiarito in giurisprudenza che il decreto che dispone il giudizio mancante nel dispositivo dell'indicazione del nominativo dell'imputato è inesistente, per difetto assoluto di una decisione assunta nel contraddittorio delle parti, conseguendone che il giudice cui vengono ritrasmessi gli atti non deve limitarsi a "rinnovare" il provvedimento, ma deve assumere una nuova decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio proposta dal pubblico ministero, previa instaurazione del contraddittorio con le parti, alle quali devono essere pertanto notificati gli avvisi previsti dall'art. 419 (Cass. V, n. 33527/2019). La individuazione del difensoreNessun problema esegetico particolare, infine, pone la norma laddove prevede che il giudice deve provvedere a norma dell'art. 97 quando l'imputato è privo di difensore di fiducia. La scelta del difensore d'ufficio dovrà essere ovviamente eseguita secondo la procedura indicata dall'art. 97 Tuttavia, la nomina di altro difensore di ufficio immediatamente reperibile, ma non iscritto nell'elenco predisposto dal Consiglio dell'ordine forense, per il caso di assenza del difensore di ufficio originariamente designato, non è causa di nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), precisandosi che l'inosservanza della regola prevista dall'art. 97, comma 2, può configurare una nullità generale solo se la parte che la deduce dimostri che tale inosservanza abbia cagionato in concreto una lesione o menomazione del diritto di difesa (Cass. III, n. 5496/2009; Cass. I, n. 3333/2015). Si noti che, secondo la giurisprudenza, invece, il difensore di fiducia, anche se nel corso dell'udienza preliminare e del dibattimento non abbia svolto alcuna attività, ha il diritto di ricevere la notifica degli atti destinati alla difesa salvo che gli sia espressamente revocato il mandato ovvero sia sostituito da altro difensore, giacché non è prevista da alcuna norma la revoca tacita dell'incarico (Cass. VI, n. 18725/2001). Conseguenze della mancata osservanza dei terminiI termini indicati dalla norma processuale in esame sono pacificamente ordinatori e non perentori, non determinando quindi la loro mancato osservanza alcuna nullità né altra conseguenza processuale, potendosi tutt'al più prospettare solo eventuali sanzioni disciplinari in presenza di comprovata negligenza del giudice. Il termine di cinque giorni dal deposito della richiesta entro cui il giudice deve fissare con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in camera di consiglio, è stato sostituito a quello di due giorni dall'art. 19, comma 1, l. n. 479/1999. Si noti, peraltro, che qualora venga dichiarata la nullità del decreto che dispone il giudizio, il procedimento regredisce allo stato ed al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, e pertanto qualora la nullità venga dichiarata perché nel decreto è stato indicato un reato diverso da quello per cui era stato chiesto il rinvio a giudizio e si era celebrata l'udienza preliminare, il Giudice può limitarsi a riemettere il nuovo decreto senza fissare la udienza preliminare in quanto le parti avevano già ritualmente concluso sulle imputazioni contestate ab origine e pertanto non poteva determinarsi alcuna lesione del contraddittorio e del diritto di difesa (Cass. VI, n. 36382/2003). CasisticaFissazione dell'udienza Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 418, la stessa può così sintetizzarsi: a) nel termine di cinque giorni dal deposito della richiesta, il giudice fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza in camera di consiglio; b) deve nominare un difensore d'ufficio all'imputato quando questi è privo di difensore di fiducia; c) tra la data di deposito della richiesta e la data dell'udienza non può intercorrere un termine superiore a trenta giorni; d) detti termini hanno natura ordinatoria e la loro inosservanza non comporta nullità. 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