Codice di Procedura Penale art. 421 bis - Ordinanza per l'integrazione delle indagin 1 i.Ordinanza per l'integrazione delle indagin1i. 1. Quando non provvede a norma del comma 4 dell'articolo 421, il giudice, se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Del provvedimento è data comunicazione al procuratore generale presso la corte d'appello. 2. Il procuratore generale presso la corte d'appello può disporre con decreto motivato l'avocazione delle indagini a seguito della comunicazione prevista dal comma 1. Si applica, in quanto compatibile, la disposizione dell'articolo 412, comma 1.
[1] Articolo inserito dall'art. 21 l. 16 dicembre 1999, n. 479. InquadramentoL'art. 421-bis è stato introdotto al fine di garantire che la decisione presa in sede di udienza preliminare sia sostenuta dalla garanzia della completezza delle indagini. La norma stabilisce che quando il giudice non dichiara chiusa la discussione, se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Dovendo il giudice fissare in anticipo la data della nuova udienza preliminare, è dunque esclusa ogni possibile regressione del procedimento alla fase precedente l'esercizio dell'azione penale. Del provvedimento è data comunicazione al procuratore generale presso la corte d'appello. Il procuratore generale presso la corte d'appello può disporre con decreto motivato l'avocazione delle indagini a seguito della comunicazione. Si applica, in quanto compatibile, la disposizione dell'art. 412, comma 1, nel senso che il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione. GeneralitàL'ordinanza per l'integrazione delle indagini: sintesi Gli artt. 421-bis e 422, il primo introdotto dall'art. 21, l. n. 479/1999, il secondo sostituito dall'art. 22 della medesima legge, disciplinano i poteri del g.u.p. in tema di integrazione probatoria. L'art. 421-bis conferisce in particolare al g.u.p. il potere di ordinare al p.m. l'integrazione delle indagini, mentre l'art. 422 prevede l'assunzione d'ufficio di prove manifestamente decisive ai fini della sentenza di non luogo a procedere. Il g.u.p., se ritiene di non poter decidere allo stato degli atti e dichiarare la chiusura della discussione perché le indagini sono incomplete, deve indicare al p.m. le ulteriori indagini, fissare il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza nonché dare comunicazione della propria ordinanza al procuratore generale perché disponga, qualora ne reputi l'opportunità, l'avocazione delle indagini. Al giudice è dunque riconosciuta una funzione di controllo sulla completezza delle indagini strettamente correlata sia all'obbligatorietà dell'azione penale sia alla necessità di porre l'imputato in condizione di optare, a ragion veduta, per eventuali riti alternativi. Il principio di obbligatorietà dell'azione penale esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice; ciò comporta non solo il rigetto del contrapposto principio di opportunità che opera, in varia misura, nei sistemi ad azione penale facoltativa; ma, altresì, comporta che in casi dubbi l'azione vada esercitata e non omessa (principio del favor actionis). Azione penale obbligatoria non significa, però conseguenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né dovere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis. Limite implicito alla stessa obbligatorietà è che il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo. Conseguentemente, con riferimento al problema dei rapporti tra esercizio dell'azione penale e archiviazione, la Corte costituzionale ha affermato che il problema dell'archiviazione sta nell'evitare il processo superfluo senza eludere il principio di obbligatorietà e, a tal fine, col nuovo codice è stato predisposto un articolato sistema di controllo, non solo gerarchico interno agli uffici del p.m. e affidato al procuratore generale, ma anche uno esterno da parte del giudice (possibilità per il g.i.p. di chiedere ulteriori indagini o di restituire gli atti per la formulazione dell'imputazione) ed infine altro strumento è costituito dalla facoltà della parte offesa di opporsi alla richiesta di archiviazione (Corte cost. n. 88/1991). La funzione di controllo sulla completezza delle indagini è analoga a quella attribuita al g.i.p. in caso di richiesta d'archiviazione del p.m. (ex art. 409, comma 3) ed il giudice, nell'esercizio del suo potere, non può dichiarare inutilizzabile un atto compiuto dal p.m. durante la fase delle indagini preliminari L'impossibilità di decisione allo stato degli atti non è una valutazione di tipo assoluto ma una scelta discrezionale di differimento della conclusione dell'udienza preliminare per evitare che qualsiasi decisione sia condizionata dalla mancanza di elementi conoscitivi. La carenza delle necessarie informazioni ai fini della decisione è posta a carico del p.m., che è venuto meno al suo dovere di completezza nell'espletamento delle indagini preliminari. L'istituto di cui all'art. 421-bis non è concepito dal legislatore per assicurare il consolidamento di un quadro investigativo che presenti già i caratteri dell'idoneità a sostenere l'accusa in dibattimento, neppure nella logica dell'incentivazione delle richieste dell'imputato finalizzate alla definizione anticipata di tipo premiale. Le ulteriori indagini che il g.u.p. indica al p.m. non devono essere necessariamente connotate da “decisività” a carico, o a discarico, ma sono neutrali e servono solo a colmare la lacuna investigativa. Il g.u.p. deve «indicare le ulteriori indagini» al p.m. con specificazione dei temi incompleti lasciando intatta l'autonomia e libertà di scelta del p.m. circa la natura, il contenuto e le modalità d'assunzione dei singoli atti d'indagine. La disposizione non pone limiti al g.u.p. nell'individuazione del termine entro il quale il p.m. deve compiere le ulteriori indagini, con eventuale superamento dei termini di durata massima custodiale previsti dall'art. 303. Tuttavia nessuna disposizione stabilisce eventuali inutilizzabilità nell'ipotesi di svolgimento delle indagini dopo la scadenza prevista dallo stesso giudice. Non è previsto che detto termine sia prorogabile; e nulla esclude che, nella nuova udienza preliminare fissata, il g.u.p., qualora il p.m. ne faccia richiesta, conceda al medesimo di portare a compimento le ulteriori indagini, fissando un nuovo termine e una nuova udienza. L'art. 421-bis delinea implicitamente la necessità di un previo deposito degli atti compiuti e di un ragionevole lasso di tempo tra questo adempimento e la successiva udienza. Non vi sono discipline particolari nel caso di deposito tardivo, per cui, in tal caso, la difesa potrà chiedere un congruo termine a difesa per poter interloquire validamente nell'udienza di trattazione. Il p.m. ha l'obbligo di svolgere le ulteriori indagini indicategli dal g.u.p. L'eventuale inadempimento non comporta necessariamente la pronuncia di sentenza di non luogo a procedere. Nella nuova udienza preliminare si svolge una nuova discussione avente ad oggetto anche i risultati delle ulteriori indagini. In tale udienza non sussistono preclusioni al compimento di atti che ordinariamente trovano spazio nell'udienza preliminare, compresa la possibilità che l'imputato renda dichiarazioni spontanee. All'esito di detta nuova discussione, non può escludersi che il g.u.p. emani altra ordinanza ex art. 421-bis, nel caso, ad esempio, in cui il p.m. abbia adempiuto solo parzialmente all'ordine impartitogli, svolgendo, cioè, solo in parte le ulteriori indagini oppure nel caso in cui sia la stessa attività d'indagine svolta a richiedere altre connesse attività investigative. Gli interventi della giurisprudenza di legittimitàLa Corte di Cassazione ha avuto modo di occuparsi a più riprese della norma introdotta dalla legge Carotti. I giudici di legittimità, anzitutto, hanno puntualizzato che l'ordinanza del giudice, quando non demandi al Pubblico ministero il compimento di uno specifico atto, determina una devoluzione del tema delle indagini che — quantunque entro i limiti indicati dal G.u.p — va conciliata con le prerogative dell'accusa di accedere a percorsi investigativi differenti e di sviluppare la ricerca della prova, nel rispetto dell'ambito devoluto, nel modo più opportuno (Cass. IV, n. 21592/2007, in cui la Corte ha ritenuto legittima e rispondente all'integrazione probatoria richiesta di acquisizione di ulteriori dettagli sul fatto attraverso i verbalizzanti, la produzione da parte del pubblico ministero della relazione integrativa della Polizia giudiziaria, anche se essa era preesistente alla richiesta di integrazione medesima). È stata invece esclusa la natura di atto abnorme, ma si ritiene costituisca una mera irritualità, l'anticipata integrazione delle indagini disposta dal Gup ai sensi dell'art. 421-bis prima del momento stabilito da detta norma nella fase conclusiva dell'udienza preliminare, atteso che il provvedimento è stato comunque emesso nella sede propria dell'udienza preliminare e previa conoscenza del contenuto del fascicolo del P.M. (Cass. I, n. 25546/2002). Nello stesso senso, si è affermato che l'ordinanza per l'integrazione delle indagini emessa dal G.u.p. con cui venga disposta la verifica della imputabilità e della capacità di stare in giudizio dell'imputato non costituisce atto abnorme, sia per l'opportunità di compendiare in un unico atto di investigazione tale indagine sia per ragioni di economia processuale (Cass. VI, n. 28784/2008). Secondo la Cassazione è pacificamente illegittimo il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare, il quale, a norma dell'art. 421-bis dichiari l'inutilizzabilità, o altro vizio meramente procedurale, di un atto compiuto dal P.M. nella fase delle indagini preliminari, disponendo che questi provveda a completare le indagini mediante la rinnovazione dell'atto«, in quanto l'integrazione prevista dal citato art. 421-bis riguarda esclusivamente gli adempimenti istruttori, e non si estende alla sanatoria dei vizi procedurali. L'ordinanza relativa non è però »abnorme", in quanto non si tratta di provvedimento che, sotto il profilo strutturale, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, né che, sotto il profilo funzionale, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Cass. IV, n. 702/2004; Cass. IV, n. 42131/2008). A diversa soluzione si è invece pervenuti in altri casi. È stato infatti ritenuto abnorme, ed è pertanto ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il G.u.p., investito della richiesta di giudizio abbreviato subordinato ad integrazione probatoria, ordini lo svolgimento di ulteriori atti di indagine a norma dell'art. 421-bis, assegnando al P.M. un termine per il loro espletamento (Cass. VI, n. 20549/2010). La delimitazione cognitiva del potere di integrazione probatoriaL'utilizzo del potere di integrazione probatoria del G.u.p. non è illimitato. Sul punto, la Cassazione ha chiarito che il G.u.p., se rileva nel corso dell'udienza una causa di non punibilità emergente dagli atti (nella specie, la prescrizione del reato), non può avvalersi dei poteri istruttori conferitigli dagli artt. 421-bis e 422, dovendo l'ambito della sua cognizione rimanere cristallizzato allo stato degli atti esistente al momento processuale della rilevata causa di non punibilità, con preclusione di un approfondimento del «thema decidendum» (Cass. VI, n. 5438/2012). I rapporti con il rito abbreviatoSecondo la giurisprudenza della Cassazione, la richiesta di giudizio abbreviato può essere proposta fino al momento in cui il giudice dell'udienza preliminare dichiara chiusa la discussione e quindi anche dopo l'eventuale emissione dei provvedimenti di integrazione delle indagini o delle prove, che non possono che precedere la chiusura della discussione (Cass. I, n. 12887/2009). Si è ulteriormente specificato che anche nel giudizio abbreviato non condizionato, il potere di integrazione probatoria «ex officio» non è soggetto a limiti temporali, potendo intervenire in ogni momento e fase della procedura, anche prima della discussione e le valutazioni circa l'attività integrativa, qualora congruamente e logicamente motivate, sono insindacabili in sede di legittimità (Cass. II, n. 24995/2015). E' stato infine qualificato come abnorme il provvedimento del giudice dell'udienza preliminare che, investito della richiesta di giudizio abbreviato, senza pronunciarsi sulla ammissibilità del rito, disponga attività di integrazione istruttoria ai sensi dell'art. 421-bis, trattandosi di atto che altera l'ordinata sequenza del procedimento e ne dilata i tempi di definizione (Cass. V, n. 40449/2019). CasisticaOrdinanza per l'integrazione delle indagini Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 421-bis, la stessa può così sintetizzarsi: a) quando il giudice non dichiara chiusa la discussione, se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare; b) dovendo il giudice fissare in anticipo la data della nuova udienza preliminare, è dunque esclusa ogni possibile regressione del procedimento alla fase precedente l'esercizio dell'azione penale; c) del provvedimento è data comunicazione al procuratore generale presso la corte d'appello; d) il procuratore generale presso la corte d'appello può disporre con decreto motivato l'avocazione delle indagini a seguito della comunicazione; e) si applica, in quanto compatibile, la disposizione dell'art. 412, comma 1, nel senso che il procuratore generale svolge le indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro trenta giorni dal decreto di avocazione. 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