Codice di Procedura Penale art. 445 - Effetti dell'applicazione della pena su richiesta.Effetti dell'applicazione della pena su richiesta. 1.La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'articolo 240 del codice penale. Nei casi previsti dal presente comma è fatta salva l'applicazione del comma 1-ter.12. 1-bis. La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna.3 1-ter. Con la sentenza di applicazione della pena di cui all'articolo 444, comma 2, del presente codice per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis e 346-bis del codice penale, il giudice può applicare le pene accessorie previste dall'articolo 317-bis del codice penale4.
2. Il reato è estinto, ove sia stata irrogata una pena detentiva non superiore a due anni soli o congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena5.
[1] Il periodo "Nei casi previsti dal presente comma è fatta salva l'applicazione del comma 1-ter." è stato aggiunto dall'art.1, comma 4, lett. e, n. 1, l. 9 gennaio 2019, n.3. [2] Comma modificato dall'art. 2, comma 1, l. 27 marzo 2001, n. 97. Successivamente l'art. 2, comma 1, lett. a), l. 12 giugno 2003, n. 134, ha sostituito il precedente comma 1 con i commi 1 e 1-bis. Per una disposizione transitoria v. l'art. 5 l. n. 134, cit. [3] Comma da ultimo sostituito dall'art. 25, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Precedentemente il comma era il seguente: "1-bis. Salvo quanto previsto dall'articolo 653, la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna.". L'art. 2, comma 1, lett. a), l. 12 giugno 2003, n. 134, ha sostituito il precedente comma 1 con i commi 1 e 1-bis. Per una disposizione transitoria v. l'art. 5 l. n. 134, cit. [4] Comma inserito dall'art. 1, comma 4, lett. e), num. 2) l. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31 gennaio 2019. [5] Comma modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b), l. 12 giugno 2003, n. 134. InquadramentoL'art. 445 descrive gli ulteriori (rispetto alla riduzione della pena indicata nell'art. 444) vantaggi del rito speciale, nella logica di premialità cui si è ispirato il legislatore per incrementare il procedimento a fini deflattivi. La descrizione degli effetti premiali viene fatta non indicando positivamente quali siano le conseguenze connesse alla decisione, ma escludendo determinati effetti ed in particolare la condanna al pagamento delle spese processuali, l'applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, ad eccezione della confisca. Con la rivisitazione della legge n. 134/2003, da un lato, i predetti effetti premiali sono stati riservati alla sola ipotesi del patteggiamento tradizionale o ordinario e, dall'altro, si è ampliata la casistica delle ipotesi nelle quali si può procedere alla confisca. Modifiche introdotte dalla l. 9 gennaio 2019, n. 3L'art. 445, comma 1-ter prevede che «con la sentenza di applicazione della pena di cui all'articolo 444, comma 2, del presente codice per taluno dei delitti previsti dagli articoli 314, primo comma, 317,318,319,319-ter, 319-quater, primo comma, 320,321,322,322-bis e 346-bis del codice penale, il giudice può applicare le pene accessorie previste dall'articolo 317-bis del codice penale». Quanto all'ambito applicativo della nuova disciplina, non è in contestazione che essa incida sul "patteggiamento ordinario"; in tal senso depone il rinvio all'art. 445, comma 1-ter, contenuto nella clausola aggiunta al comma 1, norma quest'ultima che, come detto, si riferisce alle pene patteggiate di entità non superiore ai due anni di reclusione. Dunque, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 3 del 2019, gli imputati per i reati contro la P.A. non si giovano più automaticamente, in caso di "patteggiamento ordinario", del beneficio della esenzione dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p., poiché la valutazione sul punto è ora rimessa al giudice. In tal senso, si è fatto correttamente notare in dottrina, il primo dato che emerge dalla novellata disposizione normativa è che le modifiche apportate art. 445 incidono su uno dei principali profili di premialità tradizionalmente tipici del patteggiamento ordinario. Nella versione previgente, come è noto, il principio generale contenuto nell'art. 445, comma 1, era quello del divieto di applicazione delle pene accessorie nei casi in cui la pena applicata fosse contenuta nel limite di due anni di reclusione soli o congiunti a pena pecuniaria. La nuova clausola di salvezza posta al termine della disposizione in esame, richiamando in modo simmetrico la previsione normativa che ha introdotto il potere del giudice del patteggiamento di decidere, per alcune tipologie di reati contro la pubblica amministrazione, se applicare o meno le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 445, comma 1-ter), implica che, nei casi ed entro i limiti indicati, l'applicazione delle pene accessorie, da oggetto di un rigido divieto, viene attualmente rimodulata ad opzione decisoria, rimessa alla valutazione discrezionale del giudice. Si è osservato come, per effetto dell'intervento legislativo, si sia realizzato un sistema obiettivamente mutato in quanto il combinato disposto dei commi 1 e 1-ter dell'art. 445 così come modificati dalla legge in esame implica, infatti, che il giudice "non è più confinato al ruolo di mero veicolo di decisioni - id est, applicazione obbligatoria, nella generalità dei casi; divieto di applicazione, nel caso di patteggiamento ordinario - prese a monte dal legislatore alle quali egli, pertanto, può solo passivamente conformarsi, ma assurge all'inedito ruolo di organo chiamato a decidere, su base discrezionale, sull'an di applicazione delle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici e del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione". Quanto alla estensione di tale potere discrezionale del giudice anche al patteggiamento cosiddetto "allargato", in cui l'accordo processuale si riferisce a pene detentive di entità superiore ai due anni, la Corte Costituzionale ha già fatto notare che "mentre i lavori preparatori della legge n. 3 del 2019 potrebbero orientare verso la soluzione negativa - la relazione illustrativa al disegno di legge AC n. 1189 afferma, infatti, che si intendeva rimettere alla «valutazione discrezionale del giudice l'applicazione delle sanzioni accessorie, nel caso di irrogazione di una pena che non superi i due anni di reclusione» - la stessa conclusione non è affatto autorizzata dal tenore letterale degli artt. 444, comma 3-bis, e 445, comma 1-ter" (in tal senso, cfr., Corte cost. n. 231 del 2021). Si è sottolineato, in particolare, come nessuna delle due disposizioni indicate faccia esplicito riferimento, così come verosimilmente il legislatore intendeva, a specifiche soglie di pena detentiva concordata tra le parti. La frattura tra il contenuto della relazione di accompagnamento al disegno di legge e il testo normativo era stata segnalata. Infatti proprio l'assenza di distinzione tra le diverse forme di patteggiamento era stata evidenziata in sede di parere sul citato disegno di legge AC n. 1189 dal Consiglio superiore della magistratura che aveva evidenziato come la formulazione del proposto art. 444, comma 3-bis, «che richiama specificamente e senza limitazioni di pena [taluni] delitti contro la p.a., rende possibile un'interpretazione che includa nel suo ambito di operatività non solo il caso del patteggiamento a pena contenuta nei due anni [...] ma anche le ipotesi di patteggiamento a pena superiore a due anni di reclusione» (Parere del 19 dicembre 2018 sul disegno di legge AC n. 1189 "Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici). Nonostante le segnalazioni in questione, il legislatore non ha ritenuto di intervenire; dunque la lettera della legge, nel delineare il raggio d'azione delle nuove disposizioni, fa leva solo sul riferimento a determinati reati, con la sola aggiunta - nel caso dell'art. 445, comma 1-ter - del rinvio all'art. 444, comma 2. Si è fatto correttamente notare come ne sia conseguito un sistema per cui, da una parte, l'introduzione del potere del giudice di decidere se applicare o meno le pene accessorie per il patteggiamento non allargato, riveli il venir meno di uno dei principali profili di premialità generalmente riconosciuti dalla legge - il divieto di applicazione delle pene accessorie - ma, dall'altra, con particolare riguardo al caso di patteggiamento allargato, si siano delineati per l'imputato vantaggi altrimenti non previsti. Ne deriva che, in ragione del dato letterale della norma, la novella attrae nella sua sfera di efficacia non solo i casi di sentenze che applichino una pena non superiore ai due anni di reclusione ma anche le ipotesi di patteggiamento c.d. allargato (Cass. VI, n. 14238/2023; Cass. VI, n. 18510/2022). Un conclusivo rilievo si impone in merito all'incidenza sulle pene accessorie dell'estinzione del reato pronunciata al ricorrere delle condizioni di cui all'art. 445, comma 2. In difetto di un'espressa deroga, gli effetti estintivi opereranno, infatti, anche con riferimento alle pene accessorie, essendo queste, ai sensi dell'art. 20 c.p., effetti penali della condanna. La riforma CartabiaIl decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, di attuazione della l. 27 settembre 2021, n. 134 recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, con l'art. 25 ha previsto che la sentenza di patteggiamento, anche quando venga pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non abbia efficacia e non possa essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile. Ci si trova di fronte ad una delle scelte più significative, per quanto d'interesse, della riforma, che potrà incidere sulla maggiore appetibilità del rito, rispetto all'evoluzione contraddittoria avvenuta negli anni, derivante da una vera e propria assimilazione e parificazione della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna circa gli effetti preclusivi soprattutto in tema di partecipazione a gare pubbliche, ovvero il permanere o meno dei requisiti di onorabilità all'interno di organi gestori, nonché per l'appunto in ambito disciplinare e lavoristico. Non viene, invece, toccata la regola, affermata in sede giurisprudenziale, secondo cui la sentenza di patteggiamento può essere acquisita ed utilizzata a fini probatori in altro procedimento penale, ai sensi dell'art. 238-bis, stante l'equiparazione legislativa della stessa ad una sentenza di condanna (Cass. S.U., n. 17781/2006; Sez. 5, n. 12344/2018). Già la giurisprudenza civile (Cass. III civ. ord. n. 7014/2020) ha riconosciuto come la sentenza di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento e restituzione non ha efficacia di vincolo né di giudicato e non inverte l'onere della prova; la sentenza in parola, per il giudizio civile, non è un atto, ma un fatto e, come tale, può, al più, costituire un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi e se ricorrono i tre requisiti di cui all'art. 2729 c.c. Profili di diritto intertemporale In mancanza di diversa disposizione, trattandosi di norma processuale, si applica il principio del “tempus regit actum”. Si richiamano le considerazioni esposte nel par. 8.1 a commento dell’art. 438. Il patteggiamento ordinarioL'art. 2 l. 12 giugno 2003, n. 134 estende la possibilità di accedere al patteggiamento per quei reati punibili, in concreto e tenuto conto della riduzione per il rito, con sanzione detentiva non superiore a cinque anni. Si creano, così, due tipi di patteggiamento con effetti diversi: l'allargato e l'ordinario (detto anche, minor). Quest'ultimo è l'accordo che applica una pena non superiore a due anni di detenzione, soli o congiunti a multa e ammenda. La sentenza che lo accoglie ‹‹non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, né l'applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall'art. 240 c.p.››. A seguito di una tale pronuncia, ‹‹il reato è estinto... se nel termine di cinque anni, quando la sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la sentenza concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole›› (art. 445, comma 2). Di seguito, gli effetti della decisione. A) Spese processuali. L'imputato è esentato dal pagamento delle spese processuali; in esse non sono comprese né quelle di mantenimento in detenzione preventiva (Cass. VI, n. 25808/2008; contra, Cass. IV, n. 5404/2001), né quelle per la conservazione e la custodia delle cose sequestrate; se se lo Stato le ha anticipate, sussiste il diritto erariale di rivalsa anche per la sentenza di patteggiamento (Cass. I, n. 19687/2007); vi rientrano, invece, tutte le spese pubbliche volte a garantire l'espletamento della funzione giurisdizionale e, quindi, il corretto svolgimento del processo; le spese di custodia cautelare in carcere vanno addebitate all'imputato anche se la pena applicata non superi i due anni di reclusione, soli o congiunti a pena detentiva, trattandosi di spese non rientranti nella categoria delle spese del procedimento in senso stretto ex art. 445 ed essendo soggette a ripetizione, ai sensi dell'art. 204 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. VI, n. 46403/2019). B) Pene accessorie e misure di sicurezza. La loro applicazione è interdetta al giudice in caso di pena in concreto non superiore a due anni. Si pone il problema di come considerare questo limite nel reato continuato: la giurisprudenza ha stabilito che esso vale riguardo alla sanzione unica finale, comprensiva dell'aumento per la continuazione, e non, invece, in riferimento alla pena applicata per i singoli reati (Cass. V, n. 35148/2010). Non è consentita l’applicazione delle pene accessorie, per iniziativa del giudice, nel caso di sentenza di applicazione pena non superiore a due anni di reclusione ai fatti commessi prima del 31 gennaio 2019 (data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2019) trattandosi di un trattamento penale sfavorevole all’imputato dal momento che tale applicazione non era consentita dalla disciplina in materia di patteggiamento vigente al momento del fatto (Cass. VI, n. 40538/2021). Un discorso a parte merita la confisca, essendo l'unica misura di sicurezza applicabile al patteggiamento ordinario. Attualmente, il legislatore ne ammette l'irrogazione in tutti i casi previsti dal codice penale; prima del 2003 poteva essere disposta: a) nelle ipotesi dell'art. 240, comma 2, c.p. (ma non in quelle del primo comma); b) nelle singole fattispecie in cui si ricollegasse esplicitamente la confisca alla pronuncia di una sentenza di patteggiamento. L'art. 6, comma 1 d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 ha inserito nel codice di rito l'art. 240-bis (confisca in casi particolari), secondo cui, nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444, per taluno dei delitti previsti dall'art. 51, comma 3-bis, dagli artt. 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli artt. 453, 454, 455, 460, 461, 517-ter e 517-quater, nonché dagli artt. 452-quater, 452-octies, primo comma, 493-ter, 512-bis, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quater.1, relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico, 600-quinquies, 603-bis, 629, 644, 648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p., dall'art. 2635 c.c., o per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine costituzionale, è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, salvo che l'obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. La confisca in parola è ordinata in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per i reati di cui agli artt. 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635-ter, 635-quater, 635-quinquies quando le condotte ivi descritte riguardano tre o più sistemi. Nei casi previsti dal primo comma dell'art. 240-bis, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui allo stesso comma, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona. Nelle ipotesi dell'art. 240, comma 2, c.p., alla mancata applicazione della misura può rimediarsi con la rettifica degli errori materiali ex art. 130: si tratta, infatti, di restrizione che deriva ipso iure dalla sentenza e che non richiede — come, invece, gli altri casi di confisca (Cass. V, n. 8440/2007) — un'adeguata motivazione del giudice che ne esplichi la scelta tipicamente discrezionale. C) Estinzione del reato. La previsione dell'art. 445, comma 2, è limitata al patteggiamento minor. Affinché il reato si estingua, debbono trascorrere dalla sentenza cinque o due anni — a seconda che di delitto o di contravvenzione si tratti — senza che l'imputato abbia commesso ‹‹un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole››. Ci si è interrogati sulla corretta interpretazione di quest'ultimo sintagma e, in particolare, se il requisito dell'identità d'indole si riferisca a qualunque reato commesso nel periodo indicato dalla norma o, stante la disgiuntiva “ovvero”, solo alle contravvenzioni (in dottrina, v. Peroni, 1999, 142; in giurisprudenza, v. Cass. I, n. 262/2008, che opta per l'ultima lettura: così, un qualsiasi delitto nei cinque o due anni dalla decisione inibirebbe l'effetto estintivo dell'art. 445, comma 2, occorrendo, invece, per le contravvenzioni che siano della stessa indole della precedente). Per il dies a quo del periodo utile all'estinzione, deve considerarsi non la pubblicazione della sentenza ma il suo passaggio in giudicato. Verificatesi le condizioni dell'art. 445, comma 2, i relativi effetti si produrranno non automaticamente, ma a seguito di apposita pronuncia del giudice dell'esecuzione ex art. 676 (Cass. IV, n. 11560/2002). Il meccanismo delineato estingue ogni effetto penale e — solo nel caso di pene pecuniarie o sostitutive — non impedisce la concessione di una nuova, successiva, sospensione condizionale della pena. In ultimo, occorre comprendere se possa chiedersi la riabilitazione a fronte di una sentenza di patteggiamento: per l'art. 179 c.p. l'imputato può formulare al tribunale di sorveglianza un'istanza di riabilitazione dopo tre anni dal passaggio in giudicato della condanna; egli ha interesse a percorrere questa strada, potendo ottenere con due anni d'anticipo un effetto del tutto simile a quello dell'art. 445, comma 2. Le sanzioni amministrative accessorieA differenza delle pene accessorie, le sanzioni amministrative accessorie devono essere sempre disposte con la sentenza di applicazione pena, anche se questa non è superiore ai due anni di pena detentiva. Il carattere obbligatorio di tale provvedimento, comporta la sua estraneità al contenuto dell'accordo (Cass. III, n. 2896/1997). Pertanto, il mancato riferimento alla sanzione amministrativa accessoria nella richiesta o nell'accettazione del patteggiamento non vizia il consenso prestato, rientrando tale pronuncia accessoria tra gli effetti legali della sentenza di patteggiamento (Cass. III, n. 24087/2008). È, invece, controverso se l'omissione del giudice che non abbia applicato la sanzione amministrativa accessoria possa essere emendata con il procedimento di correzione dell'errore materiale, ovvero se sia onere della pubblica accusa proporre ricorso per cassazione (nel primo senso, v. Cass. III, n. 758/1999; nel secondo senso, v. Cass. III, n. 4751/2008). In ogni caso, il giudice dell'esecuzione non ha alcuna competenza in ordine a tale adempimento onde la parte interessata non può promuovere incidente di esecuzione ai sensi degli artt. 665 ss. (Cass. III, n. 10067/2009). Tra le sanzioni amministrative accessorie sono ricompresi: — l'ordine di demolizione delle opere abusive eseguite in assenza o totale difformità del permesso di costruire o con variazioni essenziali ex art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (cfr., Cass. III, n. 64/1998); — l'ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi di cui all'art. 181, comma 2, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (cfr., Cass. III, n. 47331/2007); — la sospensione della patente di guida di cui agli artt. 186, 218 e 222 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (cfr., tra le tante, Cass. IV, n. 27994/2012): il giudice deve anche determinarne la durata, facendo riferimento alla gravità della violazione commessa, all'entità del danno cagionato e al pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe determinare, avvalendosi dei medesimi parametri predeterminati in generale per l'autorità amministrativa (cfr., tra le tante, Cass. VI, n. 3721/1999); l'interferenza tra l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria da parte del prefetto e quella inflitta poi dal giudice è risolta nel senso della loro non cumulabilità, di tal che il prefetto dovrà provvedere alla detrazione del periodo di sospensione cautelare eventualmente scontato, qualora la durata della sospensione inflitta dal giudice sia superiore a quella indicata in via provvisoria dall'autorità amministrativa (cfr. Cass. S.U., n. 20/2000); Il divieto di accesso alle competizioni sportiveLa l. n. 401/1989 prevede distinte fattispecie del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono le competizioni sportive. Questioni particolari non si pongono in relazione alle sanzioni previste dall'art. 5 l. n. 401/1989, espressamente qualificate come pene accessorie dallo stesso legislatore. Quanto al divieto di accesso nonché all'obbligo di presentarsi in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di competizioni agonistiche disciplinati dall'art. 6, comma 7, l. n. 401/1989, la previsione della loro compatibilità con la sentenza di applicazione pena dà implicita conferma della volontà del legislatore di voler attribuire loro carattere di pena accessoria, altrimenti la norma, che si configura come eccezionale al principio di cui all'art. 445, comma 2, sarebbe stata inutile (Cass. III, n. 44022/2009). Contrasti interpretativi esistono, invece, con riferimento all'ambigua formula dell'art. 8 l. n. 401/1989, secondo cui nei casi di arresto in flagranza per un reato commesso durante o in occasione di manifestazioni sportive, i provvedimenti di remissione in libertà conseguenti alla convalida di fermo o di arresto o di concessione della sospensione condizionale della pena a seguito di giudizio direttissimo possono contenere prescrizioni in ordine al divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche. Secondo un primo orientamento, tali prescrizioni non hanno natura di pena accessoria né di misura di sicurezza, di tal che sono compatibili con la sentenza di applicazione pena su richiesta delle parti (Cass. VI, n. 4164/1991; secondo, Cass. VI, n. 433/2003, esse hanno natura atipica di misura di prevenzione e possono pertanto essere applicate dal giudice indipendentemente dal fatto che abbiano formato oggetto di accordo tra le parti). Altra giurisprudenza sostiene, invece, che i provvedimenti indicati nell'art. 8 costituiscano pene accessorie che non possono pertanto essere ordinate con la sentenza di cui all'art. 444 (Cass. VI, n. 4251/1991), salvo che le parti abbiano concordato l'applicazione di una pena detentiva superiore a due anni. La revoca della sospensione condizionale della penaSuccessivamente all'entrata in vigore della l. n. 134/2003, la giurisprudenza, mutando il proprio precedente orientamento, ha riconosciuto che il giudice possa, con la sentenza di applicazione pena, revocare il beneficio della sospensione condizionale concesso con una precedente condanna. A questa conclusione si è giunti osservando che, la sentenza ex art. 444, è equiparata ad una pronuncia di condanna, con la conseguenza che ad essa devono essere riconosciuti tutti gli effetti giuridici tipici di tali pronunce, salvo che non siano espressamente esclusi (Cass. S.U., n. 3087/2006). Pacifica è, invece, la revocabilità della sospensione condizionale della pena nel caso inverso: infatti, con una sentenza ordinaria di condanna, sarà sempre possibile revocare il suddetto beneficio in precedenza concesso con una sentenza di applicazione della pena (cfr., tra le tante, Cass. I, n. 13799/2008). La medesima giurisprudenza ha riconosciuto che, con la sentenza ex art. 444, pronunciata per un reato anteriormente commesso, è possibile revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi dell'art. 168, comma 1, n. 2 c.p. (Cass. S.U., n. 3600/1997) e che la medesima sentenza che riconosca il beneficio della sospensione condizionale della pena detentiva applicata è ostativa alla concessione di nuovo beneficio della sospensione condizionale in relazione ad una successiva sentenza di condanna a pena che, cumulata con la precedente, superi i limiti quantitativi fissati dalla legge. Per contro, la natura della sentenza di patteggiamento non incide in alcun modo su altre fattispecie di revoca o di divieto di concessione del beneficio che prescindono da tale accertamento (cfr., Cass. S.U., n. 31/2001). Patteggiamento ed estinzione del reatoLa commissione di un delitto nel termine di cinque anni comporta il rigetto della richiesta di estinzione del reato per il quale è intervenuta sentenza di patteggiamento solo se detta commissione sia stata accertata con decisione irrevocabile, ancorché pronunciata oltre il quinquennio (Cass. I, n. 28616/2021). In base a detto orientamento maggioritario, per l'operatività della causa ostativa, è necessario che il nuovo reato — e la sua commissione nel termine stabilito dalla legge — sia stato accertato con sentenza irrevocabile, non potendo bastare allo scopo la mera esistenza di una notitia criminis iscritta nel registro di cui all'art. 335 del codice di rito. In forza del principio costituzionale di non colpevolezza, fino alla pronuncia di una condanna definitiva (art. 27, comma 2, Cost.), un reato attribuito a un determinato soggetto non può, invero, ritenersi da questi “commesso” fintantoché non sia stato accertato con sentenza irrevocabile, così come statuito dalla Corte cost. n. 107/1998 riguardante la specifica materia in esame, e come già affermato dalla S.C. nel caso della revoca del beneficio dell'indulto per effetto della commissione di un nuovo delitto nei casi e nei termini previsti dall'art. 1, comma 3, l. n. 241/2006 (Cass. I, n. 20907/2010). L'orientamento in parola (già affermato da Cass. I, n. 32801/2005 e da Cass. I, n. 44567/2010) è contrastato da un diverso indirizzo interpretativo (Cass. III, n. 36993/2011), secondo il quale l'accoglimento della richiesta di declaratoria di estinzione del reato oggetto della sentenza di applicazione della pena è precluso dall'aver l'istante commesso un altro delitto nel quinquennio successivo, non richiedendosi anche che quest'ultimo sia stato oggetto di sentenza irrevocabile. In particolare la S.C. (Cass. III, n. 36993/2011) ha rilevato che, se è ben vero — secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (Corte cost. n. 107/1998) — che l'effetto preclusivo richiede un accertamento del fatto in via definitiva anche se la sentenza irrevocabile sopraggiunga dopo lo scadere del termine, è tuttavia altrettanto certo che occorre tenere distinti i due momenti della commissione del fatto entro il termine previsto dalla legge e dell'accertamento giudiziale della colpevolezza che può intervenire anche dopo la scadenza di tale termine. Da ciò consegue che, per la pendenza di un procedimento penale, già definito con sentenza di condanna ancorché non ancora definitiva, relativamente ad un reato commesso nel periodo previsto dalla legge, non si può ritenere realizzata la previsione della mancata perpetrazione di un reato nel termine previsto, e ciò perché, a differenza di quanto accade per la sospensione condizionale della pena, non è ammissibile — perché non prevista dall'ordinamento — una declaratoria di estinzione del reato subordinata ad un eventuale revoca conseguente all'accertamento definitivo della colpevolezza per il nuovo reato. In definitiva, se è vero che l'effetto estintivo è precluso solo dalla commissione, nel termine prescritto, di un reato per il quale sia intervenuta sentenza di condanna definitiva, è altrettanto certo che la causa estintiva non può essere applicata quando la condizione, alla quale essa è subordinata, sia ancora incerta per la pendenza del relativo accertamento. Tale soluzione è imposta dalla circostanza che, mentre è prevista dall'art. 168 c.p. la revoca della sospensione condizionale della pena nell'ipotesi di commissione di un nuovo reato, non è invece contemplata la revoca della declaratoria di estinzione del reato pronunciata ex art. 445, comma 2, allorché, dopo l'adozione dell'ordinanza estintiva, sia pronunciata o comunque diventi irrevocabile la sentenza che accerta la commissione del reato; né, tanto meno, è estensibile alla fattispecie in esame il richiamato art. 168 c.p., trattandosi di analogia in malam partem. La declaratoria di estinzione del reato conseguente al decorso dei termini e al verificarsi delle condizioni previste dall’art. 445 comporta l’estinzione degli effetti penali anche ai fini della recidiva (Cass. II, n. 16442/2021). L'estinzione del reato e degli effetti penali ai sensi dell'art. 445, comma 2, non implica che debba revocarsi l'indulto concesso sulla pena corrispondente, non sussistendo incompatibilità tra i due istituti in ragione dei loro diversi ambiti di operatività (Cass. I, n. 51694/2018). CasisticaL'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato prevista dall'art. 16 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, essendo una misura sostitutiva della detenzione in carcere e non una misura di sicurezza, esula dall'accordo delle parti sull'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 e può essere disposta direttamente dal giudice, all'esito di una valutazione discrezionale dei parametri normativi, con una statuizione che l'interessato, in assenza della domanda di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non ha un interesse concreto ed attuale ad impugnare (Cass. I, n. 33799/2014). Ai fini dell'operatività dell'art. 445, comma 2 — secondo cui, in caso di applicazione di pena concordata, il reato è estinto se, nei termini indicati dalla disposizione, l'imputato non commette un delitto o una contravvenzione della «stessa indole» — il giudice deve in primo luogo valutare se l'eventuale ulteriore reato commesso nel periodo di osservazione sia formalmente omogeneo al primo, in quanto in violazione della medesima disposizione di legge e, in caso negativo, verificare se sussista comunque una identità di indole sostanziale, in ragione della natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati (Cass. I, n. 27906/2014). L'estinzione del reato, che ha costituto oggetto di sentenza di patteggiamento, in conseguenza del verificarsi delle condizioni previste dall'art. 445, comma 2, opera ipso iure e non richiede una formale pronuncia da parte del giudice dell'esecuzione (Cass. V, n. 20068/2015). La previsione di cui all'art. 445 si estende anche alle spese di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare (Cass. V, n. 6787/2015). Il beneficio della non menzione della pronuncia nel certificato del casellario giudiziale, previsto dagli artt. 24 e 25 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, si applica anche nel caso di sentenza relativa a cd. patteggiamento allargato (Cass. I, n. 12903/2017). In caso di patteggiamento di una pena detentiva superiore ai due anni devono essere necessariamente applicate le pene accessorie obbligatorie per legge, a nulla rilevando che non se ne faccia menzione nell'accordo tra le parti (Cass. IV, n. 28905/2019). Nel disporre la confisca per equivalente il giudice non può limitarsi all'adozione di una motivazione sintetica tipica del rito ma è tenuto ad una esplicitazione specifica delle ragioni per cui ritiene sussistenti i presupposti per adottarla e non attendibili le giustificazioni eventualmente addotte sull'esistenza di una sproporzione tra i valori sequestrati ed il profitto del reato per cui è stato apposto il vincolo cautelare (Cass. II, n. 9375/2019). In tema di reati contro la P.A., il patteggiamento, anche nella forma cd. allargata, preclude l'applicazione della riparazione pecuniaria di cui all'art. 322-quater c.p., poiché quest'ultima presuppone la pronunzia di una sentenza di condanna e non anche quella di applicazione di pena che, nel prescindere dall'accertamento positivo della penale responsabilità dell'imputato, è solo equiparata ad una pronuncia di condanna (Cass. VI, n. 33260/2021, in cui si è precisato che la riparazione pecuniaria ha natura di sanzione civile accessoria, sicché la sua applicazione in assenza dei presupposti di legge è riconducibile nell'ambito delle ipotesi di irrogazione di "pena illegale", con conseguente ammissibilità del ricorso per cassazione ai sensi del novellato art. 448, comma 2-bis). Secondo la più recente giurisprudenza, in caso di richiesta di applicazione concordata della pena subordinata alla sua sospensione condizionale, le parti possono ulteriormente subordinare la concessione del beneficio all'imposizione di obblighi e in particolare alla prestazione da parte dell'imputato di attività non retribuita in favore della collettività, purché specifichino il termine di durata della prestazione (Cass. II, n. 27633/2021). 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Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, Milano, 2006, 426; Lattanzi, L'applicazione della pena su richiesta delle parti, in Cass. pen. 1989, 2105; Lorusso, Provvedimento “allo stato degli atti” e processo penale di parti, Milano, 1995; Lorusso, Il patteggiamento allargato tra limiti all'accertamento della verità ed esigenze di deflazione processuale, in Dir. pen. e proc. 2004, 665; Marzaduri, Una riforma dagli effetti incerti che mette a dura prova l'interprete, in Guida dir. 2003, n. 25, 5; Peroni, La sentenza di patteggiamento, Padova, 1999; Spangher, La legge sul patteggiamento “allargato”, in Corr. giur. 2003, 1125; Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della “legge Cartabia”, in Sistema penale, 15 ottobre 2021; Varraso, La “legge Cartabia” e l’apporto dei procedimenti speciali al recupero dell’efficienza processuale, in Sistema penale, 2/2022, 29 e ss.; Conte, L’immediatezza nella riforma Cartabia, in Giur. pen. web, 2022, 6; Donini, Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità, in Politica del diritto, 4/2021, 591 e ss.; Bassi, I riti speciali nella riforma Cartabia: un’occasione mancata ?, in Il Penalista, 25 ottobre 2021; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 60/2021, 3 novembre 2021; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 68/2022, 7 novembre 2022; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 2/2023, 5 gennaio 2023. |