Codice di Procedura Penale art. 446 - Richiesta di applicazione della pena e consenso.Richiesta di applicazione della pena e consenso. 1. Le parti possono formulare la richiesta prevista dall'articolo 444, comma 1, fino alla presentazione delle conclusioni di cui agli articoli 421, comma 3, e 422, comma 3, e fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo. Se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabilite dall'articolo 458, comma 1 o all'udienza prevista dal comma 2-bis dello stesso articolo 12. 2. La richiesta e il consenso nell'udienza sono formulati oralmente; negli altri casi sono formulati con atto scritto. 3. La volontà dell'imputato [60, 61] è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale [122] e la sottoscrizione è autenticata da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore3. 4. Il consenso sulla richiesta può essere dato entro i termini previsti dal comma 1, anche se in precedenza era stato negato4 . 5. Il giudice, se ritiene opportuno verificare la volontarietà della richiesta o del consenso, dispone la comparizione dell'imputato. 6. Il pubblico ministero, in caso di dissenso, deve enunciarne le ragioni [448 1].
[1] [1] Comma sostituito dall'art. 331 lett. a)l. 16 dicembre 1999, n. 479 e successivamente modificato dall'art. 25, comma 1, lett. c), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha aggiunto le parole: «o all'udienza prevista dal comma 2-bis dello stesso articolo» dopo il secondo periodo. [2] [2] Per una disposizione transitoria v. l'art. 5 l. 12 giugno 2003, n. 134. [3] [3] Comma modificato dall'art. 25, comma 1, lett. c), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito le parole «da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore» alle parole «nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3». InquadramentoLa richiesta di applicazione della pena nasce dall'incontro di due manifestazioni di volontà provenienti dai soggetti legittimati. Di regola, una parte prende l'iniziativa formulando uno schema di accordo per il quale chiede il consenso all'altra; una volta formato l'accordo, la richiesta “congiunta” viene sottoposta al vaglio del giudice. La richiesta deve contenere, a pena di inammissibilità, la specie e la misura della sanzione da applicare e presuppone l'esistenza di un'imputazione. Forme e terminiL'art. 446, comma 2, impone l'oralità di richiesta e consenso nell'udienza, prescrivendo, invece, la forma scritta negli altri casi. Non è una regola inderogabile, stante la potestà per il giudice di disporre la comparizione dell'imputato, ritenendo opportuno verificare la volontarietà della sua scelta, e potendosi svolgere il giudizio in sua assenza negli altri casi (art. 446, comma 5). Peraltro, se l'oralità dell'accordo in udienza fosse un requisito essenziale, sarebbe imposta la presenza dell'accusato in ogni caso, e non solo quando fosse necessario valutare l'autenticità delle sue determinazioni. La conclusione è confortata, poi, dalla regola generale per cui le parti hanno la facoltà di presentare al giudice richieste e memorie scritte (art. 121): tra esse vi sono quelle per l'applicazione della pena. La volontà dell'imputato deve essere certa; così deve soddisfarsi uno dei seguenti requisiti: a) che l'imputato sia presente all'udienza e lì formuli, a voce o a mezzo del difensore, la proposta o acconsenta all'istanza del P.m.; b) che lo stesso non presenzi davanti al giudice, ma abbia conferito al difensore procura speciale per accordarsi sull'applicazione della pena; c) che, in caso di istanza scritta, l'intesa sia firmata dall'imputato richiedente e la sottoscrizione, autenticata; in quest'ipotesi la richiesta o il consenso possono essere prestati anche da procuratore speciale (art. 446, comma 3). Nell'ipotesi di eccesso dai limiti del mandato in cui incorra il difensore, la S.C. ha affermato che tale vicenda si esaurisce nel rapporto intercorrente tra l'imputato e il difensore medesimo e non dispiega effetti sulla decisione (Cass. III, n. 546/1993). Si è inoltre affermato che, se è vero che la richiesta di patteggiamento è valida anche se la procura non contiene indicazioni sulla pena da concordare, deve tuttavia essere escluso che il procuratore speciale possa superare i limiti eventualmente delineati nella procura speciale conferita, né in relazione alla pena ove predeterminata, né con riferimento alle ulteriori condizioni alle quali la richiesta sia stata eventualmente subordinata, sicché si ritiene che faccia un uso illegittimo del mandato il difensore nominato procuratore speciale che patteggi la pena senza prevedere la sospensione condizionale della pena, allorquando la concessione di tale beneficio abbia costituito oggetto di un espresso vincolo in sede di conferimento della procura speciale (Cass. III, n. 41880/2008). In ogni caso, il giudice che avesse dubbi sull'autentica volontà dell'imputato, ne ordina la comparizione (art. 446, comma 5). Con riferimento ai termini di presentazione della richiesta, si ritiene che gli stessi abbiano carattere perentorio, con la conseguenza che il loro superamento comporta la decadenza dal potere di formulare l'istanza di patteggiamento e l'inammissibilità della domanda tardiva, mentre l'eventuale sentenza con cui il giudice aderisse all'accordo tardivo sarebbe nulla (Cass. VI, n. 20390/2009). Entro i termini prescritti, deve intervenire non solo l'istanza, ma anche il consenso dell'altra parte: ne consegue, da un lato che, la negazione del consenso, da chiunque provenga, non ha efficacia preclusiva in ordine ad un futuro possibile ripensamento in senso adesivo a quella medesima proposta, purché l'accordo si formi entro i termini previsti e, dall'altro, che la richiesta non revocata o modificata mantiene la propria efficacia, nonostante il dissenso dell'altra parte, fino alla scadenza del termine senza necessità di una sua esplicita riformulazione. Dalla perentorietà dei termini deriva che, rigettata la richiesta tempestiva, essa non sarà rinnovabile nelle successive fasi della procedura: così, ad esempio, se il giudice rifiuta di aderire all'accordo propostogli prima dell'apertura del dibattimento in un rito direttissimo, esso non potrà più essere sottoposto né a lui, né ad altro giudice posteriormente (Cass. I, n. 16889/2010). Tale conclusione non contrasta con l'art. 448, comma 1, per cui il giudice di primo grado o dell'impugnazione, ritenendo ingiustificato il precedente rigetto del negozio, pronuncia sentenza con cui applica la pena richiesta dalle parti, riduzione compresa: questo, infatti, è il rimedio ad un errore di valutazione giudiziale in presenza del quale si ammette il recupero dell'istanza di parte anche dopo i termini dell'art. 446, comma 1. La richiesta di applicazione della pena in udienza preliminareLa richiesta va formulata fino alla presentazione delle conclusioni ai sensi degli artt. 421, comma 1 e 422, comma 3. Nonostante il mancato richiamo all'ipotesi prevista dall'art. 421-bis, non sembrano esservi dubbi sul fatto che la richiesta di patteggiamento possa essere avanzata anche nell'udienza in cui il processo è rinviato dopo l'acquisizione delle ulteriori prove indicate dal G.u.p., essendo i ritmi di tale udienza scanditi dall'art. 421, né, tantomeno sulla proponibilità della richiesta nella nuova udienza conseguente a rinvio semplice senza alcuna precedente apertura della discussione. È in ogni caso inammissibile la richiesta di applicazione della pena formulata dall'imputato dinanzi al giudice del dibattimento, instaurato in virtù di decreto che dispone il giudizio emesso all'esito dell'udienza preliminare, nella quale nessuna analoga richiesta sia stata avanzata, in quanto l'art. 448, comma 1, riconosce all'imputato la facoltà di rinnovare detta richiesta in caso di dissenso del P.m. o di rigetto da parte del G.i.p., ma non quella di presentarla per la prima volta in limine iudicii (Cass. V, n. 795/2013). La richiesta di applicazione della pena nel rito monocratico a citazione direttaIn questo rito, il momento ultimo per formulare la richiesta di patteggiamento coincide con la fase degli atti introduttivi al giudizio, essendo onere delle parti di presentare l'istanza prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Dal momento che il codice di rito non ha stabilito, come termine finale, che l'istanza di patteggiamento sia proposta finché non sia intervenuta per la prima volta la dichiarazione di apertura del dibattimento, deve ammettersi che in caso di retrocessione del giudizio alla fase degli atti introduttivi, le parti possono presentare istanza di applicazione della pena prima che sia nuovamente dichiarata l'apertura del dibattimento, anche se in precedenza esse non avevano invocato l'accesso al rito speciale. Analogamente, si è sostenuto che l'eventuale dichiarazione di apertura del dibattimento del giudice che, avvedutosi successivamente di una causa di incompatibilità, abbia rinviato il processo ad altra udienza davanti ad altro giudice, non preclude alle parti di chiedere, avanti a quest'ultimo giudice, l'applicazione della pena (Cass. VI, n. 2085/2000). La richiesta di applicazione della pena nel rito direttissimoCome nel rito a citazione diretta, anche rispetto al procedimento direttissimo, l'art. 446, comma 1, stabilisce che la richiesta di applicazione della pena possa essere formulata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Il presidente del collegio o il giudice monocratico sarà tenuto ad avvisare l'imputato della facoltà di chiedere i riti alternativi: la violazione di tale prescrizione integra una nullità di ordine generale che, tuttavia, risulta sanata se non viene eccepita, dalla parte che vi assiste, immediatamente dopo il suo avverarsi (Cass. II, n. 28153/2010). Ai sensi dell'art. 451, comma 6, l'imputato deve altresì essere informato del suo diritto di chiedere un termine a difesa. La richiesta di applicazione della pena nel giudizio immediatoQuando è stato emesso il decreto di giudizio immediato, la richiesta di applicazione della pena deve essere formulata entro il termine e con le forme indicate nell'art. 458, comma 1; l'imputato deve formulare la richiesta con atto scritto da depositare, insieme con la prova dell'avvenuta notifica al P.m., nella cancelleria del giudice entro il termine di quindici giorni da quello della notifica del decreto di giudizio immediato. Il giudice competente a decidere sull'istanza di applicazione della pena è il G.i.p. (Cass. S.U.,n. 3088/2006), trattandosi di competenza di tipo funzionale (Cass. S.U., n. 4419/2005). Il d.lgs. n. 150/2022, modificando il secondo periodo del comma 1 dell'art. 446, ha previsto, con riguardo al giudizio immediato, che la richiesta (dell'imputato o di un suo procuratore speciale, con sottoscrizione autenticata dal difensore, da un notaio o da altra persona autorizzata) sia formulata, oltre che entro il termine (quindici giorni dalla notifica) e con le forme (deposito in cancelleria) stabilite dall'art. 458, comma 1, anche “all'udienza prevista dal comma 2-bis dello stesso articolo” per il caso di rigetto della richiesta di rigetto di giudizio abbreviato subordinata ad integrazione probatoria. Depositata l'istanza di patteggiamento da parte dell'imputato, anche se questa ha già ottenuto il consenso del P.m., il giudice non può decidere de plano, ma deve fissare udienza con avviso alle parti, udienza nella quale non è ammessa la costituzione di parte civile. La richiesta di applicazione della pena nel giudizio di opposizione a decreto penale di condannaL'imputato deve proporre un'istanza scritta completa in tutti i suoi elementi e correttamente enunciata: lo stesso deve indicare non solo la pena finale, ma anche la pena base, gli eventuali aumenti o riduzioni per le circostanze riconosciute e l'esito dell'eventuale giudizio di comparazione nonché l'aumento per la continuazione, così da consentire al P.m. di perfezionare l'accordo con un atto di mera adesione (Cass. I, n. 23911/2004). Qualsiasi deviazione dallo schema indicato legittima il P.m. a negare il consenso, imponendo al giudice di emettere il decreto di giudizio immediato (Cass. I, n. 1740/1999). Il giudice competente a decidere sull'istanza è il G.i.p., che deve essere persona fisica diversa da quella che ha emesso il decreto penale di condanna opposto in presenza di una situazione di incompatibilità (cfr., Corte cost. n. 151/2004). Poiché l'opposizione è assimilata ad un mezzo di gravame, talora la S.C. è stata investita di questioni afferenti al concreto interesse all'impugnazione, quando ad essa si accompagni la richiesta di applicazione di una pena che non presenti vantaggi rispetto a quella inflitta con il decreto penale. Si è affermato, peraltro, che l'opposizione al decreto penale di condanna è ammissibile anche se collegata ad una richiesta di patteggiamento concernente una sanzione più elevata di quella irrogata con il decreto, poiché l'interesse dell'opponente va commisurata al complesso delle conseguenze derivanti dalla sentenza di applicazione della pena, la quale non implica un giudizio di colpevolezza e che, in ogni caso, comporta i benefici stabiliti dall'art. 445 (Cass. III, n. 20517/2005). Depositata l'istanza, il G.i.p. fissa con decreto un termine entro il quale il P.m. deve esprimere il consenso, ordinando che l'istanza ed il decreto siano notificati al P.m. a cura dell'opponente: peraltro, poiché tali formalità non sono prescritte a pena di nullità, nella prassi spesso è lo stesso ufficio del G.i.p. a trasmettere la richiesta al P.m. al fine di raccogliere il consenso — o il dissenso — di tale soggetto. Qualora il P.m. non abbia aderito alla proposta formulata dall'imputato nel termine stabilito ovvero abbia manifestato il proprio dissenso, il G.i.p. emette il decreto di giudizio immediato. Se, invece, il P.m. manifesta il proprio consenso, il G.i.p. fissa l'udienza ai sensi dell'art. 127, nella quale non è ammessa la costituzione di parte civile. All'esito di tale udienza, il giudice pronuncia la sentenza di applicazione della pena, oppure, nel caso in cui ritenga di non poter accogliere la richiesta delle parti, adotta il decreto di giudizio immediato, non potendo dichiarare l'esecutività del decreto penale in assenza di formale dichiarazione di rinuncia all'opposizione (Cass. III, n. 44468/2009). I rapporti tra il patteggiamento e l'abbreviatoNon infrequente è nella prassi l'ipotesi in cui l'imputato, dopo essere stato ammesso al rito abbreviato, trovi l'accordo del P.m. sulla richiesta di applicazione della pena e chieda al giudice di ratificare il patteggiamento con sostanziale rinuncia al rito richiesto per primo. Detta “trasformazione” del rito incontra la contrarietà della giurisprudenza della S.C. (Cass. S.U., n. 12752/1994; conf., Cass. IV, n. 42260/2017) sul presupposto della incompatibilità tra i riti speciali in questione desunta da molteplici aspetti, quali la struttura, gli effetti tipici delle relative sentenze, i mezzi di impugnazione esperibili, i differenti regimi di durata della custodia cautelare. Tale conclusione è stata ribadita anche dopo l'entrata in vigore della l. n. 479/1999 ed è stata giustificata con la nuova formulazione dell'art. 446, che esclude che la richiesta di patteggiamento possa essere formulata dopo la chiusura dell'udienza preliminare (Cass. III, n. 32234/2007). La questione della “conversione” del rito non si pone, invece, nell'ipotesi in cui sia stata rigettata la proposta di rito abbreviato condizionato ai sensi dell'art. 438, comma 5, o allorquando l'imputato abbia chiesto che si proceda nelle forme ordinarie ai sensi dell'art. 441-bis in seguito alle contestazioni suppletive del P.m.. Nelle fattispecie indicate, infatti, non si realizza alcuna trasformazione da un rito in un altro, poiché, rispettivamente, il giudizio abbreviato non è stato ammesso ovvero l'ordinanza di ammissione è stata revocata dal giudice, fatta salva, in quest'ultima ipotesi, l'utilizzabilità delle prove acquisite ai sensi degli artt. 438, comma 5, e 441, comma 5 anche per la definizione del procedimento ex art. 444, in forza dell'equiparazione — prevista dall'art. 441-bis, comma 4 — di tali attività istruttorie a quelle disposte ai sensi dell'art. 422. In siffatta ipotesi, disattesa la richiesta di rito abbreviato e disposta l'applicazione della pena su richiesta delle parti, l'imputato non ha interesse ad impugnare in cassazione la sentenza di patteggiamento deducendo l'ingiustizia del diniego del giudizio abbreviato, avendo lo stesso preferito ottenere, anziché quella nel merito, una pronuncia tesa a definire il processo con l'applicazione di una sanzione concordata (Cass. IV, n. 7553/1991). L'incompatibilità tra i due riti speciali è stata affermata anche nell'ipotesi inversa, ossia allorquando l'imputato in un primo tempo richieda l'applicazione della pena con il consenso del P.m. e, successivamente, proponga istanza di rito abbreviato (Cass. VI, n. 476/1992). Solo qualora il P.m. abbia negato il consenso al patteggiamento, si ritiene possibile per l'imputato chiedere il rito abbreviato successivamente all'istanza di applicazione della pena (Cass. I, n. 2100/2008). Contrasti si registrano in giurisprudenza con riferimento all'ipotesi in cui il P.m. abbia manifestato la propria adesione all'istanza di patteggiamento formulata dall'imputato, ma il giudice abbia rigettato la richiesta congiunta per incongruità della pena. Secondo un primo orientamento, in tal caso, poiché la parte pubblica ha espresso il proprio consenso al procedimento negoziale, resta preclusa all'imputato la facoltà di accedere al rito abbreviato, a nulla rilevando che tale rito sia stato richiesto subordinatamente nella stessa richiesta di patteggiamento (Cass. VI, n. 41120/2008). In senso contrario, si è affermato che, se il giudice respinge la richiesta congiunta di applicazione della pena, deve fissare udienza per la celebrazione del rito abbreviato eventualmente chiesto in via subordinata dall'imputato con l'opposizione al decreto di giudizio immediato (Cass. I, n. 1052/2009). Inoltre, quando il P.m. non abbia prestato il proprio consenso alla proposta di applicazione della pena e l'imputato abbia promosso il giudizio abbreviato, il giudice, in questa sede, non può verificare il dissenso manifestato dall'accusa alla precedente istanza di patteggiamento ed applicare la pena richiesta (Cass. VI, n. 1940/2010). Infine, in caso di pluralità di contestazioni, si ritiene ammissibile che l'imputato richieda il rito abbreviato per alcuni reati e formuli istanza di applicazione della pena per altri, poiché in tal modo non viene eluso il fine di deflazione processuale del rito speciale (Cass. V, n. 4511/2000). CasisticaQualora la richiesta di patteggiamento, proposta a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, venga rigettata, resta preclusa all'imputato la possibilità di richiedere che si proceda con giudizio abbreviato, se tale istanza non sia stata formulata in via subordinata, unitamente a quella di patteggiamento, nei termini di legge (Cass. II, n. 8997/2015). In tema di riti alternativi, la richiesta di giudizio abbreviato presentata a seguito di giudizio immediato non impedisce la conversione del rito in patteggiamento a condizione che, all'udienza appositamente fissata per la definizione del processo, l'imputato formuli l'istanza di applicazione della pena concordata prima della formale ammissione del giudizio abbreviato (Cass. VII, n. 7128/2015). Il consenso prestato alla richiesta di applicazione della pena è sempre revocabile qualora, dopo la stipulazione del patto e prima della pronuncia della sentenza ex art. 444 sopravvenga una legge più favorevole (Cass. IV, n. 15231/2015). La rateizzazione della pena pecuniaria, ex art. 133-ter c.p., costituisce oggetto della discrezionalità del giudice ed è, pertanto, sottratta all'accordo delle parti in sede di applicazione della pena su richiesta delle stesse. Tuttavia, qualora in tale sede, sia presentata richiesta di rateizzazione il giudice deve procedere alla sua valutazione (Cass. V, n. 38771/2014). L'eventuale modifica dell'imputazione non toglie efficacia al mandato conferito, ove la procura speciale non contenga espliciti limiti o condizioni, sicché in questa ipotesi spetta al difensore la valutazione della coerenza del negozio processuale con gli interessi dell'imputato (Cass. II, n. 4261/2015). L'applicazione concordata della pena postula la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento ed al consenso ad essa prestato (Cass. III, n. 39193/2014, in fattispecie nella quale la S.C. ha escluso che l'omesso avviso della data di fissazione dell'udienza ad uno dei difensori di fiducia integri una causa di nullità della sentenza di applicazione della pena concordata con l'assistenza dell'altro difensore). Le parti non possono subordinare l'efficacia dell'accordo alla sostituzione della misura cautelare in atto con altra meno afflittiva, né il giudice è tenuto a prendere in considerazione tale aspetto, sì che può emettere sentenza senza dover giustificare il mancato rispetto della predetta condizione, in quanto l'unica evenienza prevista dalla legge alla quale può essere vincolata la produzione degli effetti della richiesta è costituita dalla concessione della sospensione condizionale della pena (Cass. VI, n. 9920/2014). Il ricorso per cassazione per motivi attinenti all'espressione della volontà dell'imputato ai sensi del novellato art. 448, comma 2-bis, deve contenere, a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti o delle circostanze che hanno determinato il vizio (Cass. I, n. 15557/2018). BibliografiaPaolozzi, I meccanismi di semplificazione del giudizio di primo grado, in I giudizi semplificati, in Gaito (a cura di), Padova, 1989; Peroni, Le novità in tema di patteggiamento, in Peroni (a cura di), Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Padova, 2000, 513; Retico, Contestazione suppletiva e limiti cronologici per il patteggiamento, in Giur. cost. 1994, II, 2153; Spangher, I procedimenti speciali tra razionalizzazione e modifiche di sistema, in Aa.Vv., Il nuovo processo penale davanti al giudice unico, Milano, 2000; Storelli, I riti alternativi nel processo penale, Milano, 2007, 153; Relazione dell’Ufficio del Massimario n. 2/2023, 5 gennaio 2023. |