Codice di Procedura Penale art. 451 - Svolgimento del giudizio direttissimo.

Andrea Pellegrino

Svolgimento del giudizio direttissimo.

1. Nel corso del giudizio direttissimo si osservano le disposizioni degli articoli 470 e seguenti.

2. La persona offesa [90, 91] e i testimoni [57] possono essere citati anche oralmente da un ufficiale giudiziario o da un agente di polizia giudiziaria [57].

3. Il pubblico ministero, l'imputato e la parte civile possono presentare nel dibattimento testimoni senza citazione.

4. Il pubblico ministero, fuori del caso previsto dall'articolo 450, comma 2, contesta l'imputazione [493] all'imputato presente.

5. Il presidente avvisa l'imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato [438, 452 2] ovvero l'applicazione della pena a norma dell'articolo 4441.

6. L'imputato è altresì avvisato della facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a dieci giorni. Quando l'imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso [477] fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine2.

[1] La Corte cost. con sentenza 2 dicembre 2022, n. 243, ha dichiarato l'illegittimità del presente comma  e dell'art. 558, commi 7 e 8, del codice di procedura penale, «in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all’imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen».

[2] La Corte cost. con sentenza 2 dicembre 2022, n. 243, ha dichiarato l'illegittimità del presente comma  e  dell'art. 558, commi 7 e 8, del codice di procedura penale, «in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all’imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen».

Inquadramento

L'art. 451 disciplina lo svolgimento del giudizio direttissimo. A tal fine, rinvia anzitutto agli artt. 470 ss., riguardanti la fase del dibattimento nel procedimento ordinario. Vengono quindi dettate alcune regole speciali, concernenti: a) la convocazione in udienza dell'offeso e dei testimoni; b) la contestazione delle accuse all'imputato presente; c) taluni avvisi che debbono essere rivolti al prevenuto; d) il diritto di quest'ultimo ad un termine a difesa.

Le specifiche modalità di svolgimento del giudizio direttissimo

Introduzione

La previsione secondo cui nel giudizio direttissimo la fase dibattimentale si svolge secondo le regole del giudizio ordinario, conferma l'assunto per cui la specialità del rito risiede essenzialmente nell'abbreviazione dei tempi e nella conseguente semplificazione delle forme. Regole particolari sono invece previste per garantire una maggiore agilità e speditezza del procedimento.

Il giudizio

L'art. 451, comma 1, richiama, quanto allo svolgimento del giudizio, la disciplina ordinaria dettata per il dibattimento, di cui agli artt. 470 ss.

Significativo è il mancato rinvio alle disposizioni codicistiche immediatamente precedenti, riguardanti alcune attività preliminari al giudizio, rispetto alle quali vale una speciale disciplina derogatoria. In particolare, ai sensi dell'art. 451, commi 2 e 3, l'offeso ed i testimoni possono essere citati anche oralmente da un ufficiale giudiziario o da un agente di polizia; oppure, possono essere presentati “a braccio” al dibattimento; né occorre, quanto ai testi, la loro preventiva indicazione nelle apposite liste di cui all'art. 468, disposizione che si ritiene inapplicabile al rito direttissimo per diversità di ratio (Cass. II, n. 5791/1993). Si è ritenuto che, a prescindere dal dato testuale, tale facoltà deve essere riconosciuta anche al responsabile civile e deve ricomprendere non solo i testimoni, ma anche i periti e i consulenti tecnici che, ai fini probatori, sono ad essi equiparati.

Peraltro, la mancata discovery predibattimentale rende a ciascuna parte più difficile confutare, anche mediante prove contrarie, gli elementi conoscitivi introdotti “a sorpresa” dal proprio avversario, con conseguente svilimento del contraddittorio, soprattutto in danno della difesa: se l'onere della prova grava sul P.m., di converso spetta principalmente all'imputato il compito di contraddire la tesi accusatoria.

Inoltre, appare asimmetrica la possibilità di citare per il dibattimento i soggetti di cui all'art. 468: il P.m. può emettere un decreto di citazione ex art. 377, mentre omologhi poteri non spettano all'imputato, che può soltanto sollecitare i testi a comparire, senza che essi ne risultino esposti «né a coazione né a sanzione» (non essendo i medesimi stati “citati”).

Nonostante l'elisione del predibattimento, non manca, comunque, una fase “introduttiva”; nel corso della quale il P.m., se non vi ha già provveduto notificando il decreto di citazione in giudizio, contesta le accuse all'imputato presente.

Con sentenza n. 243 in data 2 dicembre 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8, del codice di procedura penale, in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444.

Avviso all'imputato della facoltà di avvalersi di riti alternativi. Termine a difesa

L'art. 451, comma 5, prescrive al presidente del collegio l'obbligo di avvertire l'imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena patteggiata.

La giurisprudenza è divisa con riferimento alle conseguenze derivanti dall'inosservanza di tale dovere. Secondo un primo indirizzo, siccome la prescrizione è priva di apposita sanzione, la violazione dell'obbligo non determina alcuna novità processuale, potendo più rilevare sul piano disciplinare (Cass. I, n. 5589/2002). A conferma di tale soluzione si è inoltre osservato che la presenza del difensore consente all'imputato di avere piena cognizione delle ragioni che possono determinare la scelta tecnica prevista dalla legge.

In base ad un diverso orientamento, invece, l'omissione si risolve in una menomazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. sicché essa produce la nullità del procedimento ai sensi dell'art. 178 lett. c). Tale tesi appare condizionata dalla pronuncia della Corte costituzionale che ha sottolineato la stretta correlazione esistente tra gli obblighi di informazione concernenti la facoltà di accesso ai riti alternativi e il superiore diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. (v. Corte cost. n. 148/2004).

È opportuno tuttavia segnalare che la denunciata invalidità processuale assume un significato puramente formale, poiché essa non è idonea ad invalidare il procedimento.

Il giudicabile viene poi avvisato del diritto di chiedere un termine non superiore a dieci giorni per preparare la difesa. Ove l'imputato richieda una dilazione, il dibattimento è sospeso fino all'udienza successiva alla sua scadenza.

Secondo un orientamento di giurisprudenza (Cass. V, n. 43713/2002), l'avviso circa il termine a difesa non è dovuto qualora il prevenuto abbia optato per uno dei riti alternativi “premiali”, in quanto tale informativa va data solo dopo che all'imputato è stato chiesto se intende scegliere uno dei procedimenti suddetti e soltanto qualora egli si sia astenuto dall'avvalersi della corrispondente facoltà, accettando così il giudizio per direttissima.

Inoltre, secondo altro orientamento di giurisprudenza (Cass. IV, n. 9204/2010), poiché la domanda di una dilazione presuppone l'avvenuta apertura del dibattimento, alla ripresa del processo, l'imputato non potrebbe più avvalersi della facoltà di chiedere un rito alternativo.

Entrambe le soluzioni destano qualche perplessità, in quanto sviliscono il diritto dell'imputato di fruire del termine a difesa ed impediscono che di tale dilazione il prevenuto si giovi prima ed in vista dell'opzione concernente il rito.

È più opportuno ritenere, dunque, che gli avvisi concernenti il termine a difesa e i riti alternativi debbano essere contestuali e non successivi l'uno all'altro, come si può evincere dall'avverbio «altresì», contenuto nell'art. 449, comma 6.

In ogni caso, si è affermato che, in tema di giudizio direttissimo, la mancata concessione del termine a difesa non dà luogo a nullità qualora la richiesta sia formulata in via preliminare, ancor prima che sia esercitata l'eventuale opzione per il giudizio abbreviato ovvero per l'applicazione della pena (Cass. V, n. 9567/2021).

Se il prevenuto fa istanza per esser giudicato allo stato degli atti, il giudice dispone la trasformazione del giudizio ordinario in abbreviato. Conseguentemente, viene a determinarsi una sorta di “ibrido” processuale: il procedimento, già pervenuto alla sede dibattimentale, eventualmente dinanzi al giudice collegiale, è tuttavia regolato dalle disposizioni dettate per l'udienza preliminare (richiamate dall'art. 441, comma 1, riguardante il rito abbreviato, cui fa riferimento − a sua volta − l'art. 452, comma 2); se, invece, l'imputato intende affrontare il dibattimento, il prosieguo del processo è regolato dalla disciplina concernente il rito ordinario, di cui agli artt. 470 e ss.

Secondo una parte della giurisprudenza, la richiesta di abbreviato e/o di applicazione pena è inammissibile se proposta dopo la concessione del termine a difesa, al quale l'imputato ha diritto ai sensi dell'art. 451, comma 6. La decadenza dal diritto di promuovere il procedimento in esame si deve al fatto che la concessione dell'anzidetto termine presuppone l'apertura del dibattimento, come si desumerebbe dal tenore della citata disposizione, a mente della quale in caso di concessione del termine, “il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine” (Cass. V, n. 12778/2010).

Forti critiche sono state mosse a questa interpretazione giurisprudenziale, essendosi evidenziato che, tenuto conto delle peculiarità del rito, il teste a difesa appare funzionale non solo a consentire all'imputato di predisporre la propria difesa in vista della celebrazione del dibattimento, ma prima ancora a verificare la praticabilità di un rito alternativo. Se tale è la ratio del termine a difesa, esso deve essere concesso, prima dell'apertura del dibattimento, così da non precludere alla parte privata l'accesso ai riti alternativi.

Risarcimento del danno ai fini dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p.

È regola generale, valevole anche per il giudizio direttissimo, che l'eventuale risarcimento del danno cagionato alla persona offesa dal reato, ai fini della concedibilità dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p., debba essere effettuato prima delle formalità di apertura del dibattimento di primo grado e non certo attraverso la semplice offerta di un assegno bancario che, in quanto costituisce una datio pro solvendo, è priva del carattere della effettività, essendo equiparabile piuttosto ad una promessa di ristoro (Cass. III, n. 6155/1994).

Mutamento del giudice ovvero della composizione del collegio giudicante

Può accadere che, a seguito del rinvio del dibattimento ad altra udienza per la concessione del termine a difesa, muti il giudice ovvero la composizione del collegio giudicante. Si pone, in tal caso, il problema dell'eventuale illegittimità del giudizio direttissimo celebrato davanti a giudice diverso rispetto a quello avanti al quale il giudizio si era originariamente incardinato.

La giurisprudenza è divisa: secondo un primo orientamento di maggior rigore, poiché nel giudizio direttissimo, in deroga a quanto previsto per il giudizio ordinario, non è configurabile la distinzione tra la fase degli atti introduttivi e la fase dell'istruzione dibattimentale, il giudice ovvero la composizione del collegio deve rimanere immutata sin dalla prima udienza (Cass. VI, n. 2683/1993).

Secondo altro orientamento, il mutamento della persona fisica del giudice, in caso di presentazione di imputati per il giudizio direttissimo e di rinvio del procedimento ad altra udienza, senza apertura del dibattimento, non vale ad inficiare la legittimità del giudizio ritualmente instaurato (Cass. VI, n. 167/1991).

Casistica

L'omessa formulazione dell'avviso all'imputato, nel giudizio direttissimo, della facoltà di richiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, integra una nullità di ordine generale di cui all'art. 178, comma 1 lett. c), che è sanata ove non eccepita, dalla parte che vi assiste, immediatamente dopo il suo compimento (Cass. II, n. 28153/2010).

Non dà luogo a nullità la mancata concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo richiesto dopo che l'imputato abbia optato per uno dei riti alternativi, giudizio abbreviato o applicazione di pena su richiesta (Cass. V, n. 21573/2010).

In tema di giudizio direttissimo, l'avvenuta concessione del termine a difesa, ai sensi dell'art. 451, comma 6, presupponendo che abbia già avuto luogo l'apertura del dibattimento, preclude la richiesta di giudizio abbreviato, prevista dall'art. 452, comma 2 (Cass. V, n. 12778/2010).

Nell'ipotesi di convalida dell'arresto e contestuale giudizio direttissimo, le richieste di termine a difesa e di applicazione alternativa di uno dei riti speciali previsti nell'art. 444 e nell'art. 442 vengono riconosciute all'imputato quali facoltà che il medesimo può esercitare subito dopo l'udienza di convalida, ossia a partire da quel momento processuale fino alla formale dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. 

(Cass. VI, n. 13118/2010).

La mancata impugnazione dell'ordinanza di convalida dell'arresto preclude la rilevabilità, nel corso del successivo giudizio direttissimo, della nullità relativa alla costituzione delle parti e dell'invalidità derivata degli atti compiuti nell'udienza di convalida (Cass. III, n. 36945/2019).

La riqualificazione del fatto nel giudizio di appello, con conseguente riconducibilità del reato nelle attribuzioni del tribunale in composizione collegiale e nel novero di quelli per i quali è obbligatorio lo svolgimento dell'udienza preliminare, impone la restituzione degli atti al P.m. pur quando il giudizio di primo grado si sia svolto nelle forme del rito direttissimo (Cass. II, n. 35066/2008).

In caso di annullamento da parte della S.C. della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa nell'ambito del giudizio direttissimo, ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare il procedimento deve considerarsi regredito alla fase del giudizio di primo grado e non a quella delle indagini preliminari (Cass. I, n. 10681/2008).

L'inosservanza della norma dell'art. 451, comma 5, secondo cui l'imputato contro il quale si procede con giudizio direttissimo deve essere avvertito della facoltà di richiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, risolvendosi in una illegittima menomazione del diritto sancito dall'art. 24 Cost., integra una nullità di ordine generale di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), che è peraltro sanata dalla presenza del difensore (Cass. VI, n. 11287/2007).

In tema di giudizio direttissimo, l'omesso avviso — da parte del giudice — della facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa di cui all'art. 451, comma 6, non produce la nullità del giudizio quando l'imputato, anziché accettare il rito direttissimo, abbia optato per uno dei riti alternativi (patteggiamento o giudizio abbreviato), atteso che tale avviso ha carattere subordinato rispetto all'altro, previsto dal comma 5, riguardante la possibilità, per l'imputato, di avvalersi dei riti speciali, e diventa essenziale solo quando, scartate tali possibilità, questi abbia accettato di essere giudicato in via direttissima (Cass. I, n. 29446/2001).

E' stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 451, per violazione dell'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede il diritto al termine a difesa per l'imputato tratto a giudizio direttissimo che scelga di accedere ad un rito alternativo, essendo questa una libera scelta dell'imputato, cui non è impedito di optare per il rito ordinario, e che è compensata dalla più vantaggiosa definizione del giudizio abbreviato (Cass. V, n. 52042/2019, nella quale la Corte ha, altresì, escluso l'esistenza di una disparità di trattamento fra le situazioni prospettate, essendo evidente la differenza tra l'ipotesi in cui l'arrestato abbia scelto di non difendersi, concordando la pena, o di farsi giudicare allo stato degli atti, mostrando in tal modo di rinunciare ad un diritto di difesa pieno e l'ipotesi in cui l'imputato abbia preferito conservare un pieno ed illimitato diritto di difesa).

Bibliografia

Allegrezza, Giudizio direttissimo “atipico” e limiti temporali per l'instaurazione del rito, in Cass. pen. 2002, 10, 256; Chiliberti- Roberti-Tuccillo, Manuale pratico dei procedimenti speciali, Milano, 1994; Giustozzi, Il giudizio direttissimo, in Fortuna-Dragone-Fassone- Giustozzi, Manuale pratico del processo penale, Padova, 2007, 822; Marandola, Sub artt. 449-452, in Codice di procedura penale commentato, in Giarda-Spangher (a cura di), II, Milano, 2001; Ramajoli, I procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura penale, Padova, 1996; Zanetti, Il giudizio direttissimo, in Pisani (a cura di), I procedimenti speciali in materia penale, Milano, 2003.

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