Codice di Procedura Penale art. 452 - Trasformazione del rito.

Andrea Pellegrino

Trasformazione del rito.

1. Se il giudizio direttissimo risulta promosso fuori dei casi previsti dall'articolo 449, il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero.

2. Se l'imputato chiede il giudizio abbreviato [438, 451 5], il giudice, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento [492], dispone con ordinanza la prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 438, commi 3 e 5, 441, 441-bis, 442 e 443; si applicano altresì le disposizioni di cui all’articolo 438, comma 6-bis; nel caso di cui all'articolo 441-bis, comma 4, il giudice, revocata l'ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, fissa l'udienza per il giudizio direttissimo12.

 

[1] Comma dapprima sostituito dall'art. 35 l. 16 dicembre 1999, n. 479, e successivamente così modificato dall'art. 2-nonies, comma 1 d.l. 7 aprile 2000, n. 82, conv., con modif., nella l. 5 giugno 2000, n. 144. La Corte cost., con sentenza 12 aprile 1990, n. 183, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevedeva che il pubblico ministero, quando non consente alla richiesta di trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, debba enunciare le ragioni del suo dissenso e nella parte in cui non prevedeva che il giudice, quando, a giudizio concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata dall'art. 442, comma 2 c.p.p.

[2] L’ art. 1, comma 45, della l. 23 giugno 2017, n. 103 ha inserito le seguenti parole: «si applicano altresì le disposizioni di cui all’articolo 438, comma 6-bis;».Ai sensi dell’art. 1, comma 95, l. n. 103, cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017).

Inquadramento

L'art. 452 riguarda due possibili epiloghi del giudizio direttissimo. Il primo deriva dalla rilevazione di una patologia processuale: l'instaurazione del dibattimento ex abrupto fuori dai casi previsti dalla legge; ipotesi nella quale il giudice deve restituire gli atti al P.m., perché proceda secondo altre forme. Analogo provvedimento è previsto dall'art. 449, comma 2, allorché il giudice neghi la convalida dibattimentale dell'arresto e le parti non consentano al dibattimento “istantaneo”. L'altra possibile conclusione del rito direttissimo deriva dall'opzione, formulata dall'imputato, di essere giudicato “allo stato degli atti”; tale scelta comporta la trasformazione della procedura “direttissima” in un giudizio abbreviato il quale, peraltro, assume un carattere “ibrido”, avendo luogo nella sede dibattimentale, anziché davanti al G.u.p.. Resta comunque possibile il regresso al rito direttissimo, qualora il prevenuto, in seguito ad una modifica dell'imputazione durante il giudizio “allo stato degli atti”, chieda di tornare ad un “regolare” dibattimento.

Il rito direttissimo irregolarmente promosso e le conseguenze derivanti

Se il giudizio direttissimo risulta promosso fuori dai rispettivi casi di legge, il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al P.m., con conseguente regresso del procedimento alla fase investigativa (art. 452, comma 1).

In buona sostanza, ciò si verifica sia allorché risultino mancanti i presupposti sostanziali del rito speciale e, cioè, l'arresto in flagranza e la relativa convalida, il consenso dell'imputato in mancanza della convalida ovvero la confessione dell'imputato medesimo, sia allorquando non siano stati rispettati i termini prescritti dall'art. 449. È, invece, da escludere che la restituzione degli atti possa essere disposta nel caso in cui il giudice ravvisi la necessità di speciali indagini, dal momento che, una volta instaurato il giudizio direttissimo nei casi previsti dall'art. 449, esso deve essere comunque definito con sentenza dibattimentale.

Il controllo che il giudice è chiamato a compiere è quindi limitato esclusivamente ai presupposti processuali e di legittimità del rito ed ha essenzialmente la funzione di recuperare in via indiretta ed a posteriori il mancato controllo giurisdizionale dovuto all'assenza dell'udienza preliminare.

Rivivono, allora, in capo all'inquirente tutte le facoltà di opzione riguardanti le forme di esercizio dell'azione penale (esclusa, ovviamente, quella già respinta). Invece, sembra ormai preclusa al P.m. la via della richiesta di archiviazione, poiché tale atto rappresenterebbe una ritrattazione dell'azione penale già esercitata (di contro, si è osservato come l'ipotesi di cui trattasi sarebbe riconducibile ad una dichiarazione di inammissibilità dell'azione penale il cui concreto esercizio non dovrebbe quindi avere effetti preclusivi).

È dibattuta la questione riguardante il tipo d'invalidità conseguente all'irrituale instaurazione per direttissima del giudizio: nullità assoluta, in quanto derivante dalla violazione di norme riguardanti l'iniziativa penale del P.m., ex art. 178, comma 1, lett. b) e 179, comma 1, secondo alcuni; intermedia, per inosservanza di norme riguardanti l'intervento dell'imputato, secondo altri; nullità relativa (Cass. I, n. 10231/1995), oppure mera irregolarità (assimilabile tuttavia alla prima quanto al regime di rilevabilità: cfr., Cass. V, n. 8971/1995), ad avviso d'una certa giurisprudenza. Non manca, inoltre, chi ha ricondotto il vizio de quo alla categoria dell'inammissibilità, invalidità rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Disposta la trasmissione degli atti al P.m. con provvedimento non impugnabile (Cass. VI, n. 2105/1998), l'eventuale misura cautelare adottata perde efficacia, posto che la competenza cautelare si aggancia alla corretta investitura dell'organo per il direttissimo, per cui vive e muore con essa: fatta salva, tuttavia, la possibilità che, nel termine dei venti giorni dalla pronuncia di restituzione degli atti, il giudice competente provveda in ordine allo status libertatis, in applicazione del meccanismo della reiterazione della misura ex art. 27 (Cass. VI, n. 3653/1992).

La trasformazione del rito direttissimo in giudizio abbreviato

L'art. 452, comma 2, in ossequio al principio generale di convertibilità dei riti alternativi, prevede che l'imputato tratto a giudizio direttissimo, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento, possa richiedere che si proceda con il giudizio abbreviato e che, in tal caso, il giudice, sempre prima dell'apertura del dibattimento, disponga con ordinanza la prosecuzione del giudizio dinanzi a sé con il rito abbreviato. A seguito della c.d. riforma Carotti (l. n. 479/1999), tale rito — c.d. “abbreviato atipico”, in virtù degli elementi di specificità che lo diversificano rispetto all'abbreviato ordinario — è divenuto l'archetipo del nuovo modello di giudizio abbreviato. Infatti, come nell'abbreviato tipico non è più richiesto il consenso del P.m., né il giudice deve effettuare alcuna valutazione in ordine alla decidibilità allo stato degli atti, così nel giudizio scaturente dalla trasformazione del direttissimo il giudice non ha alcuna possibilità di interloquire sulla scelta del rito, ma solo la possibilità di un'ampia integrazione probatoria, di operare la modifica dell'imputazione e di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica.

La norma citata prevede che nel giudizio abbreviato conseguente a giudizio direttissimo trovino applicazione l'art. 438, commi 3 e 5, relativamente alla manifestazione di volontà dell'imputato personalmente o a mezzo procuratore speciale ed alla eventuale subordinazione della richiesta ad un'integrazione probatoria, gli artt. 441 e 441-bis, per quanto attiene alle modalità di svolgimento del giudizio abbreviato, l'art. 442 in relazione alla tipologia di decisioni che possono essere adottate all'esito del giudizio, nonché l'art. 443 con riferimento ai limiti dell'appello.

La richiesta di trasformazione del rito può essere avanzata, in caso di imputato detenuto, anche dopo che il P.m. abbia contestato l'imputazione all'imputato presente ai sensi dell'art. 451, comma 4, il quale prevede che detta contestazione venga effettuata prima che il presidente avvisi l'imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato o la pena patteggiata.

Parimenti ammissibile è la richiesta di trasformazione del rito nel caso in cui l'imputato abbia chiesto ed ottenuto il termine a difesa, dovendosi intendere l'espressione “il dibattimento è sospeso” contenuta nell'art. 451, comma 6, nel senso che sono sospese le formalità di apertura del dibattimento.

La nuova disciplina

In forza del richiamo alle disposizioni dell’art. 438, comma 6-bis, operato dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, nell’ipotesi di trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato si determina la sanatoria delle nullità non assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio; parimenti, la trasformazione del rito preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice.

La richiesta di applicazione pena

L'art. 451, comma 5, prevede che il presidente debba avvisare l'imputato sottoposto a giudizio direttissimo che, in alternativa alla richiesta di trasformazione di tale rito nel giudizio abbreviato, ha altresì facoltà di chiedere l'applicazione della pena a norma dell'art. 444.

Formulata la richiesta di applicazione pena, possono verificarsi due diverse ipotesi: che il P.m. presti il consenso e che il giudice, in presenza delle condizioni di legge, pronunci sentenza ai sensi dell'art. 448, ovvero che il P.m. esprima dissenso, enunciandone le ragioni, nel qual caso si procede oltre nel giudizio direttissimo, fermo restando il potere del giudice, dopo la chiusura del dibattimento, di applicare la pena indicata dall'imputato, qualora ritenga ingiustificato detto dissenso.

La richiesta di patteggiamento, diversamente da quella di giudizio abbreviato, non determina la trasformazione del rito dal momento che essa ha effetto soltanto al momento della pronuncia della sentenza di applicazione della pena.

La revocabilità dell'ordinanza di trasformazione del rito

L'art. 452, comma 2 ultima parte, prevede che il giudice, a richiesta della parte privata, possa revocare l'ordinanza di ammissione del giudizio abbreviato e conseguentemente disporre che si proceda con il rito direttissimo, fissando all'uopo una nuova udienza. Tale singolare forma di regresso da rito alternativo a procedimento speciale è tuttavia esperibile soltanto in talune ipotesi particolari tassativamente indicate nell'art. 441-bis e, cioè, in caso di contestazione di un fatto diverso, di un reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. b), ovvero di una circostanza aggravante.

Casistica

Nel caso di trasformazione del giudizio direttissimo in abbreviato, costituisce provvedimento abnorme (e quindi ricorribile per cassazione) il provvedimento con il quale il giudice, nel revocare la ammissione del giudizio abbreviato, revochi anche l'ammissione del giudizio direttissimo, restituendo gli atti al P.m. Invero, mentre la revoca del giudizio abbreviato costituisce provvedimento semplicemente illegittimo ma non impugnabile, la revoca del rito direttissimo, pur in origine ammesso, comportando una regressione del procedimento alla fase delle indagini preliminari in presenza del valido esercizio dell'azione penale, è completamente fuori dalla logica del vigente sistema processuale (Cass. V, n. 874/1999)

Ove le parti abbiano formulato richiesta di trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, a norma dell'art. 452, comma 2, e, rinviatosi il dibattimento ad altra udienza senza che il giudice abbia ancora provveduto su tale richiesta, intervenga un mutamento dell'organo giudicante, la richiesta non deve essere reiterata dinanzi al nuovo giudice. Infatti, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, conseguente al mutamento del giudice, non investe affatto la richiesta di giudizio abbreviato, che è atto del predibattimento, e che ovviamente prescinde dalla composizione fisica dell'organo giudicante. Non può d'altro canto sostenersi che la richiesta di ammissione di prove formulata nella nuova udienza da parte del difensore equivalga a revoca implicita della richiesta; e ciò sia perché lo speciale rito in questione non è incompatibile con assunzioni probatorie sia perché né la richiesta di giudizio abbreviato né il consenso del P.m. sono revocabili sia, infine, perché la richiesta è atto personale dell'imputato su cui non potrebbe comunque interferire il difensore (Cass. VI, n. 397/1999).

Non è previsto alcun mezzo di impugnazione avverso il provvedimento con cui il giudice, richiesto per il giudizio direttissimo dopo la convalida dell'arresto, ordina, dopo aver disposto la convalida, la restituzione degli atti al P.m. per ritenuta insussistenza dei presupposti del rito. Nè può ritenersi l'atto abnorme, perché, essendo la restituzione degli atti prevista dall'art. 452, l'atto stesso non si colloca al di fuori dell'ordinamento processuale (Cass. VI, n. 2105/1998).

Nell'ipotesi di giudizio abbreviato derivato da giudizio direttissimo, ai sensi dell'art. 452, comma 2, il giudice di appello può esercitare l'attività di integrazione probatoria prevista dall'art. 603 e deve, quindi, adeguatamente motivare l'eventuale diniego di tale attività con riferimento non già al comportamento e alle scelte delle parti, bensì alla mancanza di necessità di tale integrazione ai fini della decisione (Cass. VI, n. 6196/1995).

Al di fuori del caso previsto dall'art. 452, comma 2, nell'ordinario giudizio abbreviato l'assunzione di mezzi di prova è inammissibile anche in appello, e persino nell'ipotesi in cui il giudice la ritenga assolutamente necessaria (Cass. I, n. 5168/1994).

Poiché il giudizio abbreviato deve svolgersi alla stato degli atti — situazione, questa, che dopo essere stata valutata dalle due parti interessate (l'imputato e il P.m.), deve essere accertata dal giudice — nell'ambito dello stesso non è consentita l'ammissione e l'assunzione di nuove fonti di prova, né in primo grado, né in appello, neppure quando il giudice lo ritenga necessario, salva l'ipotesi, eccezionale e pertanto non estensibile ad altri casi, di giudizio abbreviato derivante da conversione di giudizio direttissimo (Cass. I, n. 4436/1994).

Nel caso di trasformazione del giudizio direttissimo in abbreviato, il fondamento logico della speciale disciplina prevista dal comma secondo dell'art. 452 che, tra l'altro, consente al giudice di assumere elementi ulteriori necessari ai fini della decisione, va collegato alla specificità del giudizio direttissimo che, instaurandosi nelle ipotesi di arresto in flagranza, può presentare tuttavia l'esigenza di accertamenti ulteriori, normalmente poco compatibili con la brevità della fase delle indagini preliminari che lo precede e che sarebbe però in contrasto con il principio di economia processuale. La specificità della disciplina suddetta non può peraltro superare il requisito indefettibile di ogni forma di giudizio abbreviato e cioè l'esigenza che l'imputato istante accetti di essere giudicato allo stato degli atti, onde egli non potrà chiedere quel giudizio e poi avanzare istanze probatorie, dovendo le ulteriori indagini essere richieste dal P.m. o disposte dal giudice (Cass. VI, n. 7988/1993).

Nell'ipotesi di trasformazione del giudizio direttissimo in abbreviato (art. 452, comma 2), è applicabile la disposizione dell'art. 421, comma 2, secondo cui «l'imputato può chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio». Tale atto può concorrere ad arricchire gli elementi in possesso del giudice per poter decidere allo stato degli atti ovvero — essendo a lui inibito di rigettare la richiesta dell'imputato, consenziente il P.m. — di avvalersi dei poteri conferiti dall'art. 452, comma 2 ultima parte, indicando alle parti temi nuovi ed incompleti e procedendo ad assumere gli elementi necessari ai fini della decisione nei modi previsti dall'art. 422. In questo caso il giudice potrà, di sua iniziativa, anche tenere eventualmente conto del contenuto dell'interrogatorio dell'imputato, senza peraltro che questo abbia «diritto» alla assunzione probatoria (Cass. VI, n. 7152/1993).

Bibliografia

Aprile, La disciplina del giudizio direttissimo dopo la novella sul giudice unico di primo grado, in Nuovo dir. 2000, 1, 4; Bricchetti, Sì all'abbreviato anche senza il consenso del pubblico ministero, in Guida dir. 2000, 1, LXI; Chiliberti-Roberti-Tuccillo, Manuale pratico dei procedimenti speciali, Milano, 1994; De Caro, Il giudizio direttissimo, Napoli, 1996; Gaito, Guida al codice di procedura penale, Milano, 1997; Giustozzi, Il giudizio direttissimo, in Fortuna-Dragone-Fassone-Giustozzi, Manuale pratico del processo penale, Padova, 2007, 822; Macchia, Giudizio direttissimo, in Dig. d. pen., V, Torino, 1991; Marandola, Sub artt. 449-452, in Codice di procedura penale commentato, in Giarda-Spangher (a cura di), II, Milano, 2001; Nappi, Guida al codice di Procedura Penale, Milano, 2004; Spangher, I procedimenti speciali tra razionalizzazione e modifiche di sistema, in Aa.Vv., Il nuovo processo penale davanti al giudice unico, Milano, 2000; Ramajoli, I procedimenti speciali nel nuovo codice di procedura penale, Padova, 1996; Zanetti, Il giudizio direttissimo, in Pisani (a cura di), I procedimenti speciali in materia penale, Milano, 2003.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario