Codice di Procedura Penale art. 468 - Citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici . 1Citazione di testimoni, periti e consulenti tecnici.1 1. Le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni [194 s.], periti [220 s.] o consulenti tecnici [225, 233, 359, 360] nonché delle persone indicate nell'articolo 210 devono, a pena di inammissibilità [173, 4932], depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento [1725], la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame [2102].2 2. Il presidente del tribunale o della corte di assise, quando ne sia fatta richiesta, autorizza con decreto la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'articolo 210, escludendo le testimonianze vietate dalla legge [62, 194 s.] e quelle manifestamente sovrabbondanti [190]. Il presidente può stabilire che la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici, nonché delle persone indicate nell'articolo 210 sia effettuata per la data fissata per il dibattimento ovvero per altre successive udienze nelle quali ne sia previsto l'esame [145 att.]. In ogni caso, il provvedimento non pregiudica la decisione sull'ammissibilità della prova a norma dell'articolo 495.3 3. I testimoni e i consulenti tecnici indicati nelle liste possono anche essere presentati direttamente al dibattimento. 4. In relazione alle circostanze indicate nelle liste, ciascuna parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria lista, ovvero presentarli al dibattimento [4952]. 4-bis. La parte che intende chiedere l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale [238] deve farne espressa richiesta unitamente al deposito delle liste. Se si tratta di verbali di dichiarazioni di persone delle quali la stessa o altra parte chiede la citazione, questa è autorizzata dal presidente solo dopo che in dibattimento il giudice ha ammesso l'esame a norma dell'articolo 4954 . 5. Il presidente in ogni caso dispone di ufficio la citazione del perito nominato nell'incidente probatorio a norma dell'articolo 392, comma 2.
[1] Con riferimento alle misure urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19, v. art. 24, comma 3, d.l. 9 novembre 2020, n. 149, per le sospensioni (dall'entrata in vigore del citato decreto fino al 31 gennaio 2021, v. anche comma 2 dell'art. 24) delle udienze dei giudizi penali, rinviate per l'assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell'imputato in procedimento connesso i quali siano stati citati a comparire per esigenze di acquisizione della prova; successivamente l'intero decreto è stato abrogato dall'articolo 1, comma 2, della legge 18 dicembre 2020, n. 176. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto. V. ora l'art. 23-ter del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 176. [2] Comma così modificato dall'art. 381l. 16 dicembre 1999, n. 479. [4] Comma inserito dall'art. 7 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356. InquadramentoAi sensi dell'art. 468, comma 1, sia nel caso in cui il rinvio a giudizio venga disposto dal g.u.p. all'esito dell'udienza preliminare, sia nel caso in cui si proceda con citazione diretta a giudizio da parte del p.m., le liste dei testimoni, periti e consulenti tecnici, nonché delle persone indicate nell'art. 210, di cui le parti intendono chiedere l'esame, devono, a pena di inammissibilità, essere depositate in cancelleria almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento. L'art. 468, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge delega (art. 2, direttive nn. 3, 10, 69 e 75) attua il principio sancito dall'art. 6, § 3, lett. d), CEDU, e recepito dall'art. 111, comma 3, Cost., garantendo il diritto di ogni accusato di « interrogare o fare interrogare i testimoni a carico ed ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico a pari condizioni dei testimoni a carico ». La disposizione mira a realizzare una funzione di discovery (che ne costituisce ratio primaria), consentendo alla controparte di conoscere i fatti che il richiedente intende provare attraverso le deposizioni dei testi, periti e consulenti tecnici, nonché dei soggetti indicati nell'art. 210, ed, al tempo stesso, evitando l'introduzione in dibattimento di prove a sorpresa; il sistema così delineato consente alle parti di preparare al meglio le proprie strategie e richiedere, eventualmente, ai sensi dell'art. 468, comma 4, la prova contraria sulle circostanze indicate nella lista, e comunque, come osservato dalla dottrina, di dimostrare « l'infondatezza o l'irrilevanza di quella diretta, a carico od a discarico [...]; in sintesi, la funzione primaria del deposito è quella di garantire la pienezza e la lealtà del contraddittorio » (Plotino, 36 s.). Profili attuativi e regolamentari in tema di citazione dei testimoni, periti e consulenti sono disciplinati dagli artt. 142 e 144 disp. att., e 22 reg. esec., ai quali si rinvia. Profili di costituzionalitàLa Corte costituzionale (Corte cost. n. 284/1994) ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 468, comma 1, e 495, comma 3, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedono che anche la richiesta di ammissione di documenti segua il medesimo regime previsto dall'art. 468 (ovvero che sia previsto il tempestivo deposito della lista dei documenti di cui si richiede l'ammissione), osservando che la prova testimoniale ha, rispetto a quella documentale, caratteristiche peculiari, « tali da giustificare una presentazione delle relative liste prima del dibattimento », e che, ove necessario, ovvero « al fine di consentire alle parti un adeguato esame delle prove documentali indicate dalle controparti, al fine di opporsi all'ammissione delle stesse, o di dedurre prova contraria, il giudice può, ai sensi dell'art. 477 comma 2, concedere una breve sospensione del dibattimento per il tempo occorrente a soddisfare adeguatamente, caso per caso, l'esigenza stessa, posto che la legge non fissa alcun termine per la produzione dei documenti ». Il deposito della listaI soggetti legittimati Il diritto di presentare la lista è attribuito, dall'art. 468 comma 1, alle « parti », termine atto a ricomprendere sia i difensori (ai quali è attribuito l'esercizio di tutte le facoltà spettanti ai soggetti rappresentati, non espressamente escluse: cfr. artt. 99 e 100, comma 4), sia le persone da essi rappresentate (imputato, persona offesa, danneggiato dal reato); queste ultime possono, pertanto, esplicare « l'attività deduttiva connessa all'introduzione della prova: ciò realizza una sensibile valorizzazione dell'autodifesa, un valore che ha particolare risalto nel nuovo rito processuale » (G. Bonetto, 1991, 45); non può, conseguentemente, condividersi quella giurisprudenza di merito secondo la quale, tra i soggetti legittimati al deposito, non rientrerebbe l'imputato, la cui richiesta, se avanzata personalmente, sarebbe inammissibile (Trib. Camerino 23/06/1994, B.). La giurisprudenza di legittimità ha, in generale, osservato che la presentazione delle liste testimoniali è un atto che rientra nell'ambito della “difesa tecnica” e, pertanto, ben può essere effettuato dal difensore della parte civile, pur se privo di procura speciale (Cass. VI, 5 febbraio 1992, S.); ha, inoltre, ritenuto « ammissibile la richiesta di testi, mediante il deposito della relativa lista, da parte della persona offesa, costituitasi fuori dell'udienza, in data precedente rispetto alla notifica della dichiarazione di costituzione di parte civile, in quanto tale richiesta è compresa nella facoltà di indicazione di elementi di prova di cui all'art. 90, con la conseguenza che la persona offesa dal reato, divenuta parte processuale a mezzo dell'atto di costituzione di parte civile, può certamente avvalersi del mezzo di prova già proposto, senza necessità di ripresentare la lista testimoniale già depositata in tempo utile rispetto a quello indicato dall'art. 468, comma 1, mentre gli effetti della costituzione di parte civile, formalizzata fuori udienza, riguardano, ai sensi dell'art. 78, comma 2, l'instaurazione del contraddittorio civile nella sede penale» (Cass. V, n. 28748/2005; Cass. IV, n. 4372/2011). La lista del P.m. Il difetto di sottoscrizione della lista da parte del p.m. non comporta alcuna conseguenza processuale; la giurisprudenza (Cass. VI, 16/03/1993, C., in Guariniello, 305 e 471) ha, in proposito, osservato che la lista priva di sottoscrizione del p.m.: a) non è nulla (non essendo una tale nullità tassativamente prevista dalla legge); b) non è inesistente, in quanto è possibile ricavare anche aliunde che l'ufficio dal quale la richiesta proviene sia effettivamente quello del P.M., e che in essa sia espressa la volontà dell'ufficio, valorizzando l'intestazione dell'atto, il numero di registro generale ed (ove richiesto) il pedissequo decreto di autorizzazione alla citazione da parte del giudice; c) non è inammissibile, ove il giudice di merito accerti la riferibilità della lista alla volontà dell'ufficio del P.m. (« qualora anche fosse stato un viceprocuratore onorario a depositare la lista stessa, costui avrebbe agito come semplice nuncius del p.m. al quale l'atto andava riferito). Formalità di deposito La lista testi va presentata presso la cancelleria del giudice del dibattimento che procede. Secondo la giurisprudenza, la presentazione della lista testimoniale del P.M. presso la cancelleria di una sezione del Tribunale diversa da quella competente a giudicare non comporta alcuna forma di invalidità processuale, non incidendo sull'ammissibilità della prova, in quanto il giudice ha il potere-dovere di escludere solo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue ed irrilevanti; d'altro canto, alla mancata conoscenza delle relative prove da parte della difesa, può porsi rimedio ex art. 493, comma, 3, che disciplina l'ammissibilità delle prove che la parte interessata non abbia potuto tempestivamente indicare (Cass. VI, n. 40527/2010: fattispecie nella quale il giudice di primo grado aveva rinviato l'udienza per consentire al difensore di esaminare la lista del P.M. e di indicare eventualmente, ex art. 493, comma 3, le prove che lo stesso difensore non aveva potuto dedurre prima). Il deposito materiale della lista in cancelleria — ove non contenga anche la richiesta al giudice di autorizzazione alla citazione di testimoni, periti, consulenti tecnici e soggetti di cui all'art. 210 — può avvenire anche a mezzo dei mezzi tecnici di trasmissione di cui all'art. 150 (ad esempio, il telefax), che bene assolvono, in ipotesi di corretta e completa ricezione, alla funzione di comunicazione, all'ufficio ed agli altri interessati, del contenuto di un atto; il soggetto trasmittente ha, tuttavia, l'onere di assicurarsi della corretta ricezione del messaggio da parte del destinatario, in quanto su di lui incombe la responsabilità dell'eventuale carenza della comunicazione effettuata senza la consegna materiale diretta alla cancelleria (Cass. VI, n. 3/1996). Alle medesime conclusioni, ma seguendo un percorso argomentativo nettamente distinto (fondato non sulla legittimità della prescelta forma di deposito, sostenuta dal precedente orientamento, bensì sulla mancanza di conseguenze processuali della pur riscontrata illegittimità), sono successivamente giunte altre pronunce (Cass. I, n. 38161/2008, e Cass. V, n. 32742/2010), per le quali non è causa di nullità dell'ordinanza ammissiva della prova testimoniale né, pertanto, della sentenza che sull'esito di detta prova abbia fondato la decisione, l'irrituale presentazione della lista testi effettuata a mezzo telefax, anziché nella prescritta forma del deposito in cancelleria, rientrando, tra i poteri del giudice, quello di assumere le prove anche d'ufficio. Nel senso dell'ammissibilità della presentazione della lista testi a mezzo telefax (e, conseguentemente, dell'illegittimità del provvedimento del giudice del dibattimento che dichiari l'inammissibilità della richiesta di audizione dei testimoni in essa indicati) si è, successivamente, pronunciata Cass. I, n. 44978/2014 (in fattispecie nella quale la lista non era accompagnata da richiesta di citazione, fatta in udienza e respinta). L'orientamento che ritiene legittimo l'inoltro alla cancelleria del giudice, a mezzo telefax, di un documento contenente sia la lista dei testimoni di cui la parte intende chiedere l'ammissione e delle relative circostanze di prova, sia la richiesta alla citazione dei testi indicati, può ritenersi ormai consolidato: tale soluzione appare, invero, rispondente all'evoluzione del sistema di comunicazioni e notifiche, oltre che alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio – costituzionalizzato - della ragionevole durata del processo (Cass. II, n. 23343/2016). In realtà, appare evidente che nel corpo del medesimo documento-lista testi, possano coesistere l'indicazione dei testimoni dei quali si intende chiedere l'ammissione e delle relative circostanze di prova, che ben può essere inviata a mezzo telefax, e quella di autorizzazione alla citazione, per la quale in passato è stata richiesto il formale deposito in cancelleria, pur se detto onere non appare più attuale a seguito di Cass. S.U. , n. 40187/2014, la quale, nel ritenere che la dichiarazione di adesione del difensore all'astensione proclamata dagli organismi rappresentativi della categoria può essere trasmessa a mezzo telefax alla cancelleria del giudice procedente, in conformità a quanto dispone la norma speciale contenuta nell'art. 3, comma 2, del vigente codice di autoregolamentazione (secondo la quale l'atto contenente la dichiarazione di astensione può essere «trasmesso o depositato nella cancelleria del giudice o nella segreteria del pubblico ministero»), ha evidenziato che «tale soluzione appare imposta (...) anche da un'interpretazione adeguatrice e sistematica, più rispondente all'evoluzione del sistema di comunicazioni e notifiche, oltre che alle esigenze di semplificazione e celerità richieste dal principio della ragionevole durata del processo», e certamente esperibile anche in subiecta materia. È considerato inammissibile il deposito della lista testimoniale, mediante l'uso della posta elettronica certificata (PEC) (Cass. III, n. 6883/2017: la S.C. ha precisato che, in assenza di una espressa norma derogatoria - prevista invece per il giudizio civile dall'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, conv., con modif., in l. n. 221/2012 - il deposito della lista testimoniale non può essere effettuato con modalità diverse da quelle prescritte dall'art. 468, comma 1, a pena d'inammissibilità). Da ultimo, è stato considerato legittimo l'inoltro a mezzo raccomandata A/R alla cancelleria del giudice della lista dei testimoni, trattandosi di mezzo idoneo a comunicare all'ufficio ed agli interessati quanto in essa contenuto, precisando, peraltro, che gravano sulla parte che abbia scelto una forma diversa dal prescritto deposito in cancelleria, l'onere di assicurarsi della tempestiva ricezione del documento da parte del destinatario e la responsabilità dell'eventuale incompletezza o intempestività della comunicazione effettuata (Cass. V, n. 51224/2019). La giurisprudenza ha anche ritenuto che la nullità del decreto che dispone il giudizio non comporta anche la nullità della lista testimoniale ritualmente depositata, non essendo, quest'ultima, in rapporto di dipendenza logico-giuridica con il decreto stesso (Cass. II, n. 18681/2010: fattispecie nella quale il Tribunale aveva condannato l'imputato sulla base di deposizioni rese da testimoni indicati dal p.m. nella lista depositata nel primo dibattimento davanti, concluso con sentenza successivamente dichiarata nulla, ed ammessi in difetto del deposito di nuova lista testimoniale del p.m.). Il termine per il deposito Il termine finale di sette giorni prima della data fissata per il dibattimento va inteso come intero e libero, poiché l'art. 172 stabilisce che in tal modo si computano le unità di tempo, quando il termine sia stabilito salvandosi il momento finale (Cass. III, n. 4711/1994); ad esso non si applica, pertanto, la proroga automatica del termine che scada in giorno festivo, stabilita dall'art. 172, comma 3 (Cass. V, n. 1139/2013). Nel computo del termine per il deposito della lista testimoniale, deve essere applicata la disciplina generale relativa alla sospensione dei termini durante il periodo feriale; di conseguenza, se il processo non rientra tra quelli che vengono trattati nel periodo feriale, anche il termine per il deposito della lista deve tenere conto della sospensione dei termini nel periodo feriale (Cass. III, n. 44272/2005: nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che, a ragione della sospensione feriale — come all'epoca disciplinata —, il termine per il deposito della lista dei testi in riferimento ad un processo fissato per il 16 settembre, dovesse essere determinato al 24 luglio, ed ha, pertanto, annullato con rinvio la decisione che era stata assunta in base ad una prova testimoniale indicata nella lista del p.m., depositata l'8 settembre, ed ammessa nonostante la decadenza dal termine eccepita dalla difesa; Cass. III, n. 28371/2013 ha ritenuto non rispettato il predetto termine in un caso nel quale la lista era stata depositata il 29 luglio per l'udienza del 17 settembre). È stata ritenuta esente da vizi logici e giuridici la motivazione del giudice di merito che aveva ravvisato gli estremi della forza maggiore nella tardiva ricezione degli atti da parte del P.M. (per tale ragione, impossibilitato al tempestivo deposito della lista testimoniale) ed aveva, pertanto, concesso la restituzione nel termine per il deposito della lista (Cass. III, n. 19918/2010). La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che « il termine di presentazione della lista dei testimoni per il dibattimento va riferito alla prima udienza di trattazione e non anche alle successive udienze di rinvio; ne consegue che, soltanto nell'ipotesi in cui il dibattimento sia stato rinviato a “nuovo ruolo” [pur impropriamente: cfr. subart. 477], la parte riacquista il diritto di presentare la predetta lista, in quanto il termine decorre nuovamente » (Cass. III, n. 4711/1994; Cass. IV, n. 31483/2002). Altro orientamento, nel ribadire che il termine di presentazione della lista dei testimoni per il dibattimento va riferito alla prima udienza di trattazione, e non anche alle successive udienze di rinvio, riconosce alle parti (inclusa la parte civile: la costituzione di parte civile effettuata nel giorno fissato per l'udienza poi rinviata, non comporta, infatti, la decadenza prevista dall'art. 79, comma 3) il diritto di presentare la propria lista, fino a sette giorni prima della data della nuova udienza, non soltanto nell'ipotesi in cui il dibattimento sia stato rinviato a “nuovo ruolo”, ma anche in caso di rinvio ad udienza fissa disposto prima dell'apertura del dibattimento, ovvero prima che sia esaurita la fase degli atti introduttivi, « in quanto tale rinvio va equiparato a quello a nuovo ruolo, comportando l'obbligo del rinnovo della citazione a giudizio, di cui tiene luogo, per i presenti, l'avviso orale della nuova udienza » (Cass. II, n. 42058/2010; Cass. VI, n. 26048/2016: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto la tardività del deposito della lista in un caso nel quale, pur essendo stato disposto il rinvio dell'udienza prima dell'apertura del dibattimento, il giudice aveva verificato la regolare costituzione dell'imputato, dichiarandone la contumacia; Cass. II, n. 6024/2016, in fattispecie nella quale era stato disposto il rinvio del dibattimento a udienza fissa prima dell'esaurimento della fase degli atti introduttivi, con la precisazione che, in tale ipotesi - che comporta l'obbligo del rinnovo della citazione a giudizio di cui tiene luogo, per i presenti, l'avviso orale della nuova udienza -, le parti riacquistano interamente i diritti non esclusi da specifiche disposizioni normative. ). Tale conclusione è stata ritenuta conforme alla ratio dell'istituto in esame, che è quella di « evitare l'introduzione di prove a sorpresa prima che il dibattimento abbia concretamente inizio » (Cass. VI, n. 498/1997). Si è anche ritenuto che il giudice, quando provvede a rinnovare la citazione a giudizio di alcuni coimputati — in esito alla separazione dei loro processi a causa dell'accertata inosservanza, nei loro confronti, del termine di comparizione — può ammettere una lista testimoniale aggiuntiva depositata nel termine di cui all'art. 468, riferito alla nuova data fissata per il dibattimento a carico dei predetti imputati (Cass. II, n. 8224/1994). Secondo la dottrina (Beltrani, 122), in caso di rinvio prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, le parti potrebbero integrare o comunque modificare la lista già presentata (attraverso l'indicazione di nuovi testimoni, periti e consulenti, od anche soltanto di nuovi capitoli di prova): anche tale affermazione appare, infatti, conforme alla ratio dell'istituto in esame, che è quella di evitare l'introduzione di prove a sorpresa prima che il dibattimento abbia concretamente inizio. Non essendo previsto alcun termine iniziale, il deposito della lista testimoniale prima della comunicazione del decreto che dispone il giudizio non costituisce motivo di inammissibilità della prova (Cass. VI, n. 9354/1992). Sarebbe affetta da abnormità l'ordinanza dibattimentale con la quale il giudice, nel rilevare che la lista testimoniale del p.m. era stata presentata ed autorizzata al di là del limite stabilito per il deposito, abbia rimesso gli atti allo stesso p.m., poiché, in tal modo, si determina un'illegittima regressione del processo, anche tenuto conto della possibilità di disporre ex officio l'assunzione di nuovi mezzi di prova in conformità al disposto di cui all'art. 507 (Cass. III, n. 1551/1997). Segue. Le conseguenze della rinnovazione del dibattimento La giurisprudenza ha chiarito che la facoltà delle parti di richiedere, in caso di mutamento del giudice e conseguente rinnovazione del dibattimento, la ripetizione degli esami testimoniali in precedenza svolti dinanzi al giudice diversamente composto presuppone di necessità la previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata ex art. 468: si è precisato che "la necessità di legittimare le parti, a seguito del mutamento della composizione del giudice, ad esercitare nuovamente le facoltà ad esse attribuite dagli artt. 468 e 493 c.p.p. comporta la facoltà di presentare nuove richieste di prova, il che può rendere necessario concedere, se la parte interessata ne faccia richiesta, un breve termine per consentire l'eventuale presentazione di una nuova lista nei tempi e nei modi indicati dall'art. 468", la cui fruizione può rivelarsi ineludibile "quando la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata soltanto in udienza, senza preavviso alcuno" (Cass. S.U., n. 41736/2019). Le richieste di prova della parte civile L'art. 493, comma 2, c.p.p consente espressamente di superare la sanzione di inammissibilità prevista dall'art. 468 per il caso di omesso deposito della lista testimoniale, quando risulti che la parte non abbia potuto indicare tempestivamente le prove richieste; se ne è desunto che la costituzione di parte civile avvenuta in dibattimento oltre il termine previsto per la presentazione delle liste ex art. 468, comma 1, non può privare la parte civile stessa del diritto di chiedere prove, ferma restando la facoltà della controparte di articolare prove contrarie (Cass. IV, n. 5010/1994; Cass. III, n. 49644/2015). Si è successivamente osservato che la persona offesa che si costituisca parte civile fuori udienza ha la facoltà di depositare la lista testimoniale nei termini di cui all'art. 468 c.p.p. prima della notificazione della dichiarazione di costituzione, e quindi ha il diritto, una volta costituita, all'ammissione delle prove testimoniali ivi indicate, essendo l'imputato posto nella condizione di conoscere l'ambito di indagine rispetto al quale organizzare la propria difesa in dibattimento (Cass. IV, n. 27388/2018). I soggetti da indicare in listaTra i soggetti da indicare in lista rientrano sia i soggetti già indicati in sede di incidente probatorio (Cass. IV, 15 febbraio 1993, D., in Guariniello, 304: peraltro, l'art. 468, comma 5, stabilisce che il giudice dispone d'ufficio la citazione del perito nominato nell'incidente probatorio a norma dell'art. 392, comma 2), sia quelli chiamati, in qualità di testimone, a svolgere una ricognizione personale, poiché anche questi ultimi assumono il formale impegno di dire la verità e possono rispondere di falsa testimonianza, ed anche con riguardo a tale mezzo istruttorio, le controparti devono essere messe in condizione di esercitare la facoltà prevista dall'art. 468, comma 4 (cfr. infra) (Trib. Pinerolo 6 /2/1991). L'assunzione di informazioni da soggetti indicati in listaLe parti (tutte, e non soltanto il p.m.) possono legittimamente assumere, ai sensi dell'art. 430, informazioni dalle persone indicate nelle proprie liste, anche nel corso del dibattimento, poiché il divieto previsto dall'art. 430-bis (che non consente al p.m. di assumere informazioni dalle persone indicate nella lista di cui all'art. 468) concerne i soli soggetti inseriti nelle liste di altre parti processuali (Cass. V, 18/12/2000). L'indicazione delle circostanze sulle quali verte la provaL'indicazione delle circostanze (c.d. « capitolazione ») è necessaria soltanto, ai sensi dell'art. 468, comma 1, per i reati in relazione ai quali è previsto lo svolgimento dell'udienza preliminare, e non anche per quelli in relazione ai quali si proceda con citazione diretta a giudizio (cfr. art. 555, comma 1). Molto controverso è il significato concreto da attribuire alla previsione della necessità dell'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame di testimoni, periti, consulenti e soggetti di cui all'art. 210 indicati in lista (in dottrina, in argomento, Bassi, 1994, 625; Bonetto, 1991, 43 s.). Il contenuto minimo della lista prevede l'indicazione del nominativo dei soggetti che si intende esaminare e la specificazione della relativa « posizione processuale »; questi elementi « debbono coesistere nel documento, e non può prescindersi da uno di essi, giacché la suddetta norma li esige entrambi espressamente, e non ammette altre interpretazioni, oltre quella espressamente indicata » (Cass. IV, 21/01/1992, P.M. in proc. E.O., in R. Guariniello 297). Per quanto riguarda il necessario grado di specificità dell'indicazione delle circostanze, occorre premettere che l'art. 468, diversamente da quanto, ad esempio, stabilisce l'art. 244, comma 1, c.p.c. (ed in linea con il sistema accusatorio, il cui fulcro è costituito dalla più ampia possibilità di esame e controesame nel contraddittorio tra le parti, rifuggendosi dall'analitica scomposizione e dall'anticipata enunciazione dei fatti da provare, nonché dalle conseguenti esclusioni che sono tipiche delle prove legali) non richiede che la capitolazione riguardi specificamente persone e fatti, né che sia formulata per articoli separati. L'esame diretto (cross examination: cfr. art. 2, comma 1, dir. 73 l. delega n. 81/ 1987) che, per sua natura, ai fini della ricerca della verità, deve essere serrato ed incalzante, troverebbe serio impedimento nella necessità di indicare i capitoli di prova in modo dettagliato e, d'altro canto, il dibattimento (la cui centralità costituisce uno dei cardini del nuovo codice di rito) non può, e non deve, trasformarsi « in una sorta di recita le cui battute siano a priori scontate » (Rivello, 1993, 181), come, al contrario, accadrebbe inevitabilmente se le parti fossero costrette a « presentare anticipatamente quasi una griglia delle domande formulabili nell'esame orale » (Ferrua, 97), poiché la dettagliata capitolazione delle circostanze di prova si risolverebbe nell'indicazione in lista di una serie di domande specifiche, come tali certamente suggestive, che nuocerebbero alla genuinità dei testimoni. La giurisprudenza ha, in proposito, osservato che « la formulazione di domande tramite il capitolato di prova si risolve in una mera ripetizione di una testimonianza predisposta nel suo complesso e rende, pertanto, agevole ed unilaterale la risposta, ponendosi, così, in contrasto con l'art. 499, comma 3, che vieta di porre domande che tendano a suggerire le risposte » (Cass. I, n. 3187/1992). Si è, peraltro, ritenuto che il thema probandum, anche con riguardo alla controprova, è quello fissato, a priori, con la capitolazione, implicita o esplicita, delle circostanze su cui dovrà vertere l'esame, e non può perciò essere definito, a posteriori, dalle domande in concreto poste dalla parte richiedente, che potrebbe artatamente cambiare la tematica probatoria o limitare l'ambito del controesame (Cass. II, n. 192/2001: nel caso di specie, nel giudizio di rinvio — a seguito dell'annullamento della sentenza di merito con rinvio ad altra Corte d'appello perché procedesse, a richiesta delle parti interessate, alla citazione delle persone indicate dall'art. 210 onde risentirle sulle dichiarazioni rese in precedenza in ordine alla penale responsabilità degli imputati — era stata richiesta l'audizione di tali persone senza indicazione specifica delle circostanze sulle quali doveva vertere l'esame; la S.C. ha ritenuto che tali circostanze fossero implicitamente desumibili dalle indicazioni contenute nella sentenza rescindente e che, pertanto, il thema probandum concernesse proprio la penale responsabilità degli imputati, e, per tale ragione, ha considerato ammissibili domande su tale argomento poste dal P.M. in sede di controesame, a nulla rilevando che la parte richiedente si fosse limitata a domande genericamente concernenti la credibilità dei dichiaranti e, perciò, non coinvolgenti il contenuto degli addebiti mossi agli imputati). Secondo la dottrina, questi rilievi evidenziano anche l'improponibilità di una capitolazione troppo vaga e sintetica (Beltrani, 125). L'onere di indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame testimoniale fonda sull'esigenza di lealtà processuale che si esprime nella discovery e, pertanto, esso deve ritenersi adempiuto quando l'individuazione dell'oggetto dell'esame sia idonea a consentire l'esercizio del diritto alla controprova (garantito dall'art. 495, comma 2): ne consegue che solo quando la genericità delle circostanze non consenta la citazione a prova contraria alla controparte che già non conosca le circostanze sulle quali dovrà svolgersi l'esame dei testi (privandola della possibilità di efficacemente e tempestivamente individuare e presentare in dibattimento prove contrarie capaci di inficiare il valore delle prove della parte proponente), quest'ultima potrà eccepire l'inammissibilità del chiesto esame ex art. 468 (Cass. II, n. 11741/1992, e Cass. VI, n. 669/1993). La dottrina (cfr. Bonetto, 1991, 47) ha osservato, in proposito, che « se quelle circostanze sono enunciate in modo ambiguo o reticente, così da celare l'insidia che una sia la questione indicata come da trattare, e altra quella su cui verterà, di fatto, l'esame nel dibattimento, la facoltà della controparte può risultare vanificata ». In considerazione di tale finalità, la giurisprudenza ritiene che l'obbligo dell'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame possa ritenersi rispettato anche se venga richiamato il fatto come descritto in atti noti al giudice ed alle altre parti, come, ad esempio, nel caso in cui nella lista testimoniale le circostanze siano indicate con richiamo diretto al capo di imputazione contestato (Cass. I, n. 10795/1999: in motivazione, la S.C. ha osservato che, in ogni caso, non è prevista alcuna nullità per l'eventuale ammissione di prove non tempestivamente indicate dal P.M. nelle liste di cui all'art. 468, o con indicazione generica quanto al tema, e che rientra comunque tra i poteri del giudice assumere d'ufficio, a norma dell'art. 507, i mezzi di prova che la parte ha indicato, sia pure intempestivamente o irritualmente). L'obbligo dell'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni va necessariamente adempiuto soltanto quando le circostanze si discostino dal capo di imputazione, ampliandosi, così, la tematica che si intende proporre nell'istruttoria dibattimentale; detto obbligo deve ritenersi, invece, rispettato quando nella lista testimoniale le circostanze siano indicate con richiamo diretto al capo di imputazione, poiché la finalità dell'art. 468 è quella di tutelare le parti del processo contro l'introduzione di eventuali prove a sorpresa e di consentire loro la tempestiva predisposizione di proprie controdeduzioni (Cass. III, n. 41691/2005). Si è, infine, ritenuto che l'obbligo di indicare nella lista testimoniale le circostanze su cui deve vertere l'esame è adempiuto se i temi che la parte intende proporre nell'istruzione dibattimentale possono inequivocamente individuarsi e, quindi, anche se tale individuazione sia consentita dall'incorporazione della lista nel decreto di citazione, in modo da rendere chiaro che i fatti su cui i testimoni devono essere esaminati sono quelli oggetto dell'imputazione (Cass. II, n. 38526/2008); si è da ultimo ritenuto che l'obbligo di indicare nella lista testimoniale le circostanze sulle quali deve vertere l'esame è adempiuto anche in presenza di un'implicita articolazione delle circostanze dell'esame testimoniale del pubblico ministero inequivocabilmente riferibile alle condotte illecite contestate, purché non vi sia alcuna apprezzabile violazione del diritto di difesa nel senso di una sostanziale imprevedibilità del contenuto della prova prospettata (Cass. V, n. 27698/2018). Il capitolo di prova articolato per relationem In considerazione delle innanzi riepilogate finalità del deposito della lista, la giurisprudenza ha ritenuto che l'obbligo dell'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame può ritenersi rispettato anche se venga richiamato il fatto così come descritto in atti noti al giudice ed alle altre parti, e quindi non soltanto quando, nella lista testimoniale, le circostanze siano indicate con richiamo diretto al capo di imputazione contestato, ma anche quando sia possibile dedurre per relationem che la persona indicata è tra i protagonisti e/o i soggetti, anche passivi, dei fatti specificati articolatamente nel capo di imputazione, e le circostanze sulle quali è chiamata a deporre siano ricomprese in esso o in altri atti che debbano essere noti, avendo costituito oggetto di esami ritualmente depositati, e quindi anche se la deduzione testimoniale faccia generico riferimento “ai fatti del processo”, ben potendo, ciascuno di tali fatti, essere correlato senza equivoci alle circostanze (Cass. I, n. 10795/1999). Il riferimento agli «atti noti» (non solo alle parti, ma anche al giudice) viene inteso con riferimento agli atti inseriti (ai sensi dell'art. 431) nel fascicolo per il dibattimento (Cass. I, n. 5760/1991; Cass. VI, n. 8612/1998); si è precisato che « non può validamente ritenersi conosciuto dalle parti e dal giudice un atto il cui inserimento nel fascicolo per il dibattimento è stato dichiarato illegittimo, in ossequio al principio per cui neppure il giudice può avere una preventiva conoscenza degli atti prima dell'istruzione dibattimentale, e nessun provvedimento può essere basato per relationem su un atto inutilizzabile: senza contare che, in ogni caso, l'atto non sarebbe stato inserito nel fascicolo per i necessari controlli sulla pertinenza delle domande al momento dell'esame dei testi » (Cass. V, n. 8410/1993). In dottrina si è, in proposito, osservato che « non si comprenderebbe, invero, come potrebbe il giudice valutare l'ammissibilità e la rilevanza della prova (ed escludere, anche d'ufficio, le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti: v. artt. 468, comma 2, e 495) senza conoscere gli atti (in ipotesi, noti soltanto alle parti, per essere inseriti nel fascicolo del P.M.) cui la capitolazione faccia riferimento » (Beltrani, 127). Gli esami vertenti su circostanze di fatto non preventivamente note alle controparti Nel caso in cui una parte intenda esaminare i propri testimoni su circostanze che non siano preventivamente note alla controparte, l'indicazione delle circostanze dovrà necessariamente essere più dettagliata: ciò accade, generalmente, per le parti private, qualora intendano esaminare testimoni non ascoltati dal p.m. nel corso delle indagini preliminari, oppure un consulente su accertamenti ignoti alle altre parti, ma anche per il p.m., se i suoi testi devono essere esaminati su circostanze non emergenti dagli atti che fanno parte del suo fascicolo, formato ai sensi dell'art. 433, comma 1, In proposito, la dottrina (Bassi, 1994, 628) ha osservato che, « mentre la difesa ha l'obbligo di precisare le circostanze oggetto di prova a discarico, che risultano ancora sconosciute alla pubblica accusa e che difficilmente potrebbero essere richiamate per relationem ad atti già noti a quest'ultima, si ritiene che il p.m. possa senz'altro assolvere all'onere di allegazione delle circostanze mediante il rinvio ai fatti dell'imputazione », purché essi siano sufficientemente specifici. Questa precisazione consente di superare le obiezioni di altra parte della dottrina (P. P. Rivello, 1993, 183), per la quale l'indicazione delle circostanze con riferimento ad atti del procedimento potrebbe esporre le parti private « ad incombenti ingiustamente gravosi, e cioè ad un'affannosa ricerca volta ad individuare quali possano essere le circostanze, risultanti dagli atti depositati, implicitamente richiamate nella lista presentata dal p.m. ». CasisticaL'esigenza di consentire alle controparti l'esercizio della facoltà di prova contraria può ritenersi soddisfatta quando l'indicazione delle circostanze oggetto di prova sia operata con riferimento: a ) ai fatti denunciati ed esplicitati nell'imputazione, che va necessariamente contestata « in forma chiara e precisa », ex art. 429 lett. c) (Cass. I, n. 2553/1996, in un caso nel quale l'imputazione riguardava un solo episodio, caratterizzato da unicità di condotta e di evento; Cass. V, n. 269/2001, in fattispecie riguardante l'esame del verbalizzante che aveva operato il sequestro di un documento costituente corpo del reato). Il richiamo ai fatti di cui all'imputazione costituisce sufficiente indicazione delle circostanze sulle quali la prova verte soltanto nei casi in cui la contestazione ne contenga una puntuale e non equivoca descrizione (Cass. VI, n. 10421/1992; Cass. IV, n. 10453/1995). È stato ritenuto ammissibile il richiamo ai fatti oggetto dell'imputazione, nel corpo della quale era precisato trattarsi di parziale difformità della concessione edilizia ed era specificata in dettaglio la consistenza dell'illecito, con riferimento all'audizione come teste del comandante dei vigili urbani (Cass. III, n. 521/1993); è stata ritenuta l'adeguatezza anche del semplice riferimento ai « fatti del processo », ma a condizione che si versi nell'ipotesi di un'unica contestazione di reato per fatti storicamente semplici, non valendo, invece, ciò ove la vicenda processuale sia complessa, gli imputati siano più di uno e molteplici siano i capi di imputazione (Cass. III, n. 32530/2010; Cass. I, n. 7912/2022, in applicazione del principio, ha ritenuto corretta la declaratoria d'inammissibilità della lista testimoniale presentata dalla difesa, essendo impossibile dedurre, dal mero riferimento per relationem alle imputazioni per delitto associativo mafioso e plurimi omicidi commessi con armi, in luoghi e tempi diversi, su quali fatti e circostanze i soggetti indicati in lista dovessero essere chiamati a deporre); b ) a circostanze specifiche oggetto di particolari atti di indagine (noti anche al giudice: il riferimento è ai cosiddetti “atti irripetibili” di cui all'art. 431); c ) a circostanze desumibili dalla particolare qualificazione del teste e dalla documentazione nota, ad esempio, ai « fatti accertati dai funzionari del Servizio Medicina Preventiva ed Igiene del Lavoro presso la ditta (...) ed esposti nel verbale del (...) e di cui ai capi d'imputazione » (Cass. III, n. 12072/1992); d ) al racconto della vicenda compiuto già da altro soggetto nel dibattimento, in caso di successiva rinnovazione di quest'ultimo; e ) alle « circostanze di cui all'atto di querela », che fa (o almeno deve fare) parte del fascicolo per il dibattimento (Cass. I, n. 9357/1994); f ) « alla conferma della fondatezza delle accuse fatte »: tale richiesta va considerata quale formale richiamo di quanto analiticamente precisato nella contestazione del reato che, essendo già conosciuto dalla controparte, non può assumere, se fatto oggetto di esame testimoniale, il carattere della prova cd. “a sorpresa” che la funzione di discovery vuole evitare (Cass. VI, n. 9354/1992); g ) alle « modalità di arresto e del sequestro dell'arma », poiché i relativi verbali, inerenti ad atti irripetibili compiuti dalla p.g. ex art. 431, comma 1, lett. b), fanno parte del fascicolo per il dibattimento e sono, pertanto, conoscibili dal giudice (Cass. I, n. 5760/1991); h ) in tema di reati finanziari, al contenuto del verbale di constatazione, poiché detto documento viene sottoscritto dall'interessato ed è menzionato nell'avviso di accertamento (Cass. VI, n. 10421/1992), ed è, sia pure entro certi limiti, inseribile nel fascicolo del dibattimento e, quindi, conoscibile per il giudice. Al contrario, sono stati ritenuti troppo generici e, pertanto, inammissibili: a ) la richiesta di audizione di un testimone con riguardo ad « ogni altra informazione avente riflesso sul procedimento » (Trib. Torino 18 /01/1991); b ) in un processo per bancarotta fraudolenta, la citazione del curatore fallimentare semplicemente « a conferma delle relazioni in data (...) quale curatore del fallimento », poiché « nel richiedere l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame, l'art. 468, comma 1, esige un minimo di specificità nell'articolazione della prova, a garanzia del contraddittorio », e, nella specie, una tale capitolazione nulla dice, o comunque lascia comprendere, sul contenuto generale di tali relazioni, e quindi « sul presumibile contenuto delle domande che sarebbero state rivolte al testimone della pubblica accusa. Di qui la palese inammissibilità della prova testimoniale dedotta da quest'ultimo, inammissibilità peraltro espressamente eccepita dalla difesa » (Trib. Cassino, 7/03/1991, D'O.); c ) l'indicazione di testimoni « sugli accertamenti eseguiti », che non contiene la minima, necessaria, precisazione su chi abbia effettuato tali accertamenti e sul tipo, oggetto e risultato degli stessi, i cui esiti devono essere ignoti al giudice fino a che non sia ultimata l'istruzione dibattimentale (Cass. V, n. 9534/1992); d ) il riferimento alle risultanze di un rapporto di polizia giudiziaria illegittimamente inserito nel fascicolo per il dibattimento e del quale il giudice abbia preliminarmente ordinato l'eliminazione, entro i termini di cui all'art. 491, comma 1, (Cass. V, n. 8410/1993; cfr. anche App. Napoli 9 /11/1992, che ha ritenuto inammissibile il generico riferimento ad un rapporto di p.g., atto non irripetibile non inseribile nel fascicolo per il dibattimento). La lista testi nel procedimento dinanzi al giudice di pace: cenniCon riguardo al procedimento dinanzi al giudice di pace, si è ritenuto che la previsione di cui all'art. 20 d.lgs. 20 agosto 2000, n. 274 (secondo la quale, a pena di inammissibilità della prova, la richiesta di esame dei testi e dei consulenti tecnici deve contenere l'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame) si riferisce, in conformità all'analogo disposto contenuto nell'art. 468, comma 2, all'ipotesi in cui si tratti di circostanze diverse da quelle contenute nella descrizione del capo di imputazione, e non già al caso in cui tale diversità non sussista, considerato che una diversa interpretazione implicherebbe che il suddetto art. 20 preveda l'inutile ripetizione, in calce alla lista testimoniale, dei fatti specificamente indicati nell'imputazione: invero, la finalità di entrambe le norme in questione è quella di tutelare le parti del processo dall'introduzione di eventuali prove a sorpresa, consentendo loro la tempestiva predisposizione di controdeduzioni (Cass. V, n. 46868/2005). Si è anche ritenuto che la violazione dell'obbligo dell'indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame testimoniale comporta l'inutilizzabilità di tale fonte di prova solo quando al teste si richieda di fornire un contributo di conoscenza contenente un quid pluris rispetto a quanto descritto nel capo di imputazione, ma non quando questi è chiamato a confermare la sussistenza del fatto storico ivi enunciato (Cass. V, n. 43361/2005: in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto utilizzabile la testimonianza assunta in un procedimento davanti al giudice di pace, nel corso della quale il teste aveva riferito in ordine alla percezione delle frasi ingiuriose indicate nel capo di imputazione; conforme, Cass. II, n. 38526/2008). La sanzione di inammissibilitàLe liste dei testimoni, periti, consulenti tecnici e soggetti di cui all'art. 210 di cui le parti intendono chiedere l'esame a norma dell'art. 468, comma 1, devono, a pena di inammissibilità, essere depositate in cancelleria almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento. Secondo l'orientamento ormai assolutamente dominante, la sanzione di inammissibilità di cui all'art. 468, comma 1, è prevista non solo per il tardivo deposito della lista testimoniale, ma anche per la mancata indicazione delle circostanze sulle quali deve vertere l'esame dei testi, intesa nel senso indicato nei §§ precedenti (Cass. VI, n. 669/1993; Cass. VI, n. 8612/1998). Nel medesimo senso, in dottrina, Bassi, 625; Rivello, 1993, 178. La sanzione di inammissibilità non opera nel caso di inesatta od incompleta capitolazione della prova, se dal contesto generale risulti, nondimeno, individuabile il tema che ne costituisce oggetto (Cass. VI, n. 9775/1992, che ha ritenuto irrilevante l'errore in cui era incorso il p.m. [che aveva fatto riferimento in lista ai giorni « 20-22 novembre » in luogo di « 20-23 novembre » come data dei fatti oggetto di prova] risultando, dal complesso degli atti, comunque sufficientemente chiara la circostanza che si intendeva provare). Si è precisato che la mancata acquisizione agli atti delle liste testimoniali non ha alcuna rilevanza ai fini dell'ammissibilità della prova, e non produce alcuna violazione dei diritti della difesa (Cass., 13 ottobre 1992, D'A., in R. Guariniello, 305): l'art. 468 impone, infatti, alle parti, a pena di inammissibilità, l'onere di depositare tempestivamente la lista dei testi in cancelleria, non già di attivarsi fino al punto di provvedere all'inserzione del documento nel fascicolo del procedimento; se ne è desunto che, ove la parte abbia depositato in cancelleria una lista di testi, con la specifica indicazione dei procedimenti cui si riferisce la stessa, ha assolto l'onere previsto dalla norma, e ciò anche se la lista abbia riguardo a più procedimenti specificamente indicati, non potendo la parte subire pregiudizio dall'omissione del materiale inserimento dei documenti nei fascicoli dei procedimenti, che rientra tra le competenza della cancelleria (Cass. VI, n. 1977/1994, in fattispecie nella quale il ricorrente aveva denunciato la violazione dell'art. 468 per avere il P.M. omesso di depositare due distinte liste di testi da esaminare nei distinti procedimenti, poi riuniti, a carico dell'imputato). Segue. CasisticaLa giurisprudenza ritiene in generale che non dia luogo a nullità dell'ordinanza di ammissione della prova testimoniale qualunque eventuale irregolarità nella presentazione della lista testi (Cass. I, n. 19511/2010). Violazione del termine per il deposito La giurisprudenza ammette pacificamente la possibilità che gli esami sollecitati dalle parti e dichiarati inammissibili per omesso deposito della lista nel termine di rito, siano ammessi d'ufficio dal collegio (o dal giudice), ricorrendone i presupposti, ai sensi dell'art. 507 (al quale, sul punto, si rinvia) (per tutte, Cass. VI, n. 9214/2005); si è aggiunto che « l'ammissione di prove testimoniali tardivamente indicate non è causa di nullità della relativa ordinanza, posto che rientra tra i poteri del giudice assumere le prove anche d'ufficio, con la conseguenza che la prova tardivamente indicata ed espletata deve ritenersi ammessa d'ufficio », pur in difetto di un'espressa determinazione, ammessa d'ufficio (Cass. V, n. 15325/2010): quest'ultima affermazione è, peraltro, opinabile, apparendo sempre e comunque necessario che il giudice espliciti le ragioni delle proprie determinazioni, se non altro per consentirne la verifica in sede di gravame. Si ammette anche che detti esami, ammessi d'ufficio, siano assunti in un momento diverso da quello del termine dell'acquisizione delle prove indicate dal citato art. 507 (anche nel momento del dibattimento in cui sarebbero stati assunti se la parte instante ne avesse fatto tempestiva richiesta), poiché quest'ultima circostanza determina una mera irregolarità, processualmente non sanzionata (Cass. II, n. 23366/2011). Testi non indicati in lista Superato un contrario e meno recente orientamento, la giurisprudenza ritiene attualmente che la deposizione resa da un testimone il cui nome non sia contenuto in una lista depositata nei termini prescritti dalla legge, non è viziata da nullità; inoltre essa, pur essendo in astratto inutilizzabile ai fini della decisione, ai sensi dell'art. 191 (Cass. III, n. 28371/2013), può in concreto essere utilizzata, considerato che rientra nei poteri del giudice l'ammissione dell'esame anche d'ufficio, ex art. 507, per il perseguimento della finalità del processo penale, che è quella di pervenire alla verità e trarne le conseguenze (Cass. V, n. 8394/2014; conforme Cass. II, n. 31882/2016, che, in applicazione del principio, ha rigettato la censura sollevata dalla difesa dell'imputato contro la rimessione in termini accordata al P.M. per il deposito della propria lista testimoniale, nonostante l'assenza di documentate e fondate ragioni per il ritardo). In un caso nel quale il P.M. aveva indicato, quale testimone d'accusa nella lista regolarmente presentata, uno dei vigili urbani che avevano eseguito le indagini, non comparso all'udienza dibattimentale, si è ritenuto che il giudice « ammettendo a testimoniare, su richiesta dello stesso p.m., altro vigile in sostituzione di quello assente, ed utilizzando quanto da costui riferito ai fini della decisione, era giustificato da una realtà probatoria certa e non incappava, quindi, in alcuna nullità posta a tutela del contraddittorio e dei diritti della difesa » (Cass. III, 2 marzo 1993, R., in R. Guariniello, 304); sempre con riguardo all'esame di un testimone diverso da quello ritualmente indicato in lista, si è successivamente ritenuto che, qualora, avuto riguardo alla fungibilità delle funzioni cui si riferiscono le circostanze di fatto che si intendono provare mediante testimonianza, sia irrilevante l'identità fisica del soggetto chiamato a rendere detta testimonianza, non può dirsi inammissibile, in relazione al disposto di cui all'art. 468, comma 1, la richiesta della parte, avanzata oltre il termine stabilito da detta norma, di far assumere, come testimone, sulle medesime circostanze, una persona diversa da quella originariamente indicata nella lista (Cass. I, n. 5870/2001: in applicazione del principio, è stata ammessa la richiesta del P.M. di far sentire come testimone, in ordine a circostanze desumibili da ricerche d'archivio, un ufficiale di p.g. diverso da quello indicato in precedenza nella lista; conformi, Cass. VI, n. 4936/2004, in fattispecie nella quale era stato esaminato, sulle stesse circostanze indicate in lista, in luogo dell'amministratore di una società, una persona da quest'ultimo formalmente delegata, e Cass. II, n. 7245/2020 con la precisazione — in verità, pleonastica — che l'esame deve essere ritualmente condotto e la testimonianza deve essere pertinente alle circostanze indicate in lista). La mancata od erronea indicazione, da parte del P.M., nella lista testimoniale, del nome della persona da escutere, non comporta una violazione dei diritti della difesa, né la presentazione di testimoni “a sorpresa”, ove detto nome sia comunque facilmente reperibile e conoscibile da parte dell'imputato dagli atti, in virtù della qualifica attribuita al teste, l'esame sia condotto ritualmente e verta sulle circostanze indicate in lista (Cass. III, n. 38501/2007: fattispecie nella quale sono state ritenute utilizzabili, in un procedimento per il reato di omesso versamento di contributi assistenziali e previdenziali, le dichiarazioni di testi genericamente indicati come accertatori dell'I.N.P.S.; conforme, Cass. III, n. 20986/2016). Irrituale indicazione delle circostanze Come già evidenziato in relazione alle conseguenze della violazione del termine per il deposito della lista, risulta ormai dominante l'orientamento che esclude la sussistenza di vizi, nel caso in cui le prove siano state indicate in lista in modo generico quanto all'oggetto, in difetto di una sanzione di nullità ad hoc, e non potendo le prove in questione, dopo essere state assunte, essere considerate inutilizzabili, posto che l'art. 507 consente al giudice di assumere d'ufficio anche prove irregolarmente indicate dalle parti, ed in ogni caso non sussiste un divieto di assunzione che possa attivare la sanzione di inutilizzabilità prevista dall'art. 191 dello stesso codice (Cass. I, n. 5636/2008, secondo la quale « rientra nei poteri del giudice di appello disporre d'ufficio la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale qualora ritenga assolutamente necessario l'esame dei testimoni le cui dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado siano state dichiarate inutilizzabili dallo stesso giudice di appello per tardivo deposito della lista prevista dall'art. 468 »). Segue. Rilevabilità od eccepibilitàSi discute se la sanzione di inammissibilità prevista dall'art. 468, comma 1, possa essere rilevata d'ufficio, o debba essere eccepita dalla parte interessata. La dottrina è divisa: a) un orientamento (Chelazzi, 296; Potetti, 1994, 1399) ritiene che l'inammissibilità possa essere rilevata dal giudice soltanto in presenza di un'eccezione della parte interessata: le regole stabilite dall'art. 468, comma 1, sarebbero disponibili dalle parti, poiché la sanzione di inammissibilità mira a garantire il solo diritto alla prova, e non sarebbe, pertanto, rilevabile d'ufficio; b ) altro orientamento (Plotino, 41) ritiene che « il concetto di inammissibilità — quale forma di sanzione dell'atto processuale invalido — è sempre stato legato (...) alla rilevabilità d'ufficio ed all'insanabilità (a differenza della nullità) », e che, d'altro canto, la disciplina in questione intende perseguire esigenze di ordine pubblico, quali il « razionale, leale e corretto svolgimento delle attività processuali » e la celere trattazione dei processi penali, e non può, pertanto, ritenersi disponibile dalle parti. La sanzione di inammissibilità (e la collegata decadenza dall'esercizio di facoltà entro termini stabiliti dalla legge) rientrerebbe (con le nullità e l'inutilizzabilità, tutte caratterizzate dall'insanabilità) in un sistema di sanzioni processuali caratterizzate dalla rilevabilità d'ufficio, salva espressa previsione contraria (come per le nullità relative), e (salvi i casi di cui all'art. 493, comma 3) troverebbe l'unico limite nella facoltà (attribuita al giudice per la superiore esigenza dell'accertamento della verità, cui il processo penale tende) di cui all'art. 507; c) un terzo orientamento (Bassi, 1993, 293 ss.) ritiene che, « fermo restando l'obbligo del giudice di rilevare la tardività della lista e di dichiarare la conseguente inammissibilità delle prove in essa indicate, a salvaguardia della discovery e dell'effettiva parità delle parti, deve comunque essere lasciato a queste ultime lo spazio per accordarsi, al fine di impedire consensualmente gli effetti della sanzione processuale. Questo potere di sanatoria, che discende (...) dal principio dispositivo, consente di salvaguardare, allo stesso tempo, la ratio della norma, i poteri del giudice in punto di prova, le esigenze di economia processuale e di conservazione dell'attività giuridica. Infine, si pone a favore dello stesso principio del favor rei: non avrebbe senso, infatti, nei casi in cui, per inerzia, il difensore dell'imputato abbia omesso o ritardato il deposito della lista, ma nondimeno il p.m. intenda rinunziare a far valere la relativa decadenza, comprimere le esigenze della difesa, tenuto anche conto che il rispetto delle forme processuali non deve mai essere fine a se stesso, ma tendere alla salvaguardia dei diritti delle parti: pertanto, rilevato (d'ufficio o su eccezione di parte) il vizio della lista testimoniale, ci sarebbero due possibilità: il giudice procede a dichiarare l'inammissibilità delle prove indicate nella lista irrituale soltanto in difetto di un contrario accordo tra le parti; al contrario, in presenza dell'accordo espresso tra le parti di rinuncia ad avvalersi della tutela prevista dal legislatore, il giudice dovrà astenersi dal dichiarare l'inammissibilità delle prove ». La sanzione in oggetto sarebbe, quindi, disponibile dalle parti, non perseguendo essa il raggiungimento di alcuna finalità di ordine pubblico, e considerato che persino la tardività del deposito della lista (oltre che, ovviamente, l'omessa o generica indicazione delle circostanze), se non eccepita, non esercita alcuna influenza sul processo né può ritardarne la definizione, poiché « solo la controparte è in grado di valutare a ragion veduta se il mancato rispetto del termine di lista sia idoneo a porla in situazione indebita di svantaggio, o comunque di maggior difficoltà di esercizio del proprio diritto alla prova » (Potetti, 1994, 1399). Ciascuna parte « potrà, caso per caso, ritenere che l'omessa, o comunque generica, indicazione delle circostanze di prova, od anche il deposito fuori dai termini indicati, non abbiano impedito lo svolgimento di una utile attività difensiva (perché, ad esempio, la versione dei fatti del teste tardivamente indicato, ma già esaminato nel corso delle indagini preliminari, era nota da tempo, oppure riguardava anche circostanze favorevoli alla tesi processuale di controparte) e rinunziare a sollevare la relativa eccezione, od al contrario potrà eccepire l'inammissibilità » (Beltrani, 133). Sotto il profilo tecnico-giuridico, una conferma della fondatezza di quest'ultimo orientamento potrebbe essere tratta dall'art. 495, comma 4, che prevede la necessità di un'eccezione di parte perché il giudice possa rilevare l'inammissibilità delle prove, anche dopo l'ammissione delle stesse. Molteplici decisioni giurisprudenziali sembrano implicitamente considerare scontate la rilevabilità d'ufficio e l'insanabilità dell'inammissibilità per i vizi nel deposito della lista testimoniale, pur non avendo affrontato espressamente la questione; tuttavia, nei pochi casi in cui il problema ha costituito oggetto di specifico esame, la Corte di cassazione è giunta a conclusioni opposte. In particolare, a parere dell'orientamento ormai consolidato, « poiché le regole che disciplinano l'ammissione e l'assunzione delle prove sono disponibili dalle parti, quella in cui favore la regola è posta può rinunciare alla sua osservanza, anche tacitamente, mediante un comportamento chiaramente dimostrativo della volontà di rinuncia. Ne consegue che, in tal caso, la parte medesima non può dolersi della mancata osservanza della regola stessa » (Cass. I, n. 11805/1995); la ratio di tale interpretazione è ravvisata nella finalità di discovery cui la lista testimoniale deve assolvere, cui consegue che l'inammissibilità può essere fatta valere dalla parte interessata, ma non rilevata d'ufficio dal giudice, i cui stessi poteri officiosi sono limitati all'esclusione di prove vietate dalla legge od in esubero (Cass. II, 8/04/1993, G., in Guariniello, 296 e 305; conforme, Cass. III, n. 11530/1992, per la quale, inoltre, « l'inammissibilità prevista dall'art. 468 non configura un'ipotesi di nullità assoluta ex art. 179 e, perciò, deve essere eccepita e svolta nel dibattimento di primo grado ex art. 181 »: nel caso sottoposto al suo esame, la S.C. ha rilevato che il difensore, oltre a non aver tempestivamente eccepito la nullità della lista testimoniale, aveva addirittura controesaminato i testi della cui ammissibilità si era successivamente lamentato). Una decisione (Cass. I, n. 758/1994) ha ritenuto infondata la doglianza difensiva relativa alla mancata indicazione dei consulenti nella lista del p.m., poiché l'ammissione di essi era avvenuta senza che le parti sollevassero alcuna eccezione od opposizione. L'inammissibilità ex art. 468, comma 1, è stata talora ricondotta alle nullità previste dall'art. 180, rilevabili anche d'ufficio, ma che non possono più essere rilevate né dedotte dopo la deliberazione della sentenza di primo grado, ovvero, se si sono verificate nel giudizio, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo (Cass. II, n. 11741/1992, in motivazione). La giurisprudenza costituzionale (in particolare, Corte cost. n. 111/1993), pur senza affrontare direttamente la questione, ha affermato, in generale, che il regime di decadenza delle prove è finalizzato unicamente a garantire il diritto delle parti alla prova, e la correttezza del confronto dialettico delle stesse. A prescindere dalla necessità che l'inammissibilità di una prova per violazione della disciplina dettata dagli artt. 468 comma 1, sia eccepita dalla parte interessata, il giudice conserva pur sempre il potere-dovere di rilevare d'ufficio che una prova è vietata dalla legge, oppure manifestamente sovrabbondante, od infine manifestamente superflua od irrilevante; peraltro, nel caso in cui l'eccessiva genericità delle circostanze non consenta al giudice di operare il controllo previsto dalla legge, quest'ultimo, d'ufficio, potrà invitare la parte (all'udienza, e senza che ciò comporti la necessità di sospendere il dibattimento) a fornire gli opportuni chiarimenti, onde essere in grado di svolgere il controllo imposto dalla legge. Ciò non si verificherà mai nel caso del deposito tardivo della lista, che non incide sull'esercizio di alcun potere-dovere del giudice, poiché, in tal caso, la rilevabilità dell'inammissibilità della prova da parte del giudice sarà sempre collegata ad un'eccezione della parte che vi ha interesse. La dottrina ha osservato, inoltre, che « i suddetti vizi non possono essere eccepiti da chi vi ha dato od ha concorso a darvi causa, ovvero non ha interesse all'osservanza della disposizione violata (si pensi, ad esempio, all'imputato, nel caso in cui la lista presentata tardivamente da una delle parti civili costituite contenga testimoni su circostanze inerenti alla sola posizione processuale di uno dei coimputati), e vanno comunque eccepiti dal difensore immediatamente prima dell'ammissione della prova (cfr. art. 182) » (Beltrani, 134). L'autorizzazione alla citazione dei testimoni e degli altri soggetti indicati in listaAi sensi dell'art. 468, comma 2 (applicabile al rito monocratico, anche ove si proceda con citazione diretta a giudizio da parte del P.M., ai sensi dell'art. 549), il presidente del tribunale (od giudice monocratico), quando ne sia fatta richiesta, autorizza con decreto la citazione dei testimoni, periti e consulenti tecnici, nonché dei soggetti di cui all'art. 210, indicati nelle liste testimoniali, escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti; il provvedimento non pregiudica la futura decisione sull'ammissibilità della prova a norma dell'art. 495 Il presidente del tribunale (od il giudice monocratico) può stabilire che la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici, nonché delle persone indicate nell'art. 210, sia effettuata per la data fissata per il dibattimento, ovvero per altre successive udienze per le quali ne sia previsto l'esame. Attraverso il deposito della lista, e la successiva autorizzazione del giudice alla citazione, la parte ha a sua disposizione un utile strumento coercitivo per ottenere la presenza in dibattimento del soggetto che essa intende esaminare: si ottiene, per tale via, un'efficace parificazione della posizione delle parti private e di quella pubblica. Naturalmente, la parte potrà non richiedere l'autorizzazione suddetta, in tutti i casi in cui la stessa confidi di poter presentare il soggetto da esaminare direttamente in dibattimento, ovvero che quest'ultimo sarà comunque presente in dibattimento; ciò è consentito anche nel caso in cui l'autorizzazione alla citazione sia stata negata, poiché la parte interessata può sempre auspicare che il giudice del dibattimento, all'esito della fase predibattimentale e dopo avere ascoltato l'elencazione dei fatti che ciascuna parte intende provare (art. 493), ammetta l'esame del soggetto la cui autorizzazione alla citazione era stata precedentemente negata. La giurisprudenza ha precisato che la mancata autorizzazione presidenziale alla citazione del testimone non è causa di inutilizzabilità della testimonianza successivamente ammessa su richiesta della parte interessata (nella specie, si trattava del P.M.) ed assunta in dibattimento (Cass. VI, n. 4671/2010, e Cass. III, n. 7969/2011). I requisiti che la lista deve possedere ai fini del rilascio dell'autorizzazione alla citazione I requisiti che vengono richiesti alla lista testimoniale, ai fini del rilascio dell'autorizzazione alla citazione, dall'art. 468, comma 2, riguardano: a ) la legittimità formale della testimonianza, che non deve essere vietata dalla legge (per i divieti, cfr. artt. 62 — 194, commi 1, 2 e 3 — 197, comma 1, lett. a) — d) ); b ) la sua non manifesta sovrabbondanza, cui sono estranee valutazioni sulla rilevanza o sulla superfluità della prova stessa (Lattanzi, 2301): il relativo giudizio va operato con cautela, tenendo conto che la norma mira ad evitare tattiche processuali dilatorie od ostruzionismi (Cristiani, 348). Parte della giurisprudenza ha ritenuto che l'esclusione della prova per difetto della pertinenza rispetto al thema decidendum, costituisce limite coessenziale all'ammissibilità della prova stessa, sicché, ove la pertinenza difetti, l'esclusione può avvenire anche nella fase degli atti preliminari, e non solo in quella degli atti introduttivi al dibattimento (Cass. V, n. 7721/1996, con nota decisamente contraria di Riviezzo, il quale ha osservato che « sia l'interpretazione sistematica, sia quella letterale conducono entrambe univocamente alla conclusione che in sede di autorizzazione alla citazione dei testimoni il presidente [od il giudice monocratico] non può negarla sul presupposto che una prova è irrilevante o che non inerisca al thema decidendum, così come circoscritto dall'art. 187, essendo tale valutazione riservata al giudice nella sede propria dibattimentale, a norma dell'art. 495 »). A prescindere dalla confusione di competenze nella quale il contrario orientamento incorre (quelle di cui all'art. 495 sono riservate al collegio, non al suo presidente), la chiara formulazione dell'art. 468, comma 2, non consente l'esclusione degli esami che potrebbero successivamente risultare inammissibili per violazione della disciplina di cui all'art. 468, comma 1: quest'interpretazione si pone in linea con la già ritenuta necessità, ai fini della declaratoria di inammissibilità, di un'eccezione della parte interessata, che in fase predibattimentale non potrebbe ovviamente essere sollevata: il presidente (od il giudice) non potrebbe, pertanto, negare l'autorizzazione alla citazione in considerazione della mera tardività del deposito della lista (S. Beltrani, 136; in senso contrario, Plotino, 44). Le liste sovrabbondanti Secondo la giurisprudenza, la parte che abbia presentato una lista testi ritenuta sovrabbondante e che abbia esercitato la facoltà, attribuitale dal giudice, di scelta dei testimoni da assumere, non è legittimata a dedurre, in seguito, la nullità dell'esclusione di quelli non espressamente indicati, essendo stata la sua scelta liberamente esercitata, con conseguente assenza di ogni lesione del diritto di difesa (Cass. III, n. 16677/2021). L'assunzione della qualità di « persona chiamata a rendere dichiarazioni dinanzi all'a.g. » Il momento in cui il giudice autorizza la citazione di un soggetto in qualità di testimone determina, in capo a quest'ultimo, l'assunzione della qualità di « persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti all'autorità giudiziaria », che rileva ai fini della configurabilità del delitto di subornazione ex art. 377 c.p. (Cass. S.U., n. 37503/2002, e Cass. VI, n. 19259/2011). Il provvedimento autorizzativo Il provvedimento con il quale il giudice respinge l'istanza di autorizzazione alla citazione assume la forma del decreto non motivato, in difetto di espressa previsione di legge (cfr. art. 125, comma 3), che non è autonomamente impugnabile, ancora una volta in difetto della previsione di un apposito mezzo di impugnazione (cfr. art. 568), e potendo ogni eventuale nullità essere dedotta in sede di richiesta di ammissione delle prove ex art. 493, e comunque come motivo di impugnazione della sentenza conclusiva (Cass. VI, n. 2621/1995). Le conseguenze della mancata citazione del teste per l'udienza Si rinvia in proposito sub art. 495 La presentazione in udienza dei soggetti da esaminareNessun problema pratico ha posto il terzo comma dell'art. 468, a norma del quale i testimoni ed i consulenti tecnici indicati nelle liste possono anche essere presentati direttamente al dibattimento. La giurisprudenza ha chiarito che l'art. 149 disp. att. c.p.p. (a norma del quale l'esame del testimone deve avvenire in modo che nel corso dell'udienza nessuna delle persone citate, prima di deporre, possa assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di ciò che si fa nell'aula di udienza), si riferisce chiaramente alle sole persone citate come testi dall'accusa o dalla difesa ai sensi dell'art. 468 c.p.p., oppure a quelle citate ex art. 507 stesso codice per un'udienza successiva, e, pertanto, non trova applicazione allorché si tratti di persone, presenti in aula, di cui venga disposta l'escussione immediata (Cass. IV, n. 27236/2020). La citazione a prova contrariaL'art. 468, comma 4, stabilisce che, in relazione alle circostanze indicate nelle liste, ciascuna parte può chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria lista, ovvero presentare tali soggetti al dibattimento: per un evidente difetto di coordinamento, la norma trascura di far menzione dei soggetti di cui all'art. 210 (cfr. art. 468, comma 1), ma la lacuna può essere agevolmente superata in via di interpretazione (Beltrani, 137). La dottrina (Rivello, 1993, 327) ha sottolineato che « si dovrà fare necessariamente ricorso a tale ultima possibilità qualora la parte avversaria provveda al deposito della propria lista soltanto allo scadere del termine dei (...) giorni antecedenti alla data fissata per il dibattimento ». La giurisprudenza di merito ha acutamente osservato che dal tenore dell'art. 468, comma 4, non può desumersi la possibilità di prescindere dalle formalità di cui all'art. 468, comma 1, ai fini dell'esercizio del diritto all'ammissione delle prove a discarico, previsto dall'art. 495, comma 2, poiché tale comma attiene alle modalità per assicurare la presenza in dibattimento dei soggetti a discarico, e non ai criteri di ammissibilità; la nuova formulazione dell'art. 111 Cost., sulle condizioni di parità che debbono essere garantite nello svolgimento del processo, induce a ritenere che esse debbano consentire anche al p.m. di conoscere preventivamente il contenuto delle prove (eventualmente a discarico) richieste dalla difesa (Trib. Pisa 28 /06/2000, S.). Un orientamento ritiene che la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria di testimoni, periti e consulenti tecnici non compresi nella propria lista non può essere esercitata dalla parte che non abbia depositato la propria lista nel termine indicato, a pena di inammissibilità, dall'art. 468, comma 1, salva la possibilità del giudice di disporre ex officio l'assunzione di nuovi mezzi di prova nei limiti di cui all'art. 507 (Cass. VI, n. 17222/2010); altro orientamento, senz'altro maggioritario, ritiene, al contrario, che la parte che abbia omesso di depositare la lista dei testimoni nel termine di legge ha la facoltà di chiedere la citazione a prova contraria dei testimoni, periti e consulenti tecnici, considerato che il termine perentorio per il deposito della lista dei testimoni è stabilito, a pena di inammissibilità, dall'art. 468, comma 1, soltanto per la prova diretta e non anche per quella contraria, e che l'opposta soluzione vanificherebbe il diritto alla controprova, il quale costituisce espressione fondamentale del diritto di difesa (Cass. V, n. 41662/2016; Cass. III, n. 15368/2010, che, in particolare, ribadisce che il termine perentorio previsto per il deposito della lista testimoniale vale unicamente per la prova diretta e non anche per quella contraria, potendo quest'ultima essere richiesta sino alla pronuncia dell'ordinanza di ammissione delle prove, fatte salve le ipotesi di emersione dei relativi presupposti nel corso dell'istruzione dibattimentale). Pur essendo svincolato dalle forme indicate dall'art. 468, comma 1, e non richiedendo, quindi, il rispetto del termine perentorio previsto per il deposito della lista testimoniale (previsto per la sola prova diretta: Cass. I, n. 10395/2022), l'esercizio del diritto di articolare la prova contraria è naturalmente subordinato alla presentazione della lista della controparte (Cass. VI, n. 17222/2010), e richiede pur sempre che la parte interessata faccia specifica richiesta di prova contraria sui fatti oggetto delle prove a carico, non essendo sufficiente un generico riferimento alle prove a discarico indicate nella lista depositata (Cass. VI, n. 26048/2016). Fermo restando il potere del giudice di consentire l'acquisizione delle prove da cui il p.m. sia decaduto, avvalendosi dei poteri che gli sono conferiti dall'art. 507, si è ritenuto che la decadenza del P.M. dalla prova diretta non esclude il suo diritto all'ammissione delle prove a carico dell'imputato sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico (Cass. VI, n. 8246/1993). La facoltà della « controparte » di articolare la prova contraria, ai sensi dell'art. 468, comma 4, è esercitabile anche in caso di restituzione nel termine ai sensi dell'art. 493, comma 3, che implicitamente richiama il predetto 'art. 468, comma 4 (Cass. VI, n. 1450/1994). Quanto all'oggetto, anche la c.d. "prova contraria" deve, al pari di quella diretta, riguardare circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei fatti di cui all'imputazione; essa non comporta, quindi, il diritto ad ottenere l'ammissione di una prova manifestamente superflua, oppure che verta su fatti esulanti dall'ambito delineato dalla contestazione (Cass. II, n. 31883/2016: fattispecie in tema di usura, nella quale la difesa aveva chiesto l'ammissione, a prova contraria, dell'esame del funzionario responsabile dell'accesso al "Fondo di solidarietà per le vittime dell'usura"; in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretto il rigetto della richiesta, in quanto l'accesso al predetto fondo costituiva circostanza non controversa, oltre che successiva ai fatti).
I documentiLa preclusione alle richieste probatorie delle parti, conseguente al mancato rispetto del termine fissato dall'art. 468, comma 1, non riguarda le richieste di acquisizione di prove documentali, che possono dunque essere avanzate anche in un momento successivo a quello fissato dalla disposizione suddetta (Cass. V, n. 23004/2017, con la precisazione che, in caso di esibizione di documenti successiva all'esposizione introduttiva, deve peraltro essere garantito alle altri parti il diritto di esaminarli, secondo quanto prescrive l'art. 495, comma 3). I verbali di prova di altro procedimento penaleAi sensi dell'art. 468, comma 4-bis, la parte che intende chiedere l'acquisizione di verbali di prova di altro procedimento penale deve farne espressa richiesta con il deposito delle liste (entro lo stesso termine di sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, previsto per il deposito di queste ultime). Se si tratta di verbali di dichiarazioni di persone delle quali la stessa o altra parte chiede la citazione, questa è autorizzata solo dopo che in dibattimento il giudice abbia ammesso l'esame a norma dell'art. 495 (in deroga all'art. 468, comma 2, a norma del quale l'autorizzazione alla citazione precede l'ammissione: la diversa disciplina trova la sua ragione nell'opportunità di regolamentare gli esami dibattimentali dei cd. « pentiti », spesso chiamati a deporre in più processi sugli stessi fatti). Tra i « verbali di prove di altri procedimenti » rientrano — atteso l'ampio significato dell'espressione adottata dal legislatore (che è riferibile ad ogni mezzo di prova, sia orale che documentale) — anche i verbali di dichiarazioni di persone già esaminate ed eventualmente da riesaminare (testi, indagati o imputati in altro procedimento): ciò si evince dalla specificazione contenuta nella seconda parte dell'art. 468, comma 4-bis, che ricalca, anche per la specificità della norma, la simultanea suddistinzione che si ritrova, rispettivamente, nei commi 1 e 4 dell'art. 238 (Cass. VI, n. 13682/1998). L'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento non presuppone che questo sia stato definito con sentenza irrevocabile (Cass. III, n. 2954/1999). Anche con riguardo alla produzione di verbali di prova di altro procedimento penale, è esercitabile il diritto di prova contraria ex art. 468, comma 4. Le eventuali patologie La giurisprudenza ritiene che l'inosservanza delle formalità prescritte dall'art. 468, comma 4-bis, per l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento, non comporti alcuna conseguenza di ordine processuale, in quanto detta violazione: a ) non è sanzionata da alcuna espressa previsione di nullità; b ) non è riconducibile ad alcuna delle nullità di ordine generale previste dall'art. 178; c ) non può dar luogo ad inutilizzabilità degli atti irritualmente acquisiti, poiché l'inutilizzabilità, ai sensi dell'art. 191, comma 1, può derivare soltanto dalla violazione di un divieto di acquisizione che, quando non sia esplicito, può riconoscersi come implicito soltanto in relazione alla natura o all'oggetto della prova, e non invece in relazione alle modalità dell'assunzione di quest'ultima; d ) non è, infine, sanzionata dall'inammissibilità ex art. 468, comma 1, poiché detta sanzione è collegata soltanto alle violazioni indicate nel citato comma, e non può essere applicata per analogia fuori da quei casi (Cass. I, n. 7491/1994; Cass. VI, n. 13682/1998: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che legittimamente il giudice di merito avesse utilizzato, ai fini della decisione, verbali di dichiarazioni rese da coimputati in altro procedimento dei quali il P.M., pur avendo depositato in ritardo la lista testimoniale, aveva chiesto l'esame diretto, riservandosi la produzione di detti verbali, già contenuti nel suo fascicolo, ove l'esame non fosse poi stato effettuato — così come era, in effetti, avvenuto, dandosi quindi luogo alla detta produzione, per essersi parte dei dichiaranti rifiutati di sottoporvisi, mentre altri non erano comparsi). Il principio è stato ribadito anche successivamente: « l'inosservanza delle formalità dettate dall'art. 468, comma 4-bis, per l'acquisizione a richiesta di parte dei verbali di prove di altro procedimento penale è sfornita di qualsivoglia sanzione processuale, non operando l'inammissibilità, prevista dal primo comma del medesimo articolo per il solo caso di inosservanza dei termini di deposito delle liste testimoniali, e non potendosi, d'altra parte, in difetto di espressa previsione, far ricorso all'istituto della nullità, come pure a quello dell'inutilizzabilità, il quale ultimo richiederebbe la violazione di uno specifico divieto di acquisizione, nella specie insussistente » (Cass. V, n. 14457/2011, e Cass. III, n. 35865/2011, Cass. II, n. 49198/2019). Dal tenore dell'art. 468 comma 4-bis si è desunto che l'ammissione di prove documentali (diverse dai verbali delle prove assunte in altro procedimento) non è subordinata alla condizione della loro preventiva richiesta di acquisizione in lista (Cass. VI, n. 1542/1995, e Cass. II, n. 48861/2009); si è ritenuto, inoltre, che nessun termine sia previsto, a pena di inammissibilità, per la produzione di documenti (Pret. Siracusa 21/06/1996: « le prove documentali sono da ritenersi legittimamente acquisite, ancorché tardivamente prodotte in dibattimento, oltre l'esaurimento del termine per le esposizioni introduttive »). Si è, più recentemente, precisato che, ai fini dell'acquisizione di un verbale di arresto relativo ad un altro procedimento, non è necessaria la richiesta di parte ex art. 468, comma 4-bis, da formularsi unitamente al deposito delle liste testimoniali, non costituendo esso un verbale di prova, bensì la documentazione di un atto irripetibile, acquisibile a norma dell'art. 238, comma 3, c.p.p. (Cass. IV, n. 14588/2017). La citazione del perito nominato in sede di incidente probatorioNessun problema ha posto il quinto comma dell'art. 468, a norma del quale, nel caso in cui, nel corso delle indagini o dell'udienza preliminare, sia stata espletata una perizia in incidente probatorio (ai sensi dell'art. 392, comma 2), va, in ogni caso, disposta d'ufficio la citazione del perito in quella sede nominato. La competenza a rinnovare la citazione dei testi non comparsi, in caso di rinvio dell'udienzaLe Sezioni unite, risolvendo il contrasto insorto in seno alla giurisprudenza in merito alla competenza, in caso di rinvio dell'udienza, a rinnovare la citazione dei testi non comparsi (e, quindi, non edotti verbalmente del rinvio), la cui ammissione fosse stata stata richiesta ex art. 468, ma che non fossero ancora stati ammessi ex art. 495 (era, in particolare, discussa la legittimità o meno dell'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento avesse onerato dell'adempimento il p.m., quanto alla citazione dei propri testi e degli altri soggetti di lista), hanno chiarito che è legittima l'ordinanza con la quale il giudice, nel rinviare ad udienza fissa la prosecuzione del processo, ponga a carico del P.M. l'onere di curare la rinnovata citazione dei testimoni non comparsi inseriti nella sua lista, in quanto tale citazione, anche quando risulti già instaurato il dibattimento, resta atto della parte che abbia ottenuto l'autorizzazione a provvedervi, salvo che non si versi nelle ipotesi, esplicitamente previste, di ammissione della prova ex officio o di accompagnamento coattivo disposti dal giudice: nel qual caso, essa non costituisce più atto di parte, ma oggetto di adempimento d'ufficio del giudice stesso, secondo la disciplina di cui all'art. 142, comma 4, disp. att. Ne consegue che, non potendo essere considerata in alcun caso atto abnorme, la predetta ordinanza non è impugnabile autonomamente, ma solo congiuntamente alla sentenza, a norma dell'art. 586, e, quindi, che il ricorso per cassazione proposto direttamente avverso di essa è inammissibile (Cass. S.U., n. 4/2001: nella specie, il ricorso per cassazione era stato proposto dal P.M. contro il provvedimento giudiziale che lo aveva onerato della nuova citazione dei testimoni non comparsi da lui indicati, deducendone l'abnormità sotto il duplice profilo dell'anomala regressione e dell'irrimediabile stasi che esso avrebbe determinato nel processo). Gli effetti della declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizioLa giurisprudenza (Cass. I, n. 6914/2022 ) ha chiarito che la nullità del decreto che dispone il giudizio non si estende alla lista testimoniale ritualmente depositata, poiché quest'ultima non è in rapporto di dipendenza logico-giuridica con il decreto stesso. 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