Codice di Procedura Penale art. 469 - Proscioglimento prima del dibattimento.

Sergio Beltrani

Proscioglimento prima del dibattimento.

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 129, comma 2, se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita [336 s., 649] ovvero se il reato è estinto [150 s. c.p.] e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento, il giudice, in camera di consiglio [127], sentiti il pubblico ministero e l'imputato e se questi non si oppongono, pronuncia sentenza inappellabile [593] di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo.

1-bis. La sentenza di non doversi procedere é pronunciata anche quando l'imputato non é punibile ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare 1.

 

[1] Comma inserito dall'art. 3 d.lg. 16 marzo 2015, n. 28 .

Inquadramento

L'art. 469 (applicabile anche al rito monocratico, in virtù del rinvio disposto dall'art. 549) ripropone l'art. 421 c.p.p. del 1930, con la significativa innovazione della necessità della « non opposizione » dell'imputato e del p.m., uniche parti legittimate ad esprimersi in proposito, mentre in precedenza si prevedeva genericamente che fossero « sentite le parti », e quindi anche le parti private diverse dall'imputato) appare del tutto rispettosa della l. delega, il cui art. 2 dir. 1 impone la « massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale ».

La dottrina ha osservato che « il proscioglimento prima del dibattimento risponde proprio a quelle finalità di semplificazione e deflazione del dibattimento nonché al principio di economia processuale, perché evita lo svolgersi di dibattimenti che si sa a priori inutili per la ravvisata sussistenza di una causa di improcedibilità o di estinzione del reato » (Beltrani, 108 s.).

Con riguardo ai casi nei quali si procede con citazione diretta a giudizio da parte del p.m. ai sensi dell'art. 550, l'art. 469 consente di attenuare le perplessità nutrite da parte della dottrina circa la mancanza di un « filtro » giurisdizionale (conseguente alla mancata previsione dell'udienza preliminare): il giudice può, infatti, pur sempre operare una parziale valutazione circa l'ipotesi accusatoria prospettata dal p.m., sia pure in una prospettiva più limitata rispetto a quella prevista dall'art. 425

I rapporti con l'art. 129

L'art. 469 si pone in rapporto di specialità rispetto all'art. 129, del quale costituisce un'applicazione particolare, poiché contempla soltanto alcune tra le formule di proscioglimento previste da quest'ultimo.

In passato, la giurisprudenza era divisa in ordine all'interpretazione da dare all'inciso « salvo quanto previsto dall'art. 129 » e, più in generale, sulla possibilità o meno di un proscioglimento predibattimentale dell'imputato per ragioni di merito. Le Sezioni unite, intervenute per dirimere il contrasto, hanno ritenuto che la sentenza di proscioglimento predibattimentale ex art. 469 può essere emessa solo ove ricorrano i presupposti in esso previsti (mancanza di una condizione di procedibilità o proseguibilità dell'azione penale ovvero presenza di una causa di estinzione del reato per il cui accertamento non occorra procedere al dibattimento), e sempre che le parti, messe in condizione di interloquire, non si siano opposte, in quanto non può trovare applicazione, in detta fase, la disposizione dell'art. 129 stesso codice, che presuppone necessariamente l'instaurazione di un giudizio in senso proprio (Cass. S.U. , n. 3027/2002).

L'orientamento accolto dalle Sezioni unite risulta ormai consolidato (cfr. Cass. V, n. 42629/2018; Cass. II, n. 48338/2004; Cass. III, n. 6657/2010).

Segue. Casistica

L'improcedibilità per morte del reo

La dottrina e la giurisprudenza dubitavano sul fatto che la pronuncia di non doversi procedere per morte del reo (ex art. 150 c.p.) potesse essere emessa in sede predibattimentale, pur in presenza di prove evidenti dell'innocenza del defunto. Le Sezioni unite avevano inizialmente osservato che il principio espresso nell'art. 129 sottolinea come il fatto della sopravvenienza di una causa estintiva del reato, operativa ex nunc, non può porre nel nulla la realtà (in ipotesi già acquisita nel procedimento) per cui il fatto ascritto all'imputato non sussiste o non è previsto dalla legge come reato o non è stato commesso dall'imputato stesso. Una siffatta realtà deve prevalere anche nel caso in cui la causa estintiva del reato sia quella della sopravvenuta morte del reo; e ciò sia per la rilevanza sostanziale del riconoscimento dell'innocenza di una persona accusata che non cessa per effetto della sua morte, residuando l'interesse dei congiunti e degli eredi alla tutela della memoria, sia perché, permanendo alcune conseguenze non indifferenti nonostante l'estinzione del reato (la morte del reo non estingue, infatti, le obbligazioni civili derivanti dal reato e quelle concernenti le spese processuali ed, eventualmente, quelle di mantenimento in carcere), non v'è ragione — in virtù del principio di uguaglianza e per considerazioni di economia processuale — che i congiunti e gli eredi del defunto ne debbano subire il peso soltanto per la casualità della sopravvenienza della morte del loro dante causa rispetto alla miglior sorte dell'imputato vivente, che avrebbe, viceversa, il vantaggio di veder riconosciuta la propria innocenza, sia, infine, perché la citata norma non fa differenza alcuna tra le varie cause estintive del reato, ed il suo senso più pregnante è quello della tutela dell'innocenza della persona vivente al momento in cui è stata promossa l'azione penale (Cass. S.U., n. 6682/1992).

Tuttavia, in applicazione del principio successivamente affermato dalle stesse sezioni unite, con la sentenza n. 3027/2002 (cfr. supra), sembrerebbe doversi ritenere inammissibile la declaratoria di improcedibilità per morte del reo, ove si assuma che risultino acquisite prove evidenti dell'innocenza del defunto, poiché queste ultime potrebbero essere valutate, ai fini di una decisione ex art. 129, comma 2, soltanto in sede dibattimentale.

Gli atti utilizzabili ai fini della decisione

Si è molto discusso con riguardo all'individuazione dei materiali probatori utilizzabili dal giudice ai fini della decisione ex art. 469 (in tema, in dottrina, v. Buzzelli, 780 ss.; Di Chiara, 1639 e, in particolare, 1695 s.; Iovino, 345 s.).

La Corte costituzionale, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionalità dell'art. 469 per presunto contrasto con gli artt. 3, 101 e 112 Cost., nella parte in cui non prevede che il giudice conosca ed utilizzi tutti gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento e nel fascicolo del p.m. al fine di dichiarare l'estinzione del reato od il difetto di procedibilità o di proseguibilità dell'azione penale, ovvero di negare effetto ad una causa di estinzione od al difetto di procedibilità o proseguibilità, e disporre che si proceda al dibattimento, ha tratto spunto per una più ampia disamina della materia (Corte cost. n. 91/1992). Il Giudice delle leggi ha osservato che risulterebbe paradossale « la conseguenza dell'assunto del remittente, per il quale, in sostanza, il giudice, in ogni situazione in cui ciò appaia utile ai fini di una migliore comprensione delle vicende processuali, dovrebbe avere la possibilità di conoscere, e quindi utilizzare, gli atti raccolti nel corso delle indagini preliminari, con l'ovvio epilogo del ritorno ad un impianto “misto” che il legislatore ha, invece, inteso ripudiare ». Né potrebbe ritenersi che il giudice ha il potere di utilizzare tutti gli atti comunque raccolti nel corso del procedimento, poiché, in tal modo, risulterebbero obliterati due aspetti essenziali ai fini di un corretto inquadramento del principio che vuole il giudice soggetto soltanto alla legge: a) da un lato, infatti, « la tipologia degli interventi giurisdizionali viene, per sua natura, a modellarsi in funzione delle caratteristiche proprie di ciascuna domanda che quegli interventi mira ad evocare »; b) dall'altro, « la pronuncia deve necessariamente saldarsi con la specificità della sede processuale in cui la stessa si iscrive, così da assegnare al giudice una sfera di attribuzioni coerente rispetto al “momento” in cui il relativo munus deve essere esercitato ». Considerato che il decreto di citazione a giudizio costituisce, al tempo stesso, atto di esercizio dell'azione penale e domanda che la parte pubblica rivolge al giudice, e che la citazione è, in sé considerata, una domanda di rito (il fatto ed il corrispondente nomen juris trovano formulazione al precipuo scopo di promuovere il contraddittorio su di un tema predeterminato), se ne è desunto che, nella fase degli atti introduttivi, « il fatto deve essere riguardato dal giudice alla stregua di un mero enunciato dichiarativo che traccia i confini della successiva attività processuale », e nel caso in cui tale enunciato rinvenga in limine una causa estintiva che rende superflua la celebrazione del dibattimento, è la stessa domanda di giudizio a non avere più un'effettiva ragion d'essere, con la conseguenza che, legittimamente, al giudice può essere inibita la conoscenza degli elementi sulla cui base l'imputazione è stata elevata, in quanto, per verificare se la domanda di giudizio formulata dal p.m. debba o meno essere ulteriormente coltivata, il giudice dovrà tener conto unicamente dell'imputazione in quanto tale; infine, un fondamentale apporto conoscitivo può essere fornito dall'audizione delle parti

La fase in cui può intervenire la sentenza ex art. 469

Profili generali

Una volta emesso il decreto di citazione a giudizio, non è consentito al p.m., per il principio di irretrattabilità dell'azione penale, chiedere il proscioglimento dell'imputato: dopo l'emissione del decreto, l'unica possibilità di proscioglimento per l'imputato discende dall'applicazione dell'art. 469 (Cass. III, n.129/1996; Cass. I, n. 6999/2000).

Il predibattimento

La fase processuale nella quale dovrebbe intervenire la sentenza ex art. 469 è quella del predibattimento, che (cfr. sub art. 465), ha termine all'atto del controllo sulla costituzione delle parti (art. 484) nell'udienza pubblica fissata dal decreto che dispone il giudizio ovvero dal decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal p.m., od eventualmente in quella anticipata ex art. 465 comma 1 Nondimeno, la giurisprudenza afferma che non sarebbe abnorme la sentenza di proscioglimento resa ai sensi dell'art. 469 dopo la costituzione delle parti e prima dell'apertura del dibattimento, in quanto trattasi di provvedimento comunque rientrante nello schema e nella disciplina di cui all'art. 469 (argomenta da Cass. S.U., n. 42/1996, e Cass. III, n. 5588/1995, relative a casi in cui il proscioglimento ai sensi dell'art. 469 degli imputati era stato deliberato dopo la dichiarazione di contumacia degli stessi); in senso contrario, un successivo orientamento ha ritenuto che « la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, resa in udienza pubblica, dopo il controllo della costituzione delle parti e prima dell'apertura del dibattimento, non è qualificabile come sentenza predibattimentale, ed è pertanto appellabile dal p.m. e, ove ricorrano le condizioni di cui all'art. 593, anche dall'imputato »; conseguentemente, « il ricorso immediato in cassazione per violazione di legge costituisce ricorso per saltum, con la conseguenza che, se il suo accoglimento comporti l'annullamento con rinvio, il giudice di rinvio è individuato in quello che sarebbe stato competente per l'appello » (Cass. IV, n. 48310/2008). L'orientamento appare ormai dominante, essendo stato ulteriormente ribadito, in difetto di voci contrarie, da Cass. IV, n. 36640/2012, per la quale non riveste natura di sentenza predibattimentale la sentenza pronunciata dal Tribunale (nel caso di specie, con la formula «perché il fatto non costituisce reato») in pubblica udienza, a seguito della formale verifica della regolare costituzione delle parti e della rituale dichiarazione di apertura del dibattimento, trattandosi, al contrario di sentenza dibattimentale, appellabile secondo le regole generali, con la conseguenza che il ricorso proposto dal P.M. deve essere qualificato come ricorso immediato, ex art. 569, comma 1; qualora, tuttavia, il P.M. censuri un vizio motivazionale, ex art. 606, comma 1, lett. e), il ricorso, ai sensi dell'art. 569, comma 3, deve essere convertito in appello.

Il giudizio direttissimo

Non sarebbe possibile addivenire ad una sentenza di proscioglimento predibattimentale ai sensi dell'art. 469 ove si proceda con rito direttissimo (ex artt. 449 ss.), in quanto in tale rito si osservano le sole disposizioni di cui agli artt. 470 ss., e la fase predibattimentale è soppressa.

L'appello

La sentenza predibattimentale di proscioglimento non può mai essere pronunciata dal giudice d'appello, atteso che il rinvio alle norme sul giudizio di primo grado ex art. 598 non comprende l'eccezionale procedura prevista dall'art. 469, operando, tale rinvio, con salvezza, tra l'altro, dell'art. 599, che contiene un catalogo tassativo delle decisioni da adottarsi in camera di consiglio, il quale che non contempla l'ipotesi di sentenza predibattimentale, e dell'art. 601 , che disciplina autonomamente la fase degli atti preliminari a tale giudizio rispetto a quella del giudizio di primo grado e, a sua volta, non richiama la facoltà prevista dall'art. 469 (Cass. VI, n. 936/2004; Cass. V, n. 16504/2006; Cass. III, n. 35577/2007; Cass. I, n. 26815/2008). Questi principi, ormai consolidati, sono stati successivamente ribaditi da Cass. IV, n. 32138/2011, per la quale « la sentenza predibattimentale di proscioglimento non può essere pronunciata dal Giudice di Appello, atteso che l'art. 601, disciplina autonomamente la fase degli atti preliminari a tale giudizio rispetto a quella del giudizio di primo grado e non richiama la facoltà prevista dall'art. 469, secondo cui il Giudice, in camera di consiglio e su accordo delle parti, può pronunciare sentenza di proscioglimento prima del dibattimento di primo grado. Parimenti, deve escludersi in principio la legittimità della pronuncia di una causa di non punibilità ai sensi dell'art. 129, senza la previa fissazione dell'udienza in camera di consiglio. Ne consegue, in tali ipotesi, che la sentenza è affetta da nullità assoluta di ordine generale in quanto incidente sull'intervento e sull'assistenza dell'imputato »; nel medesimi termini, in seguito, Cass. II, n. 33741/2016, con la precisazione che l'obbligo del giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di non punibilità presuppone pur sempre l'esercizio della giurisdizione con pienezza effettiva del contraddittorio, e Cass. VI, n. 50013/2015, entrambe in fattispecie nelle quali era stata dichiarata in fase predibattimentale l'estinzione del reato per prescrizione); Cass. VI, n. 50013/2015, ha riconosciuto la sussistenza dell'interesse dell'imputato alla declaratoria di nullità della sentenza con cui la Corte d'appello, in riforma della sentenza di condanna in primo grado, abbia dichiarato de plano l'estinzione del reato per prescrizione prima del dibattimento, perché solo il giudice del merito può valutare la sussistenza delle condizioni per il proscioglimento ai sensi dell'art. 129, comma 2, con riferimento al contenuto di tutti gli atti del processo. In senso contrario, meno condivisibilmente, Cass. III, n. 42703/2015 e Cass. V, n. 51135/2014, per la quale, nel caso in cui il giudice d'appello, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, abbia dichiarato de plano — senza fissazione dell'udienza dibattimentale — l'estinzione del reato, la contestuale ricorrenza di una causa estintiva e della nullità processuale della sentenza non impone nel giudizio di cassazione l'annullamento di questa se risulta che il giudice di merito non potrebbe comunque ritenere sussistenti le condizioni per pronunciare, attraverso una operazione di mera constatazione, un proscioglimento nel merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p.).

Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 28954/2017), chiamate a valutare “se la Corte di cassazione debba dichiarare la nullità della sentenza predibattimentale di appello pronunciata in violazione del contraddittorio, con cui, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione o, invece, debba dare prevalenza alla causa estintiva del reato”, hanno premesso che nel giudizio d'appello non è consentito pronunciare sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell'art. 469, in quanto il combinato disposto degli artt. 598, 599 e 601 c.p.p. non effettua alcun rinvio, esplicito o implicito, a tale disciplina, e la pronuncia predibattimentale non può essere ammessa ai sensi dell'art. 129, poiché l'obbligo del giudice di dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di non punibilità presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio; hanno, inoltre, chiarito che, nell'ipotesi di sentenza predibattimentale d'appello, pronunciata de plano, in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, sia stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p.

Rapporti con l’improcedibilità ex art. 8 d.lgs. n. 8/2016

 La sentenza di assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, emessa nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 9 d.lgs. n. 8/2016 per i casi di trasformazione dell'illecito penale in illecito amministrativo, non richiede l'instaurazione del contraddittorio, avendo tale norma carattere di specialità rispetto alla disciplina prevista dall'art. 129 (Cass. III, n. 3021/2017 e Cass. III, n. 29590/2017).

Il giudizio di rinvio

Sarebbe illegittima, nel giudizio di rinvio, la declaratoria d'estinzione del reato per prescrizione, emessa in sede predibattimentale e senza la rituale comunicazione alla difesa dell'avviso di fissazione dell'udienza, allorché sussistano prove insufficienti e contraddittorie in ordine all'attribuibilità soggettiva del fatto, posto che ai sensi dell'art. 530, comma 2, l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi probatori vanno equiparate alla mancanza di prove.

I casi in cui può essere deliberata la sentenza ex art. 469

La sentenza di proscioglimento prima del dibattimento, ai sensi dell'art. 469, per difetto della condizione di procedibilità o per l'intervenuta estinzione del reato, può essere lecitamente pronunciata solo nel caso in cui il difetto o l'estinzione risulti palese, non anche quando sussista, al riguardo, un dubbio o comunque si controverta sulla sussistenza della condizione di procedibilità, oppure sull'operatività della causa di estinzione del reato: in questi ultimi casi, la declaratoria sarà consentita solo dopo la disamina dibattimentale, ai sensi dell'art. 529. La differenza tra le due norme risiede nel fatto che l'art. 529 consente l'emissione della sentenza di non doversi procedere anche quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità sia insufficiente o contraddittoria, mentre l'art. 469 consente il proscioglimento nei soli casi in cui la deliberazione sia il risultato di una certezza: se tale certezza manca, occorre procedere al dibattimento, all'esito del quale il giudice, pure a fronte di una situazione di incertezza, deve, in ogni caso, pervenire ad una decisione conclusiva. Nel caso in cui il giudice rilevi, d'ufficio o su eccezione di parte, la propria incompetenza (per qualsiasi causa), sarebbe necessario procedere al dibattimento per la formale declaratoria dell'incompetenza, non consentita in fase predibattimentale (Beltrani, 113).

I casi in cui l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita

Il riferimento dell'art. 469 ai «casi in cui l'azione penale non doveva essere iniziata» o «non deve essere proseguita» riguarda, in particolare:

a) il caso di difetto od intempestività della querela (artt. 336 e 124 c.p.);

b) il difetto di istanza o richiesta di procedimento (artt. 341-342), oppure di autorizzazione a procedere (art. 343);

c) l'intervenuto giudicato (art. 649);

d) l'errore sull'identità fisica dell'imputato (art. 68). È stata annullata con rinvio la sentenza che, ai sensi dell'art. 469, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato perché era rimasto ignoto l'autore del fatto-reato, in quanto l'imputato, sprovvisto di documenti identificativi, aveva fornito generalità la cui rispondenza al vero non era accertabile: si è, in proposito, osservato che, in tema di verifica dell'identità personale dell'imputato, l'art. 66, comma 2, esclude che l'incertezza sulle generalità dello stesso — anche quando essa derivi da false dichiarazioni che egli abbia reso alla competente autorità — possa far ritenere ignoto l'autore del reato quando ne sia certa l'identità fisica, tenuto anche conto della possibilità, ai sensi dell'art. 130, dell'eventuale futura correzione delle false generalità (Cass. V, n. 643/1999; Cass. II, n. 10605/2003).

I casi in cui ricorrono cause estintive del reato

Il proscioglimento per estinzione del reato va disposto nei soli casi di prova precostituita di una causa estintiva del reato,

a) comune (ad esempio, la morte dell'imputato prima della sentenza di condanna — art. 150 c.p. —, l'intervenuta amnistia — art. 151 c.p. —, la remissione di querela — artt. 152 ss. c.p. —, la prescrizione — artt. 157 ss. c.p. —, l'oblazione — artt. 162 s. c.p. —),

b) o speciale (ad esempio, la dichiarazione di nullità del matrimonio contratto precedentemente dal bigamo, ovvero l'annullamento del secondo matrimonio di quest'ultimo per cause diverse dalla bigamia — art. 556 c.p. — e l'adempimento, prima della condanna, dell'obbligazione contratta con il proposito di non adempierla — art. 641 c.p. —).

Tra le cause di estinzione del reato, non legittima la declaratoria ex art. 469 la possibilità di riconoscere all'imputato la sospensione condizionale della pena (artt. 163 ss. c.p.), in quanto essa postula, in primo luogo, l'accertamento della colpevolezza dell'imputato (che può aver luogo soltanto in dibattimento) ed, in secondo luogo, perché l'estinzione del reato ha luogo soltanto se, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, ed adempie gli obblighi impostigli (art. 167 c.p.). Neanche il perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto (art. 169 c.p.) può essere riconosciuto, nel processo penale minorile, ex art. 469, poiché esso postula l'accertamento del fatto e della colpevolezza dell'imputato, oltre che la determinazione della pena da irrogare in concreto ed un giudizio di non pericolosità sociale del giovane reo; tali valutazioni sono, senz'altro, incompatibili con la constatazione in fase predibattimentale, ed allo stato degli atti, dell'esistenza della causa estintiva del reato (Cass. III, 14/01/1966, P.m. in proc. B.).

Il proscioglimento in pubblica udienza, dopo la costituzione della parti, ma prima dell’apertura del dibattimento

Un orientamento ritiene che la sentenza che abbia assolto l'imputato per ragioni di merito (nella gran parte delle applicazioni, perché il fatto non sussiste), pronunciata in pubblica udienza, a seguito della verifica della regolarità della costituzione delle parti, ma prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento, ancorché esulante dai casi previsti dall'art. 469, deve essere qualificata come sentenza predibattimentale, come tale inappellabile, con la conseguenza che il suo annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione impone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado (Cass. VI, n. 28151/2014 e Cass. II, n. 19517/2016: nel caso in esame, la sentenza era stata emessa nonostante l'opposizione del pubblico ministero e della parte civile ).

Altro orientamento, formatosi in relazione a proscioglimenti pronunciati nella medesima situazione processuale, ma non per ragioni di merito (nella gran parte dei casi, per prescrizione del reato od improcedibilità per difetto di querela), ritiene che la decisione, quantunque resa su conformi conclusioni del P.M. e della difesa, se pronunciata in pubblica udienza dopo la costituzione delle parti abbia comunque natura dibattimentale, ed è, pertanto, appellabile (non soltanto ricorribile per cassazione), a nulla rilevando il nomen iuris, in ipotesi diverso, attribuitole dal giudice (in tal senso, in riferimento a casi di declaratoria d’improcedibilità per estinzione del reato, Cass. II, n. 673/2020; conformi, Cass. V, n. 14690/2020; Cass. I, n. 48124/2008, anche in fattispecie di proscioglimento “per evidente causa d'innocenza ex art. 129 c.p.p.”, valorizzando l'intervenuta dichiarazione di contumacia).

In un caso nel quale era stato richiesto il proscioglimento ex artt. 469 e 129, e, successivamente, le parti avevano compiuto una esauriente attività istruttoria, con acquisizione documentale, la S.C. ha ritenuto che la sentenza emessa non può fare riferimento alle formule di proscioglimento di cui all'art. 469 ma, pur in presenza di potenziali nullità procedimentali, deve essere qualificata come sentenza pronunziata all'esito del dibattimento e, in caso di condanna ex artt. 533 e 535, essa non può essere qualificata come atto abnorme e nei suoi confronti sono esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione (Cass. II, n. 18763/2013, che ha dichiarato inammissibile il ricorso fondato sulla dedotta abnormità del provvedimento impugnato avendo le parti richiesto una sentenza predibattimentale e poi proceduto consensualmente a rituale attività istruttoria dibattimentale).Le Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto, ed in particolare a stabilire «se la sentenza di proscioglimento “nel merito”, pronunziata nella udienza pubblica dopo la regolare costituzione delle parti e prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sia riconducibile al modello di cui all'art. 469 c.p.p. e se, di conseguenza, essa sia inappellabile», hanno deciso che “la sentenza di proscioglimento, pronunziata dopo la costituzione delle parti, non è riconducibile al modello di cui all'art. 469 c.p.p. ed è appellabile nei limiti indicati dalla legge”, precisando che “sentenza predibattimentale”, ai fini dell’applicabilità dell’art. 469, è esclusivamente quella pronunciata fino al compimento delle formalità previste dall’art. 484 c.p.p., nell’ambito dell’udienza camerale appositamente fissata   (Cass. S.U., n. 3512/2022).

Proscioglimento predibattimentale e parte civile

Il giudice di primo grado, quando accerti già in fase predibattimentale l'avvenuta maturazione della prescrizione, ed emette per questo sentenza ai sensi dell'art. 469, non può pronunciarsi sulle richieste della parte civile costituita né condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore di questa, in quanto la natura della decisione emessa ai sensi dell'art. 469 è incompatibile con tali statuizioni, che si fondano sull'accertamento della responsabilità dell'imputato (Cass. V, n. 28569/2017).

È stata anche ritenuta l'illegittimità della sentenza "predibattimentale" con la quale il giudice di appello abbia dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, qualora in primo grado la parte civile abbia proposto richiesta di condanna dell'imputato al risarcimento dei danni, in quanto solo nel dibattimento può procedersi alla delibazione di merito relativamente ai capi della sentenza che concernono gli interessi civili, nel contraddittorio delle parti (Cass. V, n. 21172/2017; Cass. II, n. 32477/2020).

Per l'inammissibilità tout court della sentenza predibattimentale ex art. 469 in appello cfr. amplius supra.

Altre applicazioni

Sempre con riguardo alle cause di estinzione del reato, la possibilità del proscioglimento predibattimentale solo « se il reato è estinto e se per accertarlo non è necessario procedere al dibattimento » comporta significative conseguenze in relazione ai reati permanenti: ove non sia possibile escludere a priori che la permanenza, eventualmente ipotizzata come protrattasi sino alla data del decreto di citazione a giudizio, si sia protratta sino al momento della sentenza e, cioè, in ipotesi, oltre la data utile per l'applicazione dell'amnistia o della prescrizione, il giudice dovrà procedere al dibattimento, allo scopo di compiere il relativo accertamento (Cass. III, n. 630/1993, in tema di amnistia relativa ad una fattispecie di occupazione abusiva di suolo demaniale).

Il procedimento

Ai fini dell'emissione della sentenza ex art. 469, si prevede che il giudice decida in camera di consiglio, ma non sono espressamente richiamate le forme di cui all'art. 127: non è, quindi, previsto alcun termine a comparire e, pertanto, secondo la dottrina, « il giudice potrà regolarsi come meglio crede, purché il modus procedendi prescelto risulti in concreto funzionale ad un proficuo intervento delle parti a ciò legittimate » (Beltrani, 113), sentiti il p.m. (anche non togato, purché formalmente delegato ex art. 72 r.d. n. 12/1941 —ord. giudiz.) e l'imputato — che ha diritto, come di consueto, all'assistenza di almeno un difensore —, e non anche le altre parti private (che non possono, tuttavia, ricevere alcun pregiudizio poiché la sentenza predibattimentale di assoluzione non ha alcuna efficacia nel giudizio civile od amministrativo, ai sensi dell'art. 652).

L'audizione delle parti innanzi indicate in camera di consiglio garantisce la corretta instaurazione del contraddittorio, consentendo al p.m. ed all'imputato di sottoporre al vaglio del giudice gli elementi che a loro giudizio consentono (o non consentono) la declaratoria in questione; per tale ragione, essa deve essere effettiva e, pertanto, le predette parti devono essere avvisate della data dell'udienza, a meno che non risulti (non da mere presunzioni, bensì) dagli atti che le stesse abbiano già manifestato la loro non opposizione, o sollecitato una delle declaratorie previste dall'art. 469 (Cass. IV, n. 5779/1997; Cass. V, n. 11974/2000).

Per impedire il proscioglimento ai sensi dell'art. 469, è sufficiente che anche uno soltanto tra l'imputato ed il p.m. formalizzi la propria opposizione, anche immotivata, od assurdamente motivata (Cordero, 540); la necessità della non opposizione costituisce garanzia a tutela degli interessi dell'accusa e della difesa, e può, inoltre, essere spiegata in funzione della previsione dell'inappellabilità dell'emananda sentenza, oltre che, secondo parte della dottrina (Nappi, 550 s.), della mancata conoscenza, da parte del giudice, di tutti gli atti idonei a consentire un proscioglimento nel merito: in tal modo, risulta riconosciuto espressamente, nella fase predibattimentale, il diritto dell'imputato, ma anche del p.m. (e, cioè, delle sole parti in grado di conoscere le ragioni che possono imporre un'assoluzione piena), al giudizio di merito. In virtù dell'efficacia preclusiva riconosciuta, dall'art. 469, all'opposizione del p.m. o dell'imputato, il proscioglimento predibattimentale è inammissibile sia nel caso in cui l'imputato non si sia opposto al solo proscioglimento nel merito ex art. 129, sia nel caso in cui egli abbia espresso la non opposizione ad una sola causa di proscioglimento, ed il giudice ritenga di potere addivenire al proscioglimento per diversa causa.

L'opposizione dell'imputato contumace (od assente) può essere espressa anche dal difensore, cui competono, a norma dell'art. 99, le facoltà ed i diritti che la legge riconosce all'imputato, a meno che essi siano riservati personalmente a quest'ultimo: « poiché per l'assenso al proscioglimento predibattimentale, l'art. 469 non ha riservato personalmente all'imputato il relativo potere, il consenso del difensore è validamente dato per l'imputato » (Cass. III, n. 5588/1995, n.m. sul punto, in fattispecie relativa ad imputato contumace; più in generale, nel senso che l'opposizione alla pronuncia della sentenza predibattimentale possa essere manifestata anche dal solo difensore, che ha facoltà di esercitare i poteri che la legge attribuisce, in via non esclusiva e personale all'imputato, Cass. II, n. 24481/2010, in fattispecie nella quale, peraltro, la S.C. ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse natura dibattimentale, non predibattimentale).

La « non opposizione » dell'imputato e del p.m. non esonera il giudice dall'obbligo di accertare l'effettiva esistenza della causa di estinzione del reato; ne consegue che, nonostante la non opposizione dell'imputato e del p.m., può ugualmente sussistere una violazione dell'art. 469, nei casi in cui il giudice proscioglie l'imputato anche quando sarebbe necessario il dibattimento per accertare l'improcedibilità od improseguibilità dell'azione, o l'estinzione del reato (Cass. III, n. 630/1993, cit., relativa ad una fattispecie nella quale si controverteva circa l'interruzione o meno della permanenza).

La sentenza ex art. 469

Ricorrendo i presupposti di cui all'art. 469, il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo: la pronuncia è obbligatoria, e non meramente discrezionale, ma la violazione di tale obbligo è sprovvista di sanzione processuale e può, pertanto, assumere rilievo unicamente in sede disciplinare, ex art. 124 (Beltrani, 114).

La scelta della forma della sentenza è spiegata dal fatto che la pronuncia definisce il rapporto processuale; per quanto riguarda la motivazione, la giurisprudenza aveva ritenuto (sotto la vigenza dell'art. 421 c.p.p. del 1930) che, ove il giudice di merito si fosse limitato ad applicare una causa estintiva del reato senza motivare espressamente le ragioni del diniego di applicabilità del primo capoverso dell'art. 129 c.p.p. — all'epoca, 152 c.p.p. abr. — (il quale privilegia l'assoluzione con forma liberatoria nel merito rispetto al proscioglimento per estinzione del reato, ma non anche rispetto al proscioglimento per improcedibilità od improseguibilità dell'azione penale), con ciò stesso dovesse ritenersi escluso il ricorrere della prova evidente dell'insussistenza del fatto, o della sua incriminabilità o della completa innocenza dell'imputato (Cass. II, 25/01/1980, S.).

Segue . Casistica

La qualificazione giuridica del fatto

Si è tradizionalmente discusso, in dottrina e giurisprudenza, in merito alla possibilità o meno, in fase predibattimentale, di addivenire ad una diversa (più o meno grave) qualificazione dei fatti contestati.

La giurisprudenza relativa all'abrogato art. 421 c.p.p. del 1930 era ferma nell'escludere che il giudice, in fase predibattimentale, potesse dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, sia al fine di dichiarare l'estinzione del reato (Cass. I, 14/01/1967, S.), sia al fine di ritenere il reato più grave e, quindi, procedibile d'ufficio o non estinto (Cass. I, 13 /01/ 1978, L.). Il mutato quadro normativo (con la previsione di un'udienza camerale e della non opposizione delle parti, e la tendenza a ridurre il ricorso al dibattimento allo stretto necessario) legittima, ad avviso di parte della dottrina (Beltrani, 115 s.), conclusioni diverse: a) la necessità di procedere alla contestazione suppletiva potrebbe, in primo luogo, indurre il p.m. ad opporsi alla decisione predibattimentale, considerato che l'opposizione può persino essere immotivata (cfr. Cass. V, 1983/1997, in un caso nel quale il p.m., in udienza camerale, aveva rilevato che, dall'atto di querela — oggetto di remissione — e dal certificato medico ad essa allegato, risultava che il reato di lesioni semplici, per il quale si procedeva inizialmente ed era successivamente intervenuta remissione di querela, era in realtà aggravato ai sensi dell'art. 583comma primo, n. 2 c.p. — avulsione traumatica di due denti incisivi e lussazione di un terzo elemento —, e procedibile d'ufficio, e si era, pertanto, opposto alla declaratoria predibattimentale di improcedibilità dell'azione penale, onde aver modo, in dibattimento, di contestare la predetta aggravante); b) il giudice potrebbe, comunque, ritenere d'ufficio la necessità di procedere al dibattimento, in quanto egli, pur dovendo decidere allo stato degli atti, non deve limitarsi a prendere in considerazione la sola imputazione risultante dal decreto di citazione, ma deve comunque procedere, prima di emettere la sentenza predibattimentale, alla verifica della correttezza giuridica della qualificazione dei fatti contestati, tenendo conto delle conoscenze processuali acquisibili ed acquisite in udienza camerale; c) al giudice è anche consentito addivenire (per ragioni di economia processuale, e potendosi superare il tradizionale ostacolo dell'imperfetta conoscenza degli atti processuali proprio attraverso l'audizione e la non opposizione delle parti), sulla base del materiale istruttorio già raccolto, ad una derubricazione del fatto contestato, che evidenzi la sussistenza di una causa di improcedibilità, improseguibilità od estinzione del reato, sempreché siffatta decisione appaia all'evidenza fondata, non residuando, in proposito, anche all'esito dell'udienza camerale in contraddittorio tra il p.m. e l'imputato, alcun dubbio (che, se invece sussistente, renderebbe necessario il dibattimento).

Il riconoscimento di circostanze attenuanti

Analoghe discussioni hanno riguardato la possibilità o meno, in fase predibattimentale, di addivenire al riconoscimento di circostanze attenuanti (ed operare il conseguente bilanciamento delle stesse con le circostanze aggravanti eventualmente concorrenti).

La giurisprudenza tradizionale riteneva che sia l'uno sia l'altro fossero incompatibili con il predibattimento, richiedendo necessariamente lo svolgimento della fase dibattimentale; con riguardo alla concessione delle attenuanti generiche (ed alla comparazione delle stesse con eventuali aggravanti concorrenti), generalmente, la tesi dell'incompatibilità con la fase de qua era motivata con il rilievo che il beneficio in oggetto attiene al trattamento sanzionatorio e potrebbe, pertanto, aver luogo soltanto dopo l'accertamento, in sede dibattimentale, della responsabilità penale (Cass. II, n. 11424/1986).

Parte della dottrina (Fassone, 58) aveva, già sotto la vigenza dell'abrogato codice di rito, cercato di mitigare tale rigoroso orientamento, osservando che non vi è nessuna ragione per impedire, in fase predibattimentale, il riconoscimento delle circostanze attenuanti oggettive (cfr. art. 70 comma 1 n. 1 c.p.), come, ad esempio la speciale tenuità del danno nei reati contro il patrimonio, o l'essere concorso a determinare l'evento, insieme all'azione od omissione del colpevole, il fatto doloso della persona offesa (rispettivamente, art. 62 comma primo, n. 4 e n. 5, c.p.); l'orientamento è stato condiviso dalla dottrina più recente (Beltrani, 116).

La possibilità di emettere sentenza inappellabile di non doversi procedere allorquando il reato, per effetto di circostanze attenuanti e dell'eventuale loro comparazione, risultasse estinto per prescrizione era stata, comunque, espressamente prevista dall'art. 226 d.lgs. n. 51/1998 (recante “Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado”): detta sentenza era, per espressa previsione di legge, pronunciabile con riguardo ai procedimenti pendenti, anche in fase predibattimentale, alla data di efficacia del citato decreto — e solo se ad essa non si fossero opposti oppongano né il P.M. né l'imputato.

Gli adempimenti successivi

A seguito della sentenza di proscioglimento predibattimentale, si rende necessaria la revoca di tutta una serie di provvedimenti finalizzati alla celebrazione del futuro, ma ormai superfluo, dibattimento:

a ) non è più necessaria la citazione delle parti, nonché dei testimoni, periti, consulenti e dei soggetti di cui all'art. 210 per l'udienza dibattimentale (se le citazioni sono già state disposte ed effettuate, saranno opportune, ed anzi necessarie, onde evitare disagi — e spese — inutili, le controcitazioni);

b ) cessa l'eventuale applicazione delle misure cautelari personali, e l'imputato in vinculis va immediatamente rimesso in libertà, se non detenuto per altra causa (cfr. artt. 131-bis e 154-bis disp. att., nonché l'art. 4, comma 3, l. 12 dicembre 1992, n. 492).

La sentenza di proscioglimento può contenere statuizioni in tema di misure di sicurezza (cfr. artt. 205 ss. c.p., ed, in particolare, art. 240, comma secondo, c.p.).

I vizi della sentenza ex art. 469 ed i possibili rimedi

In difetto della previsione di un'ipotesi di nullità relativa ad hoc, e non essendo ipotizzabile una nullità assoluta ex artt. 178, comma 1, lett. a), e 33, per una presunta incapacità del giudice (in quanto il giudice del dibattimento è quello stesso avanti al quale si svolge la fase predibattimentale culminata con la sentenza), la sentenza resa ai sensi dell'art. 469 può essere nulla ex art. 178, comma 1, lett. b), o c), soltanto in tre casi:

a ) se il giudice ha provveduto in difetto della partecipazione del p.m. o dell'intervento, assistenza o rappresentanza dell'imputato, e cioè quando l'uno o l'altro non siano stati messi in condizione di interloquire sulla possibile definizione anticipata del giudizio;

b ) quando almeno una delle parti legittimate si era opposta alla conclusione predibattimentale;

c ) qualora, pur in presenza della non opposizione delle parti legittimate, difetti uno dei presupposti essenziali perché possa addivenirsi alla sentenza predibattimentale (cioè, l'esistenza di una causa di improcedibilità o di improseguibilità dell'azione penale, ovvero una causa di estinzione del reato): in questo caso, la sentenza — ove sia costituita una parte civile — sarebbe affetta da nullità di ordine generale ex art. 178, comma 1, lett. c), perché incidente negativamente sull'intervento della costituita parte civile, anche se non assoluta ex art. 179, bensì a regime intermedio, ex art. 180; tale nullità, essendosi verificata nel giudizio (ovvero dopo la notificazione del decreto di citazione, anche se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento) è rilevabile o deducibile entro il limite temporale costituito dallo svolgimento del grado successivo del processo, nel caso coincidente con il giudizio di cassazione, trattandosi di sentenza inappellabile (Cass. VI, n. 4038/2000). Tuttavia, nel caso in cui né il p.m. né l'imputato si siano opposti all'emissione della sentenza predibattimentale, comunque motivata (cioè sia per improcedibilità od improseguibilità dell'azione penale, sia per estinzione del reato, sia — pur inammissibilmente — per ragioni di merito ex art. 129, comma 2), nessuno di essi potrebbe dolersi di eventuali vizi della sentenza, verificandosi una sanatoria ex art. 183, per accettazione degli effetti dell'atto medesimo (Cass. III, n. 7541/1999), e comunque i vizi della sentenza predibattimentale non sarebbero, in questo caso, deducibili dalle predette parti, che con la mancata opposizione avrebbero concorso a darvi causa, ex art. 182, comma 1, (Cass. S.U., n. 42/1995: le Sezioni unite hanno anche osservato che, ove il p.m. in udienza camerale non si sia opposto alla decisione di merito con la quale il giudice del dibattimento abbia pronunciato, nel corso degli atti preliminari, sentenza di assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto, ma abbia, tuttavia, presentato ricorso per cassazione denunciando violazione dell'art. 469, per il rilievo che tale disposizione, la quale indica i casi di proscioglimento prima del dibattimento, non consente di pronunciare sentenze assolutorie con la formula predetta, risulta privo di interesse al gravame, che va, pertanto, dichiarato inammissibile, in quanto l'interesse richiesto dall'art. 568, comma 4, quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa, per l'impugnante, rispetto a quella esistente, mentre nel caso di specie, in tanto potrebbe ritenersi la sussistenza di un interesse concreto che renda ammissibile la doglianza, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato, non solo, teoricamente corretto, ma anche, praticamente favorevole).

L'art. 469 stabilisce l'inappellabilità delle sentenze pronunciate prima dell'apertura del dibattimento: « avverso la predetta sentenza, anche se deliberata al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, l'unica impugnazione ammessa è il ricorso per cassazione » (Cass. S.U., n. 3027/2002 cit.: nella specie, la Corte, in accoglimento dell'impugnazione del p.m., denominata “appello”, ma qualificata come ricorso per cassazione, ha annullato senza rinvio la sentenza di improcedibilità dell'azione penale pronunciata prima dell'apertura del dibattimento senza l'audizione preventiva delle parti); se, nonostante tale previsione, venga proposto appello contro una tale sentenza, e venga, quindi, emessa una sentenza a conclusione del giudizio di gravame da parte del giudice dell'impugnazione, la Corte di cassazione dovrà annullare senza rinvio la pronuncia ed il gravame proposto dovrà essere convertito in ricorso per cassazione (Cass. VI, n. 7808/1998; Cass. II, n. 847/2012, per la quale, una volta appellata erroneamente una sentenza predibattimentale soltanto ricorribile per cassazione, le parti nel giudizio di appello possono sollecitare la trasmissione degli atti alla Corte di cassazione, restando, altrimenti, la questione della qualificazione dell'impugnazione preclusa nel successivo giudizio di legittimità).

Si è da ultimo ritenuto che la sentenza che dichiara l'improcedibilità dell'azione penale o l'estinzione del reato, quantunque resa su conformi conclusioni del P.M. e della difesa, se pronunciata in pubblica udienza dopo la costituzione delle parti, va comunque considerata come sentenza dibattimentale ed è, pertanto, soggetta all'appello, qualunque sia il nomen iuris attribuitole dal giudice (Cass. II, n. 2153/2017).

Nei casi in cui il soggetto danneggiato dal reato si sia costituito parte civile nel processo penale, l'art. 652 attribuisce efficacia di giudicato, nel giudizio civile od amministrativo promosso dal danneggiato per il risarcimento del danno, solamente alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito del dibattimento: ne consegue che la parte civile è priva di interesse ad impugnare una sentenza che dichiari, per un reato, l'estinzione per sopravvenuta amnistia, ed assolva, per altro reato, l'imputato senza apertura del dibattimento, ai sensi dell'art. 469, in quanto tali statuizioni non possono esplicare alcun effetto preclusivo nei confronti della pretesa risarcitoria nella sede civile (Cass. VI, n. 7808/1998; Cass. VI, n. 26819/2015); in applicazione del principio, è stato ritenuto inammissibile per mancanza d'interesse il ricorso della parte civile avverso la sentenza predibattimentale con la quale sia stato disposto il proscioglimento dell'imputato perché il giudice ha ritenuto che fosse intervenuta remissione di querela, atteso che, in difetto di impugnazione da parte del p.m., l'eventuale accoglimento del ricorso avrebbe potuto solo comportare l'annullamento con rinvio al giudice civile, per la decisione sulle pretese risarcitorie, le quali non risultavano, comunque, pregiudicate dalla remissione (Cass. V, n. 13312/2008).

Cfr. anche Cass. S.U., n. 28954/2017 supra, per la prevalenza della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sulla declaratoria di nullità della sentenza erroneamente emessa ex art. 469 in appello.

Il regime giuridico della sentenza ex art. 469 erroneamente resa per ragioni di merito

Le Sezioni unite, nella già sentenza Cass. S.U., n. 3027/2002, hanno affermato che l'unico rimedio possibile contro la sentenza predibattimentale resa ai sensi dell'art. 469, ma deliberata fuori dalle ipotesi previste da detta disposizione, è il ricorso per cassazione (in applicazione del principio, ed in accoglimento dell'impugnazione del p.m., denominata “appello” ma qualificata come ricorso per cassazione, è stata annullata senza rinvio la sentenza dichiarativa dell'improcedibilità dell'azione penale pronunciata prima dell'apertura del dibattimento, in difetto della preventiva audizione delle parti).

L'orientamento è stato, peraltro, successivamente contrastato da parte della giurisprudenza. Invero, all'indirizzo che si è conformato al decisum delle Sezioni unite (Cass. I, n. 24120/2009; Cass. II, n. 8667/2012), se ne è contrapposto altro, a parere del quale è sottoposta al regime di impugnazione ordinario (ed è quindi appellabile) la sentenza erroneamente qualificata come predibattimentale, ma in realtà resa fuori dai casi previsti dall'art. 469, ad esempio, fuori dalla fase del predi battimento, oppure, per ragioni di merito, che avrebbe, al più, legittimato una decisione ex art. 129 (Cass. I, n. 48126/2008, in fattispecie riguardante una sentenza di proscioglimento resa in fase predibattimentale, ma per ragioni di merito, che avrebbe legittimato il ricorso allo strumento di cui all'art. 129, e per tale ragione ritenuta appellabile).

Con riferimento alla fattispecie opposta, di sentenza erroneamente qualificata ex art. 129, ma in realtà da qualificare come sentenza predibattimentale, si è ritenuto che il mezzo di impugnazione esperibile sia (non l'appello, bensì) il ricorso per cassazione (Cass. I, n. 48128/2008, in fattispecie nella quale la sentenza oggetto di ricorso, in epigrafe ed in dispositivo, faceva riferimento all'art. 129; nella motivazione, si premetteva che la sentenza era stata pronunziata nella « fase preliminare al dibattimento »; la sentenza era stata appellata dal procuratore generale territoriale, ma la Corte d'appello, rilevato che la sentenza doveva ritenersi pronunziata ex art. 469, ancorché fuori dalle ipotesi in tale norma previste, e che, pertanto, era solo ricorribile, aveva qualificato l'impugnazione come “ricorso”, trasmettendo gli atti alla Corte di cassazione).

A conclusioni analoghe (ovvero nel senso di privilegiare il (pur errato) nomen iuris della decisione impugnata) si è giunti anche in relazione alla determinazione dei termini per impugnare: « qualora venga impugnata una sentenza emessa ai sensi dell'art. 129, seppure irritualmente, i termini di impugnazione, se manca ogni riferimento al deposito della motivazione, sono quelli previsti dall'art. 585, comma 1, lett. b), e cioè il termine di 15 giorni per il deposito, e di 30 giorni per l'impugnazione » (Cass. V, n. 19803/2003). Peraltro, non può ignorarsi che questo orientamento potrebbe comportare problemi di costituzionalità, poiché a ritenere la sentenza gravata pronunziata ex art. 469, e dunque non appellabile, ma ricorribile, le parti verrebbero private della garanzia, loro riconosciuta dal vigente ordinamento processuale, del doppio grado di giudizio di merito (da intendere non nel senso che « tutte le questioni debbono essere decise da due giudici di diversa istanza », ma nel senso che «deve essere data la possibilità di sottoporre tali questioni a due giudici di diversa istanza, anche se il primo non le abbia tutte decise»: Corte cost. n. 316/2002).

Un orientamento ha privilegiato, ai fini della qualificazione giuridica della sentenza, non il profilo contenutistico (ovvero la ritenuta ragione della decisione), bensì quello procedimentale, facendo riferimento alla fase nella quale la decisione sia intervenuta; così, si è ritenuto che, qualora una sentenza sia emessa dopo la costituzione delle parti e la dichiarazione di contumacia dell'imputato, essa deve comunque essere considerata come sentenza di merito pronunciata ai sensi dell'art. 129, comma 1, e quindi soggetta ad appello, anche se nel dispositivo si parli di improcedibilità dell'azione penale; diversamente, le sentenze emesse nel corso della fase degli atti preliminari al dibattimento debbono considerarsi comunque emesse ai sensi dell'art. 469, e quindi ricorribili solo in cassazione, qualunque sia il nomen iuris loro dato dal giudice (Cass. I, n. 25121/2003).

Quanto alla tipologia della sentenza di annullamento che la Suprema Corte di legittimità è chiamata a pronunciare quando la sentenza predibattimentale sia resa fuori dai casi consentiti, nell'ambito dell'orientamento che in precedenza aveva ritenuto nulla la sentenza predibattimentale erroneamente pronunciata valorizzando ragioni di merito ex art. 129, si riteneva che ne dovesse essere deliberato l'annullamento con rinvio (Cass. V, n. 12980/1999; Cass. VI, n. 23466/2001). Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 3027/2002)optarono per l'annullamento senza rinvio, senza peraltro motivare in ordine alle ragioni di tale convincimento. Nell'ambito della giurisprudenza successiva, questo orientamento è risultato dominante (Cass. I, n. 45504/2009, peraltro relativa a decisione originariamente resa ex art. 129, ed erroneamente qualificata, dal Tribunale di sorveglianza, come sentenza predibattimentale, essendo intervenuta dopo l'apertura del dibattimento, e per tale ragione ritenuta appellabile, e non immediatamente ricorribile per cassazione: in questo caso, unitamente all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, la Corte ebbe anche a disporre la trasmissione degli atti al giudice d'appello; Cass. I, n. 48128/2008, in fattispecie nella quale il Tribunale, nel corso del predibattimento, aveva prosciolto l'imputato ex art. 129 per ragioni di merito, e la S.C., unitamente all'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, ha anche disposto la restituzione degli atti al giudice di primo grado). Non sono mancate, peraltro, voci dissonanti (Cass. I, n. 11249/2009), che hanno annullato con rinvio (al giudice di primo grado) la sentenza predibattimentale di proscioglimento nel merito (« intervenuta prima dell'instaurazione del contraddittorio sulle richieste di assunzione della prova »).

In caso di annullamento con rinvio di una sentenza predibattimentale di non doversi procedere, il giudice di rinvio va individuato in quello di primo grado perché si è fuori dai casi di ricorso per saltum, ed il dibattimento di primo grado non è stato celebrato (Cass. IV, n. 47386/2008); peraltro, in un caso nel quale, a seguito dell'emissione di una sentenza ex art. 129, la Corte d'appello aveva erroneamente qualificato la sentenza impugnata come sentenza predibattimentale ex art. 469, e, conseguentemente, l'impugnazione come ricorso per cassazione, e quindi trasmesso gli atti alla Corte di cassazione, quest'ultima ha ritenuto che il provvedimento con il quale era stata disposta la trasmissione dovesse essere annullato senza rinvio, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di appello per lo svolgimento del giudizio di secondo grado (Cass. I, n. 11240/2009).

Il regime giuridico del provvedimento di rigetto

Il provvedimento (decreto od ordinanza) con il quale il giudice, all'esito dell'udienza camerale, ritenga di non dover definire il giudizio con sentenza predibattimentale ai sensi dell'art. 469, rigettando l'istanza della parte interessata, ha carattere ordinatorio e non è autonomamente impugnabile, in difetto dell'espressa previsione della sua impugnabilità, e, comunque, anche perché esso riguarda un tema destinato ad essere ancora discusso in dibattimento ed a costituire oggetto dell'emananda sentenza che concluderà il giudizio; d'altro canto, l'intervenuto rigetto non compromette in alcun modo la posizione processuale dell'imputato, proprio perché quest'ultimo potrà ottenere, ricorrendone i presupposti, il proscioglimento anche in dibattimento (Cass. I, 13 /11/1961, D'A.).

La dottrina ha osservato che « il rigetto della richiesta di proscioglimento di sentenza predibattimentale non può costituire valida ragione di ricusazione del giudice in vista del futuro dibattimento, trattandosi di provvedimento reso doverosamente a seguito di una istanza di parte, ben diverso da una indebita anticipazione di giudizio extraprocessuale » (Beltrani, 117).

Proscioglimento predibattimentale e non punibilità ex art. 131-bis c.p.

Il comma 1-bis dell'art. 469, aggiunto dall'art. 3, comma 1, lett. a), d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, fissa, con riguardo alla declaratoria predibattimentale di non punibilità ex art. 131-bis c.p., una disciplina procedimentale analoga a quella generale dettata dal comma precedente: «ciò sembra trovare conferma, in primo luogo, dall'uso della congiunzione "anche" (...). Si tratta di una congiunzione avente pacificamente valore aggiuntivo, con finalità coordinative tra i due commi, che, evidentemente, salda tra loro, stabilendo, quindi, che la sentenza predibattimentale, oltre che nei casi originariamente previsti, è pure applicabile nell'ipotesi di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., con l'ulteriore, eventuale, interlocuzione della persona offesa» (Cass. III, n. 47039/2015).

Proprio il riferimento alla necessaria interlocuzione della persona offesa costituisce l'unico elemento distintivo, che consente di ritenere “speciale” la disposizione in commento e giustificandone l'introduzione (in difetto, l'aggiunta del comma sarebbe stata inutile, perché priva di portata innovativa rispetto alla disciplina generale): in proposito, la Relazione illustrativa, nel richiamare la finalità di coordinamento processuale delle disposizioni contenute nell'art. 3, si limita a precisare che la modifica all'art. 469  ha lo scopo di consentire alla persona offesa, sempre che compaia, di «interloquire sul tema della tenuità, al pari del p.m. e dell'imputato», specificando che non è stata prevista analoga forma di interlocuzione nell'udienza preliminare ed in quella dibattimentale, poiché, in tali casi, il contraddittorio è già pienamente garantito : per tale ragione, appare già consolidato l'orientamento per il quale è affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio la sentenza predibattimentale di non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., pronunciata senza dare avviso alla persona offesa dell'udienza camerale (Cass. II, n. 6310/2016; Cass. III, n. 47039/2015 cit., per la quale, in particolare, la sentenza predibattimentale per la particolare tenuità del fatto presuppone che la persona offesa sia messa in condizione di scegliere se comparire ed interloquire sulla questione, mediante avviso della fissazione dell'udienza in camera di consiglio contenente espresso riferimento alla specifica procedura di cui all'art. 469, comma 1-bis; in applicazione del principio, è stata ritenuta all'uopo non sufficiente la mera notifica del decreto di citazione a giudizio, perchè effettuata quando tale particolare esito del procedimento non era neppure prevedibile).

Le prime applicazioni giurisprudenziali in argomento (Cass. III, n. 47039/2015, cit.; Cass. II, n. 12305/2016; Cass. IV, n. 25539/2017 ), hanno ritenuto che anche la sentenza di non doversi procedere ex art. 469, comma 1-bis, perché l'imputato non è punibile ai sensi dell'art. 131-bis c.p., presume che l'imputato medesimo ed il P.M. consensualmente non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità, rinunciando alla verifica dibattimentale (precisando che il potere di opposizione trova giustificazione nel possibile interesse delle parti ad un diverso esito del procedimento, potendo l'imputato, in particolare, mirare all'assoluzione nel merito o ad una diversa formula di proscioglimento onde evitare l'iscrizione nel casellario giudiziale della dichiarazione di non punibilità ex art. 131-bis c.p.).

Profili processuali

Si è affermato che il decreto di citazione non deve contenere alcun espresso richiamo all'art. 469, comma 1-bis, perché la notificazione del decreto di citazione a giudizio garantisce alla persona offesa adeguata informazione sulla possibilità della declaratoria in fase predibattimentale dell'applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 469, comma 1-bis, e quindi non occorre prevedere la necessità di uno specifico avviso relativo a tale eventuale sviluppo processuale (Cass. V, n. 8751/2018).

Sentenza predibattimentale e confisca

Il tema dei rapporti tra la sentenza predibattimentale di proscioglimento e le statuizioni di confisca è stato particolarmente dibattuto in relazione alla confisca previste dalla normativa in tema di lottizzazione abusiva (art. 44, comma 2, d.P.R. n. 380/2001).

La giurisprudenza ha conclusivamente ritenuto che, nei predetti casi, la confisca può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purché la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati (Cass. S.U., n. 13539/2020), non quindi nei casi in cui la causa estintiva del reato sia stata dichiarata con sentenza predibattimentale ex art. 469, atteso che le caratteristiche di questa non permettono di compiere quell'accertamento incidentale sulla sussistenza dell'illecito – nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi – necessario per poter disporre la misura ablatoria (Cass. III, n. 1514/2019);il principio è stato successivamente ribadito da Cass. II, n. 11042/2020, per la quale è  nulla, per violazione del contraddittorio, la sentenza predibattimentale con la quale la corte di appello dichiari l'estinzione del reato per prescrizione confermando la confisca disposta in primo grado, in quanto l'imputato ha diritto allo svolgimento dell'udienza dibattimentale di appello al fine di poter espletare compiutamente la propria attività difensiva anche su tale punto. 

La dichiarazione predibattimentale di estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162- ter c.p.)

La procedura diretta alla valutazione di congruità della condotta finalizzata alla declaratoria di estinzione del reato per condotte riparatorie è quella prevista dall'art. 469, condizionata, a pena di nullità, alla mancata opposizione del pubblico ministero e dell'imputato; essa non richiede, invece, il consenso della parte civile, le cui pretese potranno essere fatte valere in sede civile, nella quale la dichiarazione di estinzione non produce alcun effetto, in quanto volta ad eliminare esclusivamente l'interesse pubblico alla condanna (Cass. II, n. 39252/2021).

L’impugnazione della sentenza predibattimentale

Il termine per impugnare la sentenza di proscioglimento emessa ai sensi dell'art. 469 è quello di 15 giorni previsto per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio, ex art. 585, comma 1, lett. a), c.p.p., e decorre, per ciascuna parte, in difetto di forme alternative di pubblicazione, dalla data di comunicazione del provvedimento (Cass. I, n. 27903/2022).  

Bibliografia

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