Codice di Procedura Penale art. 471 - Pubblicità dell'udienza.

Sergio Beltrani

Pubblicità dell'udienza.

1. L'udienza è pubblica a pena di nullità [181, 472, 502 2; 147 att.; 21 reg.].

2. Non sono ammessi nell'aula di udienza coloro che non hanno compiuto gli anni diciotto, le persone che sono sottoposte a misure di prevenzione e quelle che appaiono in stato di ubriachezza, di intossicazione o di squilibrio mentale.

3. Se alcuna di queste persone deve intervenire all'udienza come testimone [196], è fatta allontanare non appena la sua presenza non è più necessaria.

4. Non è consentita la presenza in udienza di persone armate, fatta eccezione per gli appartenenti alla forza pubblica, né di persone che portino oggetti atti a molestare. Le persone che turbano il regolare svolgimento dell'udienza sono espulse [470] per ordine del presidente o, in sua assenza, del pubblico ministero, con divieto di assistere alle ulteriori attività processuali.

5. Per ragioni di ordine, il presidente può disporre, in casi eccezionali, che l'ammissione nell'aula di udienza sia limitata a un determinato numero di persone.

6. I provvedimenti menzionati nel presente articolo sono dati oralmente e senza formalità [125 6].

Inquadramento

La dottrina (cfr., tra gli altri, Foschini, 348; Melchionda, in Chiavario, 1992, 557) distingue tradizionalmente due forme di pubblicità:

a ) la pubblicità cd. immediata (detta anche processuale, od interna), che garantisce la possibilità, per ciascun individuo, di assistere fisicamente alla celebrazione delle udienze, ed è disciplinata dagli artt. 471 e 472 (nonché dall'art. 33, d.P.R. n. 448/1988, per quanto riguarda il processo penale minorile);

b ) la pubblicità cd. mediata (detta anche extraprocessuale, od esterna), che si concretizza nella possibilità di divulgare, attraverso mezzi (audiotelevisivi) di comunicazione di massa, informazioni ed immagini concernenti i processi in corso di svolgimento (cfr. Voena, 1984, passim), ed è disciplinata dagli artt. 114 e 473, comma 2, dall'art. 147 disp. att., e dall'art. 13 d.P.R. n. 448/1988.

I due tipi di pubblicità hanno in comune la finalità di garantire il corretto esercizio della giurisdizione penale, nell'interesse della collettività, oltre che dell'imputato, ed hanno lo stesso oggetto, pur con diversa funzione e diversa disciplina, considerata la diversità dei destinatari e delle modalità di attuazione.

La pubblicità dell'udienza dibattimentale nelle fonti internazionali

La previsione del diritto fondamentale alla pubblicità dell'udienza penale e della sentenza resa al termine di essa, al fine della determinazione della fondatezza o meno di ogni accusa penale, è contenuta anche in numerose fonti di diritto internazionale, tra le quali spicca l'art. 6 § 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (al cui rispetto il legislatore era vincolato, ai sensi dell'art. 2, comma 1, della l. delega 16 febbraio 1987, n. 81), a norma del quale le sentenze devono essere rese pubblicamente.

Le fonti di diritto internazionale contemplano la possibilità di deroghe al principio di pubblicità dell'udienza. L'art. 14 Patto intern. dir. civ. e pol. (ratificato con l. 25 ottobre 1977, n. 881) prevede, ad esempio, che il processo possa svolgersi totalmente o parzialmente a porte chiuse, sia per motivi di moralità, di ordine pubblico o di sicurezza nazionale in una società democratica, sia quando lo esige l'interesse della vita privata delle parti in causa, sia, nella misura ritenuta strettamente necessaria dal tribunale, quando per circostanze particolari, la pubblicità nuocerebbe agli interessi della giustizia, salva la necessità inderogabile di rendere pubblica ogni sentenza (a meno che l'interesse di minori esiga il contrario).

Più o meno negli stessi termini, l'art. 6 § 1 C.E.D.U. prevede la possibilità di deroghe al principio di pubblicità dell'udienza; infatti, l'accesso alla sala udienza può essere vietato alla stampa ed al pubblico, durante l'intero processo, od una parte di esso: a) nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale; b) quando lo esigono gli interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti nel processo; c) quando, in speciali circostanze, la pubblicità potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia, ma, in tal caso, soltanto nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale.

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo ha, in tema, affermato che « il diritto alla pubblicità dell'udienza non si limita a garantire l'accertamento della verità, ma contribuisce anche a convincere l'imputato che la sua causa è stata trattata da un tribunale del quale si poteva controllare l'indipendenza e l'imparzialità. La pubblicità del procedimento degli organi giudiziari protegge le persone sottoposte a giudizio da una giustizia segreta od occulta che sfugga al controllo della collettività, e costituisce anche uno dei mezzi per preservare la fiducia (...) nei tribunali. Tramite la trasparenza che conferisce all'amministrazione della giustizia, aiuta a realizzare lo scopo dell'art. 6 § 1: l'equo processo, al cui garanzia fa parte dei principi di ogni società democratica » (Corte Edu I, 25 luglio 2000).

Casistica

La Corte Edu (13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia; 8 luglio 2008, Perre c. Italia) aveva rilevato la violazione dell'art. 6 § 1 C.E.D.U., con riguardo alla pubblicità dell'udienza nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione: a seguito di tali pronunzie, la Corte costituzionale (n. 93/2010), richiamando i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte europea, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 l. 27 dicembre 1956, n. 1423 (recante « Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità ») e dell'art. 2-ter  l. 31 maggio 1965, n. 575 (recante « Disposizioni contro la mafia ») — oggi abrogate per effetto dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011 — cd. Codice antimafia — per violazione dell'art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui non permettevano alle persone interessate di chiedere la pubblicità del dibattimento nell'ambito dei procedimenti per l'applicazione delle misure di prevenzione.

La giurisprudenza ritiene attualmente che, in tema di procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione personali, il mancato svolgimento della procedura in pubblica udienza, anche se richiesta dall'interessato, non determina alcuna nullità, non essendo tale sanzione prevista espressamente dall'art. 7 d.lgs. n. 159/2011 (Cass. VI, n. 31272/2016).

La disciplina

L'art. 471, comma 1, prevede, a pena di nullità, che l'udienza sia pubblica; il riferimento alla « udienza » (termine che deve ritenersi adoperato consapevolmente ed indicativo della misura giornaliera del lavoro svolto in aula: cfr. sub art. 470), va necessariamente inteso con riguardo alle sole attività processuali che hanno luogo in aula di giustizia e, quindi, con esclusione di quelle esterne (si pensi, ad esempio, a prove atipiche quali i cc.dd. esperimenti giudiziali). A conferma di tale assunto (non condiviso da quella parte della dottrina che ritiene di estendere il principio di pubblicità dell'udienza all'intero dibattimento e, quindi, anche agli atti compiuti al di fuori dell'udienza, intesa nel senso strettamente spaziale del termine), può essere ricordato l'art. 502, comma 2 che espressamente vieta la pubblicità degli esami a domicilio di testimoni, periti e consulenti tecnici.

La pubblicità del giudizio penale costituisce, in un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare, un'esigenza primaria, particolarmente avvertita proprio in considerazione della qualità dei valori, degli interessi e dei beni da proteggere, dei riflessi sociali della violazione delle norme penali, e dell'interesse dello Stato al ripristino dell'ordine violato; d'altro canto, la pubblicità dell'udienza penale soddisfa anche l'esigenza di garantire il controllo della pubblica opinione sullo svolgimento dei processi penali, poiché la giustizia penale è amministrata (ex art. 101 Cost.) in nome del popolo (Corte cost. n. 69/1991; Corte cost. n. 373/1992).

L'ampio e generico riferimento dell'art. 471 all'« udienza » riguarda sia il predibattimento, sia il dibattimento, sia la successiva fase della lettura del dispositivo, con l'eventuale lettura della motivazione contestuale (Aprile- Silvestri, 80).

Le deroghe

L'art. 471 prevede una serie di deroghe al principio di pubblicità, stabilendo (con evidente finalità di tutela della morale pubblica oltre che dell'ordinata celebrazione delle udienze, e con indicazione che deve ritenersi tassativa e, pertanto, insuscettibile di analogia) che non sono ammessi in aula di udienza:

a ) i minori degli anni diciotto e le persone sottoposte a misure di prevenzione (sia personali che reali), oppure in evidente stato di ubriachezza, di intossicazione o di squilibrio mentale (se una di tali persone deve rendere testimonianza, la sua presenza in aula sarà consentita soltanto per il tempo strettamente necessario all'assunzione del mezzo istruttorio);

b ) le persone armate (salvo che si tratti di appartenenti alla forza pubblica) o che comunque portino oggetti atti a molestare.

Il presidente del collegio od il giudice potranno, in ogni caso, avvalendosi della collaborazione dell'ufficiale giudiziario [art. 21, comma 2, lett. c), reg. esec.] od anche, in casi di eccezionale necessità, della forza pubblica, espellere dall'aula le persone che turbano il regolare svolgimento dell'udienza, vietando loro di assistere alle ulteriori attività processuali; esclusivamente al presidente del collegio (od al giudice) spetta, inoltre, il potere di ammettere in aula di udienza — per ragioni di ordine pubblico — soltanto un numero limitato di persone.

Tutti i provvedimenti previsti dall'art. 471, costituendo estrinsecazione del potere di disciplina dell'udienza, che non ha natura giurisdizionale, ma meramente amministrativa (La Regina, in Spangher, 67 ss.), possono essere resi anche oralmente (con obbligo di verbalizzazione) e senza formalità, ovvero senza previa instaurazione del contraddittorio, e senza motivazione.

Si discute in merito all'ambito della competenza suppletiva del pubblico ministero: in dottrina, un orientamento ritiene che il p.m., cui l'art. 470 attribuisce, in generale, di esercitare il potere di disciplinare l'udienza in sostituzione del presidente del collegio (o del giudice monocratico) sia generalmente legittimato, sempre in via sostitutiva, anche all'esercizio dei poteri di cui all'art. 471, ad eccezione di quello di cui al comma quinto, espressamente riservato al solo presidente (ovvero al giudice monocratico) (Manzione, in Chiavario, V, 1991, 58); altro orientamento, in ossequio alla lettera della legge (argomentando dal raffronto tra il comma quarto ed il comma quinto), ritiene che il p.m. possa esercitare in via sostitutiva i soli poteri di cui al comma quarto, gli unici espressamente attribuitigli (Voena, 1992, 513). La Relazione al Progetto preliminare del c.p.p. sembrerebbe avvalorare quest'ultimo orientamento (Rel. prog. prel. c.p.p., 256).

Le conseguenze processuali delle violazioni delle disposizioni in tema di pubblicità dell'udienza

La giurisprudenza ritiene che la nullità prevista dall'art. 471, comma 1, rientri tra quelle relative (ex art. 181) e debba, pertanto, essere eccepita dalle parti presenti prima del compimento dell'atto, secondo quanto previsto dal comma secondo dell'art. 182, risultando, in caso contrario, a norma del comma terzo dell'art. 182, non più deducibile (Cass. I, n. 1495/1999, in fattispecie nella quale si lamentava l'omessa motivazione del provvedimento reiettivo dell'istanza di revoca dell'ordine di procedere a porte chiuse: la Corte ha ritenuto, alla luce dell'enunciato principio, che la nullità dell'atto dovesse essere eccepita immediatamente dopo la sua assunzione). Al contrario, qualora il giudizio venga definito con il rito ordinario pubblico anziché con quello camerale (nei casi in cui quest'ultimo rito sia previsto dalla normativa processuale), in difetto di espressa sanzione, e stante il principio della tassatività delle nullità, non sussiste alcuna nullità, né di ordine generale, ex art. 178, né assoluta, ex art. 179, né relativa, ex art. 181 (Cass. IV, n. 5811/1996).

In verità, con il rito ordinario pubblico l'esercizio del diritto di difesa dell'imputato non solo non riceve alcun pregiudizio, ma anzi trova (diversamente da quanto accade per il rito camerale) la sua massima espressione: anche sotto tale profilo, pertanto, nessun interesse avrebbe l'imputato all'osservanza della disposizione violata (art. 182).

Casistica

Svolgimento dell’udienza in luogo diverso da quello ordinario

Integra una nullità relativa, per violazione del principio di pubblicità dell'udienza ex art. 471 c.p.p., la celebrazione del giudizio dibattimentale in luogo diverso da quello ordinariamente a ciò deputato, ove non siano predisposti sistemi di agevole accesso e forme di conoscibilità di tale luogo, atti a garantire la possibilità per chiunque di esercitare il diritto ad assistere alle udienze, poiché il principio di pubblicità è posto primariamente a tutela dell'interesse collettivo al controllo diffuso sull'esercizio della giurisdizione (Cass. VI, n. 29943/2022: fattispecie nella quale l'udienza a carico di un imputato sottoposto al regime detentivo di cui all'art. 41-bis ord. pen. si era svolta all'interno della locale casa circondariale, anziché nell'aula del tribunale priva di impianto per videoconferenza).

In appello

L'orientamento assolutamente dominante afferma che, nel caso in cui nel giudizio di appello si sia proceduto, dopo la costituzione delle parti avvenuta nella sala delle pubbliche udienze, alla trasformazione del rito in quello camerale di cui all'art. 599, pur non ricorrendo i casi previsti da detta norma, e nessuna delle parti abbia formulato riserve ed opposizioni a detta trasformazione, deve escludersi che la relativa nullità sia deducibile poiché, pur se, a norma dell'art. 598, valgono, per il giudizio di appello, le norme relative a quello di primo grado, in quanto applicabili, e fra queste rientri quella di cui all'art. 471, comma 1, tuttavia, trattandosi di nullità relativa, in quanto riconducibile nell'ambito dell'art. 181, la stessa va eccepita dalle parti presenti prima del compimento dell'atto o, se ciò non sia possibile, subito dopo, secondo quanto previsto dal comma secondo dell'art. 182 stesso codice, verificandosi, altrimenti, la decadenza dalla deducibilità della stessa, a norma del comma terzo del medesimo articolo (Cass. S.U., n. 7227/1995; Cass. VI, n. 38114/2009, in fattispecie nella quale il vizio era stato dedotto tardivamente, ovvero per la prima volta in cassazione). Soltanto una pronuncia, rimasta isolata, aveva sostenuto che la celebrazione del giudizio d'appello con rito camerale, fuori delle ipotesi tassativamente previste dall'art. 599, comma 1, concernendo l'intervento e l'assistenza dell'imputato, determinava una nullità di ordine generale, a regime intermedio, a norma degli artt. 178 lett. c) e 180, poiché « il mutamento di forma di svolgimento del giudizio non riguarda solo la pubblicità dell'udienza, ma incide sulle stesse garanzie di difesa, attese le peculiarità che contraddistinguono i due tipi di giudizio, quello dibattimentale e quello in camera di consiglio » (Cass. VI, n. 12/1995).

Le deroghe previste dalla normativa speciale emanata per fronteggiare l’emergenza da COVID-19

Per fronteggiare la “nuova” emergenza COVID-19 nel settore giustizia, gli artt. 23 e ss. d.l. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni nella legge n. 176 del 2020, hanno dettato una serie di disposizioni speciali, che – detto in sintesi –, preso atto del sopravvenuto stato di necessità, prevedevano la possibilità di deroghe al principio di pubblicità.

Quelle di rilievo penale erano concentrate essenzialmente nell'art. 23, il cui comma 1 attribuiva alle emanande disposizioni, contenute nei commi da 2 a 9, efficacia temporale limitata, a partire dal 29 ottobre 2020 (data di entrata in vigore del d.l., coincidente con il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, secondo quanto stabilito dall'art. 35 dello stesso d.l.) fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1 d.l. n. 19 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35 del 2020: trattavasi della data di (all'epoca auspicata) cessazione dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, inizialmente fissata al 31 luglio 2020, ma successivamente prorogata dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.l. n. 248 del 2020, al 31 gennaio 2021.

Hanno continuato a trovare applicazione, ove non espressamente derogate dalle disposizioni contenute nell'art. 23, le disposizioni di cui all'art. 221 d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020 (ovvero le modifiche all'art. 83 d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 27 del 2020, e le ulteriori disposizioni in materia di processo civile e penale, cui si rinvia), alle quali va, quindi, riconosciuto carattere generale; queste ultime sono, state, quindi, vigenti:

– dal 29 ottobre 2020 al 31 gennaio 2021, se ed in quanto non derogate dalle disposizioni dettate dall'art. 23 d.l. n. 137 del 2020 (o comunque con esse non incompatibili);

– pienamente, a partire dal 1° febbraio 2021.

Per quanto in questa sede rileva, il comma 3 dell'art. 23 stabiliva che le udienze “alle quali è ammessa la presenza del pubblico”, ovvero le udienze dibattimentali, “potevano” (non “dovevano”) essere celebrate a porte chiuse (ex art. 472, comma 3, c.p.p.) anche fuori dai casi previsti dal codice di rito: in applicazioni di tali disposizioni, spettava, quindi, al giudice a stabilire discrezionalmente se l'emergenza COVID-19 rendesse opportuno, o meno, procedere a porte chiuse.

La disposizione riproponeva quella di cui all'art. 83, comma 7, d.l. n. 18 del 2020.

L'art. 16 del d.l. 30/12/2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge n. 15 del 25/02/2022, ha successivamente disposto che la predetta normativa eccezionale continuava ad applicarsi fino alla data del 31 dicembre 2022.

Dal 30/12/2022 è entrata in vigore la c.d. Riforma Cartabia (D. Lgs. n. 150 del 2022): a norma dell'art. 94, comma 2, del citato D. Lgs., come sostituito dall'art. 5-duodecies d.l. n. 162 del 2022, conv., con modifiche, in legge n. 199 del 2022, parti della normativa emergenziale (d.l. n. 137/2020, conv., con modif., in l. n. 176/2020, art. 23, comma 8, primi 5 periodi, e comma 9; art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4, 7) continuano ad applicarsi per le sole impugnazioni proposte entro il 30/06/2023.

Bibliografia

Aprile- Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006; Beltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; D'Andria, Sub art. 471, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi- Lupo, VI, Agg. 2003-2007, (artt. 465-567), a cura di D'Andria- Fidelbo- Gallucci, Milano, 2008, 31; Foschini, voce Dibattimento, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 342; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1996; Rivello, Il dibattimento nel processo penale, Torino, 1997; Voena, Mezzi audiovisivi e pubblicità delle udienze penali, Milano, 1984; Voena, voce Udienza penale, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 495.

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