Codice di Procedura Penale art. 477 - Durata e organizzazione del dibattimento12.

Sergio Beltrani

Durata e organizzazione del dibattimento12.

1.  Quando non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente, dopo la lettura dell'ordinanza con cui provvede sulle richieste di prova, sentite le parti, stabilisce il calendario delle udienze, assicurando celerità e concentrazione e indicando per ciascuna udienza le specifiche attività da svolgere.3.

2. Il giudice può sospendere il dibattimento soltanto per ragioni di assoluta necessità e per un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni [3, 41, 47, 71, 344, 479, 508], esclusi i festivi.

3. Il presidente dà oralmente gli avvisi opportuni e l'ausiliario [126] ne fa menzione nel verbale. Gli avvisi sostituiscono le citazioni e le notificazioni per coloro che sono comparsi o debbono considerarsi presenti [148 5, 420-quinquies 2, 475 2, 502 1].

[1] Rubrica modificata dall'art. 30, comma 1, lett. a) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito la parola «prosecuzione» alla parola «organizzazione».

[2] Con riferimento alle misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, v. art. 24,  d.l. 9 novembre 2020, n. 149, per la sospensione (dall'entrata in  vigore del citato decreto fino al 31 gennaio 2021, v. anche comma 2 dell'art. 24) dei giudizi penali durante il tempo in cui l'udienza è rinviata per l'assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o dell'imputato in procedimento connesso i quali siano stati citati a comparire per esigenze di acquisizione della prova . Successivamente l'intero decreto è stato abrogato dall'articolo 1, comma 2, della legge 18 dicembre 2020, n. 176. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto. V. ora l'art. 23-bis del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 176.

[3] Comma sostituito dall'art. 30, comma 1, lett. a) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Il  testo del comma era il seguente: «1. Quando non è assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il presidente dispone che esso venga proseguito nel giorno seguente non festivo».  Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199

Inquadramento

L'art. 477 detta disposizioni in ordine alla durata ed alla prosecuzione del dibattimento, stabilendo che il dibattimento va esaurito, in linea di principio, in una sola udienza.

Diversamente dall'abrogato codice di rito del 1930, quello attualmente vigente, per velocizzare la trattazione dei dibattimenti ed evitare di attribuire ai giudicanti una troppo ampia discrezionalità nella determinazione dell'ordine di trattazione, non consente più il rinvio a tempo indeterminato od « a nuovo ruolo », prevedendo unicamente le seguenti figure di differimento:

a) udienza in prosecuzione ordinaria (o prosieguo): è quella fissata, per la conclusione del dibattimento già iniziato (e che non può essere esaurito in un'unica udienza), nel giorno immediatamente seguente rispetto a quello dell'udienza precedente;

b) sospensione: si concretizza in un'interruzione del dibattimento, già iniziato, con individuazione del momento finale. A differenza del rinvio, in caso di sospensione, il dibattimento viene ripreso nel punto esatto in cui fu disposta la sospensione, e gli atti già compiuti conservano piena validità;

c) rinvio (c.d. ad udienza fissa): viene generalmente disposto nel corso del compimento delle formalità introduttive, nel caso in cui esse, per qualsiasi ragione, non siano portate a compimento e, quindi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento stesso. Alla ripresa, la fase introduttiva inizierà ex novo.

La disciplina vigente prima della c.d. “riforma Cartabia”

Prima delle modifiche introdotte dall'art. 30, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 150 del 2022, il primo comma dell'art. 477 stabiliva che, quando non fosse assolutamente possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza, il giudice disponeva che esso fosse proseguito nel giorno seguente non festivo.

La giurisprudenza aveva, in proposito, chiarito che il divieto di compiere attività processuali nei giorni festivi previsto dall'art. 2 l. n. 260/1949 – indirettamente richiamato dal primo comma dell'art. 477 – concretizzava un comando rivolto al giudice, che ha l'obbligo (disciplinare) di osservarlo, ma la cui eventuale violazione è sprovvista di sanzione processuale (Cass. I, n. 2832/1995: nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che l'indicazione della data della nuova udienza, anche se cadente in giorno festivo, fosse sufficiente per il perfezionamento del relativo provvedimento, che in tal modo non era da intendersi come rinvio a tempo indeterminato, asseritamente nullo per mancata indicazione della data di udienza, proprio perché nel vigente codice di rito non vi è alcun divieto, processualmente sanzionato, di svolgimento di attività nei giorni festivi, bensì come mera sospensione dello stesso).

Non è stata ritenuta abnorme l'ordinanza con cui il giudice aveva rinviato la trattazione del procedimento a data successiva a quella di maturazione del termine di prescrizione del reato, in quanto il differimento dell'udienza è espressione di poteri ordinatori attribuiti al giudice e, per effetto del rinvio, non si determina una regressione indebita del giudizio né una irrimediabile stasi dello stesso (Cass. VI, n. 42381/2019).

La disciplina vigente dopo la c.d. “riforma Cartabia”

L’art. 30, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 150 del 2022, oltre a modificare la rubrica dell’art. 477 (non più rubricato “Durata e prosecuzione del dibattimento”, ma “Durata e organizzazione del dibattimento”) ha modificato il primo comma della disposizione prevedendo che:

a) le successive disposizioni del comma in oggetto si applicano in tutti i casi nei quali “non è possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza”, anche se ciò non sia “assolutamente impossibile”: in tal modo, si è preso atto che, nella prassi, il mancato esaurimento del dibattimento in una sola udienza avveniva correntemente anche in casi nei quali ciò sarebbe stato possibile, ma per ragioni inerenti all’organizzazione dell’ufficio giudiziario non avveniva;

b) il presidente del collegio (nonché, in forza del rinvio operato all’art. 477 dall’art. 559, comma 1, c.p.p., il giudice monocratico), “dopo la lettura dell’ordinanza con cui provvede sulle richieste di prova, sentite le parti, stabilisce il calendario delle udienze”; nel fare ciò:

– cura di assicurare celerità e concentrazione della trattazione;

– indica per ciascuna udienza le specifiche attività da svolgere: la facoltà prevista da questa disposizione diventa, peraltro, un vero e proprio obbligo a norma del nuovo art. 145, comma 2, disp. att. c.p.p. [introdotto dall’art. 41, comma 1, lett. v), d. lgs. n. 150 del 2022], per il quale “Se il dibattimento deve protrarsi in più giorni, il presidente, sentiti il pubblico ministero e i difensori, stabilisce il giorno in cui ciascuna persona deve comparire”.

La prevista audizione delle parti si inserisce “in un’ottica di proficuo clima collaborativo tra gli attori coinvolti nella giustizia, premessa essenziale per agevolare la celerità del suo corso” (Gialuz 2022, 61).

La disposizione, che raccoglie il monito della Corte costituzionale (secondo Corte cost., n. 132/2019, infatti, il modello costituzionalmente orientato di dibattimento impone che esso sia “fortemente concentrato nel tempo, idealmente da celebrarsi in un’unica udienza o, al più, in udienze celebrate senza soluzione di continuità”) e riprende quanto già disposto dall’art. 81-bis disp. att. c.p.c. per le udienze civili, presuppone che il giudicante abbia già esaminato le questioni preliminari proposte ex art. 491 c.p.p. (in questa fase, è sempre possibile differire la decisione delle predette questioni – che, nei processi con pluralità di parti, ben possono essere di particolare complessità – ad altra udienza senza restrizioni) e dichiarato aperto il dibattimento; essa opera soltanto a partire dal momento in cui, assunte le richieste istruttorie, il giudicante abbia emesso il relativo provvedere ex art. 495 c.p.p.

In tal modo si intende dare impulso alla celebrazione di dibattimenti bene organizzati, salva sempre l’alea inevitabile dell’incidenza degli impedimenti del giudicante, delle parti, dei soggetti che devono essere esaminati, e della sopravvenienza di processi ulteriori da trattare con urgenza prioritaria (ad esempio, a carico di detenuti con termini di custodia in scadenza imminente), nonché della possibile inerzia delle parti nella citazione dei testimoni dei quali hanno ottenuto l’ammissione, che allo stato non può ritenersi con certezza sanzionabile con la decadenza (cfr. amplius sub art. 495, § 9).

La Commissione Lattanzi specifica, in particolare, che la disposizione mira a “richiamare (...) i dirigenti degli uffici a sperimentare forme innovative di organizzazione delle udienze dibattimentali che tengano conto della maggiore efficienza (...) della trattazione dei casi in sequenza e non in parallelo sia in termini di capacità di definizione che (...) di chiusura dei processi”.

Nessuna sanzione è, peraltro, prevista per la violazione di queste disposizioni (ad esempio, per l’omessa programmazione delle attività da svolgere nelle udienze che si celebrano dopo la lettura dell’ordinanza ammissiva delle prove), che potrebbe, peraltro, assumere rilievo disciplinare (soprattutto in caso di scadenza, prima della decisione, dei termini di prescrizione o di custodia cautelare).

Potrebbe, peraltro, porsi un problema di nullità per violazione del diritto di difesa per il caso in cui, nell’udienza in cui – secondo la programmazione disposta dopo aver sentito le parti – doveva svolgersi una determinata attività, ne sia stata svolta una diversa (sul punto, problematicamente, Natale 2022, 209): in tal caso, a nostro avviso, sarebbe evidente la nullità a regime c.d. intermedio dell’udienza ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., necessariamente deducibile, ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p., nell’udienza successiva, trattandosi di nullità cui la parte interessata alla sua deduzione necessariamente assiste, quanto meno attraverso il difensore di ufficio designato ex art. 97, comma 4, c.p.p. in sostituzione di quello di ufficio in ipotesi non comparso, perché non interessato all’attività originariamente programmata.

Profili di diritto intertemporale

In difetto di disposizioni transitorie ad hoc, la predetta modifica deve ritenersi regolata dal principio tempus regit actum, ed è quindi operante per le udienze dibattimentali che si celebreranno a partire dal 30/12/2022, data di entrata in vigore del d. lgs. n. 150 del 2022.

La sospensione del dibattimento: generalità

Tra i casi di « sospensione » del dibattimento si distinguono:

A) casi nei quali la sospensione del dibattimento è prevista dalla legge;

B) casi nei quali la sospensione del dibattimento è vietata dalla legge;

C) casi nei quali la sospensione del dibattimento è consentita per « ragioni di assoluta necessità ».

Sospensione prevista dalla legge

Tra i casi di « sospensione prevista dalla legge », occorre ulteriormente distinguere:

1) casi in cui la sospensione (facoltativa od obbligatoria) è disposta dal giudice che procede, tra i quali è ancora possibile distinguere:

1.a) casi di sospensione facoltativa: nelle ipotesi in cui la decisione dipenda dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza (art. 3), o da altre questioni civili od amministrative (art. 479 comma 1); in pendenza di istanza di rimessione del processo ad altro giudice (art. 47); per esigenze istruttorie (artt. 508, comma 1, e 509);

1.b) casi di sospensione obbligatoria: nelle ipotesi in cui, prima dello svolgimento della decisione, si sia avuta notizia dalla Corte di cassazione che la richiesta di rimessione per legittimo sospetto è stata assegnata alle sezioni unite, ovvero a sezione diversa dall'apposita sezione di cui all'art. 610, comma 1 (art. 47, comma 2); per incapacità dell'imputato (art. 71, comma 1); a seguito della concessione di un termine a difesa, al difensore (art. 108) oppure all'imputato (art. 451, comma 6); in pendenza della richiesta di autorizzazione a procedere (art. 344, comma 3); per legittimo impedimento a comparire dell'imputato o del difensore (art. 420-ter); a seguito di nuove contestazioni (artt. 519 e 520); nel caso in cui sia sollevata una questione di legittimità costituzionale (art. 23 l. n. 87/1953).

Le fattispecie di cui agli artt. 508 comma 1, 509, 108, 451 comma 6, 420-ter ss., 519 e 520 prevedono sospensioni a tempo determinato; le altre, a tempo indeterminato.

La sospensione del dibattimento può eccezionalmente essere disposta da leggi speciali, generalmente in occasione di sanatorie (ad esempio, cfr. d.l. n. 468/1994, in tema di condono edilizio, oltre alle numerose sospensioni intervenute in materia tributaria); l'art. 235 disp. att. ha conservato la vigenza dell'art. 53 l. n. 4/1929, a norma del quale il dibattimento avente ad oggetto violazioni di norme finanziarie è rimandato in seguito alla presentazione di un certificato (rilasciato dalle autorità abilitate) attestante l'avvenuta presentazione della domanda di oblazione.

La giurisprudenza (Cass. V, n. 2825/2015) ha osservato che l'art. 5, comma 6, d.l. n. 39/2009, conv., con modif., l. n. 77/2009 (recante «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo»), contemplava un'ipotesi di sospensione obbligatoria dei termini stabiliti a pena di inammissibilità o decadenza ed una sospensione ex lege dei processi pendenti, e non un legittimo impedimento del difensore: se ne è desunto che il rinvio conseguentemente disposto dal giudice deve essere notificato al difensore di fiducia solo ove si tratti di rinvio a nuovo ruolo o di sospensione del processo senza fissazione di nuova udienza, non essendo invece necessaria alcuna comunicazione nel caso di rinvio ad udienza fissa, in applicazione dell'art. 477, comma 3, essendo comunque presente in udienza, in sostituzione del difensore titolare, il difensore di ufficio, la cui nomina, in assenza del primo, è obbligatoria;

a.2) casi in cui la sospensione (sempre facoltativa) è disposta da altro giudice: in pendenza di istanza di ricusazione (art. 41, comma 2); in pendenza di istanza di rimessione per legittimo sospetto (art. 47, comma 1).

Sospensioni non previste e non  vietate dalla legge

 L'ordinamento non prevede la possibilità di sospensione del dibattimento né per consentire al sostituto processuale (art. 102) l'esame degli atti del processo, né per consentire all'imputato di conferire con il proprio difensore: in tali casi, la sospensione, anche breve, del dibattimento è rimessa alla discrezionalità del giudice.

Sospensione consentita per ragioni di assoluta necessità

Con riferimento ai casi nei quali la sospensione del dibattimento (sempre a tempo determinato, con fissazione della data dell'udienza successiva) è consentita per « ragioni di assoluta necessità », occorre sottolineare che dette ragioni possono essere di molteplice natura, purché connotate di particolare rilevanza processuale. A titolo meramente esemplificativo, è possibile ricordare: l'impedimento del giudice o del p.m. che sta “seguendo” il processo; la necessità di consentire al p.m. l'esame della documentazione (se ingente o, comunque, di particolare complessità) prodotta in udienza dalla difesa (art. 495, comma 3); l'impedimento di testimoni, periti e consulenti; la necessità di verificare la ritualità della citazione di testi, periti o consulenti che non abbiano giustificato la propria assenza, al fine di disporne l'accompagnamento coattivo, e l'impossibilità di procedere all'esame dei testi della controparte, ove non vi sia accordo per un diverso ordine di assunzione della prova; la necessità di compiere atti che non risultino, per qualsiasi ragione, effettuabili immediatamente: si pensi al caso dell'assenza dell'imputato (non impedito) ove sia necessaria la sua presenza per procedere a confronto o ricognizione; la necessità di predisporre un calendario per l'esame dei testimoni, in caso di liste testimoniali particolarmente “corpose”; la necessità di trattare altri processi più urgenti, fissati nella stessa udienza.

La sospensione del dibattimento ex art. 477, comma 2

Il giudice, per ragioni di assoluta necessità, può sospendere il dibattimento per un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i festivi.

La giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 203/1992) ha osservato che l'art. 477, sia per la sua collocazione nel capo dedicato alle « disposizioni generali » sul dibattimento, sia per il suo specifico contenuto, ha evidente carattere generale e residuale, mirando a contemperare il principio della concentrazione del dibattimento (sancito dalla direttiva n. 66 della l. delega n. 81 del 1987), con l'esigenza di consentire sospensioni di breve durata per motivi non esplicitamente indicati, ma comunque caratterizzati da un'« assoluta necessità »: a detta norma, il giudice può, pertanto, ricorrere ogni qualvolta, in mancanza di altra disposizione specifica che preveda la sospensione del dibattimento, egli ritenga di essere, in concreto, in presenza di una tale situazione.

Il termine di dieci giorni è di natura ordinatoria (Cass. I, n. 866/1994), in quanto, per la sua inosservanza:

- non è prevista alcuna nullità (né specifica, né rientrante tra quelle di ordine generale: ne consegue che, per il principio della tassatività delle nullità (sancito dall'art. 177), tale inosservanza non potrebbe essere dedotta come motivo di gravame, proprio perché il rinvio di ciascun processo deve essere compatibile con le esigenze di ruolo, comprendente numerosi altri processi, magari da trattare con pari o maggiore urgenza;

- non è prevista alcuna decadenza (Cass. I, n. 888/1994; Cass. III, n. 27542/2001; Cass. I, n. 5247/2002).

Pur se il termine in oggetto ha natura ordinatoria, la conduzione del dibattimento con « particolare diligenza » e senza indugi, nei casi in cui l'imputato sia sottoposto a custodia cautelare detentiva, è imposta dal principio di « ragionevolezza dei termini per il giudizio » sancito dall'art. 5, § 3 Cedu (Corte Edu 24 agosto 1998, Contrada, che ha escluso la denunciata violazione della citata disposizione, osservando che le autorità investite del caso avevano ragionevolmente fondato la custodia cautelare dell'interessato su motivi pertinenti e sufficienti, e che il procedimento, in considerazione della sua particolare complessità, era stato condotto senza indugi), e successivamente costituzionalizzato (cfr. art. 111, comma 2, ult. parte, Cost.).

In dottrina, si è osservato che l'ordinatorietà del termine di cui all'art. 477, comma 2, rende il principio di concentrazione (che dovrebbe imporre di « evitare la diluizione del dibattimento attraverso una pluralità di udienze, celebrate magari a notevole intervallo di tempo l'una dall'altra, tanto da fare inevitabilmente perdere ai giudicanti il ricordo di quanto avvenuto in precedenza ») un'enunciazione di principio vuota di contenuto, destinata a soccombere al cospetto dello stillicidio di sospensioni e rinvii (anche lunghi) tristemente diffusi nelle aule di giustizia (Rivello, 104 s.). Il rilievo è indubbiamente corretto, ma, onde identificare i giusti correttivi per garantire, sempre e comunque, la rapida celebrazione dei dibattimenti, occorre distinguere le varie situazioni:

a ) in alcuni casi, il carico dei processi a ruolo non consente, obiettivamente, il rispetto del termine di cui all'art. 477, comma 2, senza che alcun addebito possa muoversi alla diligenza dei magistrati nella celebrazione dei dibattimenti; tuttavia, non è necessariamente vero che nelle udienze in prosecuzione, celebrate anche a notevole distanza di tempo dalle precedenti, debba sacrificarsi la freschezza dei ricordi degli atti istruttori già compiuti, in quanto, oltre che della lettura dei verbali stenotipici integrali (che, ormai, dappertutto hanno sostituito i vecchi ed incompleti, oltre che spesso indecifrabili, verbali manuali), il ricordo del giudice (quantomeno di quello diligente) può giovarsi del riascolto delle audiocassette contenenti la registrazione integrale delle precedenti udienze;

b ) in altri casi, i ritardi nella celebrazione delle udienze non sono imputabili a difficoltà obiettive: nondimeno, in relazione a tali situazioni, occorre evidenziare che la violazione (non sorretta da alcuna apprezzabile giustificazione) del termine in questione integra (anche a prescindere da quanto stabilisce l'art. 5, § 3, Cedu, per i processi con imputati detenuti) gli estremi dell'illecito disciplinare, ai sensi dell'art. 124, e ciò potrebbe risultare sicuramente sufficiente a garantire la celere (per quanto possibile, in relazione alle situazioni dei ruoli di udienza di ciascun ufficio) celebrazione dei dibattimenti.

Impugnazioni

La giurisprudenza ha osservato che il provvedimento con il quale il Tribunale rinvia il processo ad udienza successiva è espressione di quel potere ordinatorio riconosciuto al giudice del dibattimento in funzione della regolazione dello svolgimento del processo, e non presenta, pertanto, alcun carattere di abnormità: ne deriva che detta ordinanza può essere impugnata soltanto unitamente alla sentenza che chiude la fase (Cass. V, n. 25006/2005: fattispecie nella quale l'impugnato rinvio era stato disposto per acquisire una decisione della Corte di giustizia dell'UE).

Segue. Casistica

In passato si è ritenuto che il generico programma predisposto per la trattazione del processo in più udienze, non formalizzato nel verbale con l'indicazione delle udienze successive e dei giorni in cui ciascun difensore deve svolgere il proprio intervento difensivo, non impedisce la definizione del processo alla prima udienza cui il dibattimento è rinviato: ne consegue che non dà luogo a nullità della sentenza il mancato rinvio in prosecuzione del processo ad altra udienza ab origine ipotizzata (Cass. VI, n. 599/2006: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che, dopo aver previsto la presumibile trattazione del processo in più udienze, aveva soltanto formalizzato il rinvio ad un'udienza successiva, nella quale aveva, poi, invitato le parti a concludere, respingendo la richiesta di rinvio presentata da uno dei difensori dell'imputato al fine di consentire la presenza del difensore non comparso).

Con riguardo alla prassi, invero estremamente diffusa in ambito giudiziario, di deliberare in camera di consiglio cumulativamente in ordine a due o più processi, dopo la celebrazione consecutiva dei rispettivi giudizi, la giurisprudenza, identificando nella fattispecie una sospensione (pur se brevissima) del dibattimento, ha avuto modo di osservare che non si verifica alcuna nullità, potendo il giudice, con valutazione discrezionale ed insindacabile, provvedere a tale sospensione (Cass. II, n. 12680/1980).

Si è anche ritenuto che l'ordinanza, adottata fuori udienza, con la quale il giudice rinvia il dibattimento, pur non essendo prevista espressamente dal codice di rito vigente, non è abnorme, poiché costituisce espressione del potere conferito al giudice di sospendere o rinviare il dibattimento, previsto da numerose norme del codice stesso; né, in tali casi, occorre la rinnovazione della citazione, in quanto il decreto di citazione è già stato ritualmente notificato alle parti, ed il provvedimento di rinvio, intervenuto prima dell'udienza, di fatto, prolunga i termini per preparare le rispettive difese, rendendo non configurabile la nullità di cui all'art. 178, comma 1, lett. c) (Cass. V, n. 9914/1993; conforme, Cass. III, n. 17218/2009, per la quale le ipotesi di rinvii fuori udienza, disposti nel corso del dibattimento, costituiscono applicazione della disposizione di cui all'art. 465, che prevede la possibilità che il presidente del tribunale o della corte d'assise, una volta ricevuto il decreto che dispone il giudizio, anticipi l'udienza, o la differisca per giustificati motivi).

Non è stato ritenuto nullo il provvedimento con cui un Tribunale in composizione collegiale, ma composto da soli due magistrati, aveva disposto il rinvio dell'udienza, in quanto il difetto nella composizione numerica (o qualitativa) del collegio determina la nullità assoluta solo degli atti — compiuti dal giudice nella suddetta condizione — espressivi del magistero giurisdizionale, come quelli istruttori e decisori, e non anche di quelli relativi al compimento di attività ordinatorie (Cass. V, n. 25444/2014).

Non integra alcuna violazione del diritto di difesa il mancato accoglimento dell'istanza di rinvio del dibattimento al fine di rendere possibile la ritrattazione della falsa testimonianza resa in un giudizio civile in cui gli imputati avevano prestato il loro ufficio di testimoni, non potendo tale scelta intralciare l'iter del processo penale per falsa testimonianza (Cass. I, n. 1740/2003).

I provvedimenti emessi fuori udienza

Cfr. sub art. 465

Rapporti con il principio di immutabilità del giudice

La giurisprudenza (Cass. I, n. 2181/1995; Cass. III, n. 8537/1998; Cass. V, n. 31937/2001) esclude che sia violato il principio di immutabilità del giudice, allorché un giudice diverso da quello dinanzi al quale il processo è in corso di celebrazione nelle precedenti udienze, si sia limitato a rinviare il dibattimento ad altra udienza: il principio suddetto riguarda, infatti, l'effettivo svolgimento di attività dibattimentale (acquisizioni probatorie, risoluzioni di questioni incidentali, decisioni interinali inerenti all'oggetto del giudizio, e simili), ma non un provvedimento ordinatorio — come la sospensione del dibattimento ed il rinvio del medesimo ad altra udienza, determinati dall'impossibilità di prosecuzione dello stesso per diversità del giudice o diversa composizione del collegio giudicante rispetto alle precedenti udienze — non implicante alcuna decisione idonea ad avere qualsivoglia valenza sul giudizio in corso, ma mirante soltanto all'attuazione dell'ordinato svolgimento del processo nell'osservanza delle regole procedurali. Non costituirebbe, pertanto, causa di nullità del dibattimento il fatto che un processo, celebrato in presenza dell'imputato, ma sospeso e differito ad altra udienza per la discussione finale, sia stato poi — dopo ulteriori sospensioni e rinvii effettuati, in assenza dell'imputato, ma in presenza dei difensori, da un altro organo giudiziario composto diversamente rispetto a quello precedente — portato a conclusione dello stesso organo giudiziario che lo aveva trattato nelle prime udienze senza notificazione di un nuovo decreto di citazione.

Si è anche ritenuto che l'ordinanza con la quale il giudice, diverso da quello che ha proceduto all'apertura del dibattimento, sospende quest'ultimo e rimette gli atti, per la designazione del giudice addetto alla trattazione, al magistrato dirigente, ed il consecutivo decreto con cui questi restituisce gli atti al primo, in quanto incaricato di trattare la causa come da provvedimento tabellare e da calendario dell'ufficio, non sono atti abnormi ed impugnabili, come tali, per cassazione, in quanto sono espressione del potere di amministrazione della giurisdizione, il cui esercizio al di fuori dei casi specificamente stabiliti dalle norme processuali non si pone, perciò, al di fuori degli schemi tipici dell'ordinamento processuale; l'orientamento va senz'altro condiviso, in quanto i provvedimenti adottati nell'ambito di un procedimento penale, che, non consistendo in decisioni giurisdizionali, siano di natura amministrativa, sono inoppugnabili (Cass. IV, n. 1303/1997).

Gli adempimenti conseguenti alla sospensione del dibattimento

In caso di sospensione del dibattimento, il giudice, ai sensi del terzo comma dell'art. 477 (cfr. anche art. 148, comma 5), provvede senza formalità, dando oralmente gli avvisi necessari, e l'ausiliario ne dà menzione nel verbale: gli avvisi sostituiscono le citazioni e le notificazioni per tutti i soggetti processuali che sono comparsi o devono considerarsi presenti (l'imputato allontanato coattivamente od espulso; l'imputato che si sia volontariamente allontanato dall'aula; l'imputato detenuto che abbia rinunziato a comparire; il difensore assente senza giustificato motivo).

La giurisprudenza (Cass. III, n. 3980/1994; Cass. IV, n. 6065/1995, relativa ad una fattispecie di rinvio disposto, sull'accordo delle parti, dopo le formalità di apertura e la costituzione di parte civile delle persone offese) precisa che il cd. rinvio del dibattimento “a udienza fissa”, disposto prima dell'esaurimento degli atti introduttivi, va qualificato come rinvio vero e proprio, col conseguente obbligo di notifica del decreto di citazione, cui equivale, ai sensi dell'art. 420-ter, comma 4, la lettura dell'ordinanza che fissa la nuova udienza per tutti coloro che sono o devono considerarsi presenti. Quando, invece, il rinvio a udienza fissa sia disposto dopo la costituzione delle parti presenti, si tratterà di rinvio “in prosieguo”, che equivale ad una sospensione e non determina l'obbligo di ripetere la notifica del decreto di citazione: in tal caso, l'avviso orale della nuova data, se verbalizzato, rende non necessari ulteriori adempimenti.

Con riguardo al caso in cui, dopo il provvedimento di rinvio, sopravvenga la nomina di un difensore di fiducia, si è evidenziato che l'effetto immediato della nomina di un difensore di fiducia deve essere collegato alle singole situazioni in cui il procedimento si trova ed ai relativi obblighi imposti all'autorità procedente, sicché il diritto di ricevere notifiche ed avvisi indispensabili per esercitare la funzione difensiva è previsto dalle norme processuali e, in mancanza di disposizioni specifiche, è esclusivo onere dell'imputato fornire al proprio difensore di fiducia le informazioni necessarie per lo svolgimento del mandato (Cass. VI, n. 27138/2003: fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto che non vi era alcun obbligo di dare avviso, al difensore di fiducia, dell'udienza dibattimentale cui era stato rinviato il processo, in quanto la nomina era stata effettuata dopo che era stato disposto il primo rinvio ad udienza fissa alla presenza delle parti, all'epoca validamente costituite).

Si è chiarito che il provvedimento di rinvio dell'udienza ad altra data, comunicato all'imputato, non è inficiato da nullità di ordine generale, per violazione delle disposizioni che concernono l'intervento dell'imputato, se non fa menzione, in caso di mutamento del giudice, del nominativo del magistrato persona fisica che subentra nella trattazione del procedimento (Cass. II, n. 5996/2008).

Si è anche ritenuto che l'ordinanza anticipatoria dell'udienza (adottata dal giudice nel corso del dibattimento, ed a rinvio già disposto, per gravi esigenze — anche di ruolo — sopravvenute) non deve essere notificata all'imputato almeno sette giorni prima della nuova udienza, atteso che tale obbligo è previsto dall'art. 465 esclusivamente per l'ipotesi di anticipazione dell'udienza nella fase degli atti preliminari, nella quale non ha ancora avuto modo di esplicarsi pienamente l'attività difensiva attraverso la conoscenza di tutti gli atti del processo, ivi comprese le liste testimoniali (Cass. II, n. 27356/2001).

Sospensione del dibattimento e sospensione dei termini di custodia cautelare

La giurisprudenza è ferma nel ritenere che l'inosservanza del termine ordinatorio fissato dall'art. 477, comma 2, non possa assumere rilievo in relazione alla sospensione dei termini di custodia cautelare ex art. 304, commi 1 e 2, se è indubbio che il giudice è tenuto ad osservare detti termini e che tale dovere assume caratteri più marcati quando la durata del processo si riflette su quella di misure cautelari restrittive della libertà personale, è non di meno certo che il rispetto dei termini in esame non può essere disgiunto dalla valutazione dell'attività che globalmente grava sull'ufficio giudiziario, la cui entità non sempre consente lo svolgimento del procedimento con le cadenze temporali prefigurate dal citato art. 477 (Cass. VI, n. 3520/1994); successivamente, si è osservato che il rinvio dell'udienza deve essere disposto sulla base delle singole evenienze processuali e delle esigenze di ruolo e la determinazione della sua durata attiene al potere ordinatorio del giudice di merito, che si sottrae al sindacato della Corte di cassazione, a nulla rilevando l'eventuale programmazione preventiva delle udienze di rinvio (Cass. I, n. 47789/2008: fattispecie in tema di sospensione dei termini di custodia cautelare, in seguito alla mancata partecipazione del difensore per adesione ad un'astensione collettiva dalle udienze, deliberata dalle organizzazioni rappresentative, con conseguente rinvio dell'udienza).

In particolare:

a ) con riguardo alla disciplina di cui all'art. 304, comma 1, è stato ritenuto legittimo il rinvio del dibattimento ad altra udienza, con la conseguente applicazione della sospensione dei termini custodiali, allorché siano indicate, dal giudice di merito, con argomentazioni esenti da vizi logici o errori di diritto, le ragioni di fatto per le quali non sia possibile né separare la posizione processuale dell'imputato non scarcerato, né assicurare una valida difesa d'ufficio a tutti i coimputati del processo simultaneo a mezzo dell'unico avvocato presente in udienza, in periodo di astensione degli avvocati dalle udienze (Cass. I, n. 2832/1995);

b ) con riguardo alla disciplina di cui all'art. 304, comma 2, le Sezioni unite (Cass. S.U., n. 20/1991, Alleruzzo ed altri) hanno chiarito che la sospensione dei termini della custodia cautelare disposta per la particolare complessità del dibattimento, non è limitata ai soli giorni in cui si tengono le udienze o si delibera la sentenza, ma si estende all'intero periodo, comprensivo, quindi, degli intervalli (i cd. “tempi morti”) tra un'udienza e l'altra; l'art. 304, comma 2, si pone, infatti, « come necessario correttivo della previsione dell'art. 477, nel senso che, ad evitare il venire meno dell'operatività dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, qualora, per esigenze collegate alla complessità del dibattimento, non possano essere rispettati i termini ordinatori, previsti dal citato art. 477 per la durata e la prosecuzione del dibattimento, il legislatore consente la possibilità di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare durante il tempo in cui sono tenute le udienze, compresi, perciò, gli intervalli tra i giorni di udienza, e tra questi e quelli impiegati per la deliberazione della sentenza (cd. “tempi morti”), in quanto i primi siano imposti da indiscusse necessità processuali, connesse alla complessità dei fatti e ad altre oggettive circostanze ostative, che al giudice del dibattimento non è dato potere autonomamente rimuovere » (Cass. VI, n. 3520/1994: nella specie, era stata ritenuta la particolare complessità del dibattimento in relazione alla necessità di espletare una rogatoria internazionale negli Stati Uniti d'America; conforme, Cass. VI, n. 1489/1997, per la quale « la particolare complessità del dibattimento implica, di per sé, la pratica impossibilità di rispettare i termini ordinatori di cui all'art. 477, e ciò non tanto per esigenze estranee al processo, come ad esempio l'indisponibilità di aule, quanto per esigenze ad esso proprie, come quella di assicurare la difesa degli imputati, tenendo conto degli impegni dei loro difensori, o quella di ottenere la presenza di collaboratori di giustizia impegnati anche in altri procedimenti, o quella di garantire l'incolumità di testi e degli stessi collaboratori di giustizia, o quella di rendere possibile la traduzione di detenuti da luoghi lontani dalla sede dell'ufficio giudiziario »).

Il principio è stato successivamente ribadito dalle stesse Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 17/1996, Puglia) ed ancora successivamente (Cass. VI, n. 33518/2009, per la quale « la durata della sospensione dei termini di custodia cautelare non subisce riduzione né per effetto dell'inosservanza del termine massimo di dieci giorni che deve intercorrere tra un'udienza e l'altra in caso di differimento del dibattimento — corrispondentemente alla parte eccedente —, trattandosi di termine ordinatorio, né per la parte in cui viene superato il termine di sessanta giorni per i quali resta, al massimo, sospeso il corso della prescrizione in caso di sospensione del procedimento, trattandosi di istituto del tutto eterogeneo rispetto a quella della durata della custodia cautelare »).

Profili di costituzionalità

L'interpretazione ormai dominante del combinato disposto degli artt. 477 e 304, comma 2, ha suscitato dubbi di costituzionalità, esaminati e risolti dalla giurisprudenza; in particolare:

a ) quanto al presunto contrasto dell'art. 304, comma 2, con l'art. 3 Cost. (lo status detentionis ed il suo permanere resterebbero condizionati dal carico di lavoro dei singoli uffici giudiziari, in quanto, mentre in un piccolo tribunale, i “tempi morti” potrebbero essere contenuti entro termini ragionevoli, nei tribunali maggiormente gravati i rinvii potrebbero avvenire a distanza di mesi), si è obiettato che tali rilievi « fanno leva su contingenti situazioni di fatto che sono estranee alla previsione della norma, il cui contenuto precettivo si sostanzia nella tipizzazione della fattispecie sospensiva ruotante attorno al paradigma della particolare complessità del dibattimento nell'ipotesi di imputazioni concernenti determinate categorie di reato, di talché il diverso carico di lavoro degli uffici giudiziari non può costituire, di per sé, causa di disparità del trattamento cautelare e può rilevare soltanto come uno dei concorrenti fattori incidenti sull'apprezzamento demandato al giudice nella valutazione del carattere particolarmente complesso del dibattimento » (Cass. S.U., n. 17/1996, Puglia, cit.);

b ) quanto al riferimento all'art. 13 Cost., si è osservato che la compatibilità del principio dell'inviolabilità della libertà personale con l'istituto della carcerazione preventiva rappresenta un dato indiscusso del sistema, ed è espressamente prevista dal quarto comma dello stesso art. 13 Cost. (« la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva »), che impone al legislatore di fissare termini cronologici, complessivi e per ciascuna fase, rispondenti a criteri di ragionevolezza, in modo che non sia vanificata la garanzia costituzionale e che la durata non assuma, in concreto, il carattere obiettivo di una pena. D'altro canto, « la normativa contenuta nel secondo comma dell'art. 304 configura in termini di eccezionalità e di tassatività l'istituto della sospensione, in puntuale sintonia col principio, scaturito dall'art. 13 Cost., secondo cui le disposizioni di legge che comportano il prolungamento della durata della limitazione della libertà personale non possono essere applicate per via analogica e devono essere interpretate in modo rigorosamente restrittivo » (Corte cost., n. 298/1994).

Per tale ragione, la giurisprudenza ha, in più occasioni, evidenziato che la legge, per ovvi motivi di necessità, consente la sospensione dei termini di custodia cautelare in presenza di « esigenze inderogabili per l'accertamento della verità (...) non ad libitum del magistrato, ma solo quando sussistano precisi presupposti prefissati per legge » (Cass. S.U., n. 20/1991, Alleruzzo ed altri, cit.), che devono essere accertati, caso per caso, con ordinanza appellabile a norma dell'art. 310 e nel contraddittorio delle parti. E, con riguardo al rilievo per cui la sospensione ex art. 304, comma 2, riguarda gli intervalli tra un'udienza e l'altra, che, nella prassi giudiziaria, sono superiori, usualmente, al termine di dieci giorni prescritto dall'art. 477, si è replicato che non è dubbio il carattere meramente ordinatorio del termine di cui all'art. 477 e l'assenza di sanzioni processuali per l'eventuale inosservanza di esso; dubbi potrebbero, peraltro, persistere soltanto nel caso in cui l'ampiezza dei rinvii (e, di riflesso, la maggiore o minore durata della custodia cautelare) fosse rimessa all'arbitrio del giudice: « ma è vero l'esatto contrario, dal momento che, una volta disposta la sospensione prevista dal secondo comma dell'art. 304, il numero dei rinvii e gli intervalli tra le udienze devono essere rigidamente correlati agli specifici fattori obiettivi che costituiscono la causa giustificativa del provvedimento sospensivo, con la conseguenza che, essendo in discussione il bene della libertà personale dell'imputato, i rinvii devono essere strettamente modulati alle peculiari esigenze processuali che hanno reso inevitabile il superamento dei termini ordinari della custodia cautelare fissati dall'art. 303 » (Cass. S.U., n. 17/1996, Puglia, cit.).

Casistica

Il principio da ultimo illustrato costituisce ratio decidendi di varie sentenze della Corte di cassazione, ferma nell'ammettere la necessità del controllo del corretto uso del potere di sospensione, e conseguentemente nel ritenere che:

- deve essere annullata l'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare allorché il giudice non abbia spiegato i motivi per i quali le poche udienze ancora necessarie per la conclusione del dibattimento non avrebbero potuto essere tenute in giorni più ravvicinati in modo da consentire la pronuncia della sentenza nel rispetto dei termini di cui all'art. 303, senza ricorrere alla sospensione (Cass. I, n. 2720/1994);

- la sospensione negli intervalli tra un'udienza e l'altra non opera nell'ipotesi di rinvii immotivati che superino il limite della ragionevolezza (Cass. I, n. 1596/1996, e Cass. n. 3102/1999).

È stata ritenuta illegittima la sospensione dei termini di custodia cautelare in un processo che, una volta fissata dal g.u.p. la data della prima udienza dibattimentale, aveva subito continui rinvii (soltanto in un caso chiesto dalla difesa), sì da essere realmente incardinato a circa un anno di distanza dalla data indicata dal g.u.p. (Cass. I, n. 834/1996).

Disposizioni riguardanti l’Emergenza COVID-19

In riferimento alla disciplina processuale emanata per fronteggiare l'emergenza da Covid-19, la giurisprudenza ha ritenuto che, in assenza di deroga espressa al regime delle notificazioni degli atti funzionali all'instaurazione del contraddittorio, la notifica alle parti del provvedimento di anticipazione dell'udienza rispetto all'ora prefissata non può ritenersi sostituita dalla pubblicazione dell'avviso sul sito dell'ufficio giudiziario, anche se disposta in attuazione delle linee organizzative adottate dal dirigente dell'ufficio per fronteggiare l'emergenza pandemica (Cass. V, n. 38786/2021).  

Bibliografia

Aprile- Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006; Ariolli, La sospensione dei termini di custodia cautelare nuovamente all'attenzione delle Sezioni Unite: questioni processuali e di legittimità costituzionale alla luce della legge 8 agosto 1995, n. 332, in Cass. pen. 1997, 674; Beltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; Catullo, Il dibattimento, Torino, 2006; D'Andria, Sub art. 477, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi- Lupo, VI, Agg. 2003-2007, (artt. 465-567), a cura di D'Andria- Fidelbo- Gallucci, Milano, 2008, 40;Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della Riforma Cartabia, Sist. pen. 2022, 1/91; Natale, Il giudizio, in AA.VV., La riforma del sistema penale. Commento al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), a cura di Bassi e Parodi, Milano 2022, 197/220; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1996; Riccio, Una querelle chiusa in tema di computo dei termini di custodia cautelare, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1993, 788; Rivello, Il dibattimento nel processo penale, Torino, 1997.

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