Codice di Procedura Penale art. 493 - Richieste di prova 1 .

Sergio Beltrani

Richieste di prova1.

1. Il pubblico ministero, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato nell'ordine indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove, illustrandone esclusivamente l'ammissibilità ai sensi degli articoli 189 e 190, comma 12.

2. È ammessa l'acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall'articolo 468 quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente.

3. Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva [431 2].

4. Il presidente impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione e ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari.

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 40 l. 16 dicembre 1999, n. 479.

[2]  Comma modificato dall'art. 30, comma 1, lett. e),  d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che  ha aggiunto le parole «, illustrandone esclusivamente l'ammissibilità ai sensi degli articoli 189 e 190, comma 1» dopo le parole «l'ammissione delle prove». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. 

Inquadramento

Dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento e la lettura delle imputazioni, le parti (nell'ordine indicato dall'art. 493, comma 1:  p.m., difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato nell'ordine) indicano i fatti che intendono provare e chiedono l'ammissione delle prove. Esse possono, inoltre, concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del p.m., nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva.

L’indicazione dei fatti che le parti intendono provare

La c.d. « legge Carotti » (l. 16 dicembre1999 n. 479), che ha incisivamente modificato la disposizione in commento, ha eliminato la (più ampia) esposizione introduttiva del p.m., prevedendo espressamente, inoltre, che il presidente (o il giudice monocratico) debba impedire non soltanto divagazioni, ripetizioni e interruzioni, ma anche ogni lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti durante le indagini preliminari (art. 493, commi 3 e 4). Tuttavia, l'eventuale esposizione introduttiva abnorme da parte del p.m., in cui si riportino contenuti di atti assunti nell'indagine preliminare o comunque inutilizzabili, non determina alcuna ipotesi di nullità, poiché si tratta di un'attività espositiva di una parte che non vincola in alcun modo il giudice nelle sue decisioni e che, inoltre, non pregiudica i diritti della difesa (Cass. VI, n. 10887/2012).

La dottrina ha osservato che la soluzione attualmente prescelta dal legislatore appare "del tutto condivisibile, e invero quasi necessitata, ove si voglia realmente, in nome del principio di separazione delle diverse fasi processuali, che il giudice del dibattimento sia del tutto ignaro del contenuto degli atti assunti nel corso delle indagini preliminari (ad eccezione di quelli che vanno sin dall'inizio inseriti nel fascicolo per il dibattimento, ai sensi dell'art. 431 c.p.p., e di quelli che confluiranno nel fascicolo del dibattimento a seguito di produzione ex art. 493 c.p.p. e di contestazione ex artt. 500 e 503)" (BELTRANI, 271 s.). Essa appare anche rispettosa del divieto di pubblicazione degli atti del fascicolo del p.m. fino alla pronuncia della sentenza in grado di appello, la cui funzione, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, è proprio quella di evitare una distorsione delle regole dibattimentali, che si avrebbe ove il giudice possa formare il proprio convincimento sulla base di atti che dovrebbero essergli ignoti e che, al contrario gli diverrebbero noti ove al p.m. fosse consentito farvi espresso (e/o pedissequo) riferimento nel corso dell'esposizione introduttiva (Corte cost. , n. 59/1995).

Il Presidente (o il giudice monocratico) ha, inoltre, il potere-dovere di impedire le divagazioni e la lettura o l'esposizione del contenuto di atti compiuti nel corso delle indagini preliminari, oltre che le ripetizioni e le interruzioni (art. 493, comma 4, e per i relativi provvedimenti non è prescritta alcuna forma: essi potranno, pertanto, essere resi senza formalità (ex art. 470), anche oralmente, ma dovranno essere integralmente riportati nel verbale di udienza (ex art. 481, comma  2) (BELTRANI, 272).

Il potere-dovere delle parti di indicare i fatti che costituiranno oggetto di prova può essere soddisfatto, ai sensi dell'art. 482, comma 1, c.p.p. anche attraverso il deposito di note scritte e/o memorie (ex art. 121 c.p.p.): il Presidente (o il giudice monocratico) dovrà, peraltro, vigilare affinché, attraverso tale strumento, non venga eluso il divieto di lettura o esposizione del contenuto degli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari. In difetto di espressa sanzione, non è possibile ritenere che la parte che non indichi i fatti che intende provare, perda il diritto di chiedere l'ammissione di mezzi di prova (BELTRANI, 273).

Con riguardo alle attività integrativa di indagine — che l'art. 430 consente al p.m. di compiere anche dopo l'emissione del decreto che dispone il giudizio —, si è ritenuto che non vi è ragione di escludere dal novero delle fonti probatorie utilizzabili ai fini della deliberazione, ai sensi dell'art. 526 c.p.p., quell'attività integrativa di indagine del P.M. che, pur esperita dopo l'esposizione introduttiva e le richieste di prova ex art. 493, comma 1, abbia comunque superato il vaglio giurisdizionale di ammissibilità della richiesta di prova e sia stata ritualmente inserita nel fascicolo del P.M.: al contenuto di questo le parti possono, infatti, legittimamente attingere in posizione di parità, prima per contestare al dichiarante, ammesso dal giudice a deporre, le dichiarazioni precedentemente rese e, poi, per consentirne eventualmente la lettura e l'utilizzazione ai fini della decisione, nei casi e con i limiti tassativamente previsti dagli artt. 500 e 503 c.p.p. (Cass. I, n. 9958/1997).

Le richieste di prova

All'esito dell'indicazione dei fatti che si intende provare, le parti precisano le prove delle quali chiedono l'ammissione, limitandosi ad illustrarne “esclusivamente l'ammissibilità ai sensi degli artt. 189 e 190, comma 1, c.p.p.”.

Quest'ultimo inciso, inserito dall'art. 30, comma 1, lett. e), d. lgs. n. 150/2022 (c.d. “riforma Cartabia”), in vigore dal 30/12/2022 (in difetto di disposizioni transitorie ad hoc, la predetta modifica deve ritenersi regolata dal principio tempus regit actum, ed è quindi operante per le udienze dibattimentali che si celebreranno a partire dal 30/12/2022) intende favorire “un consapevole e razionale esercizio del sindacato giudiziale previsto dagli artt. 189 e 190 c.p.p., al fine di evitare un ingresso incontrollato di prove nel dibattimento” (così sul punto la Relazione illustrativa della novella).

Secondo la dottrina, «l'impiego, ad opera della nuova disposizione, della locuzione “esclusivamente” – che va, così, a circoscrivere con rigore l'oggetto dell'illustrazione – va letto alla luce della necessità di evitare situazioni di abuso della disciplina: proprio quegli abusi che avevano spinto il legislatore del 1999 ad eliminare l'esposizione introduttiva. In  sostanza, si vuole assicurare che la novella non diventi, di fatto, un'occasione per veicolare al giudice elementi di prova raccolti durante le indagini preliminari. Per questo, forse si sarebbe potuto intervenire (…) su quel moncherino normativo che è il riferimento all'esposizione introduttiva nell'incipit dell'art. 494 c.p.p., sostituendola con l'illustrazione delle richieste di prova; in questa maniera, si sarebbe chiarito inequivocabilmente che non si tratta in alcun modo di un ritorno al passato» (Gialuz 2022, 61). Peraltro, la mancata previsione di una sanzione processuale per la violazione del predetto divieto rende la possibilità che la novella possa incidere concretamente del tutto improbabile, dovendo, pertanto, riconoscersi al dictum della novella un mero «intento pedagogico» (così, efficacemente, Natale2022, 211).

Le relative richieste devono:

a ) provenire da soggetto legittimato, e cioè dalla parte pubblica o da una delle parti private, e non anche da parte del danneggiato dal reato non costituito parte civile, né dagli «enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato, che pure hanno os ad loquendum in dibattimento ex artt. 505 e 511, comma 6;

b ) risultare ammissibili ai sensi degli artt. 468 e 555, comma 1;

c ) essere formulate entro il termine previsto dall'art. 493, salvo il caso che si tratti di prove sopravvenute (v. infra).

Per la disciplina applicabile in caso di mutamento della composizione del giudice, si rinvia sub art. 495, § 13.

In merito alle conseguenze della mancata citazione del teste ammesso per l'udienza, si rinvia sub art. 495, § 8.

L’esame dell’imputato

La giurisprudenza ha precisato che l'esame dell'imputato, diversamente da quello dei testi, è un mezzo di prova che non deve essere preannunciato e che le parti possono anche dedurre in sede di esposizione introduttiva e fino al suo esaurimento a norma dell'art. 493: è rimesso, infatti, al prudente apprezzamento del presidente del collegio (o del giudice monocratico) di inserire le richieste integratrici in ordine alle prove legittime e non precluse in un contesto di ordinato svolgimento della fase di esposizione introduttiva (Cass. I, n. 7321/1995).

Le prove che la parte non ha potuto indicare tempestivamente

L'art. 493 — a differenza dell'art. 468, che stabilisce l'inammissibilità dell'esame dei testimoni, periti o consulenti tecnici non indicati nella lista da depositare almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento — non pone limitazione alcuna alla richiesta di prove ulteriori e non prevede alcuna decadenza in ordine a una deduzione suppostamente tardiva. Ciò trova conferma nel comma 2 dell'art. 493,che prevede un'eccezione a quanto disposto dall'art. 468 in relazione alle prove che la parte dimostri di non aver potuto indicare tempestivamente, e dall'art. 507, che conferisce al giudice facoltà di disporre, anche d'ufficio — e, quindi, alternativamente e di regola, anche a richiesta di parte — nuove prove quando sia terminata l'acquisizione di quelle ritualmente proposte, subordinando l'esercizio di tale facoltà alla sola condizione della necessità assoluta, ossia oggettiva, di esse. In particolare, ai sensi dell'art. 493, comma 2, prima dell'inizio dell'istruzione dibattimentale, è ammessa l'acquisizione di prove non comprese nella lista prevista dall'art. 468 (ma che avrebbero dovuto esservi comprese: testimonianze, perizie, consulenze tecniche o acquisizione di verbali di prova di altro procedimento penale; nessun problema si pone per le prove la cui ammissione non è subordinata al rispetto di un determinato termine per la richiesta), quando la parte che le richiede dimostri di non averle potute indicare tempestivamente: così, ad esempio, è ammissibile, ex art. 493, comma 2, la testimonianza del chiamante in correità che abbia iniziato la sua collaborazione con l'autorità giudiziaria successivamente all'apertura del dibattimento, essendo evidente l'impossibilità di indicazione tempestiva del dichiarante nella lista testi (Cass. II, n. 8169/2015). Tuttavia la situazione d'impossibilità non deve essere assoluta, potendo essa ricorrere anche in presenza di un contesto di difficile esercizio della facoltà riconosciuta alle parti dall'art. 468, senza che, peraltro, rimanga pregiudicata dalla restituzione nel termine la facoltà della controparte di articolare la prova contraria (Cass. VI, n. 1626/1996); rientra nell'esclusiva competenza del giudice di merito la valutazione delle circostanze addotte dalle parti processuali come impeditive (Cass. III, n. 5327/2004).

La disposizione in commento può trovare applicazione nel caso in cui la parte civile non preventivamente individuabile (in ragione della qualità di persona danneggiata e non di persona offesa dal reato), ed alla quale, per tale ragione, non sia stato notificato il decreto di citazione, intenda richiedere l'acquisizione di prove: la costituzione al dibattimento in tempo non più utile per la presentazione della lista testi nei termini previsti dall'art. 468, comma 1, non priva la parte civile del diritto, concesso a tutte le parti, di avvalersi, ove ne ricorrano i presupposti, dell'eccezione prevista dall'art. 493, comma 2, ferma restando la facoltà della controparte di articolare prove contrarie (Cass. III, n. 49644/2015;Cass. IV, n. 44672/2019).

 In materia di testimonianza indiretta, la richiesta di esaminare la persona che ha fornito l'informazione al testimone de relato può essere avanzata dalla parte fino all'inizio della discussione, in applicazione della previsione generale contenuta nell'art. 493, comma 2, senza peraltro che debba essere fornita la dimostrazione di non aver potuto indicare tempestivamente tale prova, dal momento che solo dopo l'escussione del testimone la parte è in grado di conoscere se le circostanze riferite siano frutto di una conoscenza diretta oppure se si tratti di circostanze apprese da altri (Cass. V, n. 43464/2002).

Questioni di costituzionalità

La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 493, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 77 Cost., nella parte in cui, dopo aver stabilito l'acquisibilità, nella fase degli atti introduttivi del dibattimento, di prove non indicate nella lista di cui all'art. 468 c.p.p. quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente, non prevede la facoltà delle altre parti di chiedere un termine per l'esame di dette prove, nemmeno quando queste introducano nuovi temi d'indagine: si è, infatti, osservato che, a norma degli artt. 121 e 141, le parti hanno sempre facoltà di formulare, al giudice, richieste e, a norma dell'art. 477, il giudice può sospendere il dibattimento per ragioni di assoluta necessità, tra le quali rientra sicuramente quella di assicurare a ciascuna parte la possibilità di esaminare adeguatamente le prove indicate tardivamente dalle altre parti, ai fini dell'esercizio del diritto di dedurre prova contraria (Corte cost., n. 203/1992).

Le acquisizioni probatorie concordate

Le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del p.m., nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva (nei limiti in cui tali atti e/o documentazioni non siano già confluiti nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431): detta facoltà opera sia al momento della formazione del fascicolo per il dibattimento (ex art. 431, comma 2), sia al momento della formulazione delle richieste istruttorie (ex artt. 493, comma 3, e 555, comma 4).

L'accordo può avere ad oggetto, senza alcuna esclusione, tutti gli atti, di qualsiasi natura (dichiarazioni, accertamenti tecnici, documenti, annotazioni, relazioni e/o informative di polizia giudiziaria, in deroga solo apparente — quanto a questi ultimi — alla disciplina dettata dall'art. 514, comma 2, il cui divieto, in realtà, non si applica ai casi previsti dall'art. 511 c.p.p. e, quindi, alla lettura consentita degli atti che fanno legittimamente parte — anche previa acquisizione concordata tra le parti — del fascicolo per il dibattimento) acquisiti nel corso delle indagini preliminari, nel fascicolo del p.m. o dei difensori (ove si tratti di verbali di dichiarazioni, non è necessario il previo esame dibattimentale del dichiarante), persino, in difetto di contraria indicazione normativa, il complesso degli atti presenti in uno o più fascicoli di parte (Trib. Fermo 4 febbraio 2003Arch. nuova proc. pen. 2004, 638).

L'accordo deve intercorrere tra tutte le parti, sia quella pubblica, sia quella privata per eccellenza (l'imputato), sia le altre parti private eventuali diverse dall'imputato (parti civili, responsabili civili, persone civilmente obbligate per la pena pecuniaria). La dottrina (Beltrani, 275) ha osservato che l'attribuzione (ineludibile, in considerazione dell'ampia formulazione degli artt. 493, comma 3, e 555, comma 4, c.p.p.) a queste ultime della facoltà di « paralizzare » l'accordo in ipotesi intercorso tra il p.m. e l'imputato appare incomprensibile, considerata l'impossibilità di equiparare tra loro le parti principali e necessarie del processo penale e la parte civile, nonché gli interessi di cui ciascuna è rispettivamente portatrice (per un'affermazione di principio in tal senso, cfr. Corte cost., n. 532/1995).

Per quanto riguarda i limiti soggettivi entro i quali è richiesto l'accordo delle parti, la giurisprudenza, nei procedimenti con più di un imputato, richiede il consenso di tutti gli imputati alla acquisizione, e ciò per evitare il rischio dell'indiscriminata pluralità di giudicati in ordine allo stesso fatto, e della confusione che ne deriverebbe; non sono, quindi, possibili acquisizioni parziali, valide unicamente nei confronti degli imputati consenzienti, ma non anche di quelli dissenzienti, « stante la natura unitaria e complessiva dell'acquisizione degli atti ai fini delle valutazioni degli stessi in ordine alla decisione, come previsto dalla disciplina normativa di cui agli art. 493,  comma 3, e 191 192 c.p.p. » (Cass. III, n. 13242/2008).

Riteniamo, tuttavia, che il principio non operi nel caso in cui l'atto in questione riguardi soltanto la posizione degli imputati consenzienti, non anche di quelli nolenti; in particolare, va fatta salva, in procedimenti per reati connessi, la possibilità di acquisire atti inerenti ad una singola fattispecie di reato con il solo consenso degli imputati cui essa sia contestata, essendo, in tal caso, all'evidenza, privo di rilievo processuale il dissenso espresso dagli altri coimputati cui quel reato non sia contestato, e che, pertanto, risultino privi di un interesse meritevole di tutela alla non acquisizione.

Quanto alla forma di manifestazione del consenso, un orientamento ritiene che esso può formarsi tacitamente mediante una manifestazione di volontà espressa di chi propone l'acquisizione e l'assenza di opposizione della controparte, qualora il complessivo comportamento processuale di quest'ultima sia incompatibile con una volontà contraria (Cass. III, n. 1727/2015, Cass. IV, n. 4635/2020 ;Cass. V, n. 15624/2015; Cass. VI, n. 13752/2021: fattispecie nella quale il difensore, a fronte della richiesta del P.M. di acquisire una relazione di servizio, si era limitato a rimettersi alla volontà del giudice, in tal modo manifestando una sostanziale acquiescenza, senza manifestare in alcun modo il proprio dissenso); altro orientamento , ormai superato, riteneva, al contrario, che « la volontà delle parti di concordare, alla stregua dell'art. 493 comma 3, l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del p.m. deve risultare da una inequivoca manifestazione di consenso, attesa la natura eccezionale della previsione di legge, che costituisce deroga alle regole fondamentali in tema di acquisizione della prova ai fini del giudizio, sicché deve escludersi la possibilità di un'interpretazione estensiva, che omologhi il “non opporsi” al “concordare” » (Cass. V, n. 11210/2012).

Secondo la giurisprudenza, l'incompletezza del verbale di udienza ed il fatto che nulla esso attesti circa l'espletamento di alcune attività non costituisce di per sé prova del mancato svolgimento delle stesse, non essendo impedito il ricorso ad elementi esterni di valutazione, anche di carattere logico, per interpretare oppure integrare quanto abbia formato oggetto di parziale documentazione (Cass. III, n. 3230/2021: fattispecie in cui la S.C. ha confermato la sentenza che aveva affermato l'utilizzabilità di un'annotazione di polizia inserita nel fascicolo del dibattimento e del cui avvenuto deposito il cancelliere aveva dato atto nel verbale in udienza, nonostante la mancata indicazione della richiesta di acquisizione da parte del pubblico ministero e del necessario consenso della difesa, valorizzando l'annotazione presente a margine dell'atto di “depositato in udienza” come espressiva del consenso delle parti alla sua acquisizione).

Quanto alla legittimazione all'espressione del consenso, l'esercizio della suddetta facoltà non è riservato all'imputato personalmente (art. 99, comma 1, c.p.p.) e rientra, pertanto, tra quelle il cui esercizio è attribuito anche al difensore (cui, anche in difetto di espressa procura speciale, ed anche se nominato d'ufficio, non può essere preclusa la facoltà di valutare discrezionalmente l'opportunità o meno dell'acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti che non rientrano nel suo contenuto tipico) (Beltrani, 275 s.).

In tal senso è orientata anche la giurisprudenza, per la quale « il consenso all'acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti in quello del p.m. può essere validamente prestato anche dal difensore dell'imputato, sia esso di fiducia o d'ufficio, in quanto estrinsecazione del generale potere di indicazione dei fatti da provare e delle prove e conseguente al principio generale di rappresentanza dell'imputato da parte del difensore » (Cass. VI, n. 7061/2010 e Cass. V, n. 2679/2019; conforme Cass. IV, n. 35585/2017 che ha ritenuto legittima l'acquisizione delle dichiarazioni rese dall'indagato al GIP in sede di interrogatorio di garanzia sulla base del consenso prestato in udienza solo dai difensori e non espresso personalmente anche dall'imputato).

In caso di disaccordo tra la volontà comunque espressa dal soggetto privato-parte in senso sostanziale e quella del difensore, dovrà necessariamente darsi prevalenza alla prima (Beltrani, 276).

Il consenso prestato per l'acquisizione di atti contenuti nei fascicoli delle parti è irrevocabile (Cass. I, n. 23157/2007).

L'eventuale diniego del consenso non deve essere motivato né risultare comunque giustificato: l'accordo è, infatti, rimesso all'assoluta discrezionalità delle parti (il cui comportamento è insindacabile da parte del giudice e non può legittimare alcun ulteriore effetto — processuale o sostanziale — sfavorevole).

Gli atti acquisiti ex artt. 493, comma 3 (e art. 555, comma 4) al fascicolo del dibattimento non devono essere letti ex art. 511 poiché il preventivo accordo all'acquisizione rende superflua la successiva integrazione del contraddittorio (cui la lettura sarebbe finalizzata); in ogni caso il giudice, ai sensi del nuovo art. 507, comma 1-bis, conserva la facoltà di disporre l'assunzione in dibattimento anche di mezzi di prova relativi agli atti di cui è stata concordata l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento, se ciò risulta assolutamente necessario.

Il consenso all'acquisizione degli atti d'indagine, ai sensi dell'art. 493, comma 3, non costituisce un elemento valorizzabile ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche (art. 62-bis c.p.), trattandosi di una estrinsecazione della difesa tecnica riguardo alla strategia nell'acquisizione della prova in sede dibattimentale che non esplica alcun effetto in relazione alla posizione dell'imputato (Cass. III, n. 19155/2021).

Il regime giuridico degli atti acquisiti su accordo delle parti

Il consenso all'inserimento nel fascicolo del dibattimento dei verbali di sommarie informazioni contenuti in quello del pubblico ministero determina la definitiva acquisizione degli stessi al materiale probatorio dibattimentale (Cass. IV, n. 27717/2014: In applicazione del principio la S.C. ha ritenuto infondata la contestata violazione dell'art. 603 c.p.p. per avere la Corte di appello riformato la sentenza di assoluzione di primo grado utilizzando quale prova a carico dell'imputato il verbale di sommarie informazioni acquisito in primo grado, avente ad oggetto dichiarazioni rese da testimone citato e non comparso nel giudizio di secondo grado).

Il giudice conserva la possibilità di non valutare atti, acquisiti su accordo delle parti, le cui risultanze (vuoi in presenza di macroscopiche illegittimità, pur non rilevate dalle parti, vuoi per qualunque altra causa) ritenga motivatamente inattendibili.

Quanto alla sorte degli atti invalidi o inutilizzabili acquisiti con l'accordo delle parti, la giurisprudenza distingue a seconda che si tratti di atti affetti da « inutilizzabilità patologica », « inutilizzabilità fisiologica » o « inutilizzabilità relativa », limitando la sanzione dell'inutilizzabilità solo a quelli riconducibili alla prima categoria: il consenso all'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento di atti dei fascicoli di parte costituisce, in concreto, negozio processuale che può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere garante della legalità del procedimento probatorio, sicché in esso, non rilevano né la c.d. « inutilizzabilità fisiologica » della prova (cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526 c.p.p., con i correlati divieti di lettura di cui all'art. 514 c.p.p., in quanto, in tal caso, il vizio-sanzione dell'atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo) né le ipotesi di « inutilizzabilità relativa » stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale; al contrario, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria della c.d. « inutilizzabilità patologica », inerente, cioè, agli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito (principio affermato con riguardo all'utilizzazione, nel giudizio abbreviato, di dichiarazioni autoindizianti rese da soggetto sentito in veste di persona informata dei fatti, da Cass. S.U., n. 16/2000). Si è, pertanto, affermato che gli atti contenuti nel fascicolo del P.M. ed acquisiti, sull'accordo delle parti, al fascicolo per il dibattimento, possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, non ostandovi neppure i divieti di lettura di cui all'art. 514 c.p.p., salvo che detti atti siano affetti da inutilizzabilità cosiddetta "patologica" qual'è quella derivante da una loro assunzione contra legem (Cass. VI, n. 48949/2016).

Si è, da ultimo, ribadito, in termini più generali, che la scelta del difensore di acconsentire all’acquisizione nel fascicolo per il dibattimento di atti d’indagine non determina di per sé la sanatoria di eventuali nullità degli stessi (Cass. IV, n. 4896/2020).

Questioni di costituzionalità

È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 493,  comma 3, e 495, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui non prevedono che l'imputato esprima il consenso, personalmente o a mezzo di procura speciale, in vista dell'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del P.M.: « le connotazioni che caratterizzano l'esercizio della difesa tecnica non possono non rilevare con riferimento all'attività di richiesta di prove nel dibattimento, della quale l'accordo tra le parti, previsto dal comma 3 dell'art. 493, è concreta modalità di articolazione » (Corte cost., n. 182/2001).

Casistica

Si è osservato che l’esperimento giudiziale è una prova che deve essere assunta nel contraddittorio delle parti e, pertanto, nella ipotesi in cui sia stato eseguito da una sola parte, i suoi risultati possono essere acquisiti al fascicolo per il dibattimento solo con il consenso delle altre parti (Cass. I, n. 4704/2014, in fattispecie riguardante materiale filmico e grafico formato dalla difesa e dai suoi consulenti sulla base delle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia, con l’intento di dimostrare l’incompatibilità delle loro versioni con lo stato dei luoghi e con dati obiettivi già acquisiti al processo).

E’ inutilizzabile, in difetto del consenso delle parti, la documentazione relativa all’accertamento di polizia scientifica consistente nel raffronto tra le sembianze dell’imputato e le caratteristiche fisionomiche del soggetto ripreso dalle telecamere installate presso gli istituti rapinati, dal momento che non costituisce attività irripetibile (Cass. II, n. 34313/2011).

L'acquisizione, su accordo delle parti, al fascicolo per il dibattimento del verbale delle dichiarazioni rese dalla persona direttamente informata di un fatto, prima dell'esame dibattimentale del teste de relato, non comporta l'obbligo di esame del teste di riferimento sul medesimo fatto, poiché, in tal caso, le informazioni rese da quest'ultimo risultano già comprese nel compendio probatorio utilizzabile per la decisione (Cass. I, n. 13967/2016).

Bibliografia

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