Codice di Procedura Penale art. 507 - Ammissione di nuove prove.Ammissione di nuove prove. 1. Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario [523 6], può disporre anche di ufficio [190, 495, 519 2] l'assunzione di nuovi mezzi di prove1[18 1e, 509; 151 att.] 2 1-bis. Il giudice può disporre a norma del comma 1 anche l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma 33.
[2] La Corte cost., con sentenza 26 marzo 1993, n. 111, nel dichiarare non fondata, nei sensi di cui in motivazione, una questione di legittimità costituzionale del presente articolo, ha escluso che «il potere del giudice di assumere d'ufficio i mezzi di prova» sia «precluso dalla carenza di attività probatorie delle parti e dalle decadenze in cui queste siano incorse», affermando altresì che «dall'art. 507 [...] si desume l'inesistenza di un potere dispositivo delle parti in materia di prova». [3] Comma aggiunto dall'art. 42 l. 16 dicembre 1999, n. 479. InquadramentoCon un evidente temperamento al sistema accusatorio, la norma in esame riconosce al giudice un potere di integrazione probatoria, che tuttavia non sostituisce ma si aggiunge al corrispondente potere assegnato alle parti. Infatti, il giudice può disporre d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova solo dopo che è terminata l'assunzione delle prove richieste dalle parti e solo quando il nuovo mezzo di prova risulta, alla luce del materiale probatorio già introdotto nel processo, assolutamente necessario per decidere. Aspetti generaliPoiché il processo penale ha ad oggetto una decisione che, direttamente o indirettamente, incide sulla libertà personale, ossia un diritto inviolabile (art. 13 Cost.), l'accertamento della res iudicanda sfugge alla libera disponibilità delle parti (Caraceni, 23). Quindi, al fine di fronteggiare eventuali situazioni di incompletezza istruttoria, anche dovute a decadenze, inerzie o insufficienze delle parti, e consentire un completo accertamento del fatto, l'art. 507 attribuisce al giudice poteri istruttori ex officio in deroga al principio dispositivo di cui all'art. 190 (Paulesu, 260). L'incompletezza istruttoria, che può essere superata con ulteriori acquisizioni, non deve essere confusa con l'insufficienza probatoria che residua all'esito di una istruttoria completa e che impone al giudice di assolvere l'imputato ai sensi dell'art. 530, comma 2. Come si desume dall'inciso « anche d'ufficio » e dall'art. 151 disp. att., l'assunzione officiosa di nuove prove può avvenire anche su sollecitazione delle parti. Tuttavia, la parte non ha un diritto all'assunzione della nuova prova, bensì una mera facoltà di istanza, che lascia al giudice il potere discrezionale di disporre o meno l'integrazione probatoria richiesta (« può disporre », recita la norma), dovendo però motivare in ordine al mancato esercizio di tale potere (Cass. III, n. 50761/2016; Cass. III, n. 10488/2016;Cass. II, n. 51740/2013; v. tuttavia Cass. IV, n. 7948/2013, che ammette la possibilità di una motivazione implicita, qualora dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie possa implicitamente evincersi la superfluità di un'eventuale integrazione istruttoria; nello stesso senso si veda Cass. I, n. 2156 /2020). Così, se una parte rinuncia all'esame di un proprio testimone, le altre parti hanno diritto a procedervi solo se questo era inserito nella loro lista testimoniale, valendo altrimenti la loro richiesta come mera sollecitazione all'esercizio dei poteri officiosi del giudice ex art. 507 (Cass. I, n. 13338/2015), potendo essere disposta d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova anche con riferimento a quelle prove alla cui ammissione le parti hanno rinunciato (Cass. II, n. 30662/2019). Inoltre, la mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo di impugnazione per cassazione, può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, comma 2, sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Cass. II, n. 9763/2013; Cass. V, n. 4672/2016). In tal senso è stato recentemente statuito che il giudice non può dichiarare l'estinzione del reato per maturazione del termine di prescrizione senza acquisire di ufficio al fascicolo del dibattimento, qualora ivi non già contenuti, i verbali integrali delle udienze celebrate in altre fasi e gradi, in quanto tale attività istruttoria integrativa è necessaria al fine di accertare eventuali cause di sospensione del termine di prescrizione connesse ex art. 159, comma 1, n. 3, c.p. alla sospensione del procedimento o del processo (Cass. III, n. 43916/2021). Tuttavia, va detto che si registrano numerose decisioni che ritengono il giudice obbligato ad acquisire, anche d'ufficio, i mezzi di prova indispensabili per la decisione, escludendosi che sia rimessa alla sua discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti ed il proscioglimento dell'imputato. Dunque, la discrezionalità del giudice concerne la valutazione in ordine alla necessità della prova integrativa, ma una volta ritenuta necessaria la prova deve essere assunta. Da ciò deriva che il mancato esercizio di detti poteri di integrazione probatoria richiede una motivazione specifica, la cui omissione, censurabile in sede di legittimità, determina la nullità della sentenza per violazione di legge (Cass. III, n. 10488/2016). In tal senso è stato recentemente statuito che il giudice non può dichiarare l'estinzione del reato per maturazione del termine di prescrizione senza acquisire di ufficio al fascicolo del dibattimento, qualora ivi non già contenuti, i verbali integrali delle udienze celebrate in altre fasi e gradi, in quanto tale attività istruttoria integrativa è necessaria al fine di accertare eventuali cause di sospensione del termine di prescrizione connesse ex art. 159, comma 1, n. 3, c.p. alla sospensione del procedimento o del processo (Cass. III, n. 43916/2021). Tale principio opera anche nei procedimenti dinanzi al giudice di pace (Cass. IV, n. 32620/2017; Cass. V, n. 26085/2005). Infatti, l'art. 32 d.lgs. n. 274/2000 richiama implicitamente l'art. 507, riconoscendo al giudice di pace il potere di disporre d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova, e ciò anche con riferimento a prove che la parte pubblica avrebbe potuto richiedere e non ha richiesto (Cass. V, n. 5327/2014). Occorre chiarire che la disciplina dettata per la testimonianza de relato dall'art. 195 è speciale rispetto alla regolamentazione generale dei poteri istruttori ufficiosi di cui all'art. 507. Quindi, il giudice può sempre disporre d'ufficio l'esame delle persone alle quali il testimone si è riferito per la conoscenza dei fatti, anche quando l'adempimento istruttorio non sia assolutamente necessario o non sia ancora conclusa l'acquisizione delle prove (Cass. III, n. 43306/2014). Va aggiunto che l'inutilizzabilità della dichiarazione de relato resa dal testimone deriva esclusivamente dall'inosservanza della disposizione del comma 1 dell'art.195,allorché il giudice, su richiesta della parte, non abbia disposto l'esame della fonte diretta, ma non anche, in assenza di tale richiesta, dal mancato esercizio, da parte del giudice, del potere d'ufficio conferitogli dall'art. 507 e richiamato dall'art.195, comma 2 (Cass. III, n. 6212/2017 ). Presupposti applicativiPer ammettere d'ufficio nuove prove occorrono due condizioni: ( a ) che sia terminata l'acquisizione delle prove richieste dalle parti, nonché la lettura degli atti consentiti; ( b ) che la nuova prova risulti assolutamente necessaria per decidere. Ci si è chiesti se l'iniziativa officiosa del giudice sia soltanto integrativa oppure possa essere anche sostitutiva di quella delle parti. Detto diversamente, ai fini dell'attivazione dei poteri officiosi del giudice, è necessaria un'attività probatoria delle parti? Secondo un orientamento minoritario, poiché il potere del giudice di integrare, anche d'ufficio, l'assunzione di nuovi mezzi di prova presuppone che, « terminata l'acquisizione delle prove », emerga l'assoluta necessità di assumere nuovi mezzi di prova, l'iniziativa di integrazione probatoria del giudice va ricollegata alla sussistenza di un «principio» di supporto probatorio suscettibile dell'intervento integrativo, di talché va esclusa dall'ambito di operatività della disciplina di cui all'art. 507 l'ipotesi in cui vi sia assoluta mancanza di mezzi probatori di parte (Cass. V, n. 15631/2004). Secondo l'orientamento assolutamente maggioritario, che ha trovato l'avvallo di due pronunce delle sezioni unite, il potere di assunzione di un mezzo di prova ex officio può essere esercitato anche in assenza di attività probatoria delle parti, in quanto la locuzione « terminata l'acquisizione delle prove » indica soltanto il momento a seguito del quale il giudice può disporre l'assunzione di nuove prove (Cass. I, n. 29490/2013; Cass. S.U., n. 11227/1992; Cass. S.U., n. 41281/2006) Tale orientamento ha ricevuto il conforto anche della Consulta. Infatti, secondo la giurisprudenza costituzionale, porre limitazioni ai poteri del giudice ex art. 507 sarebbe in contrasto con «la ricerca della verità», considerato il fine primario ed ineludibile del processo penale. Inoltre, « sarebbe contraddittorio, da un lato, garantire l'effettiva obbligatorietà dell'azione penale contro le negligenze o le deliberate inerzie del pubblico ministero conferendo al giudice per le indagini preliminari il potere di disporre che costui formuli l'imputazione; e dall'altro, negare al giudice dibattimentale il potere di supplire ad analoghe condotte della parte pubblica. L'attribuzione di tale potere ha, anzi, un fondamento maggiore, perché i principi di legalità ed uguaglianza esigono che il giudice sia messo in grado di porre rimedio anche alle negligenze ed inerzie del difensore » (Corte cost., n. 111/1993). In sostanza, ad avviso dei giudici delle leggi, il potere istruttorio conferito al giudice dall'art. 507 è un potere suppletivo, ma non certo eccezionale, e quindi come tale da escludersi in caso di decadenza o inattività delle parti. Infatti, il potere-dovere d'integrazione d'ufficio delle prove serve ad evitare che carenze o insufficienze, per qualsiasi ragione, dell'iniziativa delle parti impediscano al dibattimento di assolvere la sua funzione primaria di assicurare la piena conoscenza da parte del giudice dei fatti oggetto del processo, onde consentirgli di pervenire ad una giusta decisione. In dottrina vi sono stati autori che hanno criticato l'approccio della Corte costituzionale e delle sezioni unite, osservando che l'art. 507, così interpretato, da un lato, rischia di compromette l'equilibrio fra iniziativa delle parti e poteri del giudice, determinando l'elusione del principio dispositivo ex art. 190, e, dall'altro, rischia di compromettere il principio di terzietà del giudice dibattimentale, perché lo costringe a muovere da una propria ipotesi ricostruttiva del fatto, mancando una piattaforma cognitiva che orienti la sua attività officiosa (Caraceni, 151). L'orientamento maggioritario è stato confermato dalle sezioni unite e dalla Corte costituzionale anche dopo la riforma dell'art. 111 Cost., operata con la legge sul giusto processo (Cass. S.U., n. 41281/2006; Corte cost., n. 73/2010). Tuttavia, la Suprema Corte è andata oltre, chiarendo che il giudice può esercitare il potere ex art. 507 « nell'ambito delle prospettazioni delle parti e non per supportare probatoriamente una diversa ricostruzione che lo stesso possa ipotizzare ». La formulazione di un'ipotesi autonoma e alternativa da parte del giudice costituisce, infatti, violazione sia delle corrette regole di valutazione della prova che del basilare principio di terzietà della giurisdizione (Cass. S.U., n. 41281/2006). Inoltre, è stato precisato che il potere suppletivo può essere esercitato anche se si tratta di prove in ordine alle quali le parti sono decadute o che avrebbero potuto richiedere ma non hanno richiesto oppure prove non tempestivamente indicate nella lista testimoniale (Cass. S.U., n. 41281/2006). Si è quindi ritenuto che l'inammissibilità della lista proposta dalla parte civile non impedisca al giudice di avvalersi della facoltà conferita dall'art. 507, qualora ritenga assolutamente necessario sentire un teste compreso in quella lista comunque acquisita agli atti (Cass. V, n. 5770/1998). Ancora, il potere del giudice di disporre anche d'ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova deve essere esercitato, a pena di nullità della sentenza, anche con riferimento ai testimoni del pubblico ministero, preventivamente ammessi ma non citati per l'inerzia della parte (Cass. V, n. 23436/2001). L'art. 507 consente al giudice di ammettere d'ufficio anche le prove contrarie richieste dalla parte che non ha depositato nei termini la lista testimoniale (Cass. VI, n. 17222/2010). Previo espletamento dell'istruzione dibattimentaleLa collocazione dell'intervento giudiziale al termine dell'istruzione dibattimentale si giustifica col fatto che il giudice è in grado di valutare la necessità di introdurre d'ufficio nuove prove solo dopo aver acquisito una compiuta conoscenza dei fatti oggetto di accertamento. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che l'assunzione di mezzi di prova ai sensi dell'art. 507 in un momento diverso da quello indicato dalla norma (« terminata l'acquisizione delle prove ») costituisce una mera irregolarità, non essendo la stessa affetta da inutilizzabilità o da nullità di ordine generale ricollegabile all'art. 178, lett. c), in quanto l'assunzione di un mezzo di prova, «anticipata» rispetto al termine di acquisizione delle prove, non può incidere sull'assistenza, sulla rappresentanza o sull'intervento dell'imputato (Cass. III, n. 45931/2014). Lo stesso vale per le assunzioni “posticipate”. Infatti, l'espressione « terminata l'acquisizione delle prove » delimita esclusivamente il momento iniziale in cui possono attivarsi i poteri d'ufficio del giudice, con la conseguenza che nessuna nullità deriva dalla circostanza che il giudice abbia disposto l'integrazione probatoria dopo essersi ritirato in camera di consiglio e non immediatamente dopo la conclusione della fase istruttoria (Cass. III, n. 37077/2014). Assoluta necessità della provaPresupposto indefettibile per l'attivazione da parte del giudice del potere di integrazione probatoria è l'assoluta necessità della prova da assumere. Tale requisito ricorre quando il mezzo di prova risulta da assumere emerge già dal thema probandum individuato dalle parti e la sua assunzione appare decisiva per definire il processo rispetto ad un quadro probatorio che rende impossibile pervenire ad una decisione. Perciò, al giudice non è dato valersi dell'art. 507 solo per verificare una propria ipotesi ricostruttiva sulla base di mezzi di prova non dotati di sicura concludenza (Cass. S.U. , n. 11227/1992; Cass. S.U., n. 41281/2006) oppure per integrare ulteriormente un quadro probatorio già idoneo a sostenere la decisione. In dottrina vedi Paulesu, 267. Il giudice dovrebbe fornire adeguata motivazione in ordine alla assoluta necessità di assumere d'ufficio una prova nuova. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che l'esercizio del potere previsto dall'art. 507 senza alcuna motivazione sull'assoluta necessità dell'acquisizione non determina alcuna inutilizzabilità o invalidità, non prevedendo l'ordinamento processuale specifiche sanzioni (Cass. III, n. 16673/2017, che ha ritenuto legittima l'ordinanza ex art. 507 sorretta dalla formula "stante la necessità ai fini del decidere”). Concetto di prova «nuova»Ai fini di cui all'art. 507, per prova nuova non deve intendersi solo quella sopravvenuta o scoperta successivamente (rispetto all'allegazione di parte a norma dell'art. 493), bensì anche quella già esistente e non precedentemente acquisita, perché altrimenti l'iniziativa riconosciuta al giudice risulterebbe nella stragrande maggioranza dei casi preclusa (Cass. S.U., n. 11227/1992; Cass. S.U., n. 41281/2006; Cass. I, n. 3979/2013; Cass. IV, n. 22033/2018, con riferimento alle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e da cui sono decadute per omesso tempestivo deposito della lista testi); Cass. II, n. 46147/2019, che ha chiarito come l'assegnazione al giudice di tale potere non sia in contrasto con le indicazioni della Costituzione e della Corte EDU, che si limitano a garantire il contraddittorio nella formazione della prova, ma non inibiscono il controllo sulla completezza del compendio probatorio, necessario correlato della indisponibilità dell'azione penale, conseguente al riconoscimento della natura ultraindividuale degli interessi tutelati dalla giurisdizione penale). Si ha prova nuova non solo quando vengono assunti mezzi di prova non introdotti in dibattimento, ma anche quando, a fini di completezza istruttoria, vengono riesaminate, su circostanze diverse, fonti di prova già acquisite (Cass. VI, n. 10561/1998). È poi irrilevante che la nuova prova, seppur conosciuta, non sia stata tempestivamente dedotta dalle parti, ovvero in precedenza dichiarata inammissibile, ininfluente o sovrabbondante. Invero, sempreché ne ricorra la necessità ai fini dell'accertamento della verità — ovviamente processuale e non assoluta — nulla vieta che il giudice possa fare propria un'iniziativa mancante, ovvero rivedere un proprio giudizio precedentemente espresso e in un momento successivo superato dall'evoluzione dell'istruttoria dibattimentale (Cass. I, n. 7477/1994). La giurisprudenza di legittimità ha escluso che ricorra il requisito della novità, nonché quello dell'assoluta necessità, nel caso in cui l'imputato, che abbia rifiutato di sottoporsi all'esame e abbia poi rilasciato dichiarazioni spontanee acquisite in sede di indagine ai sensi dell'art. 513, chieda poi nuovamente di essere esaminato. In tale circostanza, il giudice non può disporre d'ufficio l'esame ai sensi dell'art. 507 (Cass. II, n. 54274/2016, riferita ad un caso in cui il giudice aveva proceduto ad nuovo esame di un testimone già sentito, ma su circostanze diverse da quelle già oggetto di prova;Cass. I, n. 30286/2002). Mezzi di prova assumibiliLa formulazione letterale dell'art. 507 dovrebbe indurre ad escludere i mezzi di ricerca della prova dall'ambito dei mezzi istruttori che il giudice può ammettere d'ufficio. Tuttavia, la rubrica della norma e un raffronto con l'art. 526, comma 3, (che si riferisce genericamente all'assunzione di nuove prove) fanno ritenere che l'espressione mezzi di prova ricomprenda anche i mezzi di ricerca della prova. In tal senso è orientata la giurisprudenza, che afferma che il potere del giudice di assumere nuove prove all'esito dell'istruttoria dibattimentale non incontra limitazioni quanto al relativo mezzo di ricerca, e deve esercitarsi in conformità alle regole che specificamente governano l'attività istruttoria presa in considerazione. Si è quindi ritenuto legittimo il provvedimento con il quale il giudice, d'ufficio, disponga perquisizioni domiciliari e sequestri in danno dell'imputato, in assenza di richiesta del pubblico ministero e senza attivazione preventiva del contraddittorio tra le parti (Cass. IV, n. 44481/2004). È stata ritenuta legittima anche l'acquisizione ex art. 507 delle intercettazioni autorizzate ed eseguite in procedimenti diversi e fatte oggetto di trascrizione peritale nel procedimento di importazione, ancorché non depositate e trasmesse, a norma degli artt. 415, comma 2, e 416, comma 2 (Cass. I, n. 22053/2013). Inoltre, è stata ammessa l'acquisizione d'ufficio dei tabulati relativi ai dati esterni al traffico di un'utenza telefonica (Cass. I, n. 23961/2003). Il potere istruttorio del giudice ex art. 507 non può essere esercitato per recuperare al fascicolo del dibattimento atti affetti da inutilizzabilità patologica (Cass. I, n. 27879/2014, con riguardo ad un atto ontologicamente irripetibile — una conversazione telefonica intercettata — dichiarato inutilizzabile a causa del suo omesso deposito nei termini di cui agli artt. 415-bis e 416) Tuttavia, si registrano anche decisioni di segno opposto che ritengono i suddetti atti acquisibili e utilizzabili dal giudice del dibattimento ex art. 507, attesa la natura sostanziale della predetta norma che è diretta alla ricerca della verità, indipendentemente dalle vicende processuali che determinano la decadenza della parte dal diritto alla prova (Cass. IV, n. 27370/2005). Si è, invece, sostenuto che il potere del giudice di disporre anche di ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova non incontri limiti nel principio della discovery, che opera esclusivamente nei rapporti fra le parti (Cass. II, n. 7802/2020; Cass. II, n. 13938/2014, relativa ad una fattispecie in cui il tribunale aveva disposto l'acquisizione ex art. 507, quali atti irripetibili, di fotografie formate da un teste di polizia giudiziaria nell'imminenza dell'udienza in cui doveva essere esaminato, e, quindi non presenti nel fascicolo del pubblico ministero, attraverso la stampa di immagini estrapolate dal filmato che aveva documentato un servizio di osservazione, pedinamento e controllo effettuato durante le indagini). Diritto delle parti alla controprovaCome chiarito dalle Sezioni Unite e dalla Corte costituzionale, a seguito dell'ammissione di una prova nuova ex art. 507 le parti hanno diritto a richiedere la prova contraria ex art. 495, comma 2, come si desume anche dall'art. 151, comma 2, disp. att., laddove prevede che, nell'assunzione delle nuove prove, il giudice debba stabilire la parte che dovrà condurre l'esame diretto del testimone all'esito dell'escussione d'ufficio. Secondo parte della dottrina, il diritto de quo deve essere riconosciuto non soltanto a favore dell'imputato e del pubblico ministero, ma anche a favore di tutte le parti (Ubertis, 369). In tal caso, il diritto alla prova contraria non soggiace al rigido presupposto dell'assoluta necessità richiesto dall'art. 507, trovando ampio riconoscimento nell'art. 190. Quindi, il diritto alla prova contraria può essere denegato dal giudice, con adeguata motivazione, solo quando le prove richieste sono vietate dalla legge o sono manifestamente superflue o irrilevanti (Cass. VI, n. 48645/2014; Cass. II, n. 54274/2016). Occorre precisare che, ai fini del vaglio di ammissibilità della prova contraria sotto il profilo della non manifesta superfluità o irrilevanza ai sensi dell'art. 190, c.p.p., la parte istante ha l'onere di indicare specificamente i temi sui quali verte la controprova richiesta, atteso che quest'ultima, a differenza di quella articolata su temi indicati dalle parti, deve riferirsi ai fatti sui quali il giudice ha ritenuto indispensabile il supplemento istruttorio ai fini della decisione (Cass. V, n. 28597/2017). In dottrina vedi Rafaraci, 207. Modalità di assunzioneL'art. 151 disp. att. disciplina le modalità di assunzione della prova distinguendo a seconda che si tratti di prova richiesta dalla parte o introdotto d'ufficio. Nel primo caso, si segue l'ordine di escussione previsto dall'art. 496 (inizia il pubblico ministero e proseguono le parti secondo la scansione di cui all'art. 493). Nel secondo caso, l'esame è condotto dal presidente, il quale, ultimata l'escussione, determina la parte che dovrà effettuare l'esame diretto. In dottrina si ritiene che quello del presidente non sia un vero e proprio esame ma soltanto una escussione “esplorativa” finalizzata a capire se il risultato probatorio sia a carico o a discarico dell'imputato e di conseguenza individua la parte che deve condurre l'esame diretto (Paulesu, 272). Secondo la giurisprudenza, invece, l'art. 507 non impone alcun ordine da seguire nell'assunzione delle prove in esso previste (Cass. VI, n. 9443/1993). Assunzione di mezzi di prova relativi ad atti acquisiti con il consenso delle partiIl comma 1-bis dell'art. 507 consente al giudice di disporre l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento su consenso delle parti. In questo caso l'integrazione probatoria non è finalizzata a colmare eventuali lacune probatorie, ma a bilanciare il deficit di affidabilità di una prova che non si è formata nel contraddittorio fra le parti dinanzi al giudice che la deve valutare. Poiché la disposizione in esame richiama il primo comma, l'assunzione del mezzo di prova deve risultare assolutamente necessaria per decidere all'esito dell'acquisizione delle prove richieste dalle parti. Il potere di integrazione in esame può essere esercitato d'ufficio dal giudice, ma nulla vieta che siano le parti a sollecitarne l'intervento una volta resesi conto della necessità di assumere la prova alla quale hanno sostituito l'atto di indagine. Si ritiene che anche nel caso di specie spetti alla parte il diritto alla controprova, non potendosi intendere l'accordo delle parti sull'acquisizione dell'atto di indagine come una rinuncia implicita alla prova contraria (Rafaraci, 208). Iniziativa probatoria d'ufficio del giudice di appelloIl giudice di appello che in sede di rinvio proceda alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale ha il potere di disporre d'ufficio, ai sensi dell'art. 507, l'ammissione di nuove prove, atteso che l'art. 627, comma 2, non costituisce norma derogatoria rispetto a quella ordinaria di cui all'art. 603, comma 3, riguardante la rinnovazione ufficiosa dell'istruttoria dibattimentale propria del giudizio di appello (Cass. V, n. 15042 /2011). BibliografiaRafaraci, La prova contraria, Torino, 2004; Ubertis, I poteri del pretore ex artt. 506 e 507 c.p.p. e il principio di acquisizione processuale, in Cass. pen. 1996, 369. V. sub Artt. 496-506. |