Codice di Procedura Penale art. 511 - Letture consentite.Letture consentite. 1. Il giudice, anche di ufficio [190], dispone che sia data lettura, integrale o parziale, degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento [431, 501, 503 5-6, 515]. 2. La lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese [499-503], a meno che l'esame non abbia luogo. 3. La lettura della relazione peritale [227] è disposta solo dopo l'esame del perito [501, 508]. 4. La lettura dei verbali delle dichiarazioni orali di querela o di istanza [431 1a] è consentita ai soli fini dell'accertamento della esistenza della condizione di procedibilità. 5. In luogo della lettura, il giudice, anche di ufficio, può indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della decisione [526]. L'indicazione degli atti equivale alla loro lettura. Il giudice dispone tuttavia la lettura, integrale o parziale, quando si tratta di verbali di dichiarazioni e una parte ne fa richiesta. Se si tratta di altri atti, il giudice è vincolato alla richiesta di lettura solo nel caso di un serio disaccordo sul contenuto di essi. 6. La facoltà di chiedere la lettura o l'indicazione degli atti, prevista dai commi 1 e 5, è attribuita anche agli enti e alle associazioni intervenuti a norma dell'articolo 93 [505]. InquadramentoL'articolo in esame disciplina il meccanismo acquisitivo delle letture (reali o fittizie), attraverso il quale, derogando al principio di oralità ed immediatezza, gli atti assunti nel corso delle indagini preliminari transitano nel fascicolo per il dibattimento divenendo fonte di conoscenza per il giudice. Aspetti generaliPoiché la norma in commento contiene una disciplina derogatoria dei principi di oralità ed immediatezza, che regolano l'acquisizione della prova nel corso del dibattimento, essa ha carattere tassativo e non può trovare applicazione in via analogica ad ipotesi non espressamente contemplate. Sul piano costituzionale, la possibilità di derogare al contraddittorio sulla prova è legata al consenso dell'imputato, all'impossibilità oggettiva di procurare il contraddittorio ed alla provata condotta illecita volta ad impedirlo (art. 111, comma 5, Cost.). Le disposizioni in materia di letture si collocano dunque all'interno di queste eccezioni, che consentono l'inserimento di atti investigativi nel fascicolo processuale con conseguente ingresso nell'orizzonte gnoseologico del giudicante. Gli adempimenti di cui alla norma in commento si riferiscono agli atti originariamente presenti nel fascicolo dibattimentale, ossia quelli che, affetti da irripetibilità originaria, sono ivi transitati ai sensi dell'art. 431, lett. b), c), d) e), per i quali si vuole assicurare la possibilità di un contraddittorio orale, sia pure minimale (Bazzani, 773). Il quadro delle letture consentite, però, non si esaurisce con quelle previste dall'art. 511, in quanto il codice prevede altre forme di recupero dell'attività investigativa, come la lettura-contestazione (artt. 500 e 503, comma 3) e la lettura-acquisizione a richiesta di parte (artt. 512 e 513). La lettura è un procedimento acquisitivo necessario, in quanto la mera presenza dell'atto nel fascicolo dibattimentale non è sufficiente a legittimarne l'uso ai fini decisori (Rivello, 406). L'art. 511 riserva alla sola istruzione dibattimentale la lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento. Ne consegue che l'autorità giudiziaria che procede all'interrogatorio dell'indagato nel corso delle indagini preliminari non è obbligata a dare lettura integrale di tutte le fonti di prova (Cass. III, n. 5738/2014). La lettura degli atti contenuti nel fascicolo dibattimentale può essere integrale o parziale, ossia può investire l'atto nella sua interezza oppure concernere solo una parte, in quanto ritenuta l'unica rilevante ai fini decisori. In caso di atti complessi, il cui contenuto sia solo in parte corrispondente alle caratteristiche richieste affinché l'atto sia collocato all'interno del fascicolo processuale, si ritiene che l'acquisizione debba essere parziale, ossia limitata a tale contenuto (Buzzelli, 716). Il principio ha trovato applicazione soprattutto in tema di verbali di sequestro contenenti dichiarazioni rilasciate agli operatori dalle persone presenti sul luogo. Si è, infatti, affermato che il verbale di sequestro è un atto irripetibile che deve essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, in quanto contiene la descrizione della situazione di fatto esistente in un preciso momento e suscettibile di successiva modificazione, con la conseguenza che lo stesso, a norma dell'art. 511, è utilizzabile come prova mediante lettura sia con riguardo all'individuazione dello stato dei luoghi, sia in riferimento alle dichiarazioni rese, ferma restando la necessità, relativamente a queste ultime, di procedere preventivamente all'esame della persona che le ha rese (Cass. VI, n. 36210 /2013). Il verbale di sequestro, però, non è atto irripetibile nella parte in cui documenta l'attività investigativa antecedente alla materiale apprensione, pur se richiamata e riassunta nella parte giustificativa del verbale medesimo (Cass. V, n. 15800/2019). Stesse considerazioni valgono per i verbali di arresto in flagranza di reato (Cass. V, n. 9438/1996). Le relazioni di servizio della polizia giudiziaria, qualora documentino semplicemente le circostanze in cui è stata raccolta la notizia di reato, non possono considerarsi atti irripetibili e come tali non possono essere inserite nel fascicolo per il dibattimento, né di esse può essere data lettura (Cass. S.U., n. 41281/2006). Tuttavia, possono essere acquisite al fascicolo per il dibattimento come atti irripetibili nel caso in cui, per circostanze obiettive, non esiste la possibilità di rinnovare l'atto attraverso l'audizione del verbalizzante con la garanzia del contraddittorio (Cass. I, n. 10278/2006). Viceversa, il verbale dell'ispettore del lavoro non costituisce mera informativa di reato in quanto contiene l'accertamento di una situazione di fatto suscettibile di modifica nel tempo, per effetto di comportamenti umani o di eventi naturali. Per esso, quindi, valgono le regole del combinato disposto degli artt. 431 e 511 (Cass. III, n. 7083/1994). Gli atti qualificati come accertamenti tecnici non ripetibili devono essere inseriti nel fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 431 e sono utilizzabili ai sensi dell'art. 511, comma 1 solo quando la persona sottoposta alle indagini non si sia avvalsa della possibilità di richiedere l'incidente probatorio (Cass. VI, n. 6031/1996). Per quanto riguarda, in particolare, gli accertamenti autoptici e chimico-tossicologici eseguiti su un cadavere, la giurisprudenza ritiene che non si applica la disposizione prevista dall'art. 511, in quanto si tratta di atti irripetibili, inseriti nel fascicolo per il dibattimento, e dei quali il giudice può disporre la lettura indipendentemente dall'esame del consulente (Cass. IV, n. 27954/2013, relativa ad atti compiuti all'estero trasmessi al giudice italiano da autorità giudiziaria straniera). Peculiare è il regime degli accertamenti sul DNA, espletati ai sensi dell'art. 360 c.p.p., che possono essere utilizzati in dibattimento attraverso la lettura della relazione nella sola parte relativa alle operazioni di estrazione del DNA, se considerate in relazione al caso concreto irripetibili, mentre necessitano dell'escussione del consulente per quanto riguarda, invece, la decodificazione dell'impronta genetica e la comparazione tra tale impronta ed il profilo in precedenza acquisito, trattandosi in questo caso di attività ripetibili (Cass. II, n. 41414/2019). Procedimento acquisitivoL'iniziativa della lettura spetta alle parti processuali (con esclusione, quindi, della persona offesa che non si sia costituita parte civile) e agli enti o associazioni rappresentativi degli interessi lesi dal reato che siano intervenuti nel processo ai sensi dell'art. 93. Tuttavia, poiché gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento sono noti al giudicante, il legislatore attribuisce a quest'ultimo la possibilità di attivarsi d'ufficio senza attendere la sollecitazione dei contendenti. La lettura viene eseguita dal giudice personalmente oppure tramite un ausiliario (Buzzelli, 168) e consiste nel leggere pubblicamente il testo del verbale da acquisire (lettura integrale). Tuttavia, per esigenze di economia ed efficienza processuale, il giudice può scegliere di indicare l'atto che intende usare per la decisione (lettura fittizia). Tale indicazione costituisce un surrogato della lettura (Buzzelli, 156) di cui produce tutti gli effetti. Poiché l'indicazione deve essere specifica, si è escluso che il giudice possa dare per letti interi blocchi di atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento (Buzzelli, 157). Inoltre, si ritiene che l'indicazione non possa avere ad oggetto atti diversi da quelli presenti nel dossier processuale, che devono rimanere sconosciuti al giudice finché una parte non ne richieda la lettura effettiva (Buzzelli, 157). Il comma 5 dell'art. 511 contiene una deroga alla possibilità di letture fittizie, in quanto prevede che la lettura debba avere luogo quando: (a) si tratta di verbali di dichiarazioni e vi è la richiesta di una parte; (b) si tratta di verbali di altra natura e le parti manifestano un serio disaccordo sul relativo contenuto (e non sull'interpretazione dell'atto o sulla sua utilizzabilità). Le letture possono collocarsi in ogni momento dell'istruzione dibattimentale, anche all'esordio, come prima attività probatoria. Lettura di dichiarazioniIl capoverso dell'art. 511 fissa la regola secondo la quale la lettura di un verbale contenente dichiarazioni deve seguire l'esame del dichiarante, salvo che l'esame non abbia luogo. Da ciò si ricava che l'espressione «verbali di dichiarazioni» si riferisce esclusivamente alle dichiarazioni rese al di fuori del dibattimento celebratosi, essendo illogico e contrario ad ogni principio di economia processuale che all'esito del dibattimento il giudice, prima di dare lettura dei verbali delle deposizioni raccolte in udienza, riesamini i deponenti (Trib. Napoli 2 dicembre 1996). Il riferimento è ai verbali delle prove assunte in incidente probatorio o all'estero tramite rogatoria internazionale (Corbetta, Art. 511, in Giarda-Spangher, 6509). Trattandosi di atti di natura probatoria che potrebbero essere ripetibili in dibattimento, è possibile che ci si trovi contemporaneamente ad esaminare il testimone e a leggere il verbale della deposizione da questo resa in precedenza, giacente nel fascicolo dibattimentale in attesa di acquisizione. Con riferimento ai verbali di dichiarazioni assunte all'estero mediante rogatoria internazionale senza la garanzia del contraddittorio ed acquisiti al fascicolo del dibattimento ai sensi dell'art. 431, la Suprema Corte ha statuito che la lettura ex art. 511, comma 2, può avere luogo solo dopo l'esame della persona che ha reso le predette dichiarazioni, tranne che l'esame non abbia luogo per «accertata impossibilità di natura oggettiva» di assunzione del dichiarante, come previsto dall'art. 111, comma 5, Cost. L'accertamento di tale impossibilità di «natura oggettiva» richiede una rigorosa verifica della regolare citazione all'estero delle persone e il controllo di un eventuale stato di detenzione e, in tal caso, l'attivazione delle procedure stabilite per ottenere la traduzione temporanea in Italia dei dichiaranti detenuti o la loro assunzione mediante rogatoria con le garanzie del contraddittorio (Cass. VI, n. 28845/2002). Una ipotesi assimilabile a quelle viste sopra è costituita dai verbali di dichiarazioni raccolte nel corso delle indagini preliminari, di cui le parti abbiano concordato l'acquisizione al fascicolo dibattimentale ex artt. 431, comma 2 e 493, comma 3, qualora le parti non rinuncino all'esame del dichiarate in dibattimento (Corbetta, 6509). La giurisprudenza ritiene, invece, che il verbale di sequestro compiuto dalla polizia giudiziaria sia utilizzabile senza il preventivo esame del verbalizzante, in quanto si tratta d'atto non ripetibile raccolto nel fascicolo per il dibattimento (Cass. III, n. 25123/2008). La subordinazione della lettura all'esame viene meno quando l'esame non può avere luogo. È sufficiente che, per un qualsiasi motivo (mancata comparizione dell'esaminando, mancata ammissione della testimonianza, rinuncia da parte di chi l'aveva chiesta, ecc.) l'espletamento dell'esame non si sia svolto, non essendo, invece, necessaria la sopravvenuta impossibilità di ripetizione degli atti già assunti nel corso delle indagini, ovvero dell'udienza preliminare, ipotesi, questa, già contemplata dal successivo art. 512 (Cass. IV, n. 14139/2014). Mutamento del giudiceUn problema delicato riguarda il destino delle prove in caso di mutamento della persona fisica del giudice o della composizione del collegio per morte, infermità o per ragioni interne all'organizzazione degli uffici giudiziari. Occorre premettere che la Corte costituzionale ha, in più occasioni, chiarito che i verbali dell'attività probatoria precedentemente espletata fanno legittimamente parte del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice e che tali atti possono essere utilizzati per la decisione tramite il veicolo delle letture (Corte cost. n. 17/1994; Corte cost. n. 99/1996). Sulla scorta del suddetto orientamento, la Corte di Cassazione è giunta ad affermare che nel caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, la testimonianza raccolta dal primo giudice non è utilizzabile per la decisione mediante semplice lettura, senza ripetere l'esame del dichiarante, quando questo possa avere luogo e sia stato richiesto da una delle parti (Cass. S.U. , n. 2/1999). Tuttavia, se nel corso del dibattimento rinnovato a causa del mutamento del giudice non è possibile ripetere l'audizione del teste perché questi non è stato reperito, il giudice può comunque disporre, ai sensi dell'art. 511, comma 2, la lettura delle dichiarazioni precedentemente raccolte nel contraddittorio delle parti e inserite legittimamente negli atti dibattimentali (Cass. V, n. 23015/2017). Se, invece, le parti consentono alla rinnovazione del dibattimento mediante lettura dei verbali di dichiarazioni rese nella precedente fase dibattimentale, queste ultime dichiarazioni possono essere utilizzate per la decisione. Secondo l'orientamento maggioritario , il consenso può essere anche implicito, qualora la parte presente non richieda espressamente la rinnovazione dell'atto e non si opponga all'ordinanza con cui il nuovo giudice dispone la riassunzione delle prove mediante lettura (Cass. V, n. 14227/2015; Cass. VI, n. 17982/2017). Occorre precisare, però, che elemento essenziale per la valutazione del consenso nella forma tacita è che sia ben chiaro e definito l'oggetto sul quale vi è manifestazione di assenso da parte dell'imputato. E ciò è possibile solo se l'atteggiamento acquiescente assunto dalla parte processuale segue la decisione formalmente assunta dal giudice di non procedere alla rinnovazione (in senso stretto) del dibattimento, ma di procedere alla sola lettura di verbali delle prove già acquisite dal collegio diversamente composto, anche nelle più forma più sintetica prevista dal quinto comma dell'art. 511 c.p.p. (mera indicazione degli atti, normativamente equivalente alla loro lettura). Ne consegue che la sentenza emessa dal nuovo giudice che abbia valutato le prove assunte dal precedente giudice senza adottare un provvedimento formale di lettura dei relativi verbali, è affetta da nullità assoluta ai sensi dell'art. 525 c.p.p., essendo irrilevante che le parti non abbiano formulato richiesta di rinnovazione del dibattimento, non potendo tale contegno essere interpretato come consenso tacito alla lettura degli atti (Cass. II, n. 41932/2017). Va detto che esiste anche un indirizzo minoritario che, pur ammettendo il consenso tacito all’omessa rinnovazione, richiede che, per il rispetto del principio sancito dall’art. 525, comma 2, il comportamento silente della parte sia univoco e, cioè, che ad esso possa essere attribuito esclusivamente il significato di acconsentire all'utilizzo delle prove precedentemente assunte (Cass. VI, n. 17982/2018; Cass. II, n. 41932/2017). A fronte del suddetto contrasto, alle Sezioni Unite è stato chiesto di chiarire se per rispettare il principio di immutabilità del giudice, in caso di mutamento della composizione del giudice dopo l’assunzione delle prove dichiarative, sia sufficiente accertare che le parti non si siano opposte alla lettura delle dichiarazioni raccolte nel precedente dibattimento oppure occorra verificare la presenza di ulteriori circostanze processuali che rendano univoco il comportamento omissivo degli interessati. La Corte, nella sua composizione più autorevole, ha statuito che, a seguito della rinnovazione del dibattimento, il consenso delle parti alla lettura ex art. 511 degli atti assunti dal collegio in diversa composizione non è necessario quando la ripetizione dell’esame, già svolto dinanzi al giudice diversamente composto, non abbia avuto luogo in mancanza di richiesta della parte che ne aveva domandato l’ammissione oppure perché non ammessa o non più possibile (Cass. S.U., n. 41736/2019). Il consenso può essere prestato anche all'udienza precedente a quella di effettivo mutamento della persona del giudicante e può essere prestato anche in vista di tale eventualità, ossia come impegno a prestare il consenso qualora si verifichi effettivamente il mutamento. La Suprema Corte ha, infatti, specificato che il consenso è prestato su un oggetto specifico e non incerto e nella piena consapevolezza degli effetti, pertanto risultano del tutto irrilevanti i tempi di manifestazione del consenso (Cass. III, n. 38907/2018).
Tuttavia, il mancato consenso, anche di una sola parte, rende superfluo accertare la volontà delle altre ed è sufficiente a riaprire tutta la sequenza processuale che aveva portato all'assunzione dei testi, compreso l'onere della nuova citazione dei testimoni già escussi, che continua a gravare unicamente sulla parte che ne aveva originariamente richiesto l'ammissione (Cass. II, n. 3858/2016; Cass. II, n. 28594/2015; contra Cass. V, n. 46561/2011, che attribuisce alle parti che hanno chiesto la riassunzione delle prove l'onere della citazione dei testimoni). L'eventuale inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite nella precedente fase dibattimentale, per la cui lettura sia mancato il consenso delle parti, dev'essere eccepita con il primo atto mediante il quale si abbia la possibilità di farlo, essendo da escludere la sua rilevabilità in ogni stato e grado del procedimento, come si verifica, invece, nell'ipotesi di elementi probatori assunti in violazione di una norma di legge e, pertanto, affetti da un vizio intrinseco e derivante da una causa originaria (Cass. I, n. 781/1999, che in applicazione di tali principi ha ritenuto tardiva l'eccezione sollevata in sede di legittimità senza che alcuna doglianza sul punto fosse stata formulata nei motivi d'appello). Una volta prestato, il consenso alla rinnovazione del dibattimento, mediante lettura degli atti dell'istruzione probatoria compiuta da altro giudice, non può essere revocato, trattandosi di negozio unilaterale recettizio di natura processuale neppure in caso di nomina di un nuovo difensore (Cass. III, n. 38907/2018; Cass. III, n. 47036/2015). Non vale, invece, il principio inverso: l'iniziale diniego del consenso alla lettura manifestato in occasione di un primo mutamento dell'organo giudicante non rende invalido il consenso alla rinnovazione degli atti formulato in occasione di un nuovo mutamento del giudice (Cass. II, n. 19074/2011). Di fronte alla richiesta di un nuovo esame del dichiarante, il giudice conserva gli ordinari poteri di valutazione della prova ex art. 190. Egli deve quindi valutare la legittimità, rilevanza e non superfluità della prova di cui si richiede l'ammissione, con poteri identici a quelli di chi lo ha preceduto (Conti, 491). Tuttavia, il nuovo giudice non può ritenere superflua la rinnovazione sul presupposto che la prova è già stata assunta dal precedente giudice, posto che la superfluità attiene al contenuto della prova (ciò che si vuole dimostrare) e non alle modalità di introduzione della prova nel processo. I criteri di ammissione della prova dibattimentale da rinnovare dinanzi a diverso giudice sono più restrittivi in caso di procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3- bis. In tal caso, infatti, l'art. 190-bis prevede che l'esame di un testimone o di un soggetto ex art. 210 che abbia già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o in dibattimento (nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate) è ammesso solo se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze. Tale disciplina — applicabile anche nell'ipotesi in cui debba procedersi a rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per sopravvenuto mutamento della persona del giudice (Cass. VI, n. 20810 /2010) —fissa una sorta di presunzione di superfluità del nuovo esame. La differente modalità di assunzione della prova, rispetto a quella prevista per i procedimenti ordinari, risponde alla necessità di evitare l'usura delle fonti ed il pericolo della loro intimidazione nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata (Cass. I, n. 29826/2001). In caso di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale la prova viene riassunta e quindi il dichiarante viene nuovamente esaminato dalla parti. Tuttavia, i verbali delle precedenti dichiarazioni non devono essere stralciati dal fascicolo per il dibattimento di cui sono parte integrante, in quanto essi attengono alla documentazione di un'attività legittimamente compiuta. Ne consegue che, ove in sede di rinnovazione il soggetto esaminato confermi le precedenti dichiarazioni e le parti non ritengano di chiedergli chiarimenti o di formulare nuove domande e contestazioni, è legittimo utilizzare per relationem il contenuto materiale di tali precedenti dichiarazioni (Cass. V, n. 52229/2014). Viceversa, deve ritenersi violato il diritto di difesa qualora il giudice si limiti a far confermare al soggetto esaminato le dichiarazioni rese in precedenza e legittimamente inserite nel fascicolo del dibattimento, senza che la parte, che non ha manifestato il consenso all'utilizzabilità, sia stata messa in condizione di svolgere il contro-esame in modo ampio, formulando tutte le domande ritenute necessarie (Cass. V, n. 10127/2018). La giurisprudenza non esprime una posizione unanime in merito alle conseguenze derivanti dalla condotta del giudice di primo grado che abbia dato lettura dei verbali delle prove assunte dal precedente giudice senza dare corso alla richiesta di rinnovazione avanzata dalle parti. Infatti, mentre alcune pronunce ritengono che il giudice di appello debba annullare la sentenza di primo grado, essendogli precluso il ricorso all'art. 604 in mancanza di una nullità degli atti (Cass. III, n. 8828/2000), altre decisioni ritengono invece che il giudice di seconde cure debba procedere alla riassunzione delle prove richieste (Cass. V, n. 3613/2006). Lettura della relazione peritaleIl terzo comma dell'art. 511 replica, per le relazioni peritali, la regola che pospone la lettura all'esito dell'esame orale del dichiarante. Quindi, quando il perito è stato autorizzato a redigere un contributo scritto, la sua relazione può essere letta solo dopo che il tecnico abbia deposto in dibattimento. Non sussiste un obbligo del giudice di dare lettura della relazione scritta eventualmente presentata dal perito, a meno che il giudice, dopo aver proceduto all'esame del perito, non lo ritenga necessario o qualcuna delle parti ne faccia richiesta. L'obbligo di lettura è prescritto solo per gli atti originariamente contenuti nel fascicolo formato a norma dell'art. 431, e pertanto non per la relazione peritale scritta che non è un adempimento obbligatorio, essendo, anzi, previsto che il perito risponda oralmente in udienza ai quesiti postigli, e pertanto non rientra tra gli atti originariamente contenuti nel fascicolo per il dibattimento (Cass. I, n. 13750/1999). Secondo la giurisprudenza prevalente, la mancata preventiva audizione del perito dà luogo a una nullità generale a regime intermedio per violazione del diritto di difesa, in quanto al difensore è negata la possibilità di rivolgere domande al perito. Tale nullità è soggetta ai limiti di deducibilità previsti dall'art. 182 c.p.p. e al regime delle sanatorie di cui all'art. 183 (Cass. VI, n. 38157/2011). Invece, i pareri espressi dai consulenti di parte a mezzo di memoria scritta presentata a norma degli artt. 233 e 121 possono essere letti in udienza e possono essere utilizzati ai fini della decisione anche in mancanza del previo esame del consulente qualora le parti non ne abbiano contestato il contenuto ed il giudice abbia ritenuto superfluo disporre sostitutivamente una perizia (Cass. III, n. 21018/2014). Lettura della querela e dell'istanzaSi tratta di una lettura “anomala”, in quanto non serve a veicolare in giudizio fonti di conoscenza, bensì solo a controllare che esista la condizione di procedibilità richiesta per il reato oggetto di accertamento (art. 511, comma 4). Ne consegue che il Giudice non può trarre dal verbale di querela elementi di convincimento al fine di ricostruire la vicenda, tranne che, per circostanze o fatti imprevedibili (tra cui anche le gravi condizioni di salute del querelante), risulti impossibile la testimonianza dell'autore della denuncia-querela, perché in tal caso la lettura è consentita, ai sensi dell'art. 512, anche per utilizzarne il contenuto ai fini della prova (Cass. V, n. 51711/2014; Cass. V, n. 21665/2018); senza che ciò determini violazione dell'art. 6 CEDU, qualora anche la sentenza di condanna si fondi in modo esclusivo o significativo sulla querela, in quanto le sopravvenute condizioni di salute del dichiarante non possono essere collegate all'intento di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale (Cass. II, n. 2232/2017). Il contenuto della querela può essere legittimamente utilizzato dal giudice per decidere anche quando l'stanza punitiva sia stata acquisita al fascicolo per il dibattimento su concorde volontà delle parti (Cass. V, n. 29034/2012). Se il contenuto della querela deve essere integrato da dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari, anche queste devono essere incluse nel fascicolo per il dibattimento senza che ciò costituisca una deroga al principio della formazione della prova in dibattimento, giacché dette dichiarazioni possono essere utilizzate solo per verificare le condizioni di procedibilità (Cass. V, n. 11402/1997). Nonostante il tenore letterale della norma, che fa esplicito riferimento alle dichiarazioni orali di querela e di istanza, non vi sono motivi per escludere il divieto di lettura anche alle dichiarazioni rese per iscritto (Rivello, 405). Conseguenze dell'omessa lettura o indicazioneLa previsione della lettura (reale o fittizia) mira ad evitare che la deposizione resa in giudizio sia condizionata dal contenuto del verbale e si risolva in una mera conferma delle risultanze già in atti (Buzzelli, 163). Da tale considerazione la dottrina trae il convincimento che la violazione dell'art. 511 determina l'inutilizzabilità ai fini decisori delle dichiarazioni contenute nel fascicolo per il dibattimento, in quanto non legittimamente acquisite ex art. 526 (Bazzani, 779; Buzzelli, 220; Rivello, 406). Anche una parte minoritaria della giurisprudenza segue tale linea esegetica. Si osserva, infatti, che la mera allegazione di un atto o di un documento al fascicolo previsto per il dibattimento ha funzione soltanto strumentale rispetto alla formazione della prova e non equivale all'acquisizione del contenuto dell'atto o del documento medesimo. È al momento in cui il giudice ne dispone la lettura, o manifesta comunque la decisione di volersene avvalere, che deve invece aversi riguardo sia per la verifica dello stesso grado di correttezza dell'inserimento nel fascicolo per il dibattimento sia per l'effettiva attuazione del generale principio della formazione della prova al dibattimento nel contraddittorio delle parti (Cass. III, n. 5593/1995). Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria non condivide questa opinione, ritenendo che la violazione dell'obbligo di dare lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, ovvero di indicare quelli utilizzabili ai fini della decisione, non possa essere considerata causa di nullità, non essendo specificatamente sanzionata in tal senso né apparendo inquadrabile in alcuna delle cause generali di nullità previste dall'art. 178, né di inutilizzabilità ai sensi dell'art. 191, non incidendo l'omessa lettura sulla legittimità dell'acquisizione delle prove documentate negli atti summenzionati (Cass. III, n. 45305/2013). BibliografiaBalducci, Dibattimento rinnovato per mutata composizione del giudice: letture consentite soltanto dopo il riesame del dichiarante, in Dir. pen. e proc. 1999, 482; Bazzani, Art. 511 c.p.p.: Lettura dibattimentale di atti originariamente irripetibili. Profili epistemologici e normativi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2001, 764; Buzzelli, Le letture dibattimentali, Milano, 2000; Conti, L'inutilizzabilità dibattimentale, in Tonini-Conti, Il diritto delle prove penali, II ed., Milano, 2014, 491; De Caro, Ammissione e formazione della prova nel dibattimento, in Gaito (diretta da), La prova penale, II, Torino, 2008, 408; Rivello, Letture vietate e consentite, in Dig. d. pen., VII, Torino, 2001, 405; |