Codice di Procedura Penale art. 514 - Letture vietate 1 .Letture vietate1. 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 511, 512, 512-bis e 513, non può essere data lettura dei verbali delle dichiarazioni rese dall'imputato, dalle persone indicate nell'articolo 210 e dai testimoni alla polizia giudiziaria, al pubblico ministero o al giudice nel corso delle indagini preliminari o nella udienza preliminare, a meno che nell'udienza preliminare le dichiarazioni siano state rese nelle forme previste dagli articoli 498 e 499, alla presenza dell'imputato o del suo difensore. 2. Fuori dei casi previsti dall'articolo 511 è vietata la lettura dei verbali e degli altri atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria. L'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria esaminato come testimone può servirsi di tali atti a norma dell'articolo 499, comma 5.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 7 agosto 1997, n. 267. V. la disposizione transitoria di cui all'art. 6 l. n. 267, cit. InquadramentoL'articolo in esame, posto a chiusura del sistema delle letture, riafferma la garanzia dell'oralità e del contraddittorio nella formazione della prova, perché vieta, fuori dai casi consentiti (artt. 511, 512, 512-bis e 513), di utilizzare in dibattimento, mediante il meccanismo delle letture, atti formati fuori dalla dialettica processuale. Aspetti generaliLa norma in esame, attraverso il divieto di lettura di atti che non siano espressamente leggibili, conferma che l'intera disciplina delle letture è improntata ad un regime di tassatività (Cass. VI, n. 6628 /1991; Peroni, 158). Occorre rilevare che la norma vieta la lettura fuori dai casi disciplinati negli artt. 511, 512, 512-bis e 513. Con un evidente difetto di coordinamento, manca qualsiasi richiamo all'art. 511-bis, alle ipotesi di contestazioni con effetto acquisitivo di cui agli artt. 500 e 503 e alle dichiarazioni raccolte dal difensore nel corso delle proprie investigazioni. La giurisprudenza offre un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 514, in quanto ritiene che, conformemente alla previsione di cui all'art. 111, comma 5, Cost., secondo cui il consenso delle parti rappresenta uno dei motivi che giustificano la deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova, i divieti di lettura stabiliti dalla norma in esame possono essere superati dall'accordo delle parti, salvo che non riguardino atti viziati da inutilizzabilità «patologica», la cui acquisizione sarebbe, in ogni caso, contra legem (Cass. VI, n. 25456/2009). Tale lettura ha trovato coerente applicazione in tema di giudizio abbreviato. Si è detto, infatti, che il predetto rito costituisce un procedimento «a prova contratta», alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all'udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del «dibattimento». Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano né l'inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526, con i correlati divieti di lettura di cui all'art. 514 (in quanto in tal caso il vizio-sanzione dell'atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), né le ipotesi di inutilizzabilità «relativa» stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell'inutilizzabilità cosiddetta «patologica», inerente, cioè, agli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito (Cass. S.U., n. 16/2000). Dichiarazioni rese in udienza preliminareLe dichiarazioni assunte nel corso dell'udienza preliminare possono essere lette solo se formate con il metodo dell'esame incrociato ex artt. 498 e 499 alla presenza dell'imputato o del suo difensore. La norma fa implicito rinvio agli artt. 421, comma 2 e 422, comma 4, che consentono, su richiesta di parte, che l'interrogatorio si svolga con i modi dibattimentali di assunzione della prova. Poiché si tratta di atti che restano ignoti al giudicante, si ritiene che i verbali di interrogatorio possano essere letti solo su richiesta di parte, rimanendo esclusa la leggibilità d'ufficio (Peroni, 163). Se taluna delle parti ha citato a deporre il dichiarante già esaminato in udienza preliminare, la lettura dovrebbe seguire l'esame secondo la regola di cui all'art. 511, comma 2. Attività di polizia giudiziariaIl capoverso della norma in commento vieta la lettura dei verbali e degli altri atti di documentazione delle attività compiute dalla polizia giudiziaria, a prescindere dalle modalità di documentazione e dal fatto che si tratti di attività d'iniziativa o svolta su delega del pubblico ministero (Buzzelli, 238). Il contenuto di questi atti può quindi fare ingresso nel dibattimento soltanto attraverso l'esame testimoniale dell'agente o dell'ufficiale, nel rispetto del contraddittorio. Il legislatore ha, tuttavia, mitigato la portata restrittiva del divieto, prevedendo la possibilità, per l'ufficiale o l'agente testimone, di consultare la documentazione da lui redatta (v. infra). Il divieto di lettura si estende anche agli atti compiuti dalla polizia giudiziaria straniera, tra i quali va sicuramente compresa anche la documentazione fotografica (Cass. II, n. 7622/1994), la cui utilizzabilità in dibattimento può avvenire soltanto previo esame di coloro che li hanno svolti. Il divieto non si estende al verbale di sequestro compiuto dalla polizia straniera che, in quanto atto irripetibile, è direttamente acquisibile al dibattimento attraverso la lettura ai sensi dell'art. 511, comma 1. Per quanto riguarda, invece, il verbale di contestazione della guida in stato di ebbrezza redatto dalla polizia giudiziaria successivamente al controllo del guidatore, la giurisprudenza ne ha negato la natura di atto irripetibile, in quanto si limita a riportare ciò che ha osservato il soggetto che lo ha redatto e pertanto non può essere acquisito al fascicolo per il dibattimento ai sensi dell'art. 431, né, di fronte al negato consenso dell'imputato alla sua acquisizione, può esserne data lettura (Cass. IV, n. 47761/2003). Il Giudice di legittimità ha ritenuto che i disegni effettuati da un minore nel corso delle dichiarazioni assunte dalla polizia giudiziaria devono essere considerati documenti a norma dell'art. 234 e non parti integranti del verbale delle dichiarazioni rese (Cass. III, n. 1252 /2012). La Suprema Corte ritiene che la violazione del divieto di lettura e di utilizzazione previsto dall'art. 514 per i verbali e gli atti della polizia giudiziaria sia rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Cass. III, n. 38146/2015). Tuttavia, è possibile leggere ed utilizzare nel dibattimento le dichiarazioni di chi, esaminato dalla polizia giudiziaria come persona in grado di riferire circostanze utili sull'indagine in corso, abbia, con mendaci affermazioni, aiutato taluno a sottrarsi alle investigazioni e quindi commesso il reato di favoreggiamento; tali dichiarazioni, infatti, devono considerarsi come rientranti nella previsione di cui all'art. 431, lett. f), ed essere, pertanto, allegate al fascicolo del dibattimento (Cass. I, n. 9794/1994). Consultazione di atti in aiuto alla memoriaPer quanto concerne l'utilizzo di documenti in aiuto alla memoria durante l'esame dibattimentale, la Suprema Corte ha affermato che si tratta di un concetto non interpretabile in modo univoco, siccome è correlato all'oggetto delle singole deposizioni rese negli specifici casi concreti, sicché, se da un lato, risulta sostanzialmente disatteso il divieto di lettura di cui all'art. 514 in caso di utilizzazione per la decisione di documenti preformati rispetto al dibattimento, dall'altro, non è vietata l'utilizzazione di elementi contenuti in un documento redatto dal teste, allorché essi siano stati acquisiti al dibattimento attraverso l'esame e il controesame del teste stesso, e quindi con la garanzia di pienezza del contraddittorio e con la piena esplicazione del diritto di difesa, cui il contraddittorio è funzionale (Cass. I, n. 9202/2009). L'ultima parte del capoverso dell'art. 514 ammette la possibilità che l'organo di polizia giudiziaria esaminato come teste si serva, per rinfrescare la memoria, della documentazione degli atti compiuti, come consentito in generale per i testimoni dall'art. 499, comma 5. Non occorre che si tratti di verbali o di atti depositati nel fascicolo del pubblico ministero, purché gli stessi possano essere esaminati da tutte le parti del processo (Cass. VI, n. 41768/2017). Secondo la Suprema Corte, tale consultazione non richiede che l'atto esaminato sia stato personalmente redatto o sottoscritto dal testimone, in quanto è sufficiente che egli abbia partecipato alle operazioni cui la documentazione si riferisce, ovvero che tali operazioni siano state effettuate dall'ufficio di appartenenza (Cass. V, n. 22115/2022). Si è così ritenuta legittima l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di prospetti riassuntivi di attività di polizia giudiziaria, elaborati da ufficiale che, esaminato come testimone, ad essi abbia legittimamente fatto riferimento nel corso della deposizione, consultandoli in aiuto della memoria (Cass. S.U., n. 2780/1996; Cass. V, n. 15613/2014). Sul punto è stata espressa qualche perplessità, in quanto il documento consultato non dovrebbe essere allegato al fascicolo dibattimentale, dato che altrimenti la consultazione darebbe luogo, surrettiziamente, ad una vera e propria lettura (Corbetta, in Giarda-Spangher, IV, 6575). La consultazione dovrebbe presupporre una difficoltà di ricordo circoscritta e superabile con l'esame degli atti compilati (Avanzini, 71). Tuttavia, la giurisprudenza dimostra un atteggiamento “generoso” in quanto ritiene che non possa operarsi alcuna differenziazione tra il concetto di «aiuto totale» e quello di «aiuto parziale» (Cass. IV, n. 26387/2009). BibliografiaV. sub Artt. 511, 511-bis, 512 e 513. Avanzini, L'esame dibattimentale delle fonti di prova personale, in Ubertis (a cura di), La conoscenza del fatto nel processo penale, Milano, 1992, 71. |