Codice di Procedura Penale art. 516 - Modifica della imputazione 1 .Modifica della imputazione1. 1. Se nel corso dell'istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio, e non appartiene alla competenza di un giudice superiore, il pubblico ministero modifica l'imputazione e procede alla relativa contestazione. 1-bis. Se a seguito della modifica il reato risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nei casi indicati dagli articoli 519 comma 2 e 520 comma 2, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata a norma dei medesimi articoli2. 1-ter. Se a seguito della modifica risulta un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare, e questa non si è tenuta, l'inosservanza delle relative disposizioni è eccepita, a pena di decadenza, entro il termine indicato dal comma 1- bis3.
[1] La Corte cost. ha dichiarato: con sentenza 30 giugno 1994, n. 265, l’illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 «nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni»; con sentenza 29 dicembre 1995, n. 530, l’illegittimità costituzionale dell'art. 516 «nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis del codice penale, relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento»; con sentenza 18 dicembre 2009, n. 333, l'illegittimità costituzionale «nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale»; con sentenza 5 dicembre 2014, n. 273, l'illegittimità costituzionale «nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell’istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione»; con sentenza Corte cost. 17 luglio 2017, n. 206, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione. Da ultimo la Corte cost. 11 febbraio 2020, n. 14, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo « nella parte in cui, in seguito alla modifica dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova ». [2] Comma aggiunto dall'art. 186 , comma 1, d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51. Per l'applicazione v. l'art. 247, comma 1, d.lgs. n. 51, cit., come modificato dalla l. 16 giugno 1998, n. 188. [3] Comma aggiunto dall'art. 47, comma 4, l. 16 dicembre 1999, n. 479. InquadramentoL'articolo in esame, nel disciplinare tempi e modalità della modificazione dell'imputazione per diversità storica del fatto contestato, fornisce lo strumento per adeguare la contestazione alle emergenze istruttorie, così da evitare che il giudice, in sede di deliberazione della sentenza, non possa scendere nel merito della regiudicanda, ma debba restituire gli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, comma 2. Aspetti generaliPoiché il dibattimento è il luogo preordinato alla formazione della prova e alla ricostruzione del tema decisorio nei suoi esatti profili, deve ammettersi la possibilità che le conoscenze progressivamente acquisite al processo portino ad una riconsiderazione del fatto nelle sue componenti storiche. Quando ciò avviene, si fa carico al pubblico ministero di formulare una nuova imputazione che vada a sostituire le precedenti versioni dell'addebito, ergendosi a modello delle successive attività processuali. È stata ammessa, pertanto, la possibilità di un assestamento dell'imputazione in itinere, a procedimento iniziato, sia nel corso dell'udienza preliminare, sia nel corso dell'istruzione dibattimentale, in modo da consentire l'aderenza dell'accusa alla piattaforma cognitiva emersa a seguito degli sviluppi probatori. Dominus dell'imputazione è il pubblico ministero, il quale, anche in considerazione dell'obbligatorietà dell'azione penale, deve vigilare sull'adeguatezza della contestazione rispetto alle risultanze probatorie procedendo ai necessari adattamenti (contra Cass. III, n. 3585/1996, che ritiene la contestazione suppletiva una mera facoltà e non un obbligo del pubblico ministero, come si ricava dall'inciso «qualora intende contestare» previsto dall'art. 520 con riferimento a nuove contestazioni all'imputato contumace o assente). Quindi, solo al magistrato inquirente compete la modificazione dell'imputazione, dovendosi escludere qualsiasi coinvolgimento dell'organo giurisdizionale, di cui occorre assicurare l'imparzialità di giudizio. Tuttavia, si è ritenuto del tutto irrilevante, ai fini della corretta osservanza del disposto di cui all'art. 516, anche con riferimento alla disciplina ex art. 519, commi 1 e 2, la circostanza che il giudice abbia richiamato l'attenzione del pubblico ministero sugli esiti del dibattimento implicanti una diversità del fatto emerso rispetto a quello contestato, quando sia pacifico che la precisazione della contestazione fu operata dall'ufficio di accusa e che l'imputato e il suo difensore nulla ebbero a osservare al riguardo, accettando la contestazione mediante la richiesta di un termine a difesa (Cass. II, n. 8931/1994). Va detto che al pubblico ministero è riconosciuto il solo potere di integrare l'accusa, di talché viola il principio di irretrattabilità dell'azione penale l'eliminazione da parte del magistrato inquirente, in corso di dibattimento, di una circostanza aggravante, ritualmente indicata nell'originaria imputazione, trattandosi di potere spettante unicamente al giudice (Cass. II, n. 18617/2017; Cass. II, n. 6905/2009). La contestazione suppletiva, in quanto forma di esercizio dell'azione penale, incontra una preclusione in presenza di un provvedimento di archiviazione. Pertanto, il pubblico ministero che intenda contestare il fatto oggetto di archiviazione deve chiedere al giudice la riapertura delle indagini, non potendo integrare la contestazione nel dibattimento in relazione a fatti per i quali, in presenza del decreto di archiviazione, non risulti richiesto ed emanato il prescritto decreto di riapertura delle indagini (Cass. III, n. 3739/2000). Tuttavia, secondo alcune pronunce è consentita l'integrazione dibattimentale dell'imputazione, ai sensi degli artt. 516, 517 e 518, anche sulla base di fatti per i quali sia in precedenza intervenuto provvedimento di archiviazione, quando questo sia stato adottato dal giudice per le indagini preliminari di un tribunale diverso davanti al quale è in corso il processo (Cass. I, n. 29212/2005; Cass. V, n. 45725/2005, la quale puntualizza che il decreto di archiviazione ha efficacia (limitatamente) preclusiva solo nei confronti dell'autorità giudiziaria che ha provveduto all'archiviazione. Invero, l'autorizzazione alla riapertura delle indagini, rimuovendo gli effetti della precedente valutazione di infondatezza della notizia di reato e quindi ponendosi giuridicamente come atto equipollente alla revoca, non può che provenire dallo stesso giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione ed inerire ad un sindacato sul potere di esercizio dell'azione penale di cui è titolare il pubblico ministero presso quell'ufficio giudiziario, sicché nessun ostacolo incontra l'autorità giudiziaria di altra sede a compiere accertamenti su fatti oggetto del provvedimento di archiviazione). Termini per la contestazioneStando al tenore letterale degli artt. 516 e 517 le nuove contestazioni devono collocarsi «nel corso dell'istruzione dibattimentale ». Tuttavia, si ritiene che la modifica dell'imputazione (così come la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante) possa essere effettuata anche dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, ma prima dell'istruzione dibattimentale, e, quindi, sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Il magistrato inquirente può, dunque, procedere a nuove contestazioni, ai sensi degli artt. 516 e 517, anche sulla base della riconsiderazione, in sede dibattimentale, di elementi fattuali già acquisiti nella fase investigativa (Cass. S.U., n. 4/1998; Cass. II, n. 45298/2015). Al riguardo si osserva che sarebbe antieconomico attendere l'istruzione dibattimentale per calibrare l'imputazione su dati conoscitivi già disponibili. Del resto, le garanzie difensive dell'imputato non subiscono conseguenze lesive, sia perché egli già conosce il contenuto degli atti investigativi, sia perché l'art. 519 gli riconosce la possibilità di chiedere un termine a difesa, sia, infine, perché, in ordine al fatto nuovo, egli può liberamente accedere ai riti premiali, come insegnato a più riprese dalla Corte costituzionale (v. infra). Sulla scorta di tali argomentazioni si è ritenuto che il Pubblico Ministero possa modifica l'imputazione ai sensi dell’art. 516 prima dell'apertura del dibattimento nel caso in cui, a fronte della corretta contestazione del fatto nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, nel decreto che dispone il giudizio sia stato indicato, per mero errore, un fatto diverso da quello commesso dall'imputato (Cass. VI, n. 9002/2020). Il limite temporale alle nuove contestazioni dovrebbe essere dato dalla chiusura dell'istruzione dibattimentale. Tuttavia, poiché il codice (art. 523, comma 6) consente l'interruzione della discussione finale per assumere nuove prove qualora il giudice le ritenga «assolutamente necessarie», si ritiene che il termine ultimo per il pubblico ministero, per procedere a nuove contestazioni, vada collocato alla chiusura, non dell'istruzione dibattimentale, bensì del dibattimento (Cass. IV, n. 8959/1993). Fatto nuovo e fatto diversoIl “fatto”, nell'accezione di cui all'art. 516 c.p., deve intendersi costituito sia dai componenti della fattispecie incriminatrice (condotta, evento, nesso di causalità, atteggiamento psicologico), sia dalle connotazioni particolari del fatto (luogo, tempo e modalità) (Rafaraci, 22). Secondo la giurisprudenza, la locuzione «fatto nuovo» di cui all'art. 518 denota un accadimento assolutamente difforme ed autonomo, per le modalità essenziali dell'azione o per l'evento, rispetto a quello originariamente contestato, e l'emergere in dibattimento di accuse in nessun modo rintracciabili nel decreto di rinvio o di citazione a giudizio. Per «fatto diverso», invece, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato o dei suoi riferimenti spazio-temporali (Cass. I, n. 9958/1997, che in materia di associazione per delinquere di stampo mafioso ha ritenuto costituire fatto «diverso» la mera estensione quantitativa dell'articolazione soggettiva dell'organizzazione, dei reati-fine oggetto del programma criminoso e dell'ambito spazio-temporale di operatività dell'organizzazione stessa, trattandosi di arricchimento, puntualizzazione e specificazione della ricostruzione materiale del fatto descritto nell'originaria imputazione). Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 (Cass. IV, n. 18390/2018; Cass. IV, n. 35943/2014). La Suprema Corte, considerando non essenziali gli elementi del fatto la cui modifica non determina una compressione del diritto di difesa dell'imputato, ritiene che l'affermazione di responsabilità per un'ipotesi di colpa non menzionata nel capo di imputazione rientra pur sempre nella generica contestazione di colpa; pertanto, inalterato restando il fatto storico, non v'è violazione della regola dell'immutabilità dell'accusa, poiché la contestazione generica di colpa, seppure ulteriormente connotata, lascia l'imputato nelle condizioni di difendersi da qualunque addebito al riguardo, con la conseguente possibilità di ravvisare in sentenza elementi di colpa non indicati nella contestazione. A proposito del dato temporale, è stata considerata essenziale la modifica di ogni elemento sulla base del quale un fatto, originariamente qualificabile come reato ad effetti istantanei, debba essere inquadrato tra i reati permanenti (Cass. III, n. 6569/1994), nonché la modifica di ogni elemento da cui risulti il protrarsi della condotta di un reato permanente, quando nel capo d'imputazione sia stato espressamente indicato il momento in cui la permanenza è terminata (Cass. S.U., n. 11930/1994). Infatti, se nel decreto di rinvio a giudizio è contestata una durata della permanenza precisamente individuata nel tempo, quanto meno nel suo momento finale (contestazione di un reato permanente nella forma c.d. « chiusa », espressa con formule come "accertato fino al...”), il giudice può tenere conto del successivo protrarsi della consumazione soltanto quando esso sia stato oggetto di un'ulteriore contestazione ad opera del pubblico ministero ex art. 516, perché, la posticipazione della data finale della permanenza incide sulla individuazione del fatto come inizialmente contestato, comportandone una diversità, sotto il profilo temporale, che influisce sulla gravità del reato e sulla misura della pena e può condizionare l'operatività di eventuali cause estintive (Cass. III, n. 29701/2008; Cass. II, n. 49177/2015; Cass. II, n. 20798/2016). Viceversa, poiché la contestazione del reato permanente, per l'intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l'elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell'accertamento) e non quella finale, la permanenza — intesa come dato della realtà — deve ritenersi compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale (Cass. S.U., n. 11021/1998, che nell'affermare il principio ha precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla pronuncia della sentenza). Per quanto riguarda, invece, il reato abituale, i fatti nuovi acclarati in dibattimento, specialmente quando questo si svolge a distanza di anni dalla denuncia, devono essere sempre contestati all'imputato, sia che servano a perfezionare o ad integrare la fattispecie criminosa rispettivamente enunciata nel capo di imputazione, sia — e a maggior ragione — che costituiscano una serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di continuazione (Cass. VI, n. 9235/2001). È stato, invece, ritenuto irrilevante, ai fini dell'applicazione della norma in esame, la modifica della data del commesso reato, erroneamente indicata nel capo di imputazione, allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resta immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa (Cass. V, n. 4175/2014; Cass. II, n. 14536/2018, che ha ritenuto legittima la correzione ex art. 130 c.p.p. della data di commissione del reato indicata nel decreto che dispone il giudizio, purché l'errata indicazione sia da ascriversi a mero errore materiale, obiettivamente riconoscibile). Quindi, la diversità fra la data del fatto indicata nella contestazione e quella emersa dall'istruzione può dare luogo a contestazione ex art. 516 quando il suddetto elemento abbia assunto in concreto influenza rilevante ai fini della difesa (come avviene, ad esempio, quando l'imputato, sulla base della originaria contestazione, si difende adducendo come alibi il suo stato di detenzione all'epoca del fatto: Cass. V, n. 28853/2004). Modifica del fatto e riti premialiLa fluidità che caratterizza l'oggetto dell'imputazione fino alla chiusura del dibattimento ha indotto a dubitare della legittimità della norma in esame sotto il profilo dell'art. 24, comma 2, Cost. Un'efficace tutela del diritto di difesa dell'imputato appare senz'altro garantita nell'ipotesi in cui l'interessato sia posto nelle condizioni di esercitare, relativamente alla diversa configurazione dell'addebito contestatogli, le stesse garanzie difensive che il legislatore gli aveva concesso con riguardo all'originaria imputazione. Ciò riguarda, in particolare, l'accesso ai riti premiali che è apparentemente precluso dall'“incolpevole” superamento dei termini per la richiesta. Questa chiave di lettura è stata seguita dalla Consulta, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24, comma 2, Cost., della norma in esame nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato, relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, di: a) proporre domanda di oblazione ai sensi degli artt. 162 e 162-bis c.p. (Corte cost. n. 530/1995); b) richiedere l'applicazione della pena a norma dell'art. 444, sia quando i fatti che formano oggetto degli addebiti contestati durante la fase del giudizio sono emersi nel corso dell'istruzione dibattimentale (c.d. contestazione “fisiologica”) (Corte cost. n. 206/2017), sia quando i predetti fatti già risultavano dagli atti al momento di esercizio dell'azione penale (c.d. contestazione “tardiva” o “patologica”) oppure la richiesta di accesso al rito premiale era già stata avanzata relativamente alle originarie imputazioni(Corte cost. n. 265/1994; v. anche Cass. II, n. 10820/2011, che ritiene ammissibile la richiesta di applicazione della pena, proposta a seguito di modifica dell'imputazione ex art. 516, effettuata dal pubblico ministero dopo l'avvenuta apertura del dibattimento e prima dell'espletamento dell'istruzione dibattimentale e, pertanto, sulla base degli atti già acquisiti nel corso delle indagini preliminari, considerato che, in tal caso, l'erroneità dell'imputazione, addebitabile al magistrato inquirente, determina un'alterazione della libera determinazione — in ordine ai riti speciali — dell'imputato, il quale non assume liberamente il rischio del dibattimento, con la conseguenza che il diniego del rito speciale si tradurrebbe in una ingiustificata compressione del diritto di difesa); c) richiedere il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, sia in caso di contestazioni dibattimentali “patologiche”, relative, cioè, a fatti che già risultavano dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (Corte cost. n. 333/2009), sia con riferimento alle contestazioni “fisiologiche”, operate, cioè, con riferimento a fatti emersi nel corso dell'istruzione dibattimentale (Corte cost. n. 273/2014). Naturalmente, il recupero della facoltà di richiedere il giudizio abbreviato riguarda solo l'imputazione oggetto di modifica, mentre l'accesso al rito premiale rimane precluso per tutti i reati originariamente contestati e rispetto ai quali l'imputato aveva già consapevolmente lasciato spirare il termine per la relativa richiesta (Cass. II, n. 28582/2015); Trattandosi di una norma processuale, la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale non consente di far luogo alla riduzione di pena per il rito abbreviato in sede di esecuzione (Cass. I, n. 43709/2021); d) richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova (Corte cost. n. 14/2020). Per quanto riguarda l'oblazione, il meccanismo introdotto dalla Consulta implica che sia il pubblico ministero a modificare l'imputazione, il giudice a rimettere in termini l'imputato, questi a presentare l'istanza di oblazione, il pubblico ministero a formulare il parere e, infine, il giudice a valutare l'istanza. Ne consegue che la rimessione in termini dell'imputato in caso di modifica dell'originaria contestazione in altra per la quale sia ammissibile l'oblazione non si applica al caso in cui la modifica dell'imputazione sia fatta direttamente dal giudice con la sentenza di condanna. Dunque, se l'imputato ritiene che il fatto possa essere diversamente qualificato in un reato che ammetta l'oblazione ha l'onere di sollecitare il giudice alla riqualificazione del fatto e, contestualmente, formulare istanza di oblazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale espressa richiesta, il diritto a fruire dell'oblazione stessa resta precluso ove il giudice provveda di ufficio ex art. 521, con la sentenza che definisce il giudizio, ad assegnare al fatto la diversa qualificazione che consentirebbe l'applicazione del beneficio (Cass. S.U., n. 32351/2014). Va, infine, rilevato che la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità degli artt. 441 e 441-bis, nella parte in cui non prevedono che, nel giudizio abbreviato, il pubblico ministero possa effettuare contestazioni suppletive, nei casi di cui all'art. 12, comma 1, lett. b), anche in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e sulla base di fatti e circostanze già in atti e noti all'imputato. Secondo il ragionamento della Consulta, solo nel caso di integrazione probatoria e solo in presenza di nuove risultanze derivanti da essa, e non anche in forza di quanto era precedentemente noto alle parti, si può effettuare la contestazione suppletiva nel corso del giudizio abbreviato (Corte cost. n. 140/2010). Come vedremo oltre, il sistema delineato dagli interventi additivi della Consulta è stato da ultimo recepito dal legislatore con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia). Con l'intento di razionalizzare e generalizzare il diritto dell'imputato ad accedere ai riti premiali nei casi di modifica, di qualunque tipo, dell'imputazione, si è intervenuti sull'art. 519, inserendo, al primo comma, gli avvisi che il giudice deve dare all'imputato in caso di modifica dell'accusa e, al secondo comma, i poteri che competono alla parte in caso di nuova contestazione (ottenere un termine a difesa, chiedere l'accesso ai procedimenti speciali, chiedere l'ammissione di nuove prove). Per quanto riguarda l'oblazione, si è intervenuti sull'art. 141, comma 4-bis, disp. att. c.p.p., al fine di chiarire che la rimessione dell'imputato in termini per richiederla è possibile non solo nel caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale l'oblazione stessa sia ammissibile, ma anche nel caso di nuove contestazioni ai sensi degli artt. 517 e 518. Opposizione a decreto penale e modifica dell'imputazioneLa Suprema Corte ha stabilito che la disposizione in esame è applicabile anche nel giudizio conseguente all'opposizione avverso il decreto penale di condanna, in quanto la formulazione letterale dell'art. 464 non prevede alcuna eccezione e a tale giudizio si applicano le ordinarie disposizioni dettate a disciplina del dibattimento (Cass. III, n. 23491/2009). Si tratta di un indirizzo ermeneutico ormai costante; tuttavia, inizialmente, la Suprema Corte aveva ritenuto non applicabile l'art. 516 nel giudizio conseguente all'opposizione, con la conseguenza che il giudice, ove avesse riconosciuto l'evidente insussistenza od irrilevanza del fatto originariamente contestato, avrebbe dovuto pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 e disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché procedesse per il diverso fatto emerso in udienza. Si riteneva, infatti, che la preclusione di modifiche all'imputazione, con conseguente «cristallizzazione» dell'accusa, fosse imposta dalle specifiche caratteristiche del rito conseguente all'opposizione e da una interpretazione adeguatrice dell'art. 516, tale da non precludere per l'imputato, in ragione di scelte erronee della pubblica accusa, l'opportunità che si proceda mediante decreto di condanna anche riguardo al nuovo reato, con la possibilità di fruire dei vantaggi assicurati dal rito o di giovarsi delle alternative delineate all'art. 464 (Cass. III, n. 15476/2002). Modifica dell'imputazione, incompetenza e difetto di “attribuzione”Poiché la modifica dell'imputazione in dibattimento può consistere anche in una diversa individuazione del locus commissi delicti, si è posto il problema se sia possibile eccepire o rilevare l'incompetenza territoriale del giudice a seguito della predetta modifica. Al riguardo, la giurisprudenza ritiene insuperabile lo sbarramento temporale previsto dall'art 491, di talché l'incompetenza territoriale deve essere dedotta subito dopo l'accertamento, per la prima volta, della regolare costituzione delle parti, indipendentemente dal momento in cui essa diviene effettivamente deducibile. Tale limitazione pertanto rimane ferma anche nel caso in cui, nel corso della istruttoria dibattimentale, emerga la diversità del fatto, con conseguente applicazione dell'art 516, che, non comportando regressione del procedimento, non elimina la preclusione sopra indicata (Cass. V, n. 14696/1999). Tale soluzione trova conferma indiretta nella previsione di cui al primo comma dell'art. 516 che, impedendo al pubblico ministero di modificare l'imputazione se il fatto emerso in dibattimento appartiene alla competenza di un giudice “superiore”, lascia intendere che, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, nonostante la modifica dell'imputazione, non sarebbe più rilevabile l'incompetenza per territorio o per connessione né l'incompetenza per materia a favore di un giudice “inferiore”. Tuttavia, come già rilevato, la giurisprudenza ammette la possibilità di contestazioni suppletive anche sulla base di elementi già noti al pubblico ministero prima dell'istruzione dibattimentale. In tali circostanze, per non compromettere i diritti della difesa, è necessario che anche la questione della competenza possa essere rimessa in gioco, potendosi altrimenti determinare, a causa non di una nuova emergenza istruttoria, ma di un mero errore dell'accusa, una inammissibile violazione delle regole sulla competenza, poste principalmente a presidio del principio del giudice naturale (Cass. VI, n. 40249/2006). Nello stesso senso in dottrina, v. Rafaraci, 82. Sebbene il limite della competenza stabilito dal primo comma dell'art. 516 sembri riferito al pubblico ministero, il giudice non può procedere d'ufficio alla declaratoria di incompetenza sulla base dell'imputazione originaria, rispetto alla quale risulta competente, né può farlo ipotizzando un fatto diverso da quello contestato. Quindi, solo dopo che il pubblico ministero ha proceduto con le contestazioni modificative (fatto diverso) o aggiuntive (fatto nuovo), effettuate ai sensi degli artt. 516 e 517, il giudice potrà e dovrà disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero, a norma dell'art. 521, comma 3, ovvero dell'art. 23, comma 1, qualora si configuri un reato di competenza superiore (Cass. VI, n. 3063/1995). In ogni caso, al giudice spetta il potere di dichiararsi incompetente, a prescindere dalla modificazione dell'imputazione ex art. 516, quando detta decisione trovi causa in una qualificazione giuridica del fatto diversa da quella prospettata dal pubblico ministero. Secondo un altro orientamento, qualora nel corso del dibattimento il fatto risulti diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio e appartenga alla competenza per materia di un giudice superiore, non potendo il pubblico ministero modificare l'imputazione e procedere alla relativa contestazione, il giudice non può pronunciare sentenza di proscioglimento per il reato contestato, ma deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché, dopo avere emendato l'imputazione, promuova l'azione penale dinanzi al giudice competente (Cass. I, n. 27212/2010). È stato anche affermato che la restituzione al pubblico ministero degli atti concernenti l'intero oggetto del giudizio può essere possibile, previa declaratoria di incompetenza per materia, solo ove venga effettuata nel dibattimento la contestazione di un reato, di competenza superiore, che secondo l'apprezzamento del giudice ricomprende e sostituisce quello oggetto della originaria imputazione (Cass. V, n. 14696/1999). Occorre, tuttavia, chiarire che il d.lgs. n. 51/1998 ha notevolmente ridimensionato l'ambito applicativo della preclusione in esame, potendosi profilare l'incompetenza per materia del giudice procedente a favore di un giudice superiore solo nel caso in cui un fatto qualificabile come reato di competenza del tribunale venga configurato come reato per il quale è competente la corte d'assise. Viceversa, qualora nel corso del dibattimento celebrato dinanzi al tribunale in composizione monocratica il pubblico ministero modifichi l'imputazione in modo da addebitare un reato la cui cognizione appartiene, a norma dell'art. 33-bis, al tribunale in composizione collegiale oppure un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e questa non si è tenuta, i commi 1- bis e 1- ter della norma in esame dispongono, rispettivamente, che l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice e delle norme che individuano i reati per i quali è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nei casi indicati dagli artt. 519, comma 2 e 520, comma 2, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza. La rilevazione dibattimentale ad opera del tribunale in composizione monocratica della cognizione del giudice collegiale, come conseguenza di una contestazione suppletiva, comporta la trasmissione degli atti, “per via orizzontale”, al giudice collegiale, sempre che sia stata celebrata l'udienza preliminare, e non è dunque abnorme il provvedimento che non dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero, evitando la regressione del procedimento (Cass. II, n. 34183/2006; Cass. VI, n. 18195/2016). Si è precisato che qualora il pubblico ministero contesti in udienza un reato concorrente di competenza del tribunale in composizione collegiale, il giudice monocratico deve disporre la trasmissione all'ufficio dell'accusa, per la celebrazione della prescritta udienza preliminare, dei soli atti relativi all'ulteriore imputazione, non potendo ordinare anche la trasmissione di quelli relativi agli originari reati, già pervenuti alla fase del giudizio, non potendo operare la regola del simultaneus processus in relazione a reati che si trovino in differenti gradi o fasi del procedimento (Cass. VI, n. 8997/2007). L'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale monocratico determinata dalla riformulazione dell'imputazione ai sensi dell'art. 516 non legittima l'annullamento della sentenza di primo grado emessa dal tribunale in composizione collegiale, neppure se la relativa eccezione sia stata tempestivamente formulata e, in seguito, riproposta con i motivi di impugnazione, in quanto l'art. 33-octies, comma 2, dispone che il giudice di appello pronuncia nel merito anche quando riconosca che il reato avrebbe dovuto essere oggetto di cognizione da parte del giudice monocratico (Cass. V, n. 31592/2020). Poteri del giudice sulla contestazione supplettivaEssendo il pubblico ministero il dominus dell'azione penale, si ritiene che il giudice non abbia il potere di sindacato preventivo in materia. Tuttavia, a fronte di pronunce che ritengono abnorme (e, dunque, immediatamente impugnabile con il ricorso per cassazione) il provvedimento con il quale il giudice inibisce all'organo dell'accusa, nel corso del dibattimento, la modifica dell'imputazione e la contestazione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti (Cass. VI, n. 37577/2010), ve ne sono altre che respingono tale qualificazione, ritenendo che da tale provvedimento non deriva una stasi processuale, in quanto il giudice ha l'obbligo di provvedere in ordine al nuovo capo di imputazione e la sentenza emessa all'esito del dibattimento può essere utilmente impugnata dalla parte pubblica per l'omessa pronuncia sul punto (Cass. II, n. 5180/1999). Sembra preferibile la prima soluzione perché, trattandosi del medesimo fatto contestato, l'inibizione alla modifica dell'imputazione impedisce, per il principio del ne bis in idem (art. 649), un nuovo e separato esercizio dell'azione penale e il giudicato sul fatto originariamente contestato precluderà un nuovo esercizio dell'azione penale in ordine al medesimo fatto, sia pure diversamente descritto. Tuttavia, per le ragioni dianzi dette, tale principio non può valere allorché si tratti di contestare nuovi fatti di reato legati col vincolo della continuazione a quelli già contestati, giacché in tal caso — a fronte della negazione (sia pure errata) del simultaneus processus da parte del giudice — non rimane precluso il separato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. Si è, quindi, affermato che non è abnorme l'ordinanza con la quale il giudice dell'udienza preliminare, erroneamente qualificando come «fatto nuovo» un reato legato dal vincolo della continuazione a quelli già contestati, neghi al pubblico ministero la possibilità di effettuarne la contestazione in udienza ai sensi dell'art. 423, trattandosi di provvedimento che rientra comunque nel potere del giudice di autorizzare le contestazioni suppletive e che non provoca, sotto l'aspetto funzionale, alcuna stasi processuale (Cass. II, n. 10069/2015). Fuori dalla ipotesi della continuazione, si è invece ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice, erroneamente qualificando il "fatto diverso" come "fatto nuovo", neghi l'autorizzazione alla sua contestazione e disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per la mancanza di consenso dell'imputato, costituendo il provvedimento estrinsecazione di un potere che, pur essendo previsto in astratto dall'ordinamento, è esercitato in una situazione radicalmente diversa da quella contemplata dalla legge (Cass. IV, n. 10157/2020). Modifica dell'imputazione e integrazione del contraddittorioNel caso in cui il pubblico ministero proceda, sulla base delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa, a formulare nuove contestazioni, il difensore ha diritto di chiedere che la fonte dichiarativa sia nuovamente sentita con specifico riferimento ai fatti che hanno dato corpo dalla suddetta contestazione. Tuttavia, tali dichiarazioni possono essere legittimamente utilizzate dal giudice per la decisione qualora il difensore si sia limitato a prendere atto della contestazione suppletiva, senza chiedere, ai sensi dell'art. 519, commi 2 e 3, di effettuare un controesame della persona offesa specificamente relativo all'oggetto della suddetta contestazione (Cass. III, n. 47666/2014). Modifica dell'imputazione e prescrizioneL'atto con il quale il pubblico ministero modifica l'imputazione ex artt. 516-517 non ha efficacia interruttiva della prescrizione, poiché esso non è compreso nell'elenco degli atti espressamente previsti dall'art. 160, comma 2, c.p., i quali costituiscono un numerus clausus e sono insuscettibili di ampliamento per via interpretativa, stante il divieto di analogia in malam partem in materia penale (Cass. V, n. 9696/2015). Modifica dell'imputazione e termini di custodia cautelareAi fini del computo del termine massimo di custodia cautelare nella fase del giudizio non può tenersi conto delle nuove contestazioni effettuate nel dibattimento dal pubblico ministero, dovendosi fare riferimento esclusivamente all'imputazione formulata nell'originario provvedimento coercitivo, a meno che non sia intervenuta un'ulteriore ordinanza cautelare comprensiva della contestazione suppletiva. Ove, peraltro, il giudice nel corso del dibattimento si sia limitato a dare al medesimo fatto per cui si procede una diversa qualificazione giuridica, al titolo di reato così ritenuto deve aversi riguardo ai fini predetti (Cass. S.U., n. 24/2000). Modifica imputazione e parte civileNel caso in cui il pubblico ministero proceda a contestare in udienza un fatto diverso ai sensi dell'art. 516, la parte civile già costituita non deve rinnovare la costituzione, ma può limitarsi a modificare nelle conclusioni la domanda già proposta (Cass. II, n. 9933/2015). Poiché con la contestazione suppletiva ex art. 516 la persona offesa viene a conoscenza del nuovo reato, dalla data della nuova contestazione inizia a decorrere il termine generale previsto dall'art. 124, comma primo, c.p. per la presentazione della querela. Se la persona offesa si è costituita parte civile, integra una valida manifestazione del diritto di querela anche l'estensione della già avvenuta costituzione alle imputazioni oggetto di contestazione suppletiva, esprimendo tale atto la volontà della persona offesa di punizione del reo, a condizione che tale estensione intervenga entro il termine di cui sopra (Cass. VI, n. 29546/2020). Modifica dell'imputazione e recidivaIn merito alla possibilità di ritenere contestata la recidiva anche per il delitto oggetto di contestazione suppletiva, deve rilevarsi che la contestazione di una pluralità di delitti avvinti dal vincolo della continuazione determina la prospettazione della sussistenza di un unico disegno criminoso e quindi di una unica valutazione della personalità dell'imputato. Per la configurabilità della continuazione occorre, infatti, che le singole azioni od omissioni siano poste in essere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso; occorre, cioè, che le stesse siano comprese, sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nel quadro del disegno criminoso, nel senso che, fin da quando si commette la prima, già si siano delineate tutte le altre, come facenti parte di un tutto unico. Ne consegue che, in ipotesi di contestazione suppletiva legittimamente operata, la recidiva (nel caso di specie, reiterata e infraquinquennale) già contestata in relazione ai reati precedentemente contestati si estenda e debba ritenersi contestata anche in relazione all'ulteriore reato oggetto della contestazione suppletiva stessa in conseguenza della ritenuta sussistenza del vincolo della continuazione unico ed identico risultando giudizio in ordine alla esplicitata maggiore pericolosità dell'agente (Cass. II, n. 35730/2020). Casistica
Modifica dell'imputazione Costituisce modifica della contestazione ai sensi dell'art. 516: a) La specificazione della norma incriminatrice violata, non chiaramente indicata, e del presupposto da cui scaturisce l'illiceità della condotta (nella specie, l'assenza di un permesso a costruire) (Cass. III, n. 961/2014); b) il decesso della persona offesa dal reato di lesioni colpose, sopravvenuto nel corso del procedimento relativo a tale reato in conseguenza della medesima condotta già addebitata all'imputato (Cass. IV, n. 40449/2002); c) la mera estensione quantitativa dell'articolazione soggettiva, dei reati-fine oggetto del programma criminoso e dell'ambito spazio-temporale di operatività dell'associazione per delinquere di stampo mafioso (Cass. I, n. 9958/1997). Non costituisce modifica della contestazione ai sensi dell'art. 516: a) la diversa indicazione della data del commesso reato, allorché non comporti alcuna significativa modifica della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa (Cass. V, n. 4175/2014); b) la menzione di un'ulteriore vittima nella condotta originariamente ascritta all'imputato di maltrattamenti in famiglia, trattandosi di modificazione che non incide sugli aspetti fondamentali dell'imputazione (Cass. VI, n. 8368/2005); c) l'individuazione di una diversa fonte (normativa, regolamentare o fattizia) dell'obbligo gravante sull'imputato in caso di responsabilità per incidente sul lavoro derivante dall'omissione di condotte dovute in forza di una posizione di garanzia (Cass. IV, n. 10773/2000); d) la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato (Cass. IV, n. 18390/2018); e) la puntualizzanzione delle modalità esecutive di episodi originariamente contestati nella loro complessità (Cass. III, n. 16608/2016); f) l’indicazione di una diversa data di presentazione della querela (Cass. V, n. 32785/2016). BibliografiaAllegrezza, Precocità delle nuove contestazioni in dibattimento: mera irregolarità o causa di invalidità, in Cass. pen. 2000, 330; Bene, Reato permanente e modifica dell'imputazione, in Foro it. 1995, 644; Chinnici, In tema di limiti cronologici per le contestazioni suppletive, in Foro it. 2000, 713; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1996; Rafaraci, Le nuove contestazioni nel processo penale, Milano, 1996; Retico, Contestazione suppletiva e limiti cronologici per il «patteggiamento», in Giur. cost. 1994, 2168; Rivello, Il dibattimento nel processo penale, Torino, 1997. |