Codice di Procedura Penale art. 517 - Reato concorrente e circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento 1 .Reato concorrente e circostanze aggravanti risultanti dal dibattimento1. 1. Qualora nel corso dell'istruzione dibattimentale [496-515] emerga un reato connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera b), ovvero una circostanza aggravante [423] e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il giudizio [429, 450, 456, 552], il pubblico ministero contesta all'imputato [520] il reato o la circostanza, purché la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice superiore [23]. 1-bis. Si applicano le disposizioni previste dall'articolo 516, commi 1-bis e 1-ter 2.
[1] La Corte cost. ha dichiarato: con sentenza 30 giugno 1994, n. 265, l’illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 «nella parte in cui non prevedono la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, relativamente al fatto diverso o al reato concorrente contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale ovvero quando l'imputato ha tempestivamente e ritualmente proposto la richiesta di applicazione di pena in ordine alle originarie imputazioni»; con sentenza 29 dicembre 1995, n. 530, l’illegittimità costituzionale dell'art. 516 «nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di proporre domanda di oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162-bis del codice penale, relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento»; con sentenza 18 dicembre 2009, n. 333, l'illegittimità costituzionale «nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale»; con sentenza 26 ottobre 2012, n. 237, l'illegittimità nella parte in cui non prevede «la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione»; con sentenza 25 giugno 2014, n. 184, l'illegittimità nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena, a norma dell'art. 444 del codice di procedura penale, in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale»; con sentenza 9 luglio 2015, n. 139, l'illegittimità dell'articolo nella parte in cui: «nel caso di contestazione di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al reato oggetto della nuova contestazione». Con la stessa sentenza, ha dichiarato, invece, non fondata la questione di legittimità nella parte in cui: «nel caso di contestazione di un reato concorrente o di circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato anche in relazione ai reati diversi da quello che forma oggetto della nuova contestazione»; con sentenza 5 luglio 2018, n. 141, l'illegittimità costituzionale nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova; con sentenza 11 aprile 2019, n. 82 l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena, a norma dell’art. 444 c.p.p., relativamente al reato concorrente emerso nel corso del dibattimento e che forma oggetto di nuova contestazione. Da ultimo la Corte costituzionale con sentenza 14 giugno 2022, n. 146, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede, in seguito alla contestazione di reati connessi a norma dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., la facoltà dell’imputato di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli. [2] Comma prima aggiunto dall'art. 187, d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51, con effetto dalla data indicata sub art. 6 e poi così sostituito dall'art. 47, l. 16 dicembre 1999, n. 479. InquadramentoL'articolo in esame consente al pubblico ministero di ampliare l'imputazione durante il dibattimento, aggiungendo al fatto contestato circostanze aggravanti o reati connessi a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b). Lo stretto rapporto che lega la circostanza aggravante o il reato connesso ai fatti per i quali si procede giustifica l'amputazione delle attività che precedono l'integrazione dell'addebito, facendo apparire non essenziale il ritorno del processo alle fasi precedenti. Aspetti generaliLo sviluppo delle conoscenze processuali può generare l'esigenza di riconsiderare il tema dell'accusa qualora nel corso del dibattimento emergano ulteriori elementi che, senza compromettere la struttura del fatto contestato, vi aggiungano una circostanza aggravante ovvero un reato concorrente o continuato. L'art. 517 impone all'organo dell'accusa di ampliare il tema dell'imputazione «qualora nel corso dell'istruzione dibattimentale emerga un reato connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lett. b) ovvero una circostanza aggravante e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il giudizio». La contestazione suppletiva, quindi, richiede l'emersione processuale di una circostanza aggravante oppure di un fatto attribuibile all'imputato perché da questi commesso con la medesima azione od omissione descritta nell'addebito ovvero con un'azione od omissione diversa ma posta in essere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. È pacifico, infine, che nel caso di contestazione suppletiva di reato connesso, le prove acquisite precedentemente nel corso dell'istruzione dibattimentale sono legittimamente utilizzabili anche ai fini della decisione relativa ai fatti oggetto della nuova contestazione (Cass. VI, n. 39235/2011). Tuttavia, poiché alla contestazione suppletiva che modifichi l'imputazione originaria consegue un ampliamento del thema probandum, è necessario che a ciascuna parte sia garantito il pieno esercizio del diritto alla prova rispetto ai nuovi fatti emersi nel processo. Ne consegue che, se nel dibattimento viene contestata una circostanza aggravante o un reato concorrente, alla parte va riconosciuto il diritto alla prova nella medesima estensione stabilita per la fase degli atti preliminari al dibattimento, e l'ammissione delle prove medesime può essere negata solo se esse siano vietate dalle legge o manifestamente superflue o irrilevanti (Cass. VI, n. 8131/2000; Cass. V, n. 12345/2017, che ha ritenuto legittima l’utilizzazione per la decisione delle dichiarazioni testimoniali che avevano indotto il pubblico ministero ad effettuato la contestazione di un reato concorrente, in quanto il difensore si era limitato a prendere atto della contestazione suppletiva, senza chiedere, ai sensi dell'art. 519, commi 2 e 3, di effettuare un controesame delle citate fonti dichiarative in relazione all'oggetto della nuova contestazione). Per la legittimità della contestazione ex art. 517 di un reato connesso non è necessario il consenso dell'imputato, essendo sufficiente la sussistenza di un reato contestato in via principale, un rapporto di connessione quale previsto dall'art. 12, comma 1, lett b), tra la contestazione principale e quella suppletiva e la genesi di quest'ultima dall'approfondimento dibattimentale del materiale investigativo (Cass. III, n. 6443/1998). La legittimità della contestazione suppletiva va valutata al momento in cui essa viene formulata come ipotesi di accusa, da sottomettere poi al vaglio del giudizio alla stessa stregua della contestazione principale. È in tale momento che tra il reato contestato in via principale e quello contestato in via suppletiva deve esistere la connessione prevista dall'art. 12, comma 1, lett. b) (Cass. III, n. 6153/1994). Quello della nuova contestazione è un potere esclusivo del pubblico ministero, il quale, anche in considerazione dell'obbligatorietà dell'azione penale, deve vigilare sull'adeguatezza della contestazione rispetto alle risultanze probatorie procedendo ai necessari adattamenti (contra Cass. III, n. 3585/1996, che ritiene la contestazione suppletiva una mera facoltà e non un obbligo del pubblico ministero, come si ricava dall'inciso «qualora intende contestare» previsto dall'art. 520 con riferimento a nuove contestazioni all'imputato contumace o assente). Quindi, solo al magistrato inquirente compete la modificazione dell'imputazione, dovendosi escludere qualsiasi coinvolgimento dell'organo giurisdizionale, di cui occorre assicurare l'imparzialità di giudizio. Si ritiene che il giudice non abbia il potere di sindacato preventivo in materia. Tuttavia, a fronte di pronunce che ritengono abnorme (e, dunque, immediatamente impugnabile con il ricorso per cassazione) il provvedimento con il quale il giudice inibisce all'organo dell'accusa, nel corso del dibattimento, la modifica dell'imputazione e la contestazione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti (Cass. VI, n. 37577/2010), ve ne sono altre che respingono tale qualificazione, ritenendo che da tale provvedimento non derivi una stasi processuale, in quanto il giudice ha l'obbligo di provvedere in ordine al nuovo capo di imputazione e la sentenza emessa all'esito del dibattimento può essere utilmente impugnata dalla parte pubblica per l'omessa pronuncia sul punto (Cass. III, n. 29877/2017; Cass. II, n. 5180/1999). Sembra preferibile la prima soluzione perché, trattandosi del medesimo fatto contestato, l'inibizione alla modifica dell'imputazione impedisce, per il principio del ne bis in idem (art. 649), un nuovo e separato esercizio dell'azione penale e il giudicato sul fatto originariamente contestato precluderà un nuovo esercizio dell'azione penale in ordine al medesimo fatto, sia pure diversamente circostanziato. Tuttavia, per le ragioni dianzi dette, tale principio non può valere allorché si tratti di contestare nuovi fatti di reato legati col vincolo della continuazione a quelli già contestati, giacché in tal caso — a fronte della negazione (sia pure errata) del simultaneus processus da parte del giudice — non rimane precluso il separato esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero. Contestazione suppletiva e archiviazioneLa contestazione suppletiva, in quanto forma di esercizio dell'azione penale, incontra una preclusione in presenza di un provvedimento di archiviazione. Pertanto, il pubblico ministero che intende contestare il fatto oggetto di archiviazione deve chiedere al giudice la riapertura delle indagini, non potendo integrare la contestazione nel dibattimento in relazione a fatti per i quali, in presenza del decreto di archiviazione, non risulti richiesto ed emanato il prescritto decreto di riapertura delle indagini (Cass. III, n. 3739/2000). Tuttavia, secondo alcune pronunce è consentita l'integrazione dibattimentale dell'imputazione, ai sensi degli artt. 516, 517 e 518, anche sulla base di fatti per i quali sia in precedenza intervenuto provvedimento di archiviazione, quando questo sia stato adottato dal giudice per le indagini preliminari di un tribunale diverso davanti al quale è in corso il processo (Cass. I, n. 29212/2005; Cass. V, n. 45725/2005, la quale puntualizza che il decreto di archiviazione ha efficacia (limitatamente) preclusiva solo nei confronti dell'autorità giudiziaria che ha provveduto all'archiviazione. Invero, l'autorizzazione alla riapertura delle indagini, rimuovendo gli effetti della precedente valutazione di infondatezza della notizia di reato e quindi ponendosi giuridicamente come atto equipollente alla revoca, non può che provenire dallo stesso giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione ed inerire ad un sindacato sul potere di esercizio dell'azione penale di cui è titolare il pubblico ministero presso quell'ufficio giudiziario, sicché nessun ostacolo incontra l'autorità giudiziaria di altra sede a compiere accertamenti su fatti oggetto del provvedimento di archiviazione). Circostanze aggravantiDal contenuto dei primi due commi dell'art. 604 si comprende che il legislatore, con la locuzione «circostanze aggravanti» contenuta nell'art. 517, ha inteso fare riferimento alla disciplina delle «circostanze» contenuta nelle norme di diritto penale sostanziale. Del resto, come osservato dalla dottrina, ogni altro elemento del fatto, che in qualche modo «aggravi» la posizione dell'imputato, potrebbe, durante il dibattimento, essere contestato all'imputato a norma dell'art. 516 (Rafaraci, 40; Rivello, 293). In verità, secondo alcuni, la disciplina dettata dall'art. 517 con riferimento alle circostanze aggravanti sarebbe sovrabbondante in presenza di una disposizione come l'art. 516, che fa carico al pubblico ministero di modificare l'addebito sino alla chiusura dell'istruzione dibattimentale se il mutamento di uno o più elementi utilizzati per descrivere il thema decidendum rende diverso il fatto contestato. Gli elementi che integrano una circostanza aggravante, infatti, incidono comunque sulla configurazione dell'episodio storico dedotto, specificando ora le modalità della condotta, come nei casi previsti dagli artt. 61, comma 1, n. 5, 577, comma 1, n. 2 e 640, comma 2, c.p., o dell'evento, come nell'ipotesi disciplinata dall'art. 595, comma 2, c.p., ora il momento soggettivo o psicologico del reato, come nei casi enunciati dagli artt. 61, comma 1, e 577, comma 1, n. 3, c.p., ora le qualità del soggetto agente, della vittima o dell'oggetto materiale, come nelle fattispecie contemplate dagli artt. 61, comma 1, nn. 8 e 10, e 625, comma 1, nn. 6 e 8, c.p. (Rafaraci, 41, 44). Per contro, il principio di irretrattabilità dell'azione penale impedisce al pubblico ministero di eliminare, nel corso del dibattimento, una circostanza aggravante ritualmente indicata nell'originaria imputazione. Si tratta, infatti, di un potere spettante unicamente al giudice e non anche al pubblico ministero, il quale può solo integrare l'accusa (Cass. II, n. 6905/2009). Rimane ferma, ovviamente, la possibilità per la parte pubblica di chiedere l'esclusione dell'aggravante in sede di conclusioni. RecidivaOggetto delle nuove contestazioni ex art. 517 può essere anche la recidiva, come si desume sia dalla sua natura di circostanza aggravante, sia dal fatto che l'art. 519, comma 1, esclude il diritto ad un termine a difesa nel caso di contestazione in dibattimento dell'art. 99 c.p. (si veda Cass. VI, n. 5075/2014, la quale osserva che la recidiva è una circostanza aggravante e come tale, per essere ritenuta in sentenza, deve aver formato oggetto di precisa contestazione con puntuale riferimento al singolo reato cui viene riferita dal giudice, di talché non è possibile applicarla per un reato diverso da quelli in relazione ai quali la circostanza era stata formalmente contestata, essendo irrilevante l'addebito formulato nell'ordinanza di misura cautelare). Termini e modalità della contestazione suppletivaStando al tenore letterale degli artt. 516 e 517 le nuove contestazioni devono collocarsi «nel corso dell'istruzione dibattimentale». Tuttavia, si ritiene che la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante possa essere effettuata anche dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, ma prima dell'istruzione dibattimentale, e, quindi, sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari. Il magistrato inquirente può, dunque, procedere a nuove contestazioni, ai sensi degli artt. 516 e 517, anche sulla base della riconsiderazione, in sede dibattimentale, di elementi fattuali già acquisiti nella fase investigativa (Cass. S.U., n. 4/1998; Cass. II, n. 45298/2015). Al riguardo si osserva che sarebbe antieconomico attendere l'istruzione dibattimentale per calibrare l'imputazione su dati conoscitivi già disponibili. Del resto, le garanzie difensive dell'imputato non subiscono conseguenze lesive, sia perché egli già conosce il contenuto degli atti investigativi, sia perché l'art. 519 gli riconosce la possibilità di chiedere un termine a difesa, sia, infine, perché, in ordine al fatto nuovo, egli può liberamente accedere ai riti premiali, come insegnato a più riprese dalla Corte costituzionale (v. infra). Si osserva, ancora, che l'imputato che decide di affrontare il dibattimento, non richiedendo l'ammissione ad alcuno dei riti speciali e, in particolare, al giudizio abbreviato, accetta implicitamente tutte le conseguenze relative alla formazione della prova nel giudizio accusatorio, compresa la possibilità di modificazione dell'imputazione o di contestazione di reati concorrenti (Cass. V, n. 17368/2003, relativa a contestazioni suppletive formulate a seguito dell'ammissione di nuovi mezzi di prova a norma dell'art. 507). Il limite temporale alle nuove contestazioni dovrebbe essere dato dalla chiusura dell'istruzione dibattimentale. Tuttavia, poiché il codice (art. 523, comma 6) consente l'interruzione della discussione finale per assumere nuove prove qualora il giudice le ritenga «assolutamente necessarie», si ritiene che il termine ultimo per il pubblico ministero, per procedere a nuove contestazioni, vada collocato alla chiusura, non dell'istruzione dibattimentale, bensì del dibattimento (Cass. IV, n. 8959/1993). Si ritiene anche che, allo scopo di effettuare una contestazione suppletiva, possa essere interrotta la discussione finale, ferma restando la concedibilità, all'imputato, dei termini a difesa (Cass. V, n. 19008/2014). Si ritiene, infine, che la tardività della contestazione suppletiva ex art. 517 non comporti alcuna sanzione di nullità (Cass. VI, n. 931/2003). Contestazione suppletiva, incompetenza e difetto di “attribuzione”Il comma 1-bis della norma in commento richiama le disposizioni contenute nell'art. 516, comma 1-bis e 1-ter. Ne deriva che, se il reato concorrente o diversamente circostanziato contestato ai sensi dell'art. 517 risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, ovvero è incluso tra quelli per i quali è prevista l'udienza preliminare, e questa non si è tenuta, l'inosservanza delle relative disposizioni deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nei casi indicati dagli artt. 519, comma 2 e 520, comma 2, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza. Qualora, in seguito alle contestazioni di una circostanza aggravante, di un reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. b), ovvero in conseguenza di una diversa qualificazione giuridica o di un fatto nuovo, il reato risulti tra quelli attribuiti alla cognizione del tribunale per cui è prevista l'udienza preliminare e questa non si è tenuta, il giudice dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero (art. 521-bis). Si tratta di una disposizione di carattere eccezionale, in quanto costituisce deroga al principio della non regressione del procedimento e, come tale, è di stretta interpretazione. Ne consegue che ne è esclusa l'operatività allorché un reato concorrente sia contestato per la prima volta in dibattimento nell'ambito di un processo per il quale, in relazione agli altri reati, si è tenuta l'udienza preliminare ed è stato disposto il rinvio a giudizio (Cass. I, n. 25258/2004). La Consulta ha escluso che la contestazione di «reati concorrenti» durante il dibattimento possa dar luogo alla declaratoria d'incompetenza per territorio determinata dalla connessione a norma dell'art. 16, sottolineando come la preclusione fissata dagli artt. 21, comma 3, e 491, comma 1, c.p.p. risponda ad esigenze di economia processuale e non contrasti con i princìpi desumibili dagli artt. 3, 24, comma 2, e 25, comma 3, Cost. (Corte cost. n. 530/1995; Corte cost. n. 280/1994; Corte cost. n. 521/1991). Contestazione suppletiva e prescrizioneÈ controverso in giurisprudenza se, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l'aumento di pena per una circostanza aggravante possa essere valutato anche quando essa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione computato con riferimento all'originaria imputazione. Secondo una prima soluzione, ciò non sarebbe possibile in quanto, una volta maturato il termine di prescrizione, la prosecuzione del processo è incompatibile con l'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva del reato (Cass. V, n. 48205/2019). Ad avviso di altro orientamento, invece, poiché le aggravanti preesistono alla contestazione formale e debbono obbligatoriamente essere contestate, il relativo aumento di pena sarebbe valutabile anche se le stesse siano state oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato non aggravato, purché la contestazione abbia preceduto la pronuncia della sentenza (Cass. V, n. 3712/2019). Contestazione suppletiva e riti premialiLa fluidità che caratterizza l'oggetto dell'imputazione fino alla chiusura del dibattimento ha indotto a dubitare della legittimità della norma in esame sotto il profilo dell'art. 24, comma 2, Cost. Un'efficace tutela del diritto di difesa dell'imputato appare senz'altro garantita nell'ipotesi in cui l'interessato sia posto nelle condizioni di esercitare, relativamente alla diversa configurazione dell'addebito contestatogli, le stesse garanzie difensive che il legislatore gli aveva concesso con riguardo all'originaria imputazione. Ciò riguarda, in particolare, l'accesso ai riti premiali che è apparentemente precluso dall'“incolpevole” superamento dei termini per la richiesta. Questa chiave di lettura è stata seguita dalla Consulta, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24, comma 2, Cost., della norma in esame nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di: a) proporre domanda di oblazione ai sensi degli artt. 162 e 162-bis c.p. relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento (Corte cost. n. 530/1995); b) richiedere l'applicazione della pena a norma dell'art. 444, sia quando il reato concorrente contestato durante la fase del giudizio già risultava dagli atti al momento di esercizio dell'azione penale, sia quando la richiesta era già stata avanzata relativamente alle originarie imputazioni (Corte cost. n. 265/1994). La Corte ha successivamente riconosciuto all'imputato la facoltà di patteggiare anche a seguito della contestazione in dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine (Corte cost. n. 184/2014) e di un reato concorrente emerso nel corso del dibattimento (Corte cost. n. 82/2019). Va detto che con la pronuncia da ultimo adottata, la Corte costituzionale ha posto rimedio ad C'è da interrogarsi sulla ragionevolezza di un sistema irragionevole che, come vedremo di seguito, riconosceva all'imputato il diritto di accedere al giudizio abbreviato, al patteggiamento e all'oblazione nel caso di contestazione suppletiva patologica, mentre nel caso di contestazione fisiologica ammetteva solo il giudizio abbreviato e l'oblazione; c) richiedere il giudizio abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento, sia in caso di contestazioni “patologiche”, relative, cioè, a reati che già risultavano dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale (Corte cost. n. 333/2009), sia con riferimento alle contestazioni “fisiologiche”, operate, cioè, con riferimento a fatti emersi nel corso dell'istruzione dibattimentale (Corte cost. n. 237/2012). Con riferimento a quest'ultima ipotesi, la Consulta ha ritenuto che la richiesta del rito debba riferirsi ai soli reati oggetto di nuove contestazioni dibattimentali, senza che «l'imputato possa recuperare, a dibattimento inoltrato, gli effetti premiali del rito alternativo anche in rapporto all'intera platea delle imputazioni originarie, rispetto alle quali ha consapevolmente lasciato spirare il termine utile per la richiesta». La Corte ha poi esteso la reintegrazione della facoltà di accesso al rito contratto anche all'ipotesi di contestazione suppletiva concernente circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine (Corte cost. n. 139/2015). Con riferimento a quest'ultima pronuncia, la Suprema Corte ha precisato che non è possibile estendere gli effetti della declaratoria di incostituzionalità ai processi in corso alla data di deposito della decisione della Consulta qualora l'imputato, dopo la modifica dell'imputazione (con la contestazione della nuova circostanza aggravante) e prima della prosecuzione del dibattimento, non abbia richiesto di essere ammesso al giudizio abbreviato, posto che in tal caso la situazione processuale va ritenuta esaurita (Cass. I, n. 33080/2016, ad avviso della quale, se l'imputato, destinatario della contestazione suppletiva, ha invece richiesto il rito contratto e tale istanza è stata respinta dal giudice procedente, ove il giudizio sia ancora in corso al momento della emissione della sentenza della Corte costituzionale, è dovuta, in caso di condanna, la riduzione di pena di cui all'art. 442, comma 2). Trattandosi di una norma processuale, la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale non consente di far luogo alla riduzione di pena per il rito abbreviato in sede di esecuzione (Cass. I, n. 43709/2021); d ) richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova nell'ipotesi di contestazione suppletiva concernente una circostanza aggravante (Corte cost . n. 141/2018). La Corte ha, infatti, precisato che i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento ai riti premiali del giudizio abbreviato e dell'applicazione pena su richiesta delle parti di cui si è detto sopra non possono non valere anche per il nuovo procedimento speciale della messa alla prova, che ha effetti sostanziali, perché dà luogo all'estinzione del reato, ma è anche connotato da un'intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio. La Corte ha, inoltre, statuito che la facoltà di accesso al nuovo rito premiale vale in caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, a prescindere che essa sia “fisiologica” o “patologica” , in quanto «ciò che rileva è la sopravvenienza di una contestazione, quali che siano gli elementi che l'hanno giustificata, esistenti fin dalle indagini o acquisiti nel corso del dibattimento». Successivamente, la Consulta ha introdotto la possibilità di accedere al meccanismo estintivo di cui agli artt. 168-bis e ss. c.p. anche nell'ipotesi in cui il Pubblico Ministero contesti in dibattimento reati connessi a quello per cui si procede (Corte cost. n. 146/2022), precisando che l'imputato, in tal caso, dovrà scegliere se chiedere di essere sottoposto alla prova, ovvero se proseguire il processo nelle forme ordinarie, rispetto a tutti i reati contestati, compresi quelli oggetto dell'imputazione originaria, in quanto l'accentuata vocazione risocializzante che caratterizza il rito in esame, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità, si oppone alla possibilità di una messa alla prova “parziale”, ossia relativa ad alcuni soltanto dei reati contestati. Va detto che sotto tale profilo il meccanismo di recupero disegnato dalla Corte diverge da quanto statuito in tema di giudizio abbreviato, che, come visto sopra, non è recuperabile per le imputazioni originarie. Ad avviso della Consulta, le due situazioni non sono equiparabili perché «diversamente da quanto accade nel rito abbreviato, nella messa alla prova convivono un'anima processuale e una sostanziale. Da un lato, l'istituto è uno strumento di definizione alternativa del procedimento, che si inquadra a buon diritto tra i riti alternativi (sentenze n. 14 del 2020, n. 91 del 2018 e n. 240 del 2015); al contempo, esso disegna un percorso rieducativo e riparativo, alternativo al processo e alla pena, ma con innegabili connotazioni sanzionatorie (sentenza n. 68 del 2019), che conduce, in caso di esito positivo, all'estinzione del reato». Si è, invece, escluso che, in caso di contestazione di un reato concorrente o di circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale, l'imputato abbia la facoltà di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato anche in relazione ai reati diversi da quello che ha formato oggetto della nuova contestazione (Corte cost. n. 139/2015). In tal caso, secondo la Corte, «l'imputato stesso verrebbe a trovarsi in posizione non già uguale, ma addirittura privilegiata rispetto a quella in cui si sarebbe trovato se la contestazione fosse avvenuta nei modi ordinari». Anche dopo gli interventi della Consulta rimane esclusa la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato in relazione alla contestazione di circostanze aggravanti emerse nel corso del dibattimento. La differenza di trattamento con la contestazione tardiva o patologica di circostanze aggravanti appare francamente irragionevole rispetto ai parametri di cui agli artt. 3, comma1 e 24, comma 2, Cost. In ogni caso, quando l'imputato si avvale della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato in ordine al reato concorrente, vi dovrebbe essere una separazione dei procedimenti. Tuttavia, si è affermato in giurisprudenza che la trattazione congiunta del rito speciale con quello ordinario nei confronti degli imputati che non abbiano formulato la relativa istanza non è causa di abnormità o di nullità della decisione, né, tanto meno, di una situazione di incompatibilità suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione per il giudice, poiché la coesistenza dei procedimenti comporta solo la necessità che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (Cass. VI, n. 16365/2012, relativa a ricusazione nei confronti dei componenti il collegio chiamato a giudicare gli imputati di un'associazione per delinquere di stampo mafioso, proposta dai difensori dopo che, nel corso del dibattimento di primo grado, uno dei coimputati aveva formulato richiesta di rito abbreviato a seguito delle contestazioni suppletive rivoltegli). Va, infine, rilevato che la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità degli artt. 441 e 441-bis, nella parte in cui non prevedono che, nel giudizio abbreviato, il pubblico ministero possa effettuare contestazioni suppletive, nei casi di cui all'art. 12, comma 1, lett. b), anche in assenza di integrazioni probatorie disposte dal giudice e sulla base di fatti e circostanze già in atti e noti all'imputato. Secondo il ragionamento della Consulta, solo nel caso di integrazione probatoria e solo in presenza di nuove risultanze derivanti da essa, e non anche in forza di quanto era precedentemente noto alle parti, si può effettuare la contestazione suppletiva nel corso del giudizio abbreviato (Corte cost. n. 140/2010). Come vedremo oltre, il sistema delineato dagli interventi additivi della Consulta è stato da ultimo recepito dal legislatore con il d.lgs. 10 ottobre 2022,n 150 (c.d. riforma Cartabia). Con l'intento di razionalizzare e generalizzare il diritto dell'imputato ad accedere ai riti premiali nei casi di modifica, di qualunque tipo, dell'imputazione, si è intervenuti sull'art. 519, inserendo, al primo comma, gli avvisi che il giudice deve dare all'imputato in caso di modifica dell'accusa e, al secondo comma, i poteri che competono alla parte in caso di nuova contestazione (ottenere un termine a difesa, chiedere l'accesso ai procedimenti speciali, chiedere l'ammissione di nuove prove). Per quanto riguarda l'oblazione, si è intervenuti sull'art. 141, comma 4-bis, disp. att. c.p.p., al fine di chiarire che la rimessione dell'imputato in termini per richiederla è possibile non solo nel caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale l'oblazione stessa sia ammissibile, ma anche nel caso di nuove contestazioni ai sensi degli artt. 517 e 518. Contestazione suppletiva e termini di custodia cautelareAi fini del computo del termine massimo di custodia cautelare nella fase del giudizio non può tenersi conto delle nuove contestazioni effettuate nel dibattimento dal pubblico ministero, dovendosi fare riferimento esclusivamente all'imputazione formulata nell'originario provvedimento coercitivo, a meno che non sia intervenuta un'ulteriore ordinanza cautelare comprensiva della contestazione suppletiva. Ove, peraltro, il giudice nel corso del dibattimento si sia limitato a dare al medesimo fatto per cui si procede una diversa qualificazione giuridica, al titolo di reato così ritenuto deve aversi riguardo ai fini predetti (Cass. S.U., n. 24/2000). Contestazione suppletiva e parte civileIn caso di nuove contestazioni effettuate dal pubblico ministero ai sensi degli artt. 516, 517 e 518 la persona offesa che non sia costituita parte civile ha diritto alla sospensione del dibattimento, perché le sia consentito di valutare l'opportunità di esercitare l'azione civile nel processo penale con riferimento alla nuova contestazione (Cass. V, n. 12732/2000), mentre la già costituita parte civile potrà limitarsi a modificare la domanda, estendendola alla ulteriore contestazione, sia con riferimento alla causa petendi, che al petitum del già esistente rapporto processuale (Cass. II, n. 40921/2005). CasisticaLa contestazione in udienza del reato di violazione dei sigilli (art. 349 c.p.) collegato alle contravvenzioni edilizie ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b), non rientra nella previsione della contestazione di «fatto nuovo» prevista dall'art. 518, bensì in quella del reato concorrente disciplinata dall'art. 517 (Cass. III, n. 14018/2005). Non può procedersi a contestazione suppletiva del reato di guida in stato di ebbrezza nei confronti di imputato per il reato di rifiuto di sottoporsi ad alcoltest, in quanto non ricorre connessione qualificata tra i due reati a norma dell'art. 12, comma 1, lett. b) (Cass. IV, n. 30255/2013). BibliografiaV. sub art. 516. |