Codice di Procedura Penale art. 519 - Diritti delle parti.

Alessandro Trinci

Diritti delle parti.

1. Nei casi previsti dagli articoli 516, 517 e 518, comma 2, salvo che la contestazione abbia per oggetto la recidiva [99 c.p.], il presidente informa l'imputato che può chiedere un termine per la difesa e formulare richiesta di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 o di sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché di richiedere l'ammissione di nuove prove1.

 2. Se l'imputato fa richiesta di un termine per la difesa, il presidente sospende il dibattimento per un tempo non inferiore al termine per comparire previsto dall'articolo 429, ma comunque non superiore a quaranta giorni. In ogni caso l'imputato può, a pena di decadenza entro l'udienza successiva, formulare richiesta di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 o di sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché richiedere l'ammissione di nuove prove2.

3. Il presidente dispone la citazione della persona offesa [178, 180], osservando un termine non inferiore a cinque giorni3.

 

[1] Comma modificato dall'art. 30, comma 1, lett. l, n.1 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha aggiunto le parole: «e formulare richiesta di giudizio abbreviato, di applicazione della pena a norma dell'articolo 444 o di sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché di richiedere l'ammissione di nuove prove» dopo le parole «per la difesa».  Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. 

[2] Comma sostituito dall'art. 30, comma 1, lett. l, n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150; per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Precedentemente la Corte cost., con sentenza 3 giugno 1992, n. 241, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma nel testo precedente alla modifica : a) «nella parte in cui nei casi previsti dall'art. 516 c.p.p., non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove»; b) dell'inciso «a norma dell'articolo 507» e successivamente la Corte cost., con sentenza 20 febbraio 1995, n. 50, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma  nel testo precedente alla modifica «nella parte in cui, in caso di nuova contestazione effettuata a norma dell'art. 517 del medesimo codice, non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove».

[3] Per una sentenza interpretativa della Corte costituzionale (n. 98 del 1996), relativa alla facoltà della persona offesa citata ex art. 519 c.p.p. di costituirsi parte civile anche oltre il termine fissato dall'art. 79 c.p.p., v. sub art. 79.

Inquadramento

L'articolo in esame disciplina il diritto dell'imputato ad ottenere un termine a difesa, l'ammissione di nuove prove e l'accesso a riti premiali qualora l'imputazione venga ampliata o modificata a seguito di contestazioni suppletive ex artt. 516, 517 e 518, comma 2.

Nuove prove

Il mutamento del thema probandum derivante dalle contestazioni effettuate nei casi previsti dagli artt. 516,517 e 518, comma 2, richiede la celebrazione una nuova istruzione probatoria (Tornatore, 1062).

Tuttavia, il capoverso dell'art. 519, nella sua formulazione originaria, limitava la possibilità di introdurre, su iniziativa di parte, prove non ammesse in precedenza, in quanto, da un lato, attribuiva soltanto all'imputato il potere di chiedere l'ammissione di prove dopo la modifica o l'ampliamento dell'imputazione e, dall'altro, imponeva al giudice di decidere se ammettere o meno tali prove attenendosi non ai criteri enunciati nell'art. 190, bensì al criterio di carattere eccezionale dettato dall'art. 507.

La Consultaaveva rimosso i suddetti limiti, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 519, comma 2, sia nella parte in cui, nei casi previsti dagli artt. art. 516 e 517, «non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove» (Corte cost. n. 241/1992; Corte cost. n. 50/1995), sia dell'inciso «a norma dell'articolo 507» (Corte cost. n. 241/1992).

Venuto meno a seguito dell'intervento della Consulta, il riferimento al parametro eccezionale dell'assoluta necessità della nuova prova, si è affermato che il giudice del dibattimento, dopo la modifica o l'ampliamento dell'imputazione, deve valutare l'ammissibilità delle nuove prove richieste dalle parti alla stregua dei criteri enunciati nell'art. 190, escludendo solo quelle che risultino vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti (Giuliani, 1129; Rafaraci, 187; Scaparone, 1866).

Nella stessa direzione si è mossa la giurisprudenza, affermando che a seguito dell'ampliamento del thema probandum, conseguente alla contestazione suppletiva che modifichi l'imputazione originaria, è necessario che a ciascuna parte sia garantito il pieno esercizio del diritto alla prova rispetto ai nuovi fatti emersi nel processo. Ne consegue che alla parte va riconosciuto il diritto alla prova nella medesima estensione stabilita per la fase degli atti preliminari al dibattimento, e l'ammissione delle prove medesime può essere negata solo se esse siano vietate dalle legge o manifestamente superflue o irrilevanti (Cass. VI, n. 8131/2000).

Resta ferma la possibilità di utilizzare le prove acquisite precedentemente nel corso dell'istruzione dibattimentale anche ai fini della decisione relativa ai fatti oggetto della nuova contestazione (Cass. VI, n. 39235/2011).

Più specificatamente, se la contestazione suppletiva si basa sulle dichiarazioni testimoniali della persona offesa, tali affermazioni possono essere legittimamente utilizzate dal giudice per la decisione qualora il difensore si sia limitato a prendere atto della contestazione suppletiva, senza chiedere, ai sensi dell'art. 519, commi 2 e 3, di effettuare un controesame della persona offesa specificamente relativo all'oggetto della suddetta contestazione (Cass. III, n. 47666/2014).

Per quanto attiene alle modalità e ai termini per l'introduzione delle nuove prove, la dottrina distingue a seconda che vi sia stata o meno sospensione del dibattimento. Nel primo caso, essendovi la reviviscenza della fase predibattimentale, le parti sarebbero onerate di depositare la lista dei testimoni di cui all'art. 468 (Giarda, 1111; Rafaraci, 193). Nel secondo caso, invece, le richieste probatorie dovranno essere effettuate subito dopo la nuova contestazione (Rafaraci, 194).

Da ultimo, il legislatore, con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), nel riscrivere il comma in esame ha eliminato il riferimento all'art. 507. Nella Relazione illustrativa si legge che la soppressione ha la finalità di adeguare la norma alla sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 1992; tuttavia, la novella ha omesso di inserire nella nuova formulazione l'estensione dei poteri probatori alle altre parti processuali, come statuito dalla medesima pronuncia della Consulta. Va escluso che la volontà del legislatore sia quella di limitare al solo imputato la facoltà di chiedere nuove prove, perché in questo caso si riproporrebbero per la nuova norma le medesime criticità che avevano portato alla declaratoria di incostituzionalità della norma previgente. Tuttavia, deve segnalarsi che, essendo venuta meno la disposizione addizionata, non è chiaro se quanto statuito dalla Consulta possa valere anche per la nuova norma (magari con il consolidamento di un diritto vivente nel senso indicato dai giudici costituzionali) o se occorra un secondo intervento additivo che rimedi all'omissione legislativa. 

Termine a difesa

Per consentire all'imputato di preparare al meglio la propria strategia difensiva, la norma in esame prevede che egli (o il suo difensore: Cass. IV, n. 11783/1995), dopo la contestazione suppletiva, possa usufruire di un termine a difesa.

Il giudice, subito dopo la contestazione, deve avvertire l'imputato che ha il diritto di chiedere il suddetto termine e, a fronte della richiesta, deve concedere la sospensione del dibattimento.

Ad avviso della giurisprudenza, l'omesso avviso integra una nullità a regime intermedio. Tuttavia, secondo alcune pronunce, tale patologia dovrebbe essere dedotta, quanto meno, con i motivi di appello (Cass. II, n. 9876/2000), mentre in altre decisioni si ritiene che debba essere dedotta dal difensore presente prima di ogni altra difesa (Cass. IV, n. 33869/2020Cass. III, n. 16848/2010).

Va detto che in alcune pronunce si è ritenuto che l'omesso avviso non configuri alcuna nullità della sentenza se dal verbale di udienza emerge che, dopo la contestazione, nulla abbiano opposto le difese (Cass. III, n. 1735/1998; nel caso di specie, però, a fronte della nuova contestazione e nonostante la mancata opposizione dell'imputato e del difensore, era stato accordato un termine di gran lunga superiore a quello previsto dalla legge, pur senza indicare specificamente che si trattava di termine a difesa).

Per quanto riguarda la durata, stante il richiamo all'art. 429, comma 4, il termine a difesa non può essere inferiore a venti giorni, con evidente deroga all'art. 477, comma 2, che fissa in dieci giorni il termine massimo di durata della sospensione del dibattimento.

Secondo alcuni autori, la suddetta durata vale anche per il giudice monocratico, che, pertanto, nel corso del dibattimento instaurato con decreto di citazione diretta a giudizio, non potrebbe accordare una dilazione maggiore, benché l'art. 552, comma 3, fissi in sessanta giorni il termine di comparizione (Rafaraci, 180).

La norma in commento prevede anche una durata massima, in quanto stabilisce che il dibattimento non può essere sospeso per un tempo superiore a quaranta giorni. La dottrina, però, ritiene che tale termine abbia natura ordinatoria, di talché la sua inosservanza non darebbe luogo a nullità (Fassone, 876).

Viceversa, la concessione di un termine inferiore al minimo costituisce una violazione del diritto di difesa che integra una nullità a regime intermedioex art. 178, comma 1, lett. c).

Nei confronti dell'imputato assente la durata del termine a difesa inizia a decorrere dalla data di notificazione del verbale di udienza (Cass. VI, n. 4060/1998).

In udienza preliminare, invece, la modifica dell'imputazione o la nuova contestazione ai sensi dell'art. 423 c.p.p. non comporta la concessione di un termine a difesa, sia nel caso in cui l'imputato sia presente sia nel caso in cui questi risulti assente o contumace (Cass. III, n. 15927/2009).

Accesso ai riti alternativi

Nella sua formulazione originaria, la norma non prevedeva ulteriori avvisi oltre a quello sul termine a difesa. Ciò era consequenziale ad un sistema che consentiva all'imputato di esercitare il diritto alla prova in ordine all'imputazione ampliata o modificata, ma non di accedere ad una definizione alternativa della nuova regiudicanda. Come già rilevato commentando gli artt. 516 e 517, tale assetto è stato profondamente modificato da una serie di pronunce additive della Consulta che hanno aperto alla possibilità di accedere ai riti premiali (giudizio abbreviato, patteggiamento, sospensione del procedimento con messa alla prova e oblazione) in ordina sia alle contestazioni fisiologiche che a quelle patologiche. Da ultimo, il legislatore, con il d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), ha inteso razionalizzare e generalizzare il diritto dell'imputato ad accedere ai riti premiali a seguito di una qualunque modifica dell'imputazione. A tal fine, riscrivendo il secondo comma della disposizione in commento, è stato previsto, con una disposizione immediatamente efficace, che l'imputato, nell'udienza in cui il Pubblico Ministero effettua la contestazione suppletiva o, a pena decadenza, nell'udienza successiva, se fruisce di un termine a difesa, possa chiedere il giudizio abbreviato, l'applicazione della pena o la sospensione del procedimento con messa alla prova. Di tale facoltà l'imputato dovrà essere avvisato dal giudice all'esito della contestazione suppletiva. L'omessa formulazione dell'avviso potrebbe integrare una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), che è sanata se il difensore non la eccepisce immediatamente.

La giurisprudenza ha chiarito la disposizione in esame, come modificata dal d.lgs. n. 150/2022, ha natura processuale, con la conseguenza che, in assenza di una norma transitoria, la sua applicazione alle fattispecie anteriori alla riforma non è regolata dal principio della necessaria retroattività della disposizione più favorevole, ma dal criterio generale tempus regit actum (Cass. V, n. 13014/2024).

Per quanto riguarda l'oblazione, si è intervenuti sull'art. 141, comma 4-bis, disp. att. c.p.p., al fine di chiarire che la rimessione dell'imputato in termini per richiederla è possibile non solo nel caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale l'oblazione stessa sia ammissibile, ma anche nel caso di nuove contestazioni ai sensi degli artt. 517 e 518.

Recidiva

Il giudice non deve avvisare l'imputato della facoltà di richiedere un termine a difesa se la nuova contestazione ha ad oggetto la recidiva (art. 519, comma 1).

Secondo alcuni autori, il legislatore, escludendo in modo esplicito il diritto dell'imputato all'avvertimento, avrebbe inteso negargli il diritto al termine a difesa previsto dal capoverso del medesimo articolo (Rafaraci, 178). Si è, infatti, osservato che la recidiva deve essere considerata alla stregua di «una semplice qualificazione giuridica del fatto» (Rivello, 301) cui si addiviene soltanto «sulla base dei precedenti penali» dell'imputato desumibili dal certificato del casellario giudiziale (Marini, in Chiavario, V, 1991, 468), che non può dare origine ad un'attività difensiva diversa dagli argomenti esponibili in sede di discussione.

Nello stesso senso si è espressa la Suprema Corte, che ha dichiarato manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale del primo comma dell'art. 519, nella parte in cui assegna all'imputato il diritto ad ottenere un termine a difesa nel caso di contestazione di circostanze aggravanti facendo eccezione per l'ipotesi di contestazione della recidiva, ritenendo che tale eccezione trovi la sua ragion d'essere obiettiva nel fatto che i precedenti penali non rappresentano fatti nuovi, essendo ovviamente noti all'imputato. Pertanto, la contestazione di essi non suscita l'esigenza di una speciale attività difensiva che necessiti di un termine ulteriore (Cass. III, n. 14269/1999).

Gli stessi argomenti sono stati spesi dalla dottrina per sostenere che il termine a difesa non andrebbe concesso neppure quando, durante il dibattimento, il pubblico ministero contesti all'imputato una circostanza che può comportare l'applicazione di una misura di sicurezza. Anche in questa ipotesi, come nel caso in cui venga contestata la recidiva, le attività difensive si ridurrebbero alla confutazione, mediante «argomenti esponibili in sede di discussione», di dati documentali acquisiti prima dell'ampliamento dell'addebito (Marini, 468; Rafaraci, 179).

Citazione della persona offesa e costituzione di parte civile

Qualora a seguito della modifica o dell'ampliamento dell'imputazione sia individuabile una nuova persona offesa, il comma terzo dell'art. 519 impone al giudice di disporne la citazione, osservando un termine dilatorio non inferiore a cinque giorni.

Si ritiene che analogo termine vada concesso anche alla persona offesa presente, onde potersi eventualmente costituire parte civile per la nuova udienza, nonché alla parte civile già costituita. Si osserva, infatti, che quando nel corso del dibattimento il pubblico ministero procede ad effettuare nuove contestazioni, viene introdotta nel procedimento penale una nuova causa petendi contro l'imputato, in relazione alla quale la persona offesa deve essere messa in grado di valutare se esercitare l'azione civile nella sede penale, prima che sullo stesso fatto-reato si apra l'istruzione dibattimentale (Corte cost. n. 98/1996). A maggior ragione deve essere data la possibilità alla persona offesa già costituita parte civile di modificare il rapporto già costituitosi, estendendolo anche alla nuova contestazione (Cass. III, n. 10660/1995).

Alcuni autori ritengono che il diritto alla costituzione di parte civile vada riconosciuto, altresì, alla persona offesa citata, ma mai comparsa in giudizio e non costituitasi parte civile (Rafaraci, 160 e 165) e a colui che, pur non essendo persona offesa dal reato oggetto di nuova contestazione, assuma rispetto a questo la qualità di danneggiato (Suraci, in Spangher, 477).

È stato, infine, asserito che il giudice, dopo le nuove contestazioni dibattimentali, avrebbe l'obbligo di disporre, a norma dell'art. 519, comma 3, c.p.p., anche la citazione degli enti e delle associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato (Rivello, 305).

Bibliografia

V. sub art. 516; Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, in Sist. pen., 2 novembre 2022;Giarda, Nuove contestazioni e diritto alla prova: l'oralità in pericolo, in Corr. giur. 1992, 1108; Giuliani, Modificazione dell'imputazione in dibattimento e diritto alla prova, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1993, 1129; Scaparone, Nuove contestazioni e principio di ragionevolezza, in Giur. cost. 1995, 1866; Tornatore, Modifica dibattimentale dell'imputazione e diritto alla prova, in Cass. pen. 1993, 638, 1061.

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