Codice di Procedura Penale art. 523 - Svolgimento della discussione 1 .Svolgimento della discussione1. 1. Esaurita l'assunzione delle prove [496, 515], il pubblico ministero e successivamente i difensori [96, 97, 100] della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell'imputato formulano e illustrano le rispettive conclusioni, anche in ordine alle ipotesi previste dall'articolo 533, comma 3-bis 2. 2. La parte civile presenta conclusioni scritte, che devono comprendere, quando sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare. 3. Il presidente dirige la discussione e impedisce ogni divagazione, ripetizione e interruzione [470]. 4. Il pubblico ministero e i difensori delle parti private possono replicare [614 4]; la replica è ammessa una sola volta e deve essere contenuta nei limiti strettamente necessari per la confutazione degli argomenti avversari. 5. In ogni caso l'imputato [475 3] e il difensore devono avere, a pena di nullità [181, 182], la parola per ultimi se la domandano. 6. La discussione non può essere interrotta per l'assunzione di nuove prove, se non in caso di assoluta necessità. Se questa si verifica, il giudice provvede a norma dell'articolo 507.
[1] Per talune disposizioni per favorire l'esercizio dell’attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, in particolare per il collegamento da remoto per la partecipazione alle udienze o nel corso delle indagini preliminari vedi l’art. 23, comma 5, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modif., in l. 18 dicembre 2020, n. 176. [2] Comma modificato dall'art. 4 comma 1-bis d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4. InquadramentoL'art. 523 regola lo svolgimento della discussione, che ha luogo « esaurita l'assunzione delle prove »: nessuna sanzione è, tuttavia, prevista per il caso, molto frequente nella pratica, che vi sia soluzione di continuità tra la fine dell'istruzione dibattimentale e l'inizio della discussione. La chiusura dell'istruzione dibattimentale
Profili generali Non occorre un provvedimento (peraltro lodevolmente diffuso nella prassi) che dichiari formalmente chiusa l'istruzione dibattimentale e dia inizio alla discussione: è senz'altro sufficiente che il giudice conceda al P.m. la facoltà di concludere per primo (secondo l'ordine previsto dall'art. 523, comma 1). Nel caso in cui l’istruzione dibattimentale venga dichiarata chiusa senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa, e le parti, prestando acquiescenza all’invito del giudice, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell'istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata (Cass. V, n. 7108/2016). Lo scioglimento delle riserve Prima dell'inizio della discussione il giudice deve sciogliere le eventuali riserve formulate in ordine a questioni incidentali. In un caso nel quale gli imputati avevano chiesto in appello l'ammissione di prove nuove asseritamente sopravvenute e/o scoperte dopo il giudizio (celebrato con rito abbreviato) di primo grado, e la Corte di appello si era riservata in merito al provvedimento ammissivo, sciogliendo la riserva soltanto con la sentenza, la giurisprudenza (Cass. IV, n. 43473/2010) ha ritenuto che, ex artt. 495, comma 1, e 190, la decisione avrebbe dovuto aver luogo « senza ritardo », con ordinanza emessa nel contraddittorio delle parti « prima della chiusura del dibattimento », evidenziando che lo scioglimento soltanto in sentenza della riserva formulata dalla Corte territoriale « ha creato incertezza alle parti in ordine al materiale di discussione, situazione contraria al sistema », ed ha conseguentemente annullato con rinvio la sentenza impugnata. Il deposito del verbale stenotipico La giurisprudenza ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 523, sollevata per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede che la discussione finale avvenga dopo il deposito della trascrizione del verbale redatto con il mezzo della stenotipia e che le parti possano chiedere la sospensione o il rinvio del processo in attesa di detto deposito (Cass. IV, n. 8007/1996): i diritti della difesa sono, infatti, adeguatamente tutelati dalla presenza in udienza, ed eventuali difformità della verbalizzazione rispetto alla realtà possono essere fatte valere nelle fasi successive del giudizio, od in separata sede (in caso di querela di falso). L'istanza di oblazione L'inizio della discussione finale nel dibattimento di primo grado costituisce l'ultimo momento utile per riproporre l'istanza di oblazione in precedenza respinta: la giurisprudenza ha, pertanto, ritenuto tardiva la richiesta formulata dall'imputato dopo le conclusioni del P.m. (Cass. III, n. 43770/2012). La discussione
Profili generali Nell'ambito della discussione, che si svolge oralmente (nel rispetto dei principi dell'oralità e del contraddittorio), è possibile distinguere il momento argomentativo (consistente nell'esposizione delle ragioni di fatto o di diritto poste a sostegno delle proprie conclusioni) e quello della formulazione delle conclusioni: il primo momento è facoltativo per tutte le parti (in particolare, non è configurabile alcuna nullità, ma al più un illecito disciplinare, nel caso in cui il P.m. non abbia esposto le argomentazioni poste a sostegno delle proprie conclusioni); l'altro è obbligatorio per la parte civile (in relazione alla quale l'art. 523, comma 2, prevede l'obbligo di presentare conclusioni scritte, comprendenti, ove sia richiesto il risarcimento dei danni, anche la determinazione del loro ammontare), e facoltativo per le altri parti (purché ciascuna sia stata messa oggettivamente in condizione di concludere). La formulazione delle conclusioni Le conclusioni orali vengono consacrate per iscritto nel verbale redatto dal cancelliere. È, peraltro, consentito il deposito di note conclusive scritte, ex art. 121, comma 1: in tal caso, tuttavia, le controparti hanno diritto ad un termine congruo per prenderne cognizione, potendo accadere che alcune argomentazioni (che potrebbe essere importante confutare) siano state sviluppate soltanto in dette memorie, ma non nelle difese orali. La giurisprudenza ha chiarito che la facoltà di presentare note conclusive scritte nel corso della discussione, non può essere estesa sino al punto di introdurre nel processo una consulenza tecnica di parte (Cass. I, n. 8511/1992). Le conclusioni del P.m.In applicazione del principio di tassatività delle nullità (art. 177), la giurisprudenza ritiene che non dia luogo a nullità il fatto che nel corso della discussione finale abbiano preso la parola non uno, ma due rappresentanti dell'ufficio del P.m. su tutte le questioni oggetto di decisione (Cass. VI, n. 10851/1996); non dà luogo a nullità generale per difetto di partecipazione al procedimento del P.m. neanche il fatto che questi si sia limitato a rassegnare le proprie conclusioni solo in rito e non anche nel merito, in quanto il dovere di partecipazione deve essere valutato in ordine all' an e non al quomodo, e comunque la formulazione soltanto di determinate conclusioni rientra nell'ambito di discrezionalità tecnica del P.m. (Cass. III, n. 5498/2009). Le conclusioni della parte civile
Profili generali Il danno del quale si chiede il risarcimento può essere anche simbolico, in quanto anche in questo caso non viene meno — dato il carattere pur sempre economicamente apprezzabile del bene richiesto — l'interesse patrimoniale del danneggiato ad esperire nel processo penale l'azione civile (Cass. I, n. 4978/1979, che ha ritenuto non revocata tacitamente la costituzione di parte civile, in presenza della domanda conclusiva di risarcimento del danno contenuta nella misura simbolica di mille lire; conforme, Cass. VI, n. 10722/1984). La mancata determinazione del danno risarcibile Si è discusso sulla possibilità, o meno, per la parte civile di concludere senza determinare l'entità del danno. La giurisprudenza meno recente riteneva che, a norma dell'art. 523, comma 2, le conclusioni scritte della parte civile devono ricomprendere, nel caso in cui sia chiesto il risarcimento di un danno, la determinazione del suo ammontare; in mancanza di una precisa indicazione al riguardo, la costituzione di parte civile si riteneva, ai sensi dell'art. 82, comma 2, tacitamente revocata; la necessità di determinare l'ammontare dei danni veniva si giustificata richiamando la facoltà riconosciuta al giudice dall'art. 539 di procedere alla loro liquidazione con la stessa sentenza di condanna, che non potrebbe essere esercitata, qualora il giudice ritenga acquisite in atti prove sufficienti a consentire l'immediata liquidazione dei danni, se la parte non li abbia quantificati (Cass. I, 28 giugno 1996). La giurisprudenza attualmente dominante ritiene, al contrario, che l'omessa indicazione, nelle conclusioni scritte della parte civile, dell'ammontare dei danni di cui si chiede il risarcimento, non produca alcuna nullità, né impedisca al giudice di pronunciare la condanna generica al risarcimento del danno, poiché l'unica condizione essenziale dell'esercizio dell'azione civile in sede penale è la richiesta di risarcimento, la cui entità può essere precisata in altra sede dalla stessa parte o rimessa alla prudente valutazione del giudice (Cass. I, n. 11124/1997; Cass. II, n. 3792/1997; Cass. IV, n. 13195/2005; Cass. V, n. 23694/2003; Cass. VI, n. 7128/2016). La revoca implicita della costituzione: casi normativamente previsti L'art. 82, comma 2, prima parte, stabilisce che la costituzione si intende revocata se la parte civile non presenta le conclusioni. Questa revoca tacita ex lege della costituzione non preclude il successivo esercizio della medesima azione in sede civile (art. 82, comma 4); in tal caso, tuttavia, il giudice penale non può decidere in ordine alle spese ed ai danni che l'intervento della parte civile abbia cagionato all'imputato ed al responsabile civile: la relativa azione va proposta in sede civile (art. 82, comma 3). Si è ritenuto che, ai sensi degli artt. 82, comma 2, e 523, comma 2 la mancata presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio di primo grado configura revoca tacita della costituzione in giudizio in quanto, trattandosi di pretesa civilistica, è necessario acquisire processualmente, con stabile documentazione, le precise richieste del danneggiato (Cass. I, n. 19380/2017: fattispecie nella quale la S.C. ha dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile la cui costituzione doveva ritenersi tacitamente revocata per la mancata presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio di primo grado). La predetta disciplina non applicabile nel caso in cui il giudice abbia invitato le parti a concludere esclusivamente su questioni pregiudiziali ed abbia quindi pronunciato sentenza di proscioglimento, poiché l'art. 82, comma 2, fa specificamente riferimento alle conclusioni presentate a norma dell'art. 523 al termine dell'istruzione dibattimentale (Cass. V, n. 8334/1996 e Cass. n. 7771/2009, entrambe in fattispecie nelle quali il giudice, dopo aver sollecitato alle parti conclusioni in ordine a questioni pregiudiziali, aveva prosciolto l'imputato per tardività della querela). Si è successivamente precisato che non determina revoca implicita della costituzione l'assenza della parte civile all'udienza di discussione nel giudizio di primo grado, se le conclusioni siano state in precedenza formulate in forma scritta (Cass. IV, n. 3746/2020). Il secondo caso di revoca tacita normativamente previsto si ha quando la parte trasferisca l'azione in sede civile (art. 82, comma 2, seconda parte). Segue . Casi controversi Secondo la giurisprudenza di legittimità, costituisce revoca implicita della costituzione di parte civile la formulazione nel giudizio di primo grado di conclusioni orali consistenti nella richiesta « di condanna degli imputati come richiesto dal pubblico ministero », senza alcun richiamo alle conclusioni scritte già depositate, documentanti la richiesta risarcitoria avanzata (Cass. V, n. 6641/2014); inoltre, si ha revoca tacita della costituzione di parte civile nell'ipotesi in cui la parte civile revochi il proprio difensore nominandone un altro, ma ometta di conferire a quest'ultimo la procura speciale per legittimarlo allo ius postulandi, ai sensi dell'art. 100, non potendo tale situazione ritenersi sanata dalla presenza personale della parte in udienza (Cass. V, n. 43479/2015: la S.C. ha anche evidenziato che la procura speciale ex art. 100 si differenzia da quella prevista dall'art. 122 stesso codice, in quanto quest'ultima ha la funzione di attribuire al procuratore la capacità di essere soggetto del rapporto processuale, mentre la prima ha riguardo al conferimento della rappresentanza tecnica della parte). Una giurisprudenza di merito ha ritenuto revocata la costituzione nel caso in cui la parte civile concluda chiedendo soltanto affermarsi la responsabilità penale dell'imputato e la condanna alla rifusione delle spese e competenze del giudizio, senza alcun risarcimento del danno (Trib. Macerata, 24 gennaio 1997, n. 16, con la precisazione che la richiesta, ex artt. 541 e 153 disp. att., della condanna alle spese di costituzione ed assistenza della parte civile rappresenta mero accessorio, logicamente successivo rispetto all'accoglimento della domanda della parte civile, e quindi rispetto alla formulazione delle conclusioni di essa). Non comporta revoca implicita o tacita della costituzione di parte civile: a) la morte della persona costituita parte civile, che non produce neanche gli effetti interruttivi del rapporto processuale previsti dall'art. 300 — inapplicabili al processo penale, ispirato all'impulso d'ufficio — in quanto la costituzione resta valida ex tunc (Cass. VI, n. 54641/2018e Cass. II, n. 7021/2014, entrambe con la precisazione che la mancata comparizione in grado di appello, e, più in generale, l'assoluta inerzia degli eredi del defunto titolare del diritto civile azionato, sono prive di conseguenze, in quanto l'art. 82, comma 2 limita i casi di revoca presunta o tacita della costituzione di parte civile alle sole ipotesi di omessa presentazione delle conclusioni nel corso della discussione in fase di dibattimento di primo grado; b) la mancata presentazione delle conclusioni, allorché la parte civile richiami oralmente le conclusioni presentate all'atto della costituzione, oppure siano verbalizzate in termini precisi le richieste relative al risarcimento del danno, alla concessione di provvisionale o alla rifusione delle spese (Cass. V, n. 34922/2016; Cass. IV, n. 39595/2007, con la precisazione che, in tali casi, sussiste una mera irregolarità che non comporta alcuna conseguenza processuale, poiché « la conseguenza della revoca presunta può verificarsi solo se la parte civile non precisi in alcun modo le sue conclusioni nella fase della discussione e manchi alcuna traccia scritta dei termini delle sue conclusioni »); c) «il fatto che le conclusioni orali, anziché precedere la presentazione per iscritto, siano state formulate soltanto alla fine della discussione, dopo quelle dell'imputato, purché esse richiamino quelle scritte, già depositate in precedenza ed idonee ad assicurare al processo una stabile documentazione delle richieste del danneggiato» (Cass. V, n. 27347/2007); d) il fatto che «dopo la formulazione delle conclusioni in forma orale, quelle scritte vengano depositate successivamente nel corso della discussione, prima della chiusura del dibattimento» (Cass. III, n. 1402/2005); e) l'omessa presentazione per iscritto della richiesta di condanna nei confronti del responsabile civile nei termini di cui all'art. 523, comma 2 — poi autorizzata dal giudice in sede di udienza fissata per le repliche — trattandosi di mera irregolarità, considerato che la previsione di cui all'art. 523 — con esclusione del disposto del comma quinto, concernente altra ipotesi — ha un carattere meramente ordinatorio e non stabilisce sanzioni processuali (Cass. IV, n. 21210/2012); f) la presentazione di conclusioni scritte, prive della sottoscrizione delle parti, ove le medesime conclusioni siano state formulate oralmente (Cass. IV, n. 4492/2016: fattispecie in cui il difensore delle parti civili aveva concluso oralmente mediante richiamo alle conclusioni scritte già depositate e contenenti le specifiche richieste risarcitorie dei danneggiati); g) l'assenza della parte civile all'udienza di discussione nel giudizio abbreviato (nella specie, incondizionato), di cui abbia accettato gli effetti, quando essa abbia precedentemente formulato conclusioni scritte (Cass. III, n. 6249/2011); h) la mancata presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio di appello o di legittimità, poiché la c.d. “immanenza” della costituzione di parte civile (in virtù della quale restano valide le conclusioni rassegnate nel processo di primo grado) viene meno soltanto in presenza della revoca espressa, ovvero nei casi di revoca implicita previsti dall'art. 82, comma 2, che non possono essere estesi al di fuori dei casi dalla predetta norma espressamente previsti (Cass. V, n. 39471/2013 e Cass. n. 24360/2008; Cass. VI, n. 48397/2008 e Cass. n. 25012/2013, per la quale, inoltre, l'art. 82, comma 2, si applica solo al giudizio di primo grado; Cass. II, n. 18269/2013, per la quale è comunque legittima la presentazione in appello di conclusioni proposte « genericamente » ed « oralmente », in quanto l'art. 153 disp. att. non prevede alcuna sanzione al riguardo; cfr. nel medesimo senso, da ultimo, Cass. II, n. 23319/2018 per la quale la mancata comparizione della parte civile nel giudizio d'appello non comporta la revoca delle statuizioni civili); i) la mancata presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio di rinvio, ma soltanto qualora le conclusioni siano state rassegnate nel processo di primo grado, rimanendo valide, in quanto tali, in ogni stato e grado del processo, in virtù del principio di immanenza della costituzione di parte civile (Cass. VI, n. 48397/2008); j) (in riferimento alla costituzione di parte civile nei confronti del responsabile civile) la presentazione delle conclusioni della parte civile nei confronti del solo imputato e non anche del responsabile civile che sia stato citato o sia intervenuto in giudizio, in quanto, in forza della solidarietà ope legis fra imputato e responsabile civile, prevista dall'art. 538, le conclusioni nei confronti di uno solo degli obbligati si estendono anche all'altro (Cass. IV, n. 25845/2019). Le conclusioni dell'imputatoL'omessa precisazione delle conclusioni da parte del difensore dell'imputato non rende nulla la sentenza, qualora la mancanza sia imputabile unicamente all'inerzia del difensore, presente in udienza e rimasto inattivo per sua scelta (Cass. V, n. 11905/2016): ciò che rileva, ai sensi dell'art. 523, è che il difensore sia stato posto in condizione di illustrare le proprie difese in favore dell'imputato, e di rassegnare le relative conclusioni, a nulla rilevando che quest'ultima attività non abbia trovato riscontro processuale nella formalizzazione di richieste conclusive, all'esito della discussione. Analogamente, non sarebbe configurabile alcuna nullità per l'omessa menzione, a verbale, delle conclusioni dell'imputato (purché risulti che l'imputato sia stato ritualmente assistito, e che il difensore abbia avuto al possibilità di concludere), perché tale nullità non è comminata da alcuna norma processuale, e non rientra tra quelle di ordine generale, di cui all'art. 178, comma 1, lett. c). La giurisprudenza (Cass. IV, n. 43355/2003; Cass. V, n. 11905/2016 cit.) ritiene, in proposito, che il ricorso per asserita mancata verbalizzazione di richieste difensive o delle conclusioni della difesa sia privo della necessaria specificità (art. 581) se non vengono specificati sia il contenuto delle richieste non verbalizzate, che il pregiudizio derivato dal loro mancato esame, e che è configurabile una nullità soltanto nei casi in cui: a) sia stato impedito alla difesa di formulare ed illustrare le proprie conclusioni; b) non sia stata accolta la richiesta della difesa di prendere per ultima la parola; il principio è stato ulteriormente ribadito da Cass. IV, n. 22090/2019, a parere della quale l'asserita mancata verbalizzazione di richieste difensive o delle conclusioni della difesa non è idonea a produrre alcuna nullità ove non vengano specificate nell'impugnazione sia il contenuto delle richieste non verbalizzate che il pregiudizio derivato dal loro mancato esame. Le conclusioni in merito alla separazione “postuma”Ai sensi dell'art. 523, comma 1, le parti, all'atto della precisazione delle conclusioni, possono pronunciarsi anche in merito all'evenienza che con la sentenza il giudice disponga, ai sensi dell'art. 533, comma 3-bis, la separazione processuale limitatamente alle imputazioni in ordine alle quali uno o più imputati siano sottoposti ad una misura cautelare detentiva con termini in scadenza prossima, per effetto della quale, in difetto di ulteriori titoli custodiali, riacquisterebbero la libertà. La violazione dell'ordine di intervento delle partiLa violazione dell'ordine di successione delle parti negli interventi conclusivi, stabilito dall'art. 523, comma 1, non è processualmente sanzionata. In proposito, anche la giurisprudenza ha chiarito che Il mancato rispetto dell'ordine della discussione previsto dall'art. 523 non integra una causa di nullità, prevista solo per l'ipotesi di violazione del diritto di replica spettante all'imputato e al difensore, contemplata dal comma quinto dello stesso articolo (Cass. V, n. 2641/2016: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto legittime le conclusioni della parte civile proposte successivamente alla discussione della difesa). Le repliche
Profili generali Ciascuna parte ha, ai sensi dell'art. 523, comma 4, diritto di replicare alle avverse argomentazioni e conclusioni, ma una sola volta, e nei limiti strettamente necessari per confutare le tesi di controparte: questa precisazione, espressa, impone di ritenere che, in sede di replica, non sia possibile introdurre temi « nuovi », non trattati in precedenza, poiché, in caso contrario, le controparti potrebbero trovarsi nell'impossibilità di replicare. La giurisprudenza ha chiarito che sono estranee al diritto di replica le « mere schermaglie di carattere esclusivamente personale tra i difensori » (nella specie, dell'imputato e della parte civile), e che la nullità per violazione del diritto di replica costituisce nullità relativa che va immediatamente dedotta al momento del suo verificarsi (Cass. III, n. 35457/2010, in fattispecie nella quale la asserita nullità era stata tardivamente eccepita soltanto con i motivi di appello, e comunque il ricorrente lamentava promiscuamente il diniego di una replica ulteriore, ed il diniego della facoltà di prendere la parola per ultimo). Il diritto di intervenire per ultimo È sempre garantito il diritto di chiedere la parola per ultimi, attribuito dall'art. 523, comma 5, sia all'imputato che al suo difensore: nel caso in cui la richiesta sia congiunta, il giudice dovrà valutare discrezionalmente, d'intesa con gli instanti, a chi dei due accordare materialmente la parola per ultimo; la nullità conseguente alla violazione del diritto di replica spettante all'imputato ed al suo difensore rientra tra quelle relative, in quanto successiva alla chiusura dell'istruttoria dibattimentale, e non integrante quindi violazione del diritto al contraddittorio sulla formazione della prova, e deve, pertanto, essere eccepita immediatamente (Cass. III, n. 364/2020). La giurisprudenza ha ritenuto che le conclusioni del P.M. rassegnate prima che il giudice di primo grado si ritiri per la deliberazione non violano, per quanto tardive, il diritto di difesa, quando questa sia stata posta nella condizione di interloquire nuovamente sulle richieste avanzate (Cass. VI, n. 24379/2015). Si è anche osservato che la facoltà dell'imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione, prevista dall’art. 494, va coordinata con la previsione del comma 6 dell'art. 523, in base al quale l'interruzione della discussione può essere giustificata solo dall'assoluta necessità di assunzione di nuove prove, talché, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell'imputato a nuove prove, deve escludersi la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni, anche attraverso un memoriale in forma scritta indirizzato al giudice, fermo restando il suo diritto di avere la parola per ultimo, se lo richiede (Cass. V, n. 12603/2017).
Le note scritte di replica Una dottrina (Grilli, 308) ha escluso la facoltà di depositare note scritte in sede di replica « quivi dovendosi solo controbattere le altrui tesi ». L'opinione non può essere accolta, stante l'ampia ed inequivocabile previsione dell'art. 121; naturalmente, anche in questo caso occorrerà consentire alle controparti la conoscenza del contenuto di tali «note di replica scritte», che devono pur sempre conservare i suddetti caratteri tipici delle repliche. In concreto la conoscenza del contenuto di esse va immediatamente garantita alle sole parti che hanno diritto di replica (e quindi, alla difesa dell'imputato, ove le note scritte di replica siano state depositate dal p.m. o dalla parte civile), poiché all'eventuale replica (orale o scritta) dell'imputato, le altre parti non avrebbero comunque facoltà di controreplicare, potendo al più attivarsi in sede di impugnazione (in caso di soccombenza determinata dall'accoglimento di deduzioni formulate dalla controparte in sede di replica). La giurisprudenza ha ritenuto che il deposito, da parte del p.m., all'esito della discussione conclusiva del dibattimento, di una memoria riassuntiva degli argomenti svolti nella sua requisitoria orale, non legittima il difensore dell'imputato ad intervenire ulteriormente a titolo di replica, a meno che la predetta memoria non contenga elementi di novità rispetto a quelli presentati nel corso della discussione orale, sui quali la difesa non abbia avuto modo di interloquire in precedenza (Cass. VI, n. 18489/2010). Inapplicabilità dell'art. 523 ai procedimenti cameraliNei procedimenti camerali (art. 127), la disciplina prevista dall'art. 523 per la discussione in dibattimento non opera; la giurisprudenza ha, conseguentemente ritenuto che non siano estensibili ai procedimenti camerali: a) l'ordine di intervento alla discussione finale previsto dall'art. 523 (Cass. IV, n. 17601/2004); b) la disposizione secondo la quale, nella discussione, l'imputato ed il difensore devono avere la parola per ultimi, se la domandano (Cass. IV, n. 12482/2011; Cass. VI, n. 9250/2005: nel caso di specie, il ricorrente aveva dedotto nullità dell'ordinanza emessa ex art. 309, perché il Tribunale, in sede di discussione orale, non aveva consentito alla difesa di replicare al p.m., che era intervenuto per ultimo, ma la S.C. ha ritenuto che, ai sensi dell'art. 127, commi 3 e 5, la nullità sarebbe stata configurabile soltanto qualora al difensore comparso non fosse stato consentito di intervenire, non applicandosi nella più snella procedura camerale l'art. 523); c) il diritto di replica (Cass. IV, n. 12482/2011, in un caso nel quale il difensore dell'indagato, in udienza riesame ex art. 309, aveva chiesto di replicare dopo le conclusioni del p.m.; Cass. VI, n. 19810/2009, in un caso nel quale il difensore della p.o., in sede di opposizione all'archiviazione, aveva chiesto di replicare alle argomentazioni esposte da controparte). La direzione della discussioneIl presidente del collegio (od il giudice monocratico) ha il compito di dirigere la discussione, impedendo divagazioni, ripetizioni ed interruzioni: a ciò egli deve provvedere togliendo la parola, dopo gli opportuni avvertimenti, alla parte che troppo ostentatamente incorra in divagazioni o ripetizioni, e, nei casi estremi, anche ricorrendo alla forza pubblica, anche per evitare eventuali indebite interruzioni esterne. La giurisprudenza ha osservato che i provvedimenti del giudice per la direzione della discussione sono adottati (ex art. 470) senza formalità; nei confronti degli stessi non sono, di conseguenza, ipotizzabili le cause di nullità di ordine generale previste dall'art. 178, comma 1, lett. c), né tantomeno censure per vizio di motivazione, non dovendo necessariamente essere motivati (Cass. I, n. 48311/2012: fattispecie nella quale la S.C. ha escluso che potesse integrare un'ipotesi di nullità il diniego al difensore di utilizzare, nel corso della sua discussione, sistemi informatici per illustrare le proprie conclusioni). L'interruzione della discussione per esigenze probatorie
Profili generali La discussione può essere interrotta (art. 523, comma 6) soltanto per l'assoluta necessità di assumere nuove prove: in tal caso, il giudice provvede ai sensi dell'art. 507. Secondo la giurisprudenza, la ratio della previsione va individuata in funzione della tutela dell'interesse preminente dello Stato di punire il colpevole ed assolvere l'innocente, in nome del quale il conclusivo verdetto non deve conseguire a carenze probatorie risultanti ex ante colmabili: il diritto delle parti alla prova nuova connotata dalla decisività è, pertanto, garantito anche nel corso della discussione, tanto ai fini di una giusta assoluzione, quanto al fine di ottenere una giusta pronuncia di condanna (Cass. I, n. 183/1997). Nella vicenda giudiziaria oggetto della decisione da ultimo citata (si trattava di una serie di omicidi e reati connessi, in relazione ai quali l'imputato, al quale si contestava di essere il c.d. “mostro di Firenze”, era stato condannato in primo grado all'ergastolo), la Corte di Assise di Appello di Firenze (Ass. app. Firenze 13 febbraio 1996), in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, aveva assolto l'imputato dopo aver ritenuto di non accogliere la richiesta, avanzata dal P.G. in sede di discussione, di interrompere la stessa per acquisire una prova sopravvenuta: in particolare, il P.G. — informato dell'arresto di una persona a seguito di ordinanza custodiale eseguita il giorno precedente, in relazione ad uno degli episodi (un duplice omicidio) oggetto di quel processo, commesso in concorso con il soggetto imputato nel detto processo — aveva chiesto acquisirsi copia del provvedimento cautelare dal quale emergeva l'esistenza di testimonianze dirette sull'episodio criminoso, ed aveva sollecitato nel contempo l'assunzione delle stesse quali prove sopravvenute alla sentenza di primo grado ed assolutamente necessarie per la ricerca della verità. La Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte di Assise di Appello, osservando che essa aveva omesso di prendere nella debita considerazione, per eventualmente ammetterla, la nuova prova così come prospettata dal P.G. nel corso della discussione, ed avendo conseguentemente omesso di motivare congruamente sulla concludenza e decisività della relativa assunzione, anche alla luce della esclusiva indiziarietà del materiale probatorio fino a quel momento acquisito. Il potere del giudice di disporre, anche d'ufficio (ex art. 507) l'assunzione di nuovi mezzi di prova, può essere esercitato anche a conclusione del dibattimento, terminata la discussione, e quindi nel corso della deliberazione oppure all'esito della camera di consiglio, dal momento che non sussiste alcuna preclusione in relazione alla possibilità di riaprire il dibattimento per assumere nuove prove, se queste sono decisive (Cass. V, n. 10819/1993). «Prova nuova» Come, in generale, per l'art. 507, « prova nuova » è non soltanto quella sopravvenuta o successivamente scoperta, ma anche la prova che non sia stata precedentemente disposta, poiché l'art. 523 (come l'art. 507) è norma preordinata all'accertamento di elementi essenziali per il giudizio, siano essi di natura sostanziale o processuale. La giurisprudenza ha riconosciuto l'assoluta necessità di interrompere la discussione per acquisire i verbali di constatazione del reato (nella specie utilizzazione di fatture emesse per operazioni inesistenti) al fine di accertare, trattandosi di reato permanente, la cessazione della permanenza ed il termine iniziale del periodo prescrizionale (Cass. III, n. 1759/1999), e per sentire un collaboratore di giustizia in grado di fornire rilevanti elementi di riscontro alle tesi dell'accusa in ordine alle posizioni di alcuni imputati, per il suo inserimento a livello apicale in una associazione di tipo mafioso dedita al narcotraffico (Cass. I, n. 17702/2010). In un caso nel quale, nel corso del dibattimento, erano state ritualmente acquisite le trascrizioni relative ad intercettazioni telefoniche, e successivamente la discussione era stata interrotta, su richiesta del P.M.., al fine di acquisire le richieste di proroga dei termini di scadenza delle indagini preliminari ed i relativi provvedimenti del G.i.p. (avendo la difesa eccepito che le trascrizioni stesse sarebbero state effettuate dopo la scadenza dei termini suddetti), si è ritenuto che detta attività non costituisce acquisizione di una prova, ma attività di controllo circa l'utilizzabilità della stessa: attività che, ai sensi dell'art. 191, il giudice deve svolgere, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. Inoltre, non verificandosi retrocessione alla fase dell'istruttoria dibattimentale, non occorre iniziare la discussione ex novo: è stata, pertanto, esclusa la violazione del diritto di difesa per il mancato rinnovo, dopo tale acquisizione, della discussione (Cass. VI, n. 7937/1995: la S.C. ha anche rilevato che, qualora un difensore che già aveva concluso avesse chiesto nuovamente la parola, a ciò egli avrebbe potuto essere comunque autorizzato; d'altro canto, essendo ritualmente a suo tempo avvenuta la notifica delle richieste e dei decreti di proroga, le difese non si erano trovati di fronte ad alcun dato nuovo). Non costituiscono prova nuova, per l'assoluta necessità di assumere la quale soltanto può essere interrotta la discussione, le dichiarazioni spontanee dell'imputato; resta fermo il diritto dell'imputato di avere la parola per ultimo, se lo richiede (Cass. II, n. 33666/2014; Cass. III, n. 16677/2021). La rinnovazione della discussione a seguito dell'assunzione di prove nuove La giurisprudenza ha chiarito che, all'esito del subprocedimento di assunzione delle prove nuove, deve procedersi necessariamente alla rinnovazione ab initio della discussione, perché le parti formulano le conclusioni solo dopo l'esaurimento della prova: ove la discussione sia semplicemente ripresa, si determina la nullità della fase della discussione ex art. 178, che si estende alla sentenza impugnata (Cass. II, n. 46814/2005: la S.C. ha precisato che la rilevazione della nullità della sentenza comporta la rinnovazione dell'intero processo di appello dovendosi assicurare, in ragione del principio di immutabilità, che il giudice della deliberazione sia lo stesso del dibattimento; conforme, Cass. V, n. 44524/2008, per la quale l'integrale rinnovazione della discussione si impone, a pena di nullità d'ordine generale della sentenza, anche nel caso in cui la discussione sia stata interrotta, a richiesta di parte, unicamente per una acquisizione documentale, dovendo essere assicurata alle parti la facoltà di interloquire sulla documentazione acquisita, previo esame della stessa). Nuove contestazioni
Profili generali La giurisprudenza formatasi nella vigenza dell'abrogato codice ammetteva le contestazioni suppletive (artt. 516 ss.) fino alla chiusura del dibattimento, e quindi fino al termine della discussione (Cass. V, n. 3876/1980), nonché, conseguentemente, la possibilità di interrompere la discussione per effettuare una contestazione suppletiva (Cass. II, n. 5901/1985); il principio è tuttora dominante (Cass. IV, n. 10394/1999, con la precisazione che, in tal caso, andrebbero comunque concessi all'imputato i termini a difesa). Nuove contestazioni a seguito dell'assunzione di prove nuove Una decisione (Cass. IV, n. 8959/1993) sembra, peraltro, consentire la dilazione del termine per le contestazioni suppletive alla chiusura (non dell'istruzione dibattimentale, bensì) del dibattimento, e quindi all'esito della discussione, soltanto nel casi in cui quest'ultima sia stata interrotta per l'assunzione di prove nuove: in tal caso è, invero, pacifico che il P.m. possa procedere a contestazioni suppletive. Le possibili nullità: riepilogoCon riferimento alla disciplina dettata dall'art. 523, la sentenza è nulla: a) se non è accolta la richiesta dell'imputato o del difensore di prendere per ultimi la parola: trattasi, secondo la giurisprudenza, di una nullità relativa (Cass. III, n. 35457/2010); b) se, dopo l'interruzione della discussione e l'assunzione di prove nuove, la discussione non sia integralmente rinnovata: trattasi, secondo la giurisprudenza, di una nullità d'ordine generale ex artt. 178 e 179, che si estende alla successiva sentenza (Cass. V, n. 44524/2008; Cass. II, n. 46814/2005, per la quale, inoltre, detta nullità, se rilevata, impone l'integrale rinnovazione del giudizio, poiché il principio di immutabilità del giudice impone che il giudice della deliberazione sia lo stesso del dibattimento); c) se alle parti viene impedita del tutto la possibilità di formulare e/o illustrare le proprie conclusioni (Cass. VI, n. 4911/1997; Cass. IV, n. 43355/2003, che non qualificano la predetta nullità, peraltro a sua volta riconducibile all'ambito delle nullità d'ordine generale ex artt. 178 e 179). Emergenza COVID-19Per fronteggiare la “nuova” emergenza COVID-19 nel settore giustizia, gli artt. 23 e ss. d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertiti, senza modifiche sostanziali (ma arricchiti sub art. 24 dall'inserimento dei commi da 6-bis a 6-undecies, peraltro privi di rilievo in questa sede), in l. 18 dicembre 2020 n. 176, dettano una serie di “ulteriori” disposizioni; quelle di rilievo penale sono concentrate essenzialmente nell'art. 23, il cui comma 1 attribuisce alle emanande disposizioni, contenute nei commi da 2 a 9, efficacia temporale limitata, a partire dal 29 ottobre 2020 (data di entrata in vigore del d.l., coincidente con il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, secondo quanto stabilito dall'art. 35 dello stesso d.l.) fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1 d.l. n. 19 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 35 del 2020: trattasi della data di (auspicata) cessazione dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, inizialmente fissata al 31 luglio 2020, ma successivamente prorogata dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.l. n. 248 del 2020, al 31 gennaio 2021. Continuano a trovare applicazione, ove non espressamente derogate dalle disposizioni contenute nell'art. 23, le disposizioni di cui all'art. 221 d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020 (ovvero le modifiche all'art. 83 d.l. n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 27 del 2020, e le ulteriori disposizioni in materia di processo civile e penale, cui si rinvia), alle quali va, quindi, rinonosciuto carattere generale: queste ultime sono, quindi, vigenti: - dal 29 ottobre 2020 al 31 gennaio 2021, se ed in quanto non derogate dalle disposizioni dettate dall'art. 23 d.l. n. 137 del 2020 (o comunque con esse non incompatibili); - pienamente, a partire dal 1° febbraio 2021. Per quanto riguarda le possibili modalità di partecipazione alle udienze (camerali o dibattimentali) nei giudizi di merito, il comma 5 dell'art. 23 prevede varie possibilità: 1) devono sempre essere celebrate secondo le disposizioni ordinarie, ovvero in compresenza e mai da remoto: A) le udienze (dibattimentali, ma riteniamo anche del giudizio abbreviato o dell'udienza preliminare: il comma 5 non lo precisa, ma l'estensione appare inevitabile) “nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti”: la disposizione, manifestamente superflua, poiché già insita nel divieto (che costituisce incipit del comma 5) di celebrare da remoto udienze che richiedano la partecipazione di soggetti diversi dal P.M., dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice, sembra applicabile anche all'incidente probatorio, in qualunque fase del procedimento si celebri; B) le udienze quelle nelle quali devono aver luogo le “discussioni di cui agli artt. 441 e 523 c.p.p.” (rispettivamente, nel giudizio abbreviato e nel dibattimento di primo grado o d'appello); 2) “possono” (ma non necessariamente “devono”: la relativa decisione sarà presa discrezionalmente dal giudice, previa valutazione in concreto del grado del rischio COVID-19) essere celebrate con collegamenti da remoto : A) le udienze preliminari e le udienze dibattimentali (nelle quali non debbano aver luogo le attività innanzi indicate), ma soltanto quando le parti vi consentano: il promiscuo ed indifferenziato riferimento normativo alle “parti” include anche le parti private diverse dall'imputato, e richiede necessariamente il consenso di tutte; all'uopo, deve ritenersi che il giudicante che intenda valutare l'opzione della celebrazione “da remoto” sia gravato da un onere di previo interpello delle parti, in relazione al quale, con estrema superficialità, non sono indicati termini e forme di rito, il che legittimerà inevitabilmente l'adozione di prassi difformi da ufficio a ufficio; B) “le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal P.M., dalle parti private, dai rispettivi difensori e dagli ausiliari del giudice”; si tratta, per esclusione, di udienze camerali (ex artt. 127 o 391 c.p.p.). Si è, quindi, in estrema sintesi, stabilito che i dibattimenti possano essere celebrati con collegamenti da remoto solo in casi estremamente limitati (ovvero, se non debbano essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, o non debba aver luogo la discussione: cosa residua ? a prima vista, solo la prima udienza; quanto alla deliberazione, si rinvia al commento del comma 9) e solo se tutte le parti vi acconsentano. Non si tratta, quindi, di un intervento particolarmente incisivo. La disposizione prevede che l'udienza da remoto deve svolgersi con (non meglio precisate) “modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti” (che spetterà, quindi, al giudice individuare), limitandosi ad indicare le formalità generali di celebrazione . Può prima facie rivelarsi ingannevole la disposizione di cui al comma 7, secondo la quale “il giudice può partecipare all'udienza anche da un luogo diverso dall'ufficio giudiziario”: la precisazione, premessa dal comma 7, che la disposizione deroga all'art. 221, comma 7, d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 77 del 2020 , chiarisce, peraltro, che il suo ambito applicativo è limitato alle sole udienze civili, non anche gli imperscrutabili motivi di questo distinguo il quale, tenuto conto delle premesse ragioni dell'intervento emergenziale de quo, sembrerebbe lasciare intendere che, secondo il Governo, le udienze civili possono esporre i magistrati a rischio COVID-19, quelle penali no. L'efficacia delle predette disposizioni è stata successivamente prorogata (da ultimo, ai sensi dell'art. 16 d.l. n. 228 del 2021, conv., con modif., dalla l. n. 15 del 2022) fino al 31 dicembre 2022. BibliografiaAprile-Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006; Beltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; Grilli, Il dibattimento penale, Padova, 2007; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1991; Rivello, Il dibattimento nel processo penale, Torino, 1997. |