Codice di Procedura Penale art. 526 - Prove utilizzabili ai fini della deliberazione.

Donatella Perna

Prove utilizzabili ai fini della deliberazione.

1. Il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento [496-515].

1-bis. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore 1.

 

[1] Comma aggiunto dall'art. 19 l. 1° marzo 2001, n. 63. V. l'art. 26, comma 4 l. n. 63, cit.

Inquadramento

Secondo la prevalente dottrina, il primo comma dell’art. 526 costituisce un corollario del più generale principio di legalità della prova che ispira il moderno processo accusatorio, improntato alla netta differenziazione tra fase investigativa e fase del giudizio: esso rappresenta una norma di chiusura dell’intero sistema probatorio, e va letto congiuntamente alla disciplina generale in tema di inutilizzabilità delineata nel codice (CORDERO, Codice; ZAPPALA’, La deliberazione della sentenza e gli atti successivi) .

Il comma 1 bis, invece, è stato introdotto con la legge 1 marzo 2001 n. 63, con l’intento di conformare l’art. 526 al principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost,, con valore rafforzativo del principio del contraddittorio ivi contenuto, secondo cui la prova della colpevolezza non può consistere in dichiarazioni rese da soggetto che abbia sempre liberamente scelto di sottrarsi all'esame dell'imputato o del suo difensore (FERRUA, Il giusto processo). Ciò significa che se una dichiarazione accusatoria, anche intrinsecamente attendibile, munita di riscontri e legittimamente raccolta, proviene da un soggetto che ha liberamente scelto di non rispondere mai all'esame dell'imputato o del suo difensore, quella dichiarazione non può costituire ex se, né concorrere in modo determinante, a costituire prova di colpevolezza dell'imputato.

Le prove diverse

L'art. 526 comma 1  dispone in via generale che il giudice possa utilizzare per la decisione solo le prove acquisite nel dibattimento, con esclusione pertanto sia di prove non acquisite nel dibattimento medesimo, sia di prove acquisite al fascicolo del dibattimento, ma in violazione delle regole che ne disciplinano l'acquisizione.

In dottrina non si è mancato di evidenziare le differenze di significato tra l'avverbio “legittimamente” impiegato nella norma in esame circa le prove utilizzabili per la decisione, e l'avverbio illegittimamente” impiegato nell'art. 191 circa l'inutilizzabilità delle prove acquisite contra legem: si vuole intendere che l'atto inserito nel fascicolo del dibattimento, anche  al di fuori dei limiti segnati dall'art. 431, purchè sia stato legittimamente formato, è pienamente utilizzabile in assenza di tempestiva opposizione delle parti, tranne che si tratti di atto formato contra legem (Zappalà,La deliberazione della sentenza e gli atti successivi).

Coerentemente a quanto fin qui detto, la giurisprudenza ha precisato che l'erroneo inserimento di atti, legittimamente assunti, nel fascicolo per il dibattimento, non determina di per sé la loro inutilizzabilità: per conseguire tale risultato processuale, la parte interessata deve proporre la relativa eccezione tempestivamente e, cioè, entro il termine stabilito dall'art. 491 (Cass. III, n. 24635/2021). Ne consegue che qualora l'atto sia stato allegato senza opposizione di alcuno, esso è pienamente utilizzabile ai fini del decidere; diversamente, esso è inutilizzabile qualora sia stato acquisito con un procedimento contrario ai divieti legislativi di cui all'art. 191 (Cass. IV, n. 33387/2008).

Nel corso della deliberazione, pertanto, l'organo giudicante deve svolgere una delibazione di utilizzabilità delle prove contenute nel fascicolo dibattimentale: con riferimento a quelle assunte in dibattimento, dovrà verificare se l'assunzione abbia avuto luogo secondo le disposizioni di legge che regolano lo statuto di ciascuna specifica prova, ed in caso contrario dovrà, se dirimenti, sospendere la deliberazione per procedere, ove possibile, a nuova assunzione; oppure, salva irripetibilità, non tenerne conto ai fini della decisione.

Con riferimento alle prove assunte prima o al di fuori del dibattimento, come ad esempio gli atti irripetibili o l'incidente probatorio, l'organo giudicante dovrà previamente verificare se l'acquisizione al fascicolo del dibattimento sia avvenuta nel rispetto delle norme che presiedono all'ingresso in tale fascicolo di atti delle indagini preliminari o difensive; ove tale verifica sortisca esito positivo, l'organo giudicante dovrà verificare se esse prove siano state assunte nel rispetto dei principi che regolano quella prova.

Soltanto il bagaglio probatorio così verificato, composto di prove assunte secondo legge ed acquisite secondo le regole nel fascicolo del dibattimento, potrà essere utilizzato per la decisione, mentre le prove assunte o acquisite in violazione di tali divieti non potranno essere utilizzate ex se. In tal caso il giudice dovrà valutare se acquisirle ex novo, ove possibile, o se sussistano ipotesi di utilizzabilità per sopravvenuta irripetibilità (vedi infra), o se esse prove debbano semplicemente accantonarsi, non tenendone alcun conto ai fini del decidere.

Il diritto al contraddittorio

La l. n. 63/2001 ha introdotto il comma 1-bis dell'art. 526, con l'intento di rinnovare e ribadire, anche a livello codicistico, il principio del diritto al contraddittorio, costituzionalizzato nell'art. 111 Cost.: esso  prevede, nell'ambito del più generale principio del giusto processo,  che all'imputato ed al suo difensore sia consentito l'esame diretto delle fonti di prova a carico, e, in particolare, quando si tratti di prove dichiarative, stabilisce che il giudice non può fondare la dichiarazione di penale responsabilità dell'imputato sulle dichiarazioni rese da soggetto che si sia sempre liberamente sottratto all'esame dell'imputato stesso o del suo difensore.

Detto principio si trova consacrato anche nell'art. 6, comma 1 e comma 3 lett. d, della CEDU, secondo il quale l'imputato ha diritto di interrogare o fare interrogare i testimoni a suo carico: ciò significa, secondo l'interpretazione della Corte EDU, che la dichiarazione resa dal teste nella fase delle indagini preliminari, per costituire prova compatibile con il diritto al contraddittorio, deve ordinariamente essere seguita da una occasione in cui l'imputato possa contestarla e interrogare il suo autore.

Tuttavia, ad un primo orientamento secondo cui ove tale possibilità manchi, tale dichiarazione non può costituire fonte unica o preponderante della prova della responsabilità, perché ne deriverebbe un processo non equo (orientamento espresso nelle sentenze Martelli c. Italia, del 12 aprile 2007; Kolcakuc c. Italia, dell'8 febbraio 2007), se ne è andato sostituendo un altro, oggi ormai consolidato (espresso nelle sentenze Tahery Al Kawaja c. Regno Unito, del 15 dicembre 2011 e Schatschaschwili c. Germania del 15 dicembre 2015), secondo cui è compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive assunte in via unilaterale, ogni volta che il sacrificio del diritto di difesa (ovvero l'impossibilità di interrogare direttamente il teste fondamentale) appaia bilanciato da adeguate garanzie procedurali.

Tra i "bilanciamenti procedurali" utili per validare la credibilità della testimonianza cartolare acquisita nella fase investigativa in assenza di contraddittorio possono essere indicati (Cass. II, n. 15492/2020):

(a) le "modalità di raccolta" delle dichiarazioni predibattimentali che devono rassicurare circa la genuinità delle informazioni ed escludere rischi di suggestione o eteroinduzione;

(b) la compatibilità con i dati di contesto, tra i quali possono essere incluse anche le dichiarazioni dei testi "indiretti", che hanno percepito in ambiente extraprocessuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria contenute nelle dichiarazioni acquisite ex art. 512.

La idoneità validante delle dichiarazioni de relato è, stata, peraltro, espressamente affermata dalla Corte di Strasburgo che ha ritenuto che tra gli elementi che bilanciano il difetto ontologico di credibilità che investe le dichiarazioni non assunte in contraddittorio «possono essere indicate in modo particolare le dichiarazioni effettuate in dibattimento dalle persone alle quali il testimone assente ha raccontato gli avvenimenti immediatamente dopo il loro accadimento» (Corte EDU, caso Schatschaschwili v. Germania, § 128, Al-Khawaja et Tahery, § 156).

A tale, nuova, presa di posizione della Corte di Strasburgo, si è prontamente conformata la Corte di cassazione, la quale ha precisato che le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell'art. 512 possono costituire, conformemente all'interpretazione espressa dalla Corte EDU, la base «esclusiva e determinante» dell'accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di «adeguate garanzie procedurali», individuabili nell'accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto (Cass. II, n. 19864/2019).

Con l'ulteriore precisazione che, quando vi sia il consenso delle parti sull'acquisizione, le dichiarazioni predibattimentali possono costituire base "esclusiva e determinante" dell'accertamento di responsabilità anche a prescindere dall'osservanza delle "adeguate garanzie procedurali" indicate dalla Grande Camera della Corte EDU nelle sentenze surrichiamate, in quanto in tal caso l'acquisizione scaturisce dalla rinuncia delle parti al diritto di esaminare un testimone, che è consentita dall'art. 6 Conv. EDU, conformemente alla giurisprudenza della Corte EDU, alle sole condizioni che risulti consapevole, informata e inequivocabile, sia assistita da un minimo di garanzie proporzionate alla sua rilevanza e non si palesi in contrasto con alcun interesse pubblico di rilievo (Cass. II, n. 22/2022).

Risulta pertanto in via di superamento l'orientamento formatosi sotto l'egida della giurisprudenza convenzionale precedente, espresso da Cass. S.U. n.27918/2011,  in base al quale l'ammissibilità di una prova testimoniale unilateralmente assunta dall'accusa può anche risultare conforme al dettato dell'art. 6, Conv. EDU, ma affinché il processo possa dirsi equo nel suo insieme ai sensi della Convenzione, una condanna non deve fondarsi esclusivamente o in maniera determinante su prove acquisite nella fase delle indagini e sottratte alla verifica del contraddittorio, anche se differito.

Prendendo spunto da una peculiare fattispecie, la S.C. ha affermato che la mancata ammissione, come la mancata richiesta di prova, non rende inutilizzabile la prova assunta in contraddittorio e secondo le relative regole processuali (non risultando la violazione di alcun divieto probatorio), potendosi al più dedurre la violazione del diritto della difesa a contraddire e resistere rispetto all'istanza di prova formulata dalla controparte, che non sia transitata attraverso il vaglio di ammissibilità del Giudice: motivo integrante un'ipotesi di nullità generale, a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, lett. c) c.p.p.. Pertanto, ove la prova venga assunta in presenza del difensore e questi non sollevi eccezione alcuna, si realizza il meccanismo della sanatoria ex art. 182 c.p.p. (Cass. II, n. 34844/2023).

  In dottrina si discute se l'art. 526 comma 2 contenga una regola di esclusione probatoria, per la quale il dato probatorio acquisito in assenza di contraddittorio deve considerarsi tamquam non esset (Carcano-Manzione, Il giusto processo), e dunque non possa essere valutato né a favore né contro l'imputato; o contenga un canone valutativo, che impedirebbe al giudice di ritenere il dato stesso inutilizzabile solo in malam partem, e non anche in bonam partem, e cioè ai fini della prova dell'innocenza dell'imputato (Ferrua, La formazione delle prove nel nuovo dibattimento).

Analizzando la norma sotto il profilo strettamente semantico – si è osservato che l'utilizzo della particella avversativa “o”, consente di affermare come sia sufficiente che il dichiarante si sia sottoposto all'esame del solo imputato o del solo difensore perché la sua dichiarazione possa formare prova di responsabilità, sicché il divieto non opera nel caso in cui l'accusatore abbia risposto al difensore, ma rifiuti di rispondere all'imputato, o viceversa. La sottrazione all'esame, inoltre, è retta dall'avverbio “sempre”, sicché laddove anche in una sola occasione il dichiarante si sia sottoposto all'esame, dell'imputato o del suo difensore, il rifiuto di risottoporvisi, purché sulle medesime circostanze di fatto, non consente di applicare il divieto di fondare la prova di responsabilità sulle sue dichiarazioni. Il “sempre” va inteso come “sempre finora”, dovendosi verificare fino al momento della decisione la persistenza della volontaria e libera sottrazione al contraddittorio da parte dell'accusatore  (Cordero, 745).

Non va confuso con il discorso appena svolto, il tema della valutazione della testimonianza indiretta da parte del giudice: sul punto la S.C. ha affermato che la libera valutabilità da parte del giudice delle dichiarazioni rese dal teste "de relato" non viola né l'art. 111 Cost., laddove il dichiarante diretto sia un imputato di reato connesso avvalsosi in dibattimento della facoltà di non rispondere, né l'art. 6 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU (Cass. VI, n. 40746/2016).

Le eccezioni al principio: in particolare, il consenso dell’imputato e la c.d. impossibilità oggettiva del contraddittorio

Vi sono tuttavia delle deroghe al principio innanzi enunciato, limitate e tassative, anch'esse previste direttamente in Costituzione, e precisamente nell'art. 111 comma 5, laddove si afferma che la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio, per consenso  dell'imputato, per accertata impossibilità di natura oggettiva, e per effetto di provata condotta illecita.

In relazione alla prima delle deroghe suindicate, la S.C. ha precisato che gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero ed acquisiti, sull'accordo delle parti, al fascicolo per il dibattimento, possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, non ostandovi neppure i divieti di lettura di cui all'art. 514, salvo che si tratti di atti affetti da inutilizzabilità cosiddetta "patologica", ovvero acquisiti contra legem  (Cass. VI, n. 48949/2016).  A tal proposito, il consenso all'acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero può essere validamente prestato anche dal solo difensore dell'imputato, in ragione dei suoi poteri di rappresentanza nel processo (Cass. V, n. 2679/2019).

Quante alle altre deroghe, ed in particolare quella che consente di recuperare al dibattimento mediante lettura le dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari nei casi di impossibilità oggettiva del contraddittorio dibattimentale, hanno posto il problema della loro conformità all'art. 6 CEDU, creando un dibattito serrato tra chi ritiene che esse dovrebbero soccombere, a fronte del predetto art. 6,  così come interpretato dalla Corte europea, e chi invece sostiene il contrario.

La questione riguarda in particolare i rapporti tra l'art. 526 comma 1 bis e gli artt. 512 e 512-bis, al cui commento si rimanda.

Basterà qui rilevare che in giurisprudenza sembra ormai prevalere l'orientamento già espresso da Cass. V, n. 5821/2005, secondo cui l'art. 526, comma 1 bis non opera nel caso in cui l'utilizzazione delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari avvenga in forza di legittima applicazione degli artt. 512 e 512-bis, in quanto tale situazione configura un'ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio, prevista dall'art. 111, comma 5 Cost.

Tale orientamento è stato ribadito e ancor meglio precisato da Cass. VI, n. 6846/2016, secondo cui le norme della CEDU, sebbene direttamente vincolanti, nell'interpretazione fornitane dalla Corte EDU, per il giudice nazionale, non possono comportare la disapplicazione delle norme interne con esse ipoteticamente contrastanti, quando queste ultime attuino principi affermati dalla Costituzione, alla quale anche le norme convenzionali sono subordinate (Corte cost. n. 348/2007 e Corte cost. n. 349/2007); con particolare riferimento alla  sopravvenuta e imprevedibile irreperibilità dei soggetti le cui dichiarazioni siano già state ritualmente acquisite nel corso delle indagini preliminari, si è affermato che essa rientra nei casi di “accertata impossibilità oggettiva” di cui all'art. 111 comma 5 Cost., che derogano alla regola della formazione della prova nel contraddittorio delle parti, allorchè tale irreperibilità - non prevedibile in fase investigativa ed accertata sul territorio nazionale ed estero con tutti gli strumenti disponibili - non sia riconducibile alla volontà del soggetto di sottrarsi al contraddittorio (Cass. II, n. 19864/2019).

La prevedibilità della successiva irreperibilità del teste in fase dibattimentale deve essere valutata dal giudice "ex ante" e, quindi, con riferimento alle circostanze note o conoscibili secondo un criterio di ragionevolezza, fino al momento in cui la parte interessata avrebbe potuto chiedere l'incidente probatorio: sulla scorta di tale principio,  la S.C. ha ritenuto legittimamente acquisite le dichiarazioni rese durante le indagini da cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno condotti presso una struttura di accoglienza, ove era ragionevole ipotizzare permanessero sino al momento dell'incidente probatorio richiesto dal pubblico ministero (Cass. I, n. 3135/2022); ovvero le dichiarazioni rese da un minore straniero, spontaneamente rivoltosi alle forze di polizia per chiedere protezione contro chi lo aveva ridotto in schiavitù e collocato in una struttura al fine di garantirne l'incolumità personale, in quanto la condizione del minore all'epoca delle indagini era tale da non far presagire che lo stesso potesse allontanarsi e rendersi irreperibile (Cass. VI, n. 50994/2019).

In definitiva, l'irreperibilità del dichiarante, di per sé, anche quando volontaria, non determina automaticamente la inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, ma è un dato neutro che assume valenza ai fini dell'art. 526 comma 1-bis, qualora sia connotata dalla volontà di sottrarsi all'esame, desumibile o da prova diretta o da presunzione collegata all'avvenuta citazione per il dibattimento (Cass. III, n. 25327/2019).

Dunque è consentita l'acquisizione al fascicolo del dibattimento, ai sensi dell'art. 512 , delle dichiarazioni testimoniali rese in sede di indagini preliminari, allorchè il teste abbia avuto effettiva contezza della citazione e la sua assenza non sia frutto di una libera scelta di sottrarsi all'esame (Cass. VI, n. 57243/2017).

Secondo altro orientamento, la volontarietà dell'assenza, che comporta l'operatività del divieto di cui all'art. 526, comma 1-bis, può essere determinata da una qualsiasi libera scelta, e non necessariamente dall'intenzione di sottrarsi al contraddittorio (Cass. III, n. 3068/2017).

Sono state ritenute utilizzabili le dichiarazioni predibattimentali di un soggetto, in precarie condizioni di vita, il quale aveva dimostrato di fatto e attestato per iscritto di essere disponibile a rendere le dichiarazioni in dibattimento, aveva presenziato alla prima udienza, e per le successive aveva chiesto l'accompagnamento coattivo in quanto impossibilitato a pagare il titolo di viaggio, soggetto poi divenuto irreperibile perchè dedito all'alcool e privo di stabile dimora: si è ritenuto infatti che l'irreperibilità non fosse  dovuta alla volontà di sottrarsi al dibattimento (Cass. I, n. 18848/2007).

Per la medesima ratio, è  stato affermato che in caso di decesso del querelante è pienamente utilizzabile la querela a fini probatori, ed è legittimo fondare la sentenza di condanna in modo significativo od esclusivo sul suo contenuto, senza che ciò determini una violazione dell'art. 6 CEDU, atteso che la sopravvenuta morte del dichiarante integra un caso di impossibilità oggettiva di ripetizione dell'atto non collegabile con l'intento di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale (Cass. fer., n. 43285/2019). Allo stesso modo sono utilizzabili mediante lettura le dichiarazioni predibattimentali del dichiarante poi suicidatosi (Cass. I, n. 13697/2016), e quelle del dichiarante divenuto incapace (Cass. II, n. 27256/2019).

Nel caso, invece, di dichiarante residente all'estero, le S.U. hanno precisato che ai fini dell'acquisizione mediante lettura dibattimentale, ex art. 512-bis delle dichiarazioni del residente all'estero, è necessario preliminarmente accertare l'effettiva e valida citazione del teste non comparso - secondo le modalità previste dall'art. 727 per le rogatorie internazionali o dalle convenzioni di cooperazione giudiziaria - verificandone l'eventuale irreperibilità mediante tutti gli accertamenti opportuni. Occorre, inoltre, che l'impossibilità di assumere in dibattimento il teste sia assoluta ed oggettiva, e, non potendo consistere nella mera impossibilità giuridica di disporre l'accompagnamento coattivo, occorre che risulti assolutamente impossibile la escussione del dichiarante attraverso una rogatoria internazionale concelebrata o mista, secondo il modello previsto dall'art. 4 della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 (Cass. S.U., n.  27918/2010).

La natura assoluta del divieto impedisce di utilizzare contro l'imputato le dichiarazioni rese dall'accusatore recalcitrante anche nel caso in cui esse siano contenute in una sentenza irrevocabile di condanna, ai sensi dell'art. 238-bis, perché veicolare in questo modo nel dibattimento le dichiarazioni rese dall'accusatore recalcitrante equivarrebbe ad un aggiramento del divieto legale (Cass. V, n. 36080/2015).

La coercizione dell'accusatore

Il divieto di provare la colpevolezza sulla base delle dichiarazioni di chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del suo difensore, opera a condizione che al dichiarante possa essere mosso il rimprovero per una simile condotta, sicché non si applica al caso in cui il soggetto non sia stato chiamato a deporre in giudizio (Cass. II, n. 26819/2008), o laddove l'imputato o il suo difensore non abbiano mai chiesto di esaminare il dichiarante, o vi abbiano rinunziato.

Nel caso in cui l'esame del dichiarante sia stato richiesto dall'imputato o dal suo difensore ed egli non sia comparso per sottoporvisi, senza essere deceduto o incapace di testimoniare, l'applicazione del divieto dipende da alcuni accertamenti di merito. Deve in primo luogo verificarsi se l'accusatore abbia avuto conoscenza della citazione a comparire per rendere esame (testimoniale o di persona imputata in procedimento connesso o collegato), dal momento che laddove non sussista prova di tale conoscenza, non potrà ritenersi che egli abbia volontariamente e liberamente scelto di sottrarsi all'esame (Cass. III, n. 12634/2010). Con la ulteriore precisazione che, per ritenere una persona irreperibile ai fini che qui rilevano, non basta l'infruttuoso espletamento delle ricerche previste dall'art. 159, ma è necessario che il giudice compia tutti gli accertamenti congrui alla peculiare situazione personale del soggetto da ricercare, quale risultante dagli atti, dalle deduzioni specifiche eventualmente effettuate dalle parti, nonché dall'esito dell'istruttoria svolta nel corso del giudizio; allo stesso modo il giudice dovrà dare conto, con motivazione non apparente e non manifestamente illogica o contraddittoria, dell'apprezzamento compiuto sulla ragionevole impossibilità di svolgere ulteriori ed efficaci ricerche del dichiarante (Cass. I, n. 14243/2015).

Laddove, al contrario, la prova della conoscenza della citazione sia stata acquisita, e il dichiarante non si presenti in dibattimento, occorrerà accertare nel merito, mediante apposita istruttoria, se esistano ragioni per ritenere che tale assenza sia derivata da libera scelta oppure no.

Dovrà innanzitutto verificarsi se egli sia sottoposto a coercizione nella persona che gli impedisca di comparire. In particolare, laddove egli sia sottoposto a misura cautelare non custodiale di per sé incompatibile con la comparizione (come ad esempio l'obbligo di dimora in luogo diverso da quello ove ha sede l'ufficio giudiziario) oppure a custodia cautelare, dovrà essere cura dell'imputato o del suo difensore documentare la circostanza (ad esempio esibendo la prova della costanza di misura cautelare incompatibile con la comparizione del dichiarante oppure la relazione di notificazione da cui essa risulti) e, all'esito dell'adempimento di tale onere probatorio, cura dell'organo giudicante disporre la traduzione o autorizzare la comparizione dell'accusatore, e soltanto ove egli, pur autorizzato, non compaia oppure rinunzi alla traduzione (se imputato in procedimento connesso o collegato) oppure accompagnato coattivamente (se testimone) non deponga, potrà ritenersi integrato il presupposto per l'applicazione del divieto in commento. Diversa è l'ipotesi in cui la coercizione dell'accusatore dipenda da circostanze indifferenti all'autorizzazione del giudice, come nel caso in cui egli sia detenuto all'estero e sia rifiutata l'estradizione, la consegna temporanea o la realizzazione del collegamento in videoconferenza. In tali casi, evidentemente, non potrà ascriversi a libera scelta dell'accusatore quella di sottrarsi all'esame dell'imputato o del suo difensore, sicché il cennato divieto non trova applicazione — fermo restando il potere del giudice di procedere all'esame del dichiarante mediante rogatoria internazionale attiva oppure di sospendere il processo in attesa del rilascio del dichiarante laddove, nel merito, ritenga assolutamente necessario il suo esame per la decisione.

I limiti

La previsione secondo cui la prova della colpevolezza non può risiedere nelle dichiarazioni dell'accusatore sempre liberamente rifiutatosi di sottoporsi ad esame difensivo va interpretata nel senso che  tali dichiarazioni non possono essere utilizzate quale prova contro l'imputato (Tonini, 667), nemmeno se i verbali che le contengono sono state acquisite al fascicolo del dibattimento con il suo consenso (Cass. II, n. 26819/2008); al contrario, saranno sempre utilizzabili in suo favore, (Cass. V, n. 14991/2012).

Va tuttavia precisato che l'art. 526 comma 1-bis opera esclusivamente nell'ambito del giudizio dibattimentale ordinario, e non anche nel giudizio abbreviato, sia semplice che condizionato.

È stato osservato che alla base di tale rito vi è una libera scelta negoziale dell'imputato, che trova la sua base direttamente nell'art. 111 comma 5 Cost., e che attribuisce agli atti dell'indagine preliminare un valore probatorio del quale sono fisiologicamente sprovvisti quando il giudizio stesso sia condotto nelle forme ordinarie (Cass. I, n. 1052/2016).

D'altro canto, l'inoperatività della norma riposa anche su ragioni di ordine sistematico e logico: da un lato essa trova significativa collocazione nel libro settimo concernente il giudizio ordinario, dall'altro essa è incompatibile con le disposizioni specifiche che regolano il giudizio abbreviato, tra cui quella dell'art. 438 che prevede la decisione allo stato degli atti; nè la circostanza della eventuale integrazione probatoria è idonea a mutare la natura e le caratteristiche proprie del rito, come si rileva dalla stessa previsione dell'art. 438, comma 5, che fa espressamente salva la utilizzabilità ai fini della prova degli atti di cui all'art. 442, comma 1-bis, fra i quali sono inclusi quelli indicati all'art. 416, comma 2 (fascicolo contenente la notizia di reato, documentazione relativa alle indagini espletate, verbali di atti eventualmente compiuti davanti al G.i.p. cfr. Cass. V, n. 40580/2002).

In definitiva, la ratio della previsione del divieto in parola va ricercata nella volontà legislativa di evitare che le propalazioni accusatorie provenienti da un soggetto possano fondare la dichiarazione di penale responsabilità dell'imputato senza che questi abbia potuto interrogare o fare interrogare il suo accusatore. Da tanto deve desumersi che il divieto opera con riferimento alle singole circostanze oggetto di dichiarazione. Se dunque il dichiarante si sottoponga all'esame difensivo su parte delle circostanze richiestegli, ma non su altre, le accuse relative a tali ultime circostanze saranno inidonee a fondare la prova di responsabilità dell'imputato. Il divieto, dunque, va riguardato non dal punto di vista meramente formale, ritenendo che il mero fatto di sottoporsi all'esame difensivo da parte del dichiarante consenta di superare il divieto, ma dal punto di vista sostanziale, nel senso che il divieto permane in relazione a tutte le circostanze di fatto rispetto alle quali il dichiarante, che pure abbia riferito su altre circostanze nel corso dello stesso esame difensivo, si sia sempre per libera scelta volontariamente rifiutato di sottoporsi ad esame.

Fino alla chiusura del dibattimento, ed anche in appello, la scelta dell'accusatore di sottoporsi all'esame dell'imputato o del suo difensore determina il venir meno del divieto in commento, sicché le sue dichiarazioni possono valutarsi da parte del giudice e fondare la prova di responsabilità penale dell'imputato. Coerentemente, laddove la condanna di primo grado sia stata pronunziata in base alle dichiarazioni dell'accusatore irreperibile per ragioni diverse dalla libera scelta di sottrarsi all'esame difensivo, in presenza di specifica censura dell'appellante il dibattimento andrà rinnovato al fine di consentire all'imputato od al suo difensore l'esame del dichiarante, se divenuto nuovamente reperibile, oppure di ulteriormente controdedurre con riferimento all'interpretazione della irreperibilità come libera scelta di volontaria sottrazione all'esame difensivo, come ritenuto in giurisprudenza (Cass. V, n. 32954/2014).

In argomento sono intervenute anche le S.U., seppure in tema di riforma in grado d'appello del giudizio assolutorio di primo grado, riforma che sia fondata su una diversa valutazione delle medesime dichiarazioni già ritenute decisive per l'assoluzione dal giudice a quo.

Hanno affermato le S.U. che in tal caso il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata ed affermare la responsabilità dell'imputato senza avere proceduto a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei dichiaranti; e, qualora tale rinnovazione non sia possibile per irreperibilità, infermità o decesso del soggetto da esaminare, resta precluso il ribaltamento del giudizio assolutorio "ex actis"; permane tuttavia il dovere del giudice di accertare sia la effettiva sussistenza della causa preclusiva alla nuova audizione, sia che la sottrazione all'esame non dipenda nè dalla volontà di favorire l'imputato, nè da condotte illecite di terzi, perché in tal caso è legittimo fondare il proprio convincimento sulle precedenti dichiarazioni assunte (Cass. S.U., n.  27620/2016).

Il principio è stato recepito a livello legislativo con la l. 23 giugno 2017, n. 103, la quale ha introdotto nell'art. 603 un comma 3-bis, secondo cui il giudice di secondo grado deve procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale quando l'appello è proposto dal P.M. contro la sentenza di proscioglimento e si basa sulle valutazioni della prova dichiarativa; in altri termini, laddove il giudice ritenga di modificare l'esito del giudizio d'appello in relazione alla valutazione della prova dichiarativa, è obbligato alla rinnovazione istruttoria.

Il principio diviene però recessivo quando il giudice d'appello riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado: in tal caso egli non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (Cass., S.U., n. 14800/2018).

Va tuttavia precisato che le S.U. hanno di recente affermato, con particolare riferimento al caso del decesso del dichiarante, che la riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante, e tuttavia la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, c.p.p., ivi compresa la possibilità di lettura delle dichiarazioni predibattimentali già rese dal suddetto deceduto   (Cass., S.U., n. 11586/2022).  

Casistica

Le dichiarazioni rese al curatore, dall'imputato, dall'imputato di reato connesso e dai testi, e poi dal curatore trasfuse nella relazione ex art. 33 l. fall., sono pienamente utilizzabili quali prove a carico (il curatore non appartiene alle categorie di cui all'art. 63; la sua attività non può considerarsi ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 220 disp. coord.; egli può ben riferire quanto dettogli da terzi in quanto non vige in tal caso il divieto di testimonianza indiretta ex art. 195 c.p.p., non essendo egli ne' agente, nè ufficiale di p.g.); coerentemente, è utilizzabile, quale prova a carico dell'imputato, anche la testimonianza indiretta del curatore fallimentare su dichiarazioni ricevute da un coimputato. In tal caso, ove non sia stata chiesta l'audizione del coimputato, non vi è spazio per invocare la violazione dell'art. 526 comma 1-bis (Cass. V, n. 24781/2017); al contrario, sussiste la violazione, allorchè l'imputato o il suo difensore abbiano chiesto l'esame del predetto coimputato e questi vi si sia per libera scelta sottratto (Cass. V, n. 13060/2017).

Il contenuto delle conversazioni intercettate non equivale, per la sua spontaneità, alla chiamata in reità o correità, sicché laddove l'interlocutore si sottragga all'esame difensivo non si applica il divieto di fondare sulle conversazioni intercettate la prova di colpevolezza (Cass. VI, n. 25806/2014).

Il divieto di fondare la prova di colpevolezza sulle dichiarazioni di chi si è sempre volontariamente sottratto all'esame difensivo si applica anche allorché le dichiarazioni accusatorie siano state acquisite al fascicolo del dibattimento con il consenso di tutte le parti (Cass. II, n. 26819/2008).

A proposito del materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione, la S.C. ha ritenuto che non è precluso al giudice l'ascolto in camera di consiglio, anziché nel pubblico dibattimento, delle bobine magnetiche sulle quali sono incise le conversazioni intercettate, così come l'utilizzo, ai fini della decisione, dei risultati dell'ascolto stesso, anche se ciò avvenga a seguito di rigetto dell'istanza della difesa concernente l'audizione dei nastri in dibattimento, ciò in quanto  non è ravvisabile alcuna violazione del diritto al contradditorio (Cass. II, n, 27089/2023).

Vedi però, Cass. I, n. 43917/2017, secondo cui viola il principio della formazione della prova in contraddittorio, la visione da parte del giudice in camera di consiglio di videoriprese pur ritualmente acquisite, i cui contenuti siano decisivi per la ricostruzione dei fatti, senza che la stessa abbia avuto luogo anche in dibattimento.

È stato anche affermato che  la perizia trascrittiva disposta ex art. 268, comma 7, e svolta successivamente all'udienza fissata per la formazione del fascicolo per il dibattimento ex art. 431,  può essere legittimamente depositata nel corso del dibattimento, mediante inserimento nel relativo fascicolo, con conseguente piena utilizzabilità della stessa, senza alcuna violazione del contradditorio, poiché il difensore può, ai sensi dell'art.  491, comma 2, dedurre, anche tardivamente, le questioni sull'inserimento della perizia nel fascicolo per il dibattimento (Cass. II, n. 14948/2018).

Così, anche la trascrizione della registrazione di una deposizione testimoniale assunta nell'incidente probatorio non costituisce un mezzo di prova, né una attività di documentazione fornita di propria autonomia conoscitiva, rappresentando esclusivamente una mera operazione di trasposizione in segni grafici del contenuto della registrazione, non indispensabile ai fini della validità o della utilizzabilità della prova rappresentata:  ne deriva che l'omesso o tardivo deposito di detta trascrizione, laddove depositata tempestivamente la registrazione, non determina la violazione dell'art. 415-bis, con conseguente nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio (Cass. III, n. 14726/2019).

Sempre in tema di materiale probatorio utilizzabile ai fini della decisione, è processualmente utilizzabile anche il verbale descrittivo di beni sottoposti a sequestro poi annullato dal tribunale del riesame, sui quali sia stato emesso un nuovo e diverso provvedimento di sequestro: pur se da tale atto non può trarsi la prova dei fatti in esso descritti, possono ricavarsi elementi di giudizio - solo relativi ai fatti documentali in esso rappresentati -  che il giudice, in base al suo libero convincimento, può utilizzare nell'ottica del perseguimento del fine primario del processo penale, e cioè l'accertamento della verità (Cass. II, n. 41770/2016).

Anche il riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari è prova pienamente utilizzabile ed idonea a fondare l'affermazione di penale responsabilità, anche se non seguita da una formale ricognizione dibattimentale, purché, attraverso l'acquisizione dell'album fotografico, il giudicante sia posto in grado di apprezzare compiutamente l'affidabilità del risultato probatorio, verificando in particolare il numero e la qualità delle fotografie sottoposte al dichiarante, e le caratteristiche fisionomiche sia della persona riconosciuta che delle altre (Cass. II, n. 28391/2017).

Non sono invece utilizzabili, ai fini della deliberazione, le informazioni tratte in camera di consiglio dal sito internet "google maps", in quanto trattasi di acquisizione unilaterale di elementi conoscitivi che determina l'impiego a fini decisori di prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento nel contraddittorio tra le parti, in violazione dell'art. 526. Non vale in proposito richiamare la categoria del notorio, in quanto l'introduzione di un siffatto elemento conoscitivo richiede lo sviluppo di un'attività acquisitiva di tipo cd. costituendo, che contribuisce a fissarne il contenuto e l'oggetto dimostrativo. E il dato così acquisito va sottoposto al preliminare vaglio del contraddittorio tra le parti, affinchè ciascuna possa controdedurre, o comunque averne conoscenza preventiva (Cass. I, n. 36315/2016).

In materia di esame delle parti private, la denuncia presentata dalla parte offesa può essere acquisita al fascicolo del dibattimento, se contenuta in quello del pubblico ministero e utilizzata per le contestazioni (Cass. II, n. 25526/2019).

Bibliografia

Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2013.

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