Codice di Procedura Penale art. 535 - Condanna alle spese 1 .Condanna alle spese 1. 1. La sentenza di condanna pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali 2. 2. [I condannati per lo stesso reato o per reati connessi sono obbligati in solido al pagamento delle spese. I condannati in uno stesso giudizio per reati non connessi sono obbligati in solido alle sole spese comuni relative ai reati per i quali è stata pronunciata condanna]. 3 3. Sono poste a carico del condannato le spese di mantenimento durante la custodia cautelare, a norma dell'articolo 692 [28, 29 att. min.]. 4. Qualora il giudice non abbia provveduto circa le spese, la sentenza è rettificata a norma dell'articolo 130.
[1] V. artt. 204 ss. d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. [2] Comma così modificato dall'art. 67, comma 2, lett. a), l. 18 giugno 2009, n. 69. [3] Comma abrogato dall'art. 67, comma 2, lett. b), l. n. 69, cit. InquadramentoL'art. 535 dispone che la sentenza di condanna ponga a carico del condannato le spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare per la parte di questa che non sia superiore alla pena definitivamente inflitta. Nel caso di pluralità di reati e/o di condannati, ciascuno di essi è tenuto al pagamento delle spese processuali pertinenti ai soli reati per i quali è stato condannato nonché delle spese di mantenimento durante la custodia cautelare da ciascuno patita. Nel caso in cui sia stata omessa la statuizione sulle spese processuali in sentenza, deve ovviarsi con la procedura per la correzione dell'errore materiale prevista dall'art. 130. La condanna alle spese diviene esecutiva solo con l'irrevocabilità della sentenza e la riscossione è eseguita mediante ruoli dal concessionario: il debitore, a sua volta, può opporsi all'esecuzione o agli atti esecutivi, a seconda che contesti il potere di riscossione o gli atti della riscossione, mediante opposizione innanzi al giudice competente a) esecuzione penale, se si contesta l'irrevocabilità della sentenza o una statuizione direttamente dipendente dalla statuizione penale; b) esecuzione civile se si contesta il computo delle somme pretese o la regolarità formale degli atti della riscossione. Più in particolare, spetta al giudice dell'esecuzione penale la competenza a decidere sulle questioni relative alla esistenza e validità del titolo per l'esercizio dell'azione di recupero, comprese quelle attinenti alla portata e al significato delle relative disposizioni, mentre per tutte le questioni concernenti l'ammontare delle spese incluse nella notula redatta dall'ufficio del campione penale, l'interessato deve adire il giudice civile con le forme dell'opposizione all'esecuzione (Cass. I, n. 50974/2019). Le spese processuali e le spese di mantenimento durante la custodia cautelareSi tratta di due titoli di spesa formalmente e sostanzialmente differenti. Le spese processuali comprendono tutte le spese sostenute dall'autorità giudiziaria per la celebrazione del processo, sia con riferimento alle spese forfettizzate, sia con riferimento alle spese per ausiliari, interpreti, custodi, amministratori, consulenti tecnici, periti, intercettazioni telefoniche ed ambientali, traduzioni, videoconferenze e simili, mentre non comprendono le spese sostenute dalle parti civili, regolate dall'art. 541. Le spese di mantenimento durante la custodia cautelare contemplano esclusivamente il mantenimento in carcere, e sono limitate alla parte di mantenimento in custodia cautelare che non ecceda la durata della pena definitivamente inflitta, poiché in tal caso la differenza di custodia cautelare è senza titolo e non possono derivarne conseguenze negative a carico della persona cautelarmente custodita, che può anzi richiedere la riparazione per l'ingiusta detenzione ai sensi dell'art. 314. Proprio basandosi sulla diversa natura delle spese processuali e di quelle di mantenimento in carcere, la giurisprudenza ha precisato che - in caso di patteggiamento - le spese di mantenimento in carcere dell'imputato devono essere in ogni caso poste a suo carico a prescindere dalla sanzione concordata, attesa la loro diversa natura rispetto alle spese processuali (Cass. IV, n. 50314/2018). Più dibattuta è invece la questione delle spese in caso di arresti domiciliari presso la propria abitazione, in altro luogo di privata dimora, o presso un luogo pubblico di cura o assistenza: in dottrina si è rilevato che, nonostante l'imputato in stato di arresti domiciliari si consideri in stato di custodia cautelare, tale equiparazione non vale in relazione all'onere di anticipazione di tali spese e alla loro ripetibilità, e ciò anche alla luce di quanto disposto dall'art. 47-ter comma 5 ord. pen., secondo cui nessun onere grava sull'amministrazione penitenziaria per il mantenimento la cura e l'assistenza medica del soggetto ammesso alla detenzione domiciliare (CERQUA). Sono altresì a carico dell'imputato le spese anticipate dallo Stato per la conservazione e la custodia delle cose sequestrate, sicché – qualora non si sia provveduto in sentenza – è legittimo procedere all'integrazione della sentenza stessa mediante il procedimento di correzione dell'errore materiale, poiché anche l‘art. 150 T.U.S.G. (d.P.R. n. 115/2002) esclude il pagamento di tali spese solo nei casi di archiviazione, sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. l'art. 535 comma 2 dettava alcune regole specifiche per i condannati per il medesimo reato o per più reati tra loro connessi ex art. 12, ed in particolare prevedeva che fossero obbligati in solido al pagamento di tutte le spese processuali, mentre i condannati nel medesimo giudizio per reati non connessi erano obbligati in solido alle sole spese comuni relative ai reati per i quali la condanna era stata emanata (Cerqua). La norma, oggetto di molte critiche in quanto di complessa applicazione (si pensi ad es. al caso di condanna per reati in danno reciproco, dove le spese non possono dirsi comuni in quanto i reati sono diversi) è stata opportunamente abrogata dalla l. 18 giugno 2009, n. 69. Come hanno precisato le S.U., l'esclusione del vincolo di solidarietà conseguente alla suddetta abrogazione, non ha effetto sulle statuizioni di condanna alle spese emesse anteriormente in tal senso e passate in giudicato, e ciò non per la natura processuale della suddetta disposizione abrogatrice, cui va invece riconosciuta natura di norma sostanziale, bensì in forza della preclusione di cui all'ultimo inciso del comma quarto dell'art. 2 c.p. (Cass., I, n. 8320/2020; Cass. S.U., n. 491/2011). Deve pertanto ritenersi che attualmente ciascun condannato sia tenuto al pagamento delle spese processuali sostenute in relazione ai soli reati per cui è stato condannato, (Cass. S.U., n. 491/2012; Cass. V, n. 28081/2013; Cass. III, n. 39736/2010; Cass. I, n. 32979/2010), ed eventuali questioni relative a tale aspetto, successivamente all'irrevocabilità della sentenza di condanna, vanno proposte innanzi al giudice dell'esecuzione penale (Cass. S.U., n. 491/2012; Cass. III, n. 36359/2015). Altra e diversa questione è poi quella per cui lo Stato non deve indebitamente locupletarsi, per cui una volta che le spese sostenute per ciascun reato siano state pagate da uno o più condannati per esso, cessa il potere di riscossione delle stesse spese nei confronti di altri condannati per la medesima imputazione. L'obbligazione al pagamento delle spese di mantenimento in custodia cautelare grava altresì personalmente su ciascun condannato in relazione al periodo di mantenimento in custodia cautelare da questi patito. In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, si è fondatamente osservato in giurisprudenza che l'esclusione, prevista dall'art. 445, della condanna al pagamento delle spese processuali quando la pena applicata non sia superiore a due anni, si estende anche al pagamento delle spese di mantenimento in custodia cautelare (Cass. V, n. 6787/2014), ed è stato precisato che, in linea generale, la condanna al pagamento delle spese processuali non è preclusa dall'ammissione dell'imputato al patrocinio a spese dello Stato (Cass. V, n. 44117/2011; Cass. I, n. 8320/2020 ). In ogni caso, anche nella formulazione antecedente la modifica intervenuta con l'art. 67, l. n. 69/2009, l'obbligo solidale al pagamento delle spese processuali discende soltanto dalla condanna per concorso nel medesimo reato o per reati tra i quali ricorre una connessione qualificata, e non già dall'unicità di processo per mera connessione soggettiva o probatoria o per altre ragioni di opportunità processuale ( Cass. I, n. 17410/2019 ). Si è anzi precisato che l'ammissione al beneficio comporta soltanto, ex art. 4 d.P.R. n. 115/2002, l'anticipazione delle spese da parte dello Stato, ma non incide sull'operatività della regola per cui l'imputato soccombente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali - le quali, infatti, sono soggette a recupero da parte dello Stato ex art. 200 del suddetto d.P.R. n. 115/2002, - né sulla sua eventuale condanna, in caso di inammissibilità del ricorso per cassazione dal medesimo proposto, al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende (Cass. 24114/2017). In dottrina si è sottolineato che il responsabile civile può essere condannato esclusivamente al rimborso delle spese processuali anticipate dalla parte civile per la difesa nel giudizio, non già alle spese processuali anticipate dallo Stato né al rimborso in favore dell'imputato delle spese da questi sostenute per difendersi nel giudizio (Manzione, 551). L’omessa statuizione sulle spese processualiL'art. 535 comma 4 prevede espressamente la rettificazione della sentenza ex art. 130 per l'ipotesi in cui essa abbia omesso di statuire in ordine alle spese processuali che il condannato è tenuto a versare allo Stato. Secondo parte della giurisprudenza, trattasi di una regola ispirata dal principio di semplificazione, che mira a favorire la rapida definizione del processo, cosicchè per porre rimedio all'errore commesso dal giudice, non è necessario instaurare un nuovo grado di giudizio (con il correlativo effetto di sospendere l'esecuzione e ritardare il passaggio in giudicato), perché la condanna al pagamento delle spese non è statuizione rimessa alla discrezionalità del giudice, ma discende direttamente dall'osservanza di un obbligo di legge. Ne consegue che il mezzo esperibile per emendare la sentenza di condanna o equiparata a quella di condanna che ometta di provvedere sulle spese processuali (ed eventualmente su quelle di mantenimento durante la custodia cautelare), è la correzione di errore materiale a norma dell'art. 130, e non l'impugnazione (Cass. VI, n. 38189/2011). Molto controversa è, invece, la questione della possibilità di ricorrere alla procedura di rettificazione in caso di omessa statuizione da parte del giudice in ordine alle spese processuali, espressamente chieste dalla parte civile, a carico del soggetto condannato. Secondo un orientamento il ricorso a tale rimedio non è possibile, poichè non sussiste alcun automatismo ed inderogabilità in ordine all'ammontare di tali spese, potendo il giudice far luogo ad una compensazione totale o parziale per soccombenza reciproca, accoglimento solo parziale della domanda, anche per novità o complessità delle questioni da essa implicate, ovvero potendole determinare diversamente con riferimento agli onorari, determinati dalle tariffe professionali entro un minimo ed un massimo (Cass. VI, n. 9579/2016). Secondo altro orientamento, invece, è possibile ricorrere anche in questo caso alla procedura di correzione di errori materiali, se non emergono circostanze che giustifichino la compensazione, totale o parziale, delle spese (Cass. V, n. 51169/2013), principio anche recentemente riaffermato per il giudizio d'appello (Cass., IV, n. 5805/2021; Cass. V, n. 14702/2019). Il procedimento di correzione può essere esperito anche in caso di omessa condanna alle spese processuali del responsabile civile: infatti il responsabile civile risponde del pagamento delle spese processuali in solido con l'imputato condannato, e tale obbligo consegue di diritto alla condanna; alla omissione della statuizione deve pertanto ovviarsi con la procedura di correzione di errori materiali, se non emergono circostanze che giustifichino la compensazione, totale o parziale, delle spese con la procedura di correzione degli errori materiali, cui può far luogo anche la Corte di Cassazione quale giudice della impugnazione, la quale in tal modo può correggere anche la sentenza di primo grado, ove a ciò non abbia provveduto il giudice di appello (Cass. IV, n. 31353/2013). In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti superiore a due anni di reclusione si è in passato ritenuto non emendabile quale errore materiale l'omessa condanna al pagamento delle spese relative alla custodia e conservazione dei beni in sequestro, in ragione della natura discrezionale della valutazione sottesa alla relativa liquidazione (Cass. III, n. 46740/2012; Cass. V, n. 24948/2011), ma un orientamento più recente si è attestato sulla posizione opposta, fondatamente osservando che la discrezionalità del giudice che procede alla liquidazione si appunta sulle tabelle ministeriali che regolano le indennità di custodia e pertanto anche nel caso previsto dall'art. 445 l'omessa condanna al pagamento delle spese di custodia e conservazione dei beni in sequestro è emendabile ai sensi dell'art. 130 (Cass. I, n. 3347/2014). Il principio si applica anche al giudizio abbreviato (Cass. V, n. 42899/2014) ed al giudizio di cassazione (Cass. II, n. 17326/2013). Fino a che la correzione non sia stata eseguita, l'autorità giudiziaria non ha naturalmente il potere di procedere alla riscossione coattiva, ed ove il concessionario vi proceda comunque, il debitore può proporre opposizione all'esecuzione innanzi al giudice competente, che nella specie va individuato nel giudice dell'esecuzione penale, competente a conoscere dell'irrevocabilità e conseguente esecutività della sentenza penale. Si è inoltre osservato che il meccanismo della correzione dell'errore materiale conseguente all'omissione della condanna alle spese opera in una sola direzione, per cui laddove la condanna al pagamento delle spese sia stata erroneamente pronunziata, il relativo capo della sentenza può essere emendato esclusivamente mediante l'impugnazione, non già mediante la procedura di correzione dell'errore materiale (Cass. I, n. 26302/2011). La riscossione coattiva delle speseLa statuizione che pone le spese a carico del condannato diviene esecutiva esclusivamente con l'irrevocabilità della sentenza in cui è contenuta. Una volta divenuta irrevocabile la sentenza che pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali e/o di mantenimento in custodia cautelare, l'autorità giudiziaria procede mediante ruoli, attraverso il concessionario, alla riscossione coattiva. La domanda del condannato che, senza mettere in discussione la sussistenza e la portata della statuizione in sé della condanna al pagamento delle spese del procedimento penale, contesti la correttezza della loro quantificazione quale operata dall'ufficio addetto a tale compito, sotto il profilo sia del calcolo del concreto ammontare delle voci di spesa sia della loro pertinenza ai reati cui si riferisce la condanna, quali desumibili dalla statuizione predetta, va proposta al giudice civile nelle forme dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. (Cass. S.U. n. 491/2012). Diversamente, le questioni che attengono alla esistenza, validità e sufficienza del titolo per l'esercizio dell'azione di recupero (come quando si censuri il capo della sentenza relativo alla condanna al pagamento delle spese processuali), rientrano nella competenza del giudice dell'esecuzione penale (Cass. III, n. 36359/2015). La ripartizione tra competenze civili e penali non è questione di giurisdizione, competenza o attribuzione, ma esclusivamente di organizzazione tabellare dell'ufficio giudiziario, sicché non è configurabile, da parte del giudice civile che ritenga tabellarmente competente il giudice penale e viceversa, alcuna sentenza declinatoria di giurisdizione o competenza, ma esclusivamente ordinanza di improcedibilità che non preclude la riproposizione dell'opposizione innanzi al giudice dell'esecuzione tabellarmente competente (Cass. S.U., n. 491/2012).
CasisticaLa giurisprudenza ha affermato che è illegittima la decisione con cui il giudice di appello - confermando la sentenza di assoluzione di primo grado - condanni la parte civile al rimborso delle spese sostenute nel grado dall'imputato, in assenza di esplicita richiesta di quest'ultimo (Cass. V, n. 28709/2015); diversamente, qualora tali spese siano state chieste, l’omissione è emendabile con il rimedio di cui all’art. 130 (Cass. VI, n. 8668/2014, in materia di omessa condanna della parte civile alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’imputato, a seguito di inammissibilità del ricorso avverso sentenza di assoluzione in appello). L'impugnazione degli atti di riscossione coattiva delle spese processuali e di mantenimento in custodia cautelare appartiene alla competenza del giudice dell'opposizione civile se non involge statuizioni penali (Cass. I, n. 2955/2013). La sentenza che dichiara l'improcedibilità per mancanza di querela non può condannare l'imputato al pagamento delle spese di giudizio, perché questa statuizione di condanna presuppone la soccombenza (Cass. VI, n. 27984/2018). BibliografiaManzione, Art. 535, in Chiavario, Commento al nuovo codice di procedura penale, Torino, 1989-1991. |