Codice di Procedura Penale art. 537 - Pronuncia sulla falsità di documenti.

Donatella Perna

Pronuncia sulla falsità di documenti.

1. La falsità di un atto o di un documento, accertata con sentenza di condanna [533], è dichiarata nel dispositivo [241, 675].

2. Con lo stesso dispositivo è ordinata la cancellazione totale o parziale, secondo le circostanze e, se è il caso, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma dell'atto o del documento, con la prescrizione del modo con cui deve essere eseguita [675 2]. La cancellazione, la ripristinazione, la rinnovazione o la riforma non è ordinata quando possono essere pregiudicati interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento.

3. La pronuncia sulla falsità è impugnabile, anche autonomamente, con il mezzo previsto dalla legge [568] per il capo che contiene la decisione sull'imputazione.

4. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche nel caso di sentenza di proscioglimento [425].

Inquadramento

La norma in esame risponde ad esigenze di pubblica fede, ed ha lo scopo di eliminare dal circuito legale atti dei quali sia stata accertata la falsità (Cass. II, n. 13911/2016).

Riferendosi genericamente ad atti o documenti, essa ha riguardo ad ogni specie di atto, pubblico o privato, e ad ogni tipo di documentazione, anche non scritta (CORDERO).

La falsità di atti e documenti

La falsità alla quale il Legislatore si riferisce è generalmente indicata, sicché deve intendersi riferita sia ai casi di falso materiale, nelle forme dell'alterazione o della falsificazione, sia di falso ideologico, allorché non sussista coincidenza contenutistica tra il contenuto descrittivo e la realtà alla quale esso si riferisce. Trova applicazione altresì al falso parziale, motivo per cui è prevista la cancellazione, il ripristino, la rinnovazione e la riforma anche parziali dell'atto o documento falso. L'indicazione dei concetti di atto o documento deve intendersi riferita a due distinte categorie di oggetti materiali su cui si sia appuntata l'istruttoria dibattimentale, nella misura in cui gli atti sono tutti i supporti, cartacei, informatici, telematici o d'altro genere, in cui è manifestata una volontà pubblica o privata munita di effetti giuridici, mentre i documenti sono tutti i supporti, di qualsivoglia genere, che recano una descrizione della realtà, anche perché destinati a formarne prova. Parte della dottrina (Cordero, 998) ritiene che la norma non si applichi a film, fotografie, dischi, nastri e simili, ricompresi nella previsione dell'art. 234. Deve pertanto ritenersi che l'indagine relativa alla falsità dell'atto o del documento pertenga ad un ampio spettro di ipotesi, dal caso in cui il provvedimento della pubblica autorità sia ideologicamente falsificato, al caso in cui il documento d'identità sia riferito a persona diversa da quella effigiata nella fotografia. Non appartiene alla categoria degli atti e documenti ogni altro supporto che rechi opere dell'ingegno la cui falsità debba essere apprezzata con esclusivo riferimento all'identità dell'autore, come nel caso di un quadro falsamente attribuito alla mano di un artista diverso da colui che lo abbia effettivamente realizzato, perché in tal caso si tratta di un oggetto, corpo del reato, ma non di un atto né di un documento.

L'accertamento positivo ed il tipo di sentenza

La legge prevede espressamente che la dichiarazione di falsità debba essere dichiarata nel dispositivo sia della sentenza di condanna sia della sentenza di proscioglimento.

Deve comunque trattarsi di un provvedimento giurisdizionale a contenuto decisorio e non meramente interlocutorio, cosicchè è abnorme l'ordinanza di restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521, comma 2, in cui sia anche dichiarata la falsità di un atto o di un documento (Cass. V, n. 57085/2018).

La condizione per la dichiarazione di falsità, tuttavia, resta l'accertamento giudiziale della stessa, cosicchè  quando l'azione penale è improcedibile, non può essere dichiarata la falsità, perché l'improcedibilità dell'azione inibisce qualsiasi accertamento, a meno che la condizione di procedibilità sopravvenga (Cass. V, n. 20734/2010).

La falsità di un atto o documento può essere dichiarata:

In caso di sentenza di estinzione del reato per prescrizione, purchè sia motivato l'accertamento della falsità, atteso che la relativa dichiarazione non può essere fatta meccanicamente conseguire, quale inevitabile effetto della causa estintiva, la cui applicazione nulla sta a significare, nè in ordine alla sussistenza del fatto, nè in ordine alla colpevolezza dell'imputato (Cass., III, n. 15767/2020).

-       In caso di oblazione, purchè risulti già esercitata l'azione penale, come ad esempio a seguito di opposizione a decreto penale di condanna (Cass. III, n. 33790/2005).

-       In caso di sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal giudice per l'udienza preliminare (art. 425, comma 5).

-       In caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, non occorrendo alcuna valutazione di merito per una declaratoria che la legge pone come effetto inevitabile della sentenza di condanna, a cui è equiparabile la sentenza ex art. 444 (Cass. V, n. 35383/2016; Cass. S.U. n. 20/1999).

-       In caso di sentenza resa all'esito di giudizio abbreviato.

La statuizione in oggetto è prevista solo nel contesto di decisioni costitutive aventi natura giurisdizionale, sicchè non può essere contenuta in un provvedimento di archiviazione, in quanto con esso il giudice si limita a controllare la legalità del mancato esercizio, da parte del Pubblico Ministero, della azione penale, e non può emanare statuizioni pregiudizievoli per l'indagato o per terzi (Cass. III, 24806/2009).

Pertanto,  ove la sentenza sia di proscioglimento, ma l'accertamento di falsità sia stato positivamente condotto, la dichiarazione è dovuta; ove, invece,  la sentenza sia di condanna ma l'accertamento circa la falsità sia mancante o incompleto, la dichiarazione è vietata.

La giurisprudenza ha opportunamente sottolineato la necessità che, ai fini della dichiarazione di falsità,  l'atto o il documento sia acquisito, a cura delle parti o a mezzo del sequestro probatorio, agli atti del fascicolo (Cass. III, n. 42162/2013), essendo altrimenti a dichiarazione preclusa.

Infine, la dichiarazione di falsità va assunta anche nel caso siano disposte confisca e distruzione dell'atto o documento dichiarato falso (Cass. V, n. 19938/2005).

 

Gli effetti

In dottrina si è precisato che, a seguito della dichiarazione di falsità, può sorgere la necessità di provvedimenti riparatori (MANZIONE), che diano concreta attuazione alla pronuncia.

Sarà lo stesso giudice, in dispositivo, a disporre  la cancellazione, totale o parziale, dell'atto o documento nullo, o il ripristino, ovvero la rinnovazione o la riforma, con indicazione delle modalità di esecuzione.

La cancellazione, totale o parziale, si riferisce evidentemente ai casi in cui l'atto o documento sia frutto, in tutto o in parte, di falso materiale, sicché la parte alterata o manomessa va cancellata, o di falso ideologico ben individuato ed autonomo rispetto al contenuto dell'atto, sicché la parte viziata va cancellata quia vitiatur sed non vitiat. Nei casi in cui, invece, la falsità assuma nell'economia dell'atto o documento un rilievo tale per cui la mera cancellazione, anche parziale, altererebbe il significato, descrittivo o dispositivo, dell'atto o documento medesimo, il giudice deve ordinare che il medesimo atto sia ripristinato (ove sia possibile ricondurlo alla forma veridica primigenia, come nel caso in cui sia stata aggiunta una clausola falsa ad un testamento olografo vero), o rinnovato (laddove sia impossibile ripristinarlo ma sia suscettibile di nuova formulazione nei medesimi termini originari, come nel caso in cui una ricognizione di debito sia stata alterata sovrascrivendo una somma maggiore di quella originariamente vergata) o riformato (mediante materiale riproposizione, negli originari termini corretti e veritieri, come nel caso di un contratto preliminare di compravendita dal quale siano stati strappati alcuni fogli con le firme originali). Una volta che il giudice abbia individuato l'operazione da eseguire, dovrà indicarne le modalità di esecuzione, ed in caso di rifiuto del destinatario dell’ordine, dovrà procedersi all'esecuzione forzata analogamente a quanto previsto dal codice di rito civile per l'esecuzione degli obblighi di fare.

È precluso estendere i provvedimenti in parola ad atti dipendenti dagli atti falsi, come accadrebbe ad esempio se il giudice intendesse escludere dalla graduatoria di merito di un concorso il soggetto che vi abbia partecipato presentando documenti falsi al fine di attestare il possesso dei requisiti di partecipazione, (Cass. V, n. 32035/2014).

I limiti

Ferma restando la dichiarazione di falsità, al giudice è fatto divieto di ordinare la cancellazione, il ripristino, la rinnovazione e la riforma dell'atto o documento falso allorché una di queste operazioni possa pregiudicare gli interessi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento. Sul punto deve premettersi che trattandosi di terzi non intervenuti come parti nel procedimento, gli interessi in gioco non possono identificarsi con quelli dell'imputato, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria, del responsabile civile e della parte civile. Gli interessi di tali terzi, inoltre, tra cui la persona offesa (Cordero, 976), sono tutelati a condizione che non siano intervenuti in giudizio, quindi ove fossero stati citati, ma non si siano costituiti nel giudizio, è preclusa al giudice la pronunzia dei provvedimenti indicati. Si tratta, ancora di interessi di terzi, non già di diritti, sicché i provvedimenti in parola sono vietati anche se essi siano fonte di pregiudizio non già ad un diritto soggettivo dei terzi, ma anche ad un loro più generale interesse soggettivo, purché giuridicamente protetto, quale ad esempio un interesse legittimo o diffuso, oppure una legittima attesa di diritto (si pensi al caso dell'emptio spei aut rei speratae).

La dichiarazione di falsità va tuttavia revocata dai giudici di appello qualora sia pronunciata l'estinzione del reato per morte del reo, trattandosi di statuizione autonoma ed accessoria della sentenza penale e non già di una statuizione civile, sicchè la parte civile, ai sensi dell'art. 576, comma 1, c.p.p., non è legittimata ad impugnare la pronunzia sulla falsità (Cass. V, n. 14194/2018).

L'omissione della dichiarazione di falsità

L'omissione della dichiarazione di falsità e dei provvedimenti conseguenti, quando dovuti, è motivo di impugnazione, anche autonoma (art. 537 comma 3): si tratta di una innovazione rispetto alla previgente disciplina, che consente di impugnare autonomamente  il capo della sentenza che contiene la statuizione in oggetto, onde tutelare gli interessi dei terzi non intervenuti come parti nel giudizio, che rischiano di apprendere solo casualmente e tardivamente del pregiudizio per i loro interessi derivante dalla pronunzia dei provvedimenti conseguenti alla dichiarazione di falsità, cui è pertanto riconosciuta la facoltà della autonoma impugnazione del capo della sentenza con cui è dichiarata la falsità e sono assunti i provvedimenti conseguenti.

Ma a tale autonoma impugnazione è ammesso anche l'imputato prosciolto che vi abbia interesse.

La giurisprudenza – pronunciandosi in fattispecie in cui l'imputato, assolto dal reato di cui all'art. 480 c.p. perché il fatto non costituisce reato, aveva impugnato la  dichiarazione di falsità dell'atto pronunciata dal giudice - ha osservato che detto interesse sussiste ogni qualvolta l'impugnazione sia preordinata alla eliminazione di un atto lesivo della sfera giuridica del soggetto interessato, anche se involgente effetti extrapenali, quali il nocumento personale e sociale (Cass. V, n. 17411/2007).

Dopo un serrato dibattito giurisprudenziale, sembra ormai consolidato l'orientamento secondo cui la dichiarazione di falsità – in caso non vi abbia provveduto il giudice del merito - può essere pronunziata direttamente dalla Corte di cassazione, anche se adita in sede di impugnazione della sentenza pronunziata ai sensi dell'art. 444, (Cass. IV, n. 26870/2018; Cass. II, n. 40403/2015; Cass. V, n. 20744/2014; Cass. V, n. 7477/2014), purché la pronunzia non involga valutazioni di merito (Cass. IV, n. 2258/2014; Cass. V, n. 21008/2014; Cass. II, n. 31953/2013; Cass. V, n. 17283/2008;Cass. V, n. 44613/2005).

Dopo l'irrevocabilità, l'omissione costituisce motivo idoneo a promuovere incidente di esecuzione (cfr. art. 675), purché l'accertamento della falsità risulti dal testo della sentenza divenuta irrevocabile e possa essere immediatamente riscontrato (Cass. I, n. 20237/2013; Cass. V, n. 2671/2001).

Il rimedio è esperibile anche dai terzi, qualora la sentenza sia divenuta irrevocabile in assenza del loro intervento: infatti essi  possono proporre incidente di esecuzione limitatamente ai provvedimenti pregiudizievoli per i loro interessi conseguenti alla dichiarazione di falsità contenuta nella sentenza irrevocabile.

Così, ad es., nel procedimento di esecuzione volto alla dichiarazione di falsità ideologica di una clausola di contratto di compravendita immobiliare, il notaio che ha rogato l'atto pubblico contenente il predetto contratto è parte necessaria, essendo titolare di un interesse concreto a contrastare la pretesa di accertamento della falsità formale, potendo da ciò derivare una sua responsabilità disciplinare per violazione del divieto (imposto dall'art. 28, comma 1, n. 1, l. n. 89/1913) di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge, sanzionato con la sospensione, a norma dell'art. 138 della medesima legge (Cass. I, n. 9925/2020).

Il giudice dell'esecuzione ha il potere di assumere, ferma restando l'intangibilità del giudicato di falso, statuizioni di cancellazione, ripristino, rinnovazione o riforma anche lesive degli interessi dei terzi che abbiano promosso l'incidente di esecuzione o vi siano comunque intervenuti, (Cass. I, n. 1396/2005;Cass. I, n. 8910/2000). L'impugnazione del provvedimento di esecuzione spetta esclusivamente al soggetto titolare di diretto interesse, sicché l'imputato non può proporre impugnazione intesa ad ottenere provvedimento conforme esclusivamente ad interessi dei terzi, titolari di un diritto di impugnare autonomo (Cass. S.U., n. 20/1999).

Casistica

Le statuizioni sul falso contenute in una sentenza di proscioglimento devono fondarsi sul positivo accertamento della falsità (Cass. III, n. 7908/2015), tuttavia,  il giudice che dichiara falsi i documenti utilizzati per partecipare ad un concorso non può modificare la graduatoria di merito del concorso medesimo (Cass. V, n. 32035/2014). Inoltre, laddove il documento falso non sia versato in atti, il giudice è tenuto ad acquisirlo per potere provvedere di conseguenza (Cass. III, n. 42162/2013).

Come detto sopra, l'imputato prosciolto può impugnare il capo relativo alla falsità (Cass. V, n. 240/2012), ma sentenza di proscioglimento per improcedibilità originaria impedisce qualsivoglia accertamento, anche quello della falsità (Cass. V, n. 20734/2010).

Non ricorre invece l'interesse del pubblico ministero ad impugnare la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 95 d.P.R. n. 115/2002, che abbia omesso di dichiarare la falsità della certificazione sostitutiva di atto di notorietà, poiché tale statuizione non avrebbe comunque rilevanza pratica, avendo l'atto falso esaurito ogni sua efficacia al momento della utilizzazione da parte dell'imputato al fine di ottenere l'ammissione al gratuito patrocinio (Cass. IV, n. 25577/2017 ; Cass. III, n. 24375/2019 ). 

La falsa attestazione di regolare revisione, apposta con falso tagliando sulla carta di circolazione di un autoveicolo, non inficiando la validità del documento nella sua interezza ed essendo emendabile con la cancellazione parziale prevista dall'art. 537, comma 2, non giustifica la confisca del documento (Cass. V, n. 19996/2019). 

Bibliografia

Cordero, Procedura penale, Milano, 2012.

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