Codice di Procedura Penale art. 541 - Condanna alle spese relative all'azione civile.

Donatella Perna

Condanna alle spese relative all'azione civile.

1. Con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno [538, 539 1], il giudice condanna l'imputato e il responsabile civile in solido al pagamento delle spese processuali [75 1] in favore della parte civile [153 att.], salvo che ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale [574, 575].

2. Con la sentenza che rigetta la domanda indicata nel comma 1 o che assolve l'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità [85 s. c.p.], il giudice, se ne è fatta richiesta, condanna la parte civile alla rifusione delle spese processuali sostenute dall'imputato e dal responsabile civile per effetto dell'azione civile, sempre che non ricorrano giustificati motivi per la compensazione totale o parziale. Se vi è colpa grave, può inoltre condannarla al risarcimento dei danni causati all'imputato o al responsabile civile [576].

Inquadramento

Il regime adottato dal codice di procedura penale in tema di condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile costituita è fondato - attesa la pertinenza della statuizione in esame ad una domanda privatistica innestata nel giudizio penale -  sul criterio di soccombenza, operando l'art. 541, comma 1, in analogia con quanto disposto all'art. 91 c.p.c., ed essendo ammessa, in analogia altresì all'art. 92 comma  2 c.p.c., la possibilità di disporre la compensazione (parziale o totale) delle spese, quando ricorrano giusti motivi, così come previsto dall'ultima parte della norma in commento (Cass. V, n. 47061/2014).

L'onere delle spese va valutato, nell'ipotesi di alterne vicende nei diversi gradi del giudizio, con riferimento all'esito finale, a nulla rilevando che una parte,risultata infine soccombente, sia stata vittoriosa in qualche fase o grado (Cass. V, n. 15806/2019 ). Il fatto che l'onere della rifusione delle spese giudiziali sostenute dalla parte civile sia collegato alla soccombenza, e, nel giudizio di impugnazione, all'interesse della  persona offesa o danneggiata dal reato a far valere i propri diritti in contrasto con i motivi proposti dall'imputato, comporta che, qualora nessun pregiudizio possa derivare alla parte civile dall'accoglimento del gravame, la stessa, pur avendo diritto di intervenire, non ha alcun interesse a concludere. Pertanto,  laddove dall'eventuale accoglimento dell'impugnazione proposta dall'imputato non possa derivare alcun pregiudizio alla parte civile, quest'ultima, non avendo interesse a formulare proprie conclusioni nel conseguente giudizio, pur se esercita il suo diritto di partecipare allo stesso, non ha titolo alla rifusione delle spese processuali (Cass. IV, n. 22697/2020, in fattispecie in cui la Corte ha annullato senza rinvio, nella parte relativa alla liquidazione delle spese in favore della parte civile, la sentenza emessa all'esito di giudizio di rinvio concernente esclusivamente questioni inerenti all'entità della pena).

La condanna alla spese in favore della parte civile

I presupposti per la condanna alle spese in favore della parte civile sono (CERQUA):

- L'accertamento della responsabilità dell'imputato

- La richiesta della parte civile

- L'accoglimento della domanda civilistica

Con riferimento al primo presupposto, la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese in favore della parte vittoriosa presuppone, in primo luogo, che la sentenza si sia pronunziata nel merito della controversia, sicché sentenze declaratorie di improcedibilità o di estinzione del reato non sono suscettibili di fondare la pronunzia della condanna di una parte al rimborso delle spese sostenute dalla controparte per la difesa nel giudizio. Così, ad es., l'estinzione del reato per remissione della querela non consente, nel silenzio delle parti, di condannare l'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile (Cass. VI, n. 30988/2007).

Tuttavia, vanno fatte alcune precisazioni.

È stato infatti osservato che l'intervenuta prescrizione del reato, di per sé, non esclude che l'imputato possa egualmente essere condannato al pagamento delle spese processuali, poichè l'unico limite che il giudice incontra è costituito dalla soccombenza della parte civile: si argomenta ex artt. 541 comma 2, 442 comma 2 e 91 c.p.c., che solo nel caso in cui la domanda della parte civile sia ritenuta nel merito infondata, il giudice non può condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in suo favore. Ma la prescrizione dei reati per i quali la parte offesa sia stata ammessa a costituirsi parte civile non è indice di soccombenza, sicché l'imputato ben può essere ugualmente condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile (Cass. II, n. 2891/2022).

Anche il rigetto dell'appello dell'imputato, avverso la sentenza che dichiara l'estinzione del reato, determina la soccombenza di questi nella misura in cui nega la statuizione di infondatezza delle pretese risarcitorie della parte civile e, quindi, giustifica la condanna alle spese a favore della parte civile limitatamente al grado di appello (Cass. II, n. 8015/2009).

È stato però precisato che il giudice di primo grado, quando accerti già in fase predibattimentale l'avvenuta maturazione della prescrizione, ed emette per questo sentenza ai sensi dell'art. 469, non può pronunciarsi sulle richieste della parte civile costituita, né condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali a favore di questa, in quanto la natura della decisione ex art 469 è incompatibile con tali statuizioni, che si fondano sull'accertamento della responsabilità dell'imputato (Cass. V, n. 28569/2017).

Quanto al secondo presupposto, l'art. 153 disp. att. prevede che le spese siano liquidate sulla base della nota spese che la parte civile deve depositare al più tardi insieme alle conclusioni.

Tuttavia, anche in tal caso vanno fatte alcune precisazioni.

Un risalente orientamento giurisprudenziale riteneva che la presentazione della nota spese fosse presupposto indefettibile della liquidazione, sicchè, in mancanza di essa, il giudice non poteva provvedere in merito. Tale orientamento è oramai superato, sul rilievo che l'art. 153 disp. att. non commina alcuna sanzione di nullità o inammissibilità per l'inosservanza del dovere della parte civile di produrre l'apposita nota, cosicchè la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta, non ne preclude la liquidazione in favore della stessa parte civile sulla base della tariffa professionale vigente, compreso il rimborso delle spese vive (Cass. IV, n. 2311/2019). Ciò significa che, purchè la richiesta di rifusione sia stata presentata, la concreta liquidazione può essere disposta dal giudice d'ufficio.

Le Sezioni Unite hanno recentemente ribadito il principio rilevando che l'art. 153 disp. att. c.p.p. non commina alcuna sanzione di nullità o inammissibilità per l'inosservanza del dovere della parte civile di produrre l'apposita nota spese: ciò comporta che la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta, non preclude la liquidazione in favore della stessa parte civile delle spese sulla base della tariffa professionale vigente; tuttavia, con riferimento al rimborso delle spese vive, è necessaria la specificazione e l'allegazione di adeguata documentazione probatoria (Cass. S.U., n. 877/2023, in motivazione).

Con riferimento al terzo presupposto, è stato precisato che poiché la condanna alla rifusione delle spese è consentita solo in caso di accoglimento della domanda di restituzione o risarcimento del danno, l'ammissione dell'imputato all'oblazione preclude tale possibilità, salvo quanto stabilito dalla sentenza della Corte cost. n. 443/1990 con riferimento all'ipotesi di patteggiamento (Cass. I, n. 37354/2007).

Anche la morte dell'imputato, intervenuta prima dell'irrevocabilità della sentenza, comporta la cessazione sia del rapporto processuale in sede penale che del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, con la conseguenza che le eventuali statuizioni civilistiche restano caducate "ex lege" senza la necessità di una apposita dichiarazione da parte del giudice penale (Cass. III, n. 5870/2011).

Va infine ricordato che, ove il giudice abbia pronunziato condanna dell'imputato al rimborso delle spese, omettendo però di condannare in solido anche il responsabile civile, la sentenza va corretta mediante ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale prevista dall'art. 130 (Cass. IV, n. 31353/2013).

La condanna alle spese in appello

Per quanto attiene alla condanna alle spese in grado d'appello, la parte civile che resista vittoriosamente all'istanza dell'imputato volta ad escludere il suo diritto al risarcimento del danno derivante dal reato per cui si procede, ha diritto alla rifusione delle spese di assistenza e rappresentanza già anticipate.

Peraltro, tale rifusione è dovuta anche quando – confermata la responsabilità dell'imputato – l'impugnazione sia stata accolta sotto altri profili, come, ad es. quando gli sia riconosciuto un minor grado di colpa concorrente o la pena sia ridotta. In altri termini, in materia di regolamento delle spese da parte del giudice di merito, si ha violazione del principio della soccombenza soltanto nell'ipotesi in cui l'imputato sia totalmente vittorioso, nel senso che egli sia assolto con formula preclusiva dell'azione civile; diversamente, è legittima la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile (Cass. V, n. 6419/2015; Cass. IV, n. 44777/2007; Cass. V, n. 22780/2021).

Tuttavia, la condanna alla refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile dipende dalla sussistenza di un interesse civile tutelabile, e, pertanto, non può essere disposta nel giudizio di impugnazione che abbia ad oggetto esclusivamente questioni attinenti al trattamento sanzionatorio (Cass. IV, n. 22697/2020; Cass. II, n. 29424/2018).

Il rigetto dell'appello dell'imputato, avverso la sentenza che dichiara l'estinzione del reato, determina la soccombenza di questi nella misura in cui nega la statuizione di infondatezza delle pretese risarcitorie della parte civile e, quindi, giustifica la condanna alle spese a favore della parte civile limitatamente al grado di appello (Cass. II, n. 8015/2009).

E’ stato infatti precisato che l’intervenuta prescrizione del reato, di per sé, non esclude che l'imputato possa egualmente essere condannato al pagamento delle spese processuali, poiché l'unico limite che il giudice incontra è costituito dalla soccombenza della parte civile: si argomenta ex artt. 541 comma 2, 442 comma 2 e 91 c.p.c., che solo nel caso in cui la domanda della parte civile sia ritenuta nel merito infondata, il giudice non può condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in suo favore. Ma la prescrizione dei reati per i quali la parte offesa sia stata ammessa a costituirsi parte civile non è indice di soccombenza, sicché l'imputato ben può essere ugualmente condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile (Cass. II, n. 2891/2022).

Il giudice di appello non può liquidare d'ufficio le spese processuali sopportate dalla parte civile che non sia comparsa in udienza e non abbia presentato le conclusioni in forma scritta, difettando in tal caso il requisito della presentazione di una specifica domanda sul punto (Cass. II, n. 42934/2014). D'altro canto, qualora vi sia stata rinuncia della parte civile alla propria costituzione nel corso del giudizio di appello, senza limiti né condizioni,  come nel caso in cui abbia rilasciato una dichiarazione ampiamente liberatoria nel giudizio di appello, dichiarando di non avere null'altro a pretendere dall'imputato in relazione ai fatti in contestazione, e di essere pienamente soddisfatta dell'avvenuto risarcimento del danno, il giudice di appello deve revocare la condanna pronunciata al riguardo dal giudice di primo grado alle spese e ai danni in favore della stessa parte civile (Cass. VI, n. 24725/2015).

È stato peraltro precisato che la condanna alle spese processuali prevista dall'art. 541 trova il suo fondamento nell'esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che ha dovuto svolgere un'attività processuale per ottenere il riconoscimento e l'attuazione di un suo diritto; sicché essa non può essere pronunziata in favore della parte civile vittoriosa che non abbia però  partecipato al giudizio d'appello, poiché essa, non avendo espletato alcuna attività processuale, non ha sopportato spese al cui rimborso abbia diritto.  Ne consegue che la parte civile che non abbia partecipato al giudizio di appello, pur essendo risultata all'esito del  giudizio, vittoriosa, non ha diritto alla rifusione delle spese del grado, non avendo svolto in appello attività processuale legittimante la predetta statuizione (Cass. II, n. 6965/2019).

In una interessante applicazione, la S.C. ha sostenuto che è legittima la condanna dell'imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile in caso di assoluzione in appello per la trasformazione del reato in illecito civile ai sensi del d.lgs. n. 7/2016 ed annullamento delle statuizioni civili di condanna al risarcimento del danno, non risultando la parte civile in tal caso soccombente (Cass. III, n. 37419/2017).

Sempre per il giudizio di appello, la S.C. ha precisato che può farsi ricorso al procedimento di correzione ex art. 130 per emendare la sentenza di conferma resa dal giudice di secondo grado che abbia omesso di condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile nel grado, qualora non risultino dalla motivazione elementi indicativi della volontà del giudice di disporre la compensazione, totale o parziale, di tali spese ed emerga, invece, la giustificazione del pagamento in favore della parte civile (Cass. V, n. 14702/2019).

Va tuttavia segnalato un altro orientamento giurisprudenziale, in contrasto con il precedente, secondo il quale l'omessa pronuncia del giudice di appello sulla condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, non è affatto rimediabile con la procedura exart. 130 c.p.p,  proprio perché si tratta di  emenda non automatica e non predeterminata, ma implicante valutazioni sia in ordine alla ammissibilità della relativa domanda, sia in ordine alla stessa entità della liquidazione, che ben può essere neutralizzata da una possibile compensazione (Cass. II, n. 46654/2019).

La condanna alle spese nel giudizio di legittimità

In via generale, nei giudizi di impugnazione si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di attuazione relative al giudizio di primo grado, sicché anche nel giudizio di legittimità non competono le spese processuali alla parte civile che, dopo avere depositato memorie, non intervenga nella discussione in pubblica udienza  (Cass. V, n. 29481/2018; principio recentemente ribadito da Cass., V, n. 9430/2019 ; ma, per un diverso orientamento, v. Cass. IV, n. 38227/2018 e Cass. II, n. 12784/2020), e qualora il ricorso da questa proposto avverso la sentenza di assoluzione in grado d'appello sia dichiarato inammissibile, dovrà essere condannata a rifondere all'imputato, che ne abbia fatto richiesta, le spese sostenute nel giudizio di legittimità (Cass. IV, n. 23529/2016). Si è altresì precisato che – limitando l'art. 616 la sospensione della esecuzione alla sola condanna civile – nel giudizio di cassazione non può essere sospesa la condanna alle spese processuali in favore della parte civile.

Da ultimo, è stata sottoposta all'attenzione delle S.U. la seguente questione: "Se, nel giudizio di legittimità, la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., ed alla emissione del decreto di liquidazione degli onorari e delle spese a beneficio del difensore della predetta parte civile, ai sensi dell'art. 83, comma 2 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, spetti alla Corte di cassazione ovvero al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato".

Le S.U. hanno affermato che "Nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di cassazione provvedere, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., alla condanna generica dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002" (Cass. S.U. n. 5464/2020).

Recentemente le Sezioni Unite hanno affermato che nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese (Cass. S.U. n. 27727/2024): la S.C. ha precisato che non è sufficiente per far maturare il diritto alla liquidazione la mera presentazione di conclusioni scritte fuori udienza.

La condanna alle spese nel c.d. patteggiamento

Ai sensi dell'art.444, comma 2, se vi è costituzione di parte civile, il giudice non decide sulla relativa domanda ma l'imputato è condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salvo che ricorrano giusti motivi per la compensazione totale o parziale.

La giurisprudenza ha osservato che tale disposizione recepisce il contenuto della sentenza della Corte Cost. n.443 del 1990 che si fondava sulla esigenza, meramente equitativa, di tenere indenne dalle spese già sostenute il danneggiato dal reato che avesse legittimamente esercitato l'azione civile nel processo penale in vista del ristoro del danno, costituendosi "per l'udienza preliminare o successivamente", e cioè in una situazione processuale che legittimasse la sua aspettativa a che il processo potesse concludersi, appunto, con la condanna dell'imputato al risarcimento del danno, risultato che appunto implica la costituzione di parte civile .

Il principio è stato riaffermato dalle Sezioni Unite le quali – chiamate a definire un contrasto sorto sulla differente questione relativa alla ammissibilità della costituzione di parte civile nell'udienza avente ad oggetto la richiesta di applicazione della pena nel corso delle indagini ex art. 447 - hanno rilevato che "le ragioni risarcitorie del danneggiato dal reato non possono trovare ascolto nel giudizio di applicazione della pena su richiesta; e che l'art.444, comma 2, nel recepire il portato della sentenza della Corte Costituzionale n.443 del 1990, si limita a stabilire il diritto della parte civile già costituitasi nell'udienza preliminare, e cioè in un momento processuale antecedente alla introduzione di questo speciale rito, alla rifusione delle spese processuali sostenute". Da tale ragionamento deriva che in tema di patteggiamento, l'imputato deve essere condannato al pagamento delle spese processuali a favore della parte civile a condizione che la costituzione della parte civile sia avvenuta prima dell'accordo per l'applicazione della pena.

Infatti, la domanda di liquidazione delle spese a favore della parte civile è estranea all'accordo tra il pubblico ministero e l'imputato ed è oggetto di un autonomo capo della sentenza che deve essere adeguatamente motivato dal giudice sulle singole voci riferibili all'attività svolta dal patrono di parte civile e sulla congruità delle somme liquidate (Cass. IV, n. 3756/2020).

Quanto alla procedura da seguire in caso di omissione del giudice a quo della condanna alle spese in favore della parte civile, vi sono orientamenti contrastanti.

Una prima decisione delle Cass. S.U. n. 7945/2008, ha ritenuto esperibile il ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale, purchè non emergano specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione, totale o parziale; una seconda decisione (Cass. S.U. n. 40288/2011) ha precisato l'ambito di operatività del procedimento di correzione, escludendone l'applicabilità tutte le volte che non si tratti di intervenire in modo automatico su una semplice omissione esteriore dell'atto scritto. Sembra dunque affermarsi l'orientamento secondo cui  l'omessa liquidazione delle spese nel c.d. patteggiamento  non è emendabile con la procedura di correzione, poiché la sentenza non è affetta da una mera mancanza di documentazione della volontà del giudice, comunque implicitamente desumibile, ma è affetta dalla mancanza di un giudizio sull'attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa. Ne consegue che tale omissione può essere emendata soltanto a seguito di gravame (Cass. V, n. 13111/2016).

Si discute se, in tema di patteggiamento,  il giudice debba condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali alla parte civile, anche in mancanza di apposita richiesta e deposito nota spese.

Un primo orientamento sostiene che  il giudice non ha il potere di cognizione e decisione in ordine ad eventuali domande di risarcimento danni e restituzione, sicchè la condanna alle spese non è condizionata dalla precisazione delle conclusioni della parte civile. In altri termini, il giudice deve d'ufficio provvedere alla condanna dell'imputato al pagamento delle spese in favore della parte civile costituita, anche senza l'esplicita richiesta di questa, liquidandole, in assenza della nota di cui all'art. 153 disp. att. c.p.p., con riferimento alla tariffa professionale vigente (Cass. V, n. 48731/2014).

Un secondo orientamento, più recente, sostiene invece che il giudice non può liquidare d'ufficio le spese processuali a favore della parte civile che non ne abbia fatto domanda mediante deposito della relativa nota spese (Cass. IV, n. 27335/2017).

La condanna alle spese a carico della parte civile

Il criterio di soccombenza comporta che anche la parte civile possa essere condannata alla rifusione delle spese processuali in favore dell'imputato o della parte civile. I presupposti di tale condanna sono (art. 541 comma 2):

- La richiesta dell'imputato

- L'assoluzione dell'imputato per cause diverse dal difetto di imputabilità o il rigetto della domanda di restituzione o di risarcimento del danno.

Quanto al primo presupposto, la giurisprudenza ha affermato che la condanna della parte civile appellante e soccombente al pagamento delle spese sostenute dall'imputato è subordinata alla "esplicita richiesta di rifusione delle spese sostenute" da parte dell'imputato stesso, muovendo da una lettura unitaria degli artt. 541 comma  2 e  592 comma  4 (Cass. V, n. 28709/2015).

Quanto al secondo presupposto (assoluzione per cause diverse dal difetto di imputabilità), esso si giustifica considerando che la parte civile potrebbe non conoscere la condizione di non imputabile dell'imputato, che tra l'altro non esclude, anzi, presuppone, l'antigiuridicità del fatto.

La circostanza, poi, che la condanna sia possibile solo in caso di assoluzione, porta a ritenere che essa sia esclusa negli altri casi di proscioglimento, quali ad es.  la sentenza di non doversi procedere o quella di non luogo a procedere all'esito dell'udienza preliminare.

Peraltro, anche in caso di accoglimento dell'impugnazione proposta dall'imputato e di conseguente assoluzione, la parte civile, in assenza dei presupposti di cui all'art. 541, comma 2, c.p.p. (nella specie, difettando la necessaria richiesta di condanna) ed all'art. 542 (essendosi proceduto "ex officio"), non può essere condannata alla rifusione delle spese processuali, non essendo tale ipotesi contemplata dall'art. 592 (Cass. II, n. 17434/2019).

La compensazione delle spese

La compensazione delle spese è una novità del codice di procedura penale del 1988: può essere totale o parziale, e può riguardare sia il caso della condanna dell'imputato e del responsabile civile, sia quella della condanna della parte civile.

In particolare, quanto alla condanna della parte civile al pagamento delle spese di giudizio, la compensazione è ammessa, ai sensi dell'art. 541, co. 2, solo per gravi ed eccezionali ragioni, in analogia a quanto richiesto nell'ambito del processo civile dall'art. 92 c.p.c., come risultante all'esito della sentenza della Corte cost., n. 77 2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui non prevede che il giudice possa procedere a compensazione anche qualora sussistano altre analoghe «gravi ed eccezionali ragioni», con ciò volendosi intendere che l'elencazione di cui all'art. 92 c.p.c. non è tassativa (Cass. VI, n. 35931/2021).

Il giudice può compensare, anche in parte, le spese sostenute dalla parte vittoriosa quando ricorrano giusti motivi, ovvero nel caso in cui riconosca che la soccombenza sia stata reciproca, oppure che le questioni giuridiche controverse erano di eccezionale complessità, oppure che la ricostruzione del fatto proposta dalla parte soccombente presentava una efficacia persuasiva sufficiente a lasciar ritenere che la parte avesse agito nella ragionevole convinzione del proprio buon diritto.

In dottrina si è altresì osservato che la compensazione delle spese può essere disposta anche quando il rigetto della domanda civile dipenda esclusivamente dall'estinzione del reato (Cordero, 1003).

E' stato precisato che nel giudizio di appello, in caso di soccombenza reciproca, il giudice non è obbligato a disporre la compensazione delle spese ma può condannare l'imputato alla refusione di quelle sostenute dalla parte civile quando l'impugnazione dell'imputato stesso risulti infondata, atteso che questo non può essere condannato alle spese solo nel caso in cui in appello sia modificata la decisione di primo grado in senso a lui favorevole (Cass. V, n. 48206/2019).

In giurisprudenza è stato affermato che costituisce giusto motivo di compensazione delle spese processuali la soccombenza reciproca delle parti, derivante dalla presentazione alla Corte di cassazione, rispettivamente, di un ricorso inammissibile da parte dell'imputato e di una domanda inammissibile da parte della parte civile in sede di precisazione delle conclusioni (Cass. II, n.  48733/2016).

È invece illegittima la decisione con cui il giudice di appello - confermando la sentenza di assoluzione di primo grado - oltre a condannare la parte civile al pagamento delle spese processuali, compensi le spese sostenute dall'imputato ex art. 592, comma 4,  poiché tale norma riguarda esclusivamente le spese processuali dovute all'amministrazione della giustizia, diverse da quelle per l'assistenza legale nel grado di giudizio, e non prevede alcuna possibilità di compensazione totale o parziale delle stesse (Cass. VI, n. 25265/2017).

Per il giudizio di legittimità, costituisce giusto motivo di compensazione delle spese processuali la soccombenza reciproca delle parti, derivante dal rigetto tanto del ricorso dell'imputato quanto di quello della parte civile (Cass. IV, n. 39727/2019).

Le spese liquidabili

Il giudice è tenuto, in base alle risultanze agli atti, a condannare la parte soccombente a rimborsare in favore della parte vittoriosa sia le spese vive sostenute per la difesa in giudizio, come ad esempio i compensi a consulenti tecnici o le spese per acquisto di oggetti e documenti, sia gli onorari spettanti ai difensori costituiti in giudizio, da liquidare in base alla tariffa professionale forense, (Cass. V, n. 29934/2014; Cass. V, n. 14335/2014), vigente al momento in cui la prestazione ha avuto termine (Cass. II, n. 43143/2013).

L'art. 9, comma 1, d.l.  n. 1/2012 (conv. con modif. dalla l. n. 27/2012) ha  abrogato le tariffe professionali, e ha svincolato il giudice dai limiti massimi e minimi fissati dalle tariffe abrogate, obbligandolo nel contempo a far riferimento ai parametri stabiliti dal d.m.  20 luglio 2012, n. 140, e a fornire adeguata e specifica motivazione sulla loro utilizzazione, specialmente quando si discosti in maniera sensibile dai parametri medi indicati nella Tabella B allegata al citato decreto ministeriale. In particolare, l'omessa specificazione della  ripartizione delle somme riconosciute in relazione all'attività defensionale svolta dal patrono di parte civile nelle diverse fasi del procedimento, costituisce motivo di annullamento del provvedimento di liquidazione (Cass. V, n. 14335/2014).

Diversamente, quando si attenga ai valori medi, il giudice non è tenuto ad adottare una motivazione specifica sul punto, poiché l'art. 12 d.m. n. 55/2014 prevede espressamente di tener conto dei valori medi (Cass. II, n. 47860/2019).

Tuttavia, mentre nel caso di condanna dell'imputato od anche del responsabile civile, la parte civile ha diritto al rimborso di tutte le spese sostenute, nell'opposto caso di condanna della parte civile alla rifusione delle spese in favore dell'imputato od anche del responsabile civile, saranno rimborsabili soltanto le spese che questi abbiano sostenuto in conseguenza della costituzione e delle attività processuali riconducibili esclusivamente alla parte civile, mentre non avranno diritto al rimborso delle spese sostenute per la difesa derivanti dalle attività processuali del pubblico ministero, anche se esse siano in tutto o in parte coincidenti con le attività processuali promosse dalla parte civile costituita. Se dunque, ad esempio, il pubblico ministero e la parte civile abbiano prodotto una consulenza tecnica, per opporsi alla quale l'imputato ed il responsabile civile abbiano nominato propri consulenti tecnici, non avranno diritto al rimborso delle spese sostenute per l'onorario dei propri consulenti; se invece la consulenza tecnica sia stata promossa esclusivamente dalla parte civile, l'imputato vittorioso, od anche il responsabile civile con lui, avranno diritto al rimborso dell'onorario sborsato per i propri consulenti tecnici. La relativa valutazione di causalità è rimessa al giudice. La condanna dell'imputato è sempre solidale con il responsabile civile, se anche questi sia stato condannato, mentre la condanna della parte civile è sempre duplice, nel senso che dovrà rimborsare le spese sia in favore dell'imputato sia in favore del responsabile civile, se anche questi abbia preso parte vittoriosamente al giudizio.

In caso, poi, di assistenza e difesa di più parti aventi la stessa posizione processuale, è demandato al potere discrezionale del giudice di merito stabilire, di volta in volta, l'aumento dell'unico onorario, anche ove, trattandosi di più processi distinti, sia mancato un provvedimento di riunione (Cass. IV, n. 56685/2018).

La condanna della parte civile ail risarcimento del danno per colpa grave

A norma dell’ultima parte dell’art. 541, la parte civile può essere condannata al risarcimento dei danni causati all’imputato e al responsabile civile quando vi è colpa grave. Ricorre tale ipotesi nel caso in cui l'azione civile sia stata proposta nella consapevolezza della sua infondatezza fattuale o giuridica, oppure quando, sia pur in assenza di prova di tale consapevolezza, gli elementi in atti consentano di affermare che l'azione penale fu proposta senza la diligenza esigibile dalla parte civile nel verificare la sussistenza di un ragionevole fondamento, giuridico e fattuale, della propria pretesa.

La norma costituisce applicazione alla procedura penale del principio previsto dall'art. 96 c.p.c. in materia di risarcimento del danno da lite temeraria, ma ne costituisce unico riflesso previsto nel processo penale, che ha espressamente escluso l'applicabilità diretta o analogica dell'art. 96 citato (Cass. V, n. 23354/2008).

Essa non è applicabile alla condanna pronunziata nei confronti dell'imputato e del responsabile civile perché essi, destinatari dell'esercizio dell'azione penale nel cui àmbito è stata esercitata l'azione civile, hanno diritto a dispiegare ogni difesa, anche consapevolmente infondata, per difendersi dall'imputazione rivolta nei loro confronti.

Casistica

 

Sussiste il diritto alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile anche nel caso di pronuncia di condanna generica, con la quale il giudice accerta un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, rimettendo le parti dinanzi al giudice civile per la verifica della risarcibilità in concreto del danno e per la sua eventuale liquidazione (Cass. VI, n. 27817/2015).

Ancora, in tema di patrocinio dei non abbienti, è stato precisato che, affinché la Corte di cassazione possa procede alla liquidazione delle spese che l'imputato ricorrente è condannato a rifondere alla parte civile ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ex art. 110, d.P.R. n. 115/ 2002, è indispensabile che il difensore abbia presentato una nota spese conforme, nella indicazione delle voci e nei limiti quantitativi, alle prescrizioni dettate dall'art. 82 cit. d.P.R: in particolare, la liquidazione delle spese che l'imputato ricorrente è condannato a rifondere alla parte civile deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore della parte civile ai sensi del citato art. 82 (Cass. IV, n. 20044/2015).

La sentenza che dichiari inammissibile per rinunzia l'opposizione al decreto penale di condanna non può contenere statuizioni civili (Cass. VI, n. 13295/2018).

In caso di annullamento in sede di legittimità, su ricorso del pubblico ministero, della sentenza emessa dal giudice di pace ai sensi dell'art. 35 d.lgs. n. 274/2000, nulla va liquidato per le spese tra le parti private, dovendosi ritenere l'assenza di effettiva soccombenza dell'imputato nei confronti della parte civile, trattandosi di ricorso proposto dal P.M. ai fini penali e non sussistendo l'interesse della parte civile ad impugnare, anche ai soli fini civili: tale pronuncia, limitandosi ad accertare la congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell'estinzione del reato, non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile (Cass. IV, n. 829/2018).  

Bibliografia

Cordero, Procedura penale, Milano, 2012.

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