Codice di Procedura Penale art. 542 - Condanna del querelante alle spese e ai danni.Condanna del querelante alle spese e ai danni. 1. Nel caso di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, quando si tratta di reato perseguibile a querela [120 c.p.; 336 s.], si applicano le disposizioni dell'articolo 427 per ciò che concerne la condanna del querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato nonché alla rifusione delle spese e al risarcimento del danno in favore dell'imputato e del responsabile civile [574 2, 575 3] (1). 2. L'avviso del deposito della sentenza è notificato al querelante [576]. (1) V. Corte cost. n. 180 e 423 del 1993 sub art. 427. InquadramentoLa norma in commento prevede che, nei reati perseguibili a querela, quando il processo si sia concluso con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, in ordine alle spese e al risarcimento del danno si applicano le disposizioni dell’art. 427, il quale prevede: a) al primo comma, che con la sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dall’Erario; b) al secondo comma, che nei medesimi casi di cui al comma 1, se ne è fatta domanda, il querelante è condannato alla rifusione delle spese sostenute dall'imputato e, se il querelante si è costituito parte civile, anche di quelle sostenute dal responsabile civile, citato o intervenuto. Ma se ricorrono giusti motivi, le spese possono essere compensate in tutto o in parte, analogamente a quanto previsto dall’art. 92 c.p.c. per la compensazione delle spese nel processo civile. c) al terzo comma, che se vi è colpa grave il giudice può condannare il querelante a risarcire i danni all’imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto domanda. d) All’ultimo comma, infine, prevede che se il reato è estinto per remissione di querela, si applica l’art. 340, comma 4, ovvero il querelato è condannato al pagamento delle spese processuali anticipate dall’Erario ove non diversamente stabilito tra querelante e querelato. Va subito precisato che l’art. 427 richiamato dalla norma in esame, è stato oggetto di due distinte declaratorie di illegittimità costituzionale: con la sentenza Corte cost. n. 180/1993, la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità del primo comma, nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche quando risulti che l'attribuzione del reato all'imputato non sia ascrivibile a colpa del querelante. Con la successiva sentenza Corte cost. n. 423/1993, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del primo comma della detta norma, nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell'esercizio del diritto di querela. Trattasi di una figura di condanna atipica, perché inflitta ad un soggetto che nel corso del processo non ha assunto la veste formale di parte. È stato infatti osservato che il querelante diventa parte proprio in seguito a tale pronuncia, acquisendo tale qualità, ed in particolare la legittimazione ad impugnare ex art. 576 (CORDERO, in Commentario) I presupposti1) La condanna del querelante al pagamento delle spese anticipate dall'Erario scaturisce ope legis alle seguenti condizioni: : - l'assoluzione sia pronunziata perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, non già per altra causa: in caso di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, non è possibile porre a carico del querelante l'onere delle spese sostenute dall'imputato (Cass. II, n. 7034/2013). Parimenti, la norma non si applica nel caso in cui l'assoluzione abbia luogo per il riconoscimento della causa di non punibilità della provocazione, ex art. 599 c.p. (Cass. V, n. 11090/2015); Peraltro, è corretta la decisione del giudice che disponga la compensazione delle spese processuali tra imputato e querelante in caso di proscioglimento con la formula di cui all'art. 530, comma 2 c.p.p., non essendo prospettabile un comportamento colposo di quest'ultimo (Cass. II, n. 3099/2023). - il reato sia procedibile a querela, cosicchè è illegittima la sentenza di assoluzione che condanni al pagamento delle spese processuali la persona, non costituita parte civile, che abbia denunciato un reato perseguibile d'ufficio, atteso che la normativa processuale penale non prevede la condanna del denunciante, non costituito parte civile, al pagamento delle spese processuali; Non è però necessario che tutti i reati oggetto del processo siano procedibili a querela, poiché le spese e i danni sono correlati al procedimento in sé e prescindono dall'ulteriore contestazione di reati procedibili d'ufficio (Cass. IV, n. 15500/2020). - Sia accertata la colpa del querelante, con motivato giudizio, che può essere anche implicitamente contenuto nel discorso giustificativo svolto a fondamento della decisione. Infatti, a seguito delle sentenze della Corte costituzionale sopra citate (Corte cost. nn. 180/1993 e n. 423/1993), che hanno dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 427 c.p.p. richiamato dalla norma in commento, è venuto meno qualsiasi automatismo legale nella condanna alle spese del querelante, ed il giudice - prima di procedervi - deve accertare se vi sia stata una colpa propria di questi nell'esercizio del diritto di querela. Tale accertamento consiste nella positiva ricognizione dell'infondatezza della querela, sicchè non basta il mero riconoscimento della insufficienza o contraddittorietà della prova d'accusa (Cass. V, n. 47967/2014; Cass. II, n. 56929/2017). 2) La condanna del querelante al pagamento delle spese in favore dell'imputato assolto (e del responsabile civile, citato o intervenuto in giudizio) presuppone, oltre alle condizioni sopraindicate: - la specifica richiesta dell'imputato (e del responsabile civile), alla cui mancanza non può supplire neppure la richiesta del pubblico ministero (Cass. I, n. 7757/2007). Principio anche da ultimo ribadito da Cass. V, n. 920/2021. 3) Nel caso, infine, in cui l'imputato o il responsabile civile chiedano, oltre alla rifusione delle spese processuali, anche il risarcimento del danno, non basta l'accertamento della mera colpa del querelante nell'esercizio del diritto di querela, ma è necessaria la colpa grave, intesa come la trascuratezza del più alto grado e consistente nel non avvertire l'ingiustizia di una pretesa, ancorché essa appaia palese a chi valuti i fatti con ponderazione ed imparzialità. E poiché la domanda ha natura civilistica, incombe a colui che la propone l'onere di allegare e dimostrare l'esistenza dei presupposti per il suo accoglimento, e quindi la presenza del dolo o della colpa grave. In conclusione, la mancanza di colpa grave, può evitare la condanna al risarcimento del danno, ma non necessariamente quella alla rifusione delle spese, rifusione che può essere tuttavia esclusa per la presenza di giusti motivi, che il giudice ha l'onere di esattamente individuare e valutare (Cass. V, n. 39334/2009). Nel caso in cui, nelle more del procedimento, sopraggiunga il decesso del querelante, la condanna ex art. 542 non può essere disposta, e non solo, ovviamente, a carico del querelante deceduto, ma neanche a carico dei suoi eredi, posto che il principio della trasmissione dell'obbligazione agli eredi opera solo nel caso in cui l'obbligazione sia giuridicamente esistente, il che non è quando il decesso del querelante preceda la sentenza assolutoria. È stato precisato che l'obbligo di risarcire il danno e di rifondere le spese, così come quello di pagare le spese anticipate dallo Stato, sorgono soltanto con la pronuncia della relativa condanna ad opera del giudice, condanna che non può essere emessa, per difetto di regolare contraddittorio, nei confronti di soggetto il quale, in conseguenza della morte sopravvenuta, non è più parte nel processo. Tanto meno possono essere condannati gli eredi del querelante, a loro volta rimasti del tutto estranei al processo, nè questi potrebbero essere coinvolti nel rapporto processuale, atteso che nel processo penale non vi è un istituto analogo a quello che, nel rito civile, consente la riassunzione nei confronti degli aventi causa della parte deceduta (Cass. IV, n. 43162/2013). Spese del procedimento e remissione di querelaL'art. 427 richiama l'art. 340 nella parte in cui è previsto che in caso di remissione accettata di querela le spese del procedimento siano poste a carico del querelato, se non diversamente stabilito dall'accordo delle parti. Si dubita che tale regola possa applicarsi anche in sede dibattimentale, dal momento che l'art. 542 richiama l'art. 427 esclusivamente in caso di pronunzia di sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto o perché l'imputato non lo ha commesso, mentre in caso di remissione accettata di querela deve essere pronunziata sentenza di non doversi procedere ai sensi dell'art. 531 per estinzione del reato. Tuttavia, la portata generale dell'art. 340 con riferimento alla remissione accettata di querela lascia ritenere che anche il giudice del dibattimento, allorché pronunzia sentenza di proscioglimento per estinzione del reato dipendente da remissione accettata di querela, debba fare applicazione del principio posto dall'art. 340, sia pure per via diretta e non attraverso il richiamo all'art. 427. Omessa pronuncia della condanna alle speseIn giurisprudenza si è affermato che la quantificazione delle spese difensive costituisce una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato della sentenza di condanna, sicchè all’omessa pronuncia nel dispositivo della sentenza di condanna può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all'art. 130 (Cass. I, n. 11632/2011). In dottrina si è invece affermato che mentre l’omessa pronuncia sulla condanna del querelante al pagamento delle spese anticipate dall’Erario è emendabile attraverso la procedura di correzione degli errori materiali, trattandosi di statuizione che scaturisce ope legis dalla sentenza di assoluzione, la omissione della condanna alla rifusione delle spese processuali e al risarcimento del danno nei confronti dell’imputato e del responsabile civile non è riconducibile all’errore materiale, implicando comunque un giudizio discrezionale del giudice (CERQUA). La notifica dell'avviso di depositoLa previsione risponde alla necessità di consentire al querelante condannato al pagamento delle spese, nel caso in cui egli non sia costituito parte civile nel giudizio, di impugnare la condanna e di esercitare ogni altra facoltà riconosciutagli dalla legge. Invero, il pubblico ministero non è legittimato ad impugnare il capo della sentenza che condanna il querelante al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 542, non essendo prevista tale legittimazione dal combinato disposto di cui agli artt. 542 e 427, e difettando un interesse pubblico all'impugnazione (Cass. IV, n. 14276/2019). Il termine per l'esercizio di tali diritti e facoltà decorre dalla data di notifica dell'avviso, sicché ove esso sia omesso, il termine non decorre mai. Nessuna nullità consegue invece al caso in cui l'avviso non sia stato notificato al querelante che non sia stato condannato al pagamento, per l'evidente carenza di interesse ad impugnare un provvedimento non sfavorevole. CasisticaSe per errore il giudice abbia assolto l'imputato con formula diversa da quella che ha in realtà fondato l'assoluzione, e la formula erronea impedisca la condanna del querelante, il giudice dell'impugnazione può emendare la sentenza indicando la formula corretta, senza annullare la condanna del querelante fondatamente pronunziata (Cass. V, n. 4976/2006). Nel procedimento dinanzi al giudice di pace, è illegittima la sentenza che ometta di provvedere sulla richiesta dell'imputato, assolto per insussistenza del fatto, di condanna del querelante alla rifusione delle spese processuali, potendo tale statuizione essere esclusa solo in presenza di giusti motivi individuati e valutati dal giudice (Cass. V, n. 13809/2020). BibliografiaCordero, Procedura penale, Milano, 2012. |