Codice di Procedura Penale art. 558 - Convalida dell'arresto e giudizio direttissimo 1 .Convalida dell'arresto e giudizio direttissimo 1. 1. Gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto in flagranza [380, 381] o che hanno avuto in consegna l'arrestato lo conducono direttamente davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto [391] e il contestuale giudizio [223 coord.], sulla base della imputazione formulata dal pubblico ministero [163 att.]. In tal caso citano anche oralmente la persona offesa e i testimoni e avvisano il difensore di fiducia o, in mancanza, quello designato di ufficio a norma dell'articolo 97, comma 3. 2. Quando il giudice non tiene udienza, gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato gliene danno immediata notizia e presentano l'arrestato all'udienza che il giudice fissa entro quarantotto ore dall'arresto. Non si applica la disposizione prevista dall'articolo 386, comma 4. 3. Il giudice al quale viene presentato l'arrestato autorizza l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria a una relazione orale e quindi sente l'arrestato per la convalida dell'arresto. 4. Se il pubblico ministero ordina che l'arrestato in flagranza sia posto a sua disposizione, lo può presentare direttamente all'udienza, in stato di arresto, per la convalida e il contestuale giudizio, entro quarantotto ore dall'arresto. Si applicano al giudizio di convalida le disposizioni dell'art. 391, in quanto compatibili 2. 4-bis. Salvo quanto previsto dal comma 4-ter, nei casi di cui ai commi 2 e 4 il pubblico ministero dispone che l'arrestato sia custodito in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'articolo 284. In caso di mancanza, indisponibilità o inidoneità di tali luoghi, o quando essi sono ubicati fuori dal circondario in cui è stato eseguito l'arresto, o in caso di pericolosità dell'arrestato, il pubblico ministero dispone che sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato. In caso di mancanza, indisponibilità o inidoneità di tali strutture, o se ricorrono altre specifiche ragioni di necessità o di urgenza, il pubblico ministero dispone con decreto motivato che l'arrestato sia condotto nella casa circondariale del luogo dove l'arresto è stato eseguito ovvero, se ne possa derivare grave pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale vicina. Nondimeno, se l'arrestato è donna incinta o madre di prole di età inferiore a un anno, in caso di mancanza o indisponibilità di uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'articolo 284, o quando essi sono ubicati fuori dal circondario in cui è stato eseguito l'arresto, il pubblico ministero dispone che l'arrestato sia custodito presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Quando l'arrestato è madre di prole di età superiore a un anno e inferiore a tre anni e ricorrono le circostanze di cui periodo che precede, il pubblico ministero può disporre che l'arrestato sia custodito presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri3. 4-ter. Fermo quanto previsto dal comma 4-bis, quarto e quinto periodo, nei casi previsti dall'articolo 380, comma 2, lettere e-bis) ed f), il pubblico ministero dispone che l'arrestato sia custodito presso idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l'arresto o che hanno avuto in consegna l'arrestato. Si applica la disposizione di cui al comma 4-bis, terzo periodo4. 5. Se l'arresto non è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Il giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l'imputato e il pubblico ministero vi consentono [4492]. 6. Se l'arresto è convalidato a norma dei commi precedenti, si procede immediatamente al giudizio. Nel caso di arresto effettuato ai sensi dell'articolo 380, comma 3, il giudice, se l'arresto è convalidato, quando manca la querela e questa può ancora sopravvenire, sospende il processo. La sospensione è revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione5. 7. L'imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a cinque giorni. Quando l'imputato si avvale di tale facoltà, il dibattimento è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine [4516]6. 8. Subito dopo l'udienza di convalida, l'imputato può formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta. In tal caso il giudizio si svolge davanti allo stesso giudice del dibattimento. Si applicano le disposizioni dell'articolo 452, comma 27. 9. Il pubblico ministero può, altresì, procedere al giudizio direttissimo nei casi previsti dall'articolo 449, commi 4 e 5 [163 att.].
[1] Il libro VIII del codice, comprendente gli articoli da 549 a 567, è stato interamente sostituito dall'art. 44 l. 16 dicembre 1999, n. 479. [2] Comma sostituito dall'art. 1, lett. a) d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, conv., con modif., in l. 17 febbraio 2012, n. 9. [3] Comma inserito dall'art. 1, lett. b) d.l. n. 211, cit. Successivamente modificato dall'art. 15, comma 6 d.l. 11 aprile 2025, n. 48, in corso di conversione in legge che ha aggiunto il periodo: «Nondimeno, se l'arrestato e' donna incinta o madre di prole di eta' inferiore a un anno, in caso di mancanza o indisponibilita' di uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'articolo 284, o quando essi sono ubicati fuori dal circondario in cui e' stato eseguito l'arresto, il pubblico ministero dispone che l'arrestato sia custodito presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Quando l'arrestato e' madre di prole di eta' superiore a un anno e inferiore a tre anni e ricorrono le circostanze di cui periodo che precede, il pubblico ministero puo' disporre che l'arrestato sia custodito presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri.». [4] Comma inserito, in sede di conversione, dall'art. 1, lett. b) d.l. n. 211, cit. Successivamente modificato dall'art. 15, comma 6 d.l. 11 aprile 2025, n. 48, in corso di conversione in legge che ha sostituito le parole: «Fermo quanto previsto dal comma 4-bis, quarto e quinto periodo, nei» alla «Nei». [5] Comma modificato dall'art. 3, comma 4, l. 24 maggio 2023, n. 60, a decorrere dal 16 giugno 2023, che ha aggiunto in fine, i seguenti periodi: «Nel caso di arresto effettuato ai sensi dell'articolo 380, comma 3, il giudice, se l'arresto e' convalidato, quando manca la querela e questa puo' ancora sopravvenire, sospende il processo. La sospensione e' revocata non appena risulti sopravvenuta la querela o la rinuncia a proporla oppure, in ogni caso, decorso il termine previsto dalla legge per la proposizione». [6] La Corte cost. con sentenza 2 dicembre 2022, n. 243, ha dichiarato l'illegittimità del presente comma e dell'art. 451, commi 5 e 6, del codice di procedura penale, «in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen». [7] La Corte cost. con sentenza 2 dicembre 2022, n. 243, ha dichiarato l'illegittimità del presente comma e dell'art. 451, commi 5 e 6, del codice di procedura penale, «in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen». InquadramentoL'art. 558 contiene disposizioni speciali in tema di convalida dell'arresto in flagranza (o quasi flagranza) e giudizio direttissimo per i reati rientranti tra le attribuzioni del tribunale in composizione monocratica, ispirate a maggior semplicità rispetto a quelle ordinarie, pure applicabili, in forza del generale rinvio di cui all'art. 549, per tutti gli aspetti non disciplinati dall'art. 558. Dette disposizioni si applicano a tutti i procedimenti attribuiti al tribunale in composizione monocratica, a prescindere dal diverso sistema di citazione a giudizio (e, quindi, non soltanto per i reati in ordine ai quali si procede con citazione diretta). L'istituto ha subito varie modifiche nel corso del tempo, da ultimo ad opera del d.l. n. 211/2011, contenente “Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri”, convertito con modificazioni dalla l. n. 9/2012. La novella, che ha riguardato esclusivamente il giudizio direttissimo innanzi al tribunale in composizione monocratica, mirava, nelle intenzioni del legislatore, a liberare le carceri e limitare la traduzione dei detenuti dai luoghi di detenzione a quelli di svolgimento delle udienze, onde contenere la spesa pubblica relativa. I presupposti per l'instaurazione del giudizio direttissimoIl giudizio direttissimo per i reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica può essere introdotto: a) attraverso la presentazione diretta dell'arrestato davanti al giudice del dibattimento, entro 48 ore dall'arresto, da parte della polizia giudiziaria operante, sulla base dell'imputazione formulata dal pubblico ministero; b) attraverso la presentazione dell'arrestato davanti al giudice del dibattimento, sempre entro 48 ore dall'arresto, da parte del pubblico ministero. A) la presentazione diretta dell'arrestato da parte della polizia giudiziaria Nel primo caso, la polizia giudiziaria provvede alle citazioni del difensore di fiducia (e, nel caso in cui l'arrestato ne sia sfornito, ne nomina uno d'ufficio, ex art. 97, comma 3, c.p.p.) e dei testimoni, oralmente, senza procedere a formale notifica, poiché, « in tema di convalida dell'arresto e giudizio direttissimo davanti al tribunale in composizione monocratica, l'estrema ristrettezza dei tempi del procedimento, connessa allo status custodiae, non richiede che ai difensori sia data formale notifica dell'udienza, dovendo ritenersi sufficiente l'avviso orale dato dalla polizia giudiziaria al difensore » (Cass. VI, n. 10508/2001); a maggior ragione, pertanto, « detto avviso può essere dato via fax, mezzo certamente adeguato per comunicare » (Cass. IV, n. 31454/2008). Nel caso in cui il giudice monocratico non tenga udienza, se la p.g. gli dà notizia dell'arresto, deve fissarne - entro 48 ore dall'arresto – una apposita, alla quale l'arrestato viene condotto: non è precisato il termine entro il quale deve essere data notizia dell'arresto al giudice, ma la notizia dovrà comunque essere ricevuta in tempo utile per la celebrazione della successiva udienza entro 48 ore dall'arresto. Anche in questo caso, gli avvisi di rito saranno dati senza formalità, e quindi anche oralmente, dalla p.g. L'art. 558 comma 2 prevede espressamente l'inapplicabilità dell'art. 386, comma 4.: l'arrestato non dovrà, pertanto, essere tradotto nella casa circondariale del luogo in cui l'arresto è stato eseguito, ma dovrà essere custodito dalla stessa p.g. operante. B) la presentazione dell'arrestato da parte del p.m. Nel secondo caso, quando il p.m. (cui, in definitiva, è attribuito il potere di determinare il successivo modus procedendi) abbia ordinato che l'arrestato sia posto a sua disposizione, il previgente art. 558, comma 4, disponeva che egli potesse (sempre entro 48 ore dall'arresto) presentare a sua volta l'arrestato al giudice monocratico per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo; anche in questo caso, ove il giudice monocratico non tenesse udienza, era previsto che ne fissasse una a richiesta del p.m., entro 48 ore dall'arresto. Secondo la disciplina attualmente vigente, invece, la presentazione dell'imputato in udienza deve in ogni caso avvenire entro le quarantotto ore dall'arresto, sia in caso di presentazione ad opera della polizia giudiziaria, sia in caso di presentazione diretta da parte del pubblico ministero. Il termine di quarantotto ore dal momento dell'arresto fissato dall'art. 558, comma 4, per la presentazione della richiesta di convalida da parte del p.m., è inderogabile anche quando contestualmente venga richiesto il giudizio direttissimo, in virtù del richiamo operato alle disposizioni dell'art. 391 c.p.p., con la conseguenza che l'inizio dell'udienza deve avvenire inderogabilmente entro le stesse quarantotto ore dall'arresto (Cass. VI, n. 144/2005). La richiesta di convalida deve considerarsi tempestiva anche se trasmessa dal p.m. via fax alla cancelleria del giudice oltre l'orario di apertura al pubblico della medesima, ma entro le quarantotto ore dall'arresto, atteso che tale atto non richiede una contestuale attività positiva da parte dell'ufficio ricevente: « a norma dell'art. 64 disp. att. c.p.p., in tema di libertà, la comunicazione può essere effettuata con mezzi di trasmissione tecnici idonei, quali il fax, purché la cancelleria dell'ufficio che ha disposto la trasmissione lo attesti, per cui è indifferente che l'atto sia trasmesso in orario di apertura al pubblico » (Cass. IV, n. 26468/2007; conforme, Cass. IV, n. 7299/2004, per la quale l'organizzazione amministrativa interna dell'ufficio medesimo non può ridondare negativamente a carico dell'organo dell'accusa che ha esercitato tempestivamente la sua funzione). Per ulteriori approfondimenti si rinvia infra. Casistica Secondo la giurisprudenza, la pretesa invalidità del giudizio direttissimo – nella specie prospettata quale effetto della mancata concessione di un termine a difesa all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto – non si estende alla sentenza di patteggiamento, poiché il giudizio di applicazione della pena è svincolato dalla specificità delle forme processuali nelle quali esso è innestato, essendo sufficiente che la richiesta di pena concordata sia stata ritualmente avanzata e sia manifestazione fedele e consapevole della volontà dell'imputato (Cass. III, n. 34601/2021). I termini per la celebrazione dell'udienza di convalidaLa giurisprudenza, premesso che, ai sensi dell'art. 558 comma 4, al giudizio di convalida svolto contestualmente al giudizio direttissimo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'art. 391 c.p.p. ed, in particolare, l'art. 391, comma 7, c.p.p., che stabilisce la perentorietà del termine entro il quale deve intervenire la convalida dell'arresto, è ferma nel ritenere che entro il termine di 48 ore dall'arresto deve effettivamente incominciare l'udienza di convalida (non essendo sufficiente che il solo orario di fissazione sia tempestivo, se poi l'udienza sia materialmente iniziata in ritardo), ma che, tuttavia, il provvedimento di convalida può intervenire anche dopo le 48 ore dalla richiesta, purché la decisione intervenga all'esito dell'udienza di convalida tempestivamente iniziata, senza alcuna soluzione di continuità nello svolgimento di questa. Si è anche precisato che il termine di quarantotto ore dal momento dell'arresto fissato dall'art. 558, comma 4, è riferito alla presentazione della richiesta di convalida da parte del pubblico ministero, rimanendo irrilevanti l'orario di effettiva cognizione dei fatti da parte del giudicante, ove tale differimento si verifichi in ragione dell'oggettiva impossibilità a procedervi per l'impegno in altra attività della stessa natura, ovvero l'orario in cui interviene il provvedimento di convalida del giudice, ove questo venga pronunciato in continuità con lo svolgimento dell'udienza (Cass. VI, n. 21/2014); ancora, si è precisato che il termine di 48 ore decorre dal momento in cui l'interessato è rimasto a disposizione dell'autorità di sicurezza procedente, e non da quello annotato sul verbale, ma dal suo computo vanno esclusi i tempi necessari per gli accertamenti dell'identità del soggetto che, in caso di stranieri, sono particolarmente complessi (Cass. VI, n. 28987/2013), e richiede che entro le 48 ore sia formulata la richiesta di convalida e l'arrestato sia presentato in udienza, non rilevando che l'inizio dell'effettiva trattazione avvenga successivamente, dopo la conclusione della trattazione di altro giudizio già in corso al momento della presentazione in udienza dell'arrestato (Cass. VI, n. 3741/2014) purché non vi sia soluzione di continuità (Cass. V, n. 4323/2021) . Altre decisioni hanno precisato che, ai fini del rispetto del termine di 48 ore prescritto dall'art. 558, comma 4, per la presentazione da parte del P.M. dell'arrestato all'udienza per la convalida ed il contestuale giudizio direttissimo, occorre far riferimento al momento in cui l'arrestato compare effettivamente dinanzi al giudice, essendo irrilevante la tempestività della richiesta e della fissazione dell'udienza di convalida (Cass. VI, n. 11833/2017), e che il termine de quo non può essere dilatato « fino a ricomprendere l'orario di inizio dell'udienza davanti al giudice, avendo, quella di convalida dell'arresto, la sua assoluta autonomia e rispondendo ad esigenze di garanzia del controllo del giudice sulla libertà del cittadino » (Cass. I, n. 21864/2006: fattispecie nella quale l'udienza di convalida, tempestivamente fissata, era materialmente iniziata venti minuti dopo la scadenza delle 48 ore dalla richiesta, a causa del protrarsi di un dibattimento precedentemente iniziato nel corso della stessa udienza, ed è stata ritenuta priva di rilievo la circostanza per cui l'arrestato fosse stato messo tempestivamente a disposizione del giudice). La partecipazione del p.m. all'udienza di convalidaNell'ambito del giudizio direttissimo, l'udienza di convalida dell'arresto è regolata, in virtù del rinvio compiuto nell'ultima parte del comma primo dell'art. 449 c.p.p., dalle disposizioni dell'art. 391 dello stesso codice, in quanto compatibili, di talché la presenza del pubblico ministero deve ritenersi facoltativa, a nulla rilevando l'eventualità che immediatamente consegua la celebrazione del giudizio di merito (Cass. IV, n. 38344/2003: in applicazione del principio, la S.C. ha escluso che si determini nullità nel caso di partecipazione all'udienza, in rappresentanza del procuratore della Repubblica, di un ufficiale di polizia giudiziaria, per quanto lo stesso — a norma dell'art. 72, lett. a) e b), r.d. n. 12/1941 — possa svolgere le funzioni di p.m. nell'udienza dibattimentale, ma non in quella di convalida che eventualmente la preceda). In tema di delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario ed al magistrato ordinario in tirocinio per lo svolgimento delle funzioni di pubblico ministero, si è, inoltre, precisato che « devono considerarsi come non apposte le condizioni o restrizioni non previste dalla legge ivi eventualmente inserite, delle quali, quindi, il giudice non deve tenere alcun conto » (Cass. S.U., n. 13716/2011); la delega conferita dal procuratore della Repubblica al vice procuratore onorario per l'udienza di convalida e per il successivo giudizio direttissimo autorizza il delegato a configurare in termini diversi l'accusa ed a procedere a nuove contestazioni (Cass. VI, n. 16170/2011: fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto legittima la contestazione, da parte del vice procuratore onorario, dell'aggravante di cui all'art. 80 d.P.R. n. 309/1990). Si è ritenuto che « non è qualificabile come abnorme, e non è pertanto suscettibile di essere direttamente impugnata con ricorso per cassazione, l'ordinanza con cui il tribunale, in sede di convalida dell'arresto, ha ritenuto la nullità della delega conferita dal procuratore della Repubblica ad un ufficiale di polizia giudiziaria per lo svolgimento delle funzioni di pubblico ministero, ai sensi dell'art. 72 ultimo comma dell'ordinamento giudiziario, come modificato dall'art. 58 l. n. 479/1999, poiché tale provvedimento, funzionale esclusivamente alla verifica dei presupposti del giudizio, ed, in particolare, della regolare costituzione del contraddittorio, non determina una stasi processuale, attesa la conseguente trasmissione degli atti al pubblico ministero » (Cass. IV, n. 31036/2002). Lo svolgimento dell'udienza di convalida.Nel corso dell'udienza di convalida (già fissata, o fissata ad hoc) il giudice ha facoltà di autorizzare l'ufficiale o l'agente di p.g. operante a svolgere oralmente una breve relazione introduttiva sulle circostanze che hanno portato all'arresto, alla quale la dottrina (Gaeta, 658; Griffo, 2168) attribuisce, in prevalenza, natura non testimoniale, con la conseguenza di ritenere, con riguardo ad essa, non operanti i limiti ordinariamente previsti in tema di testimonianza della p.g. (cfr., in proposito, sub art. 195) e non imposte le modalità di ascolto tipiche della testimonianza (previste dagli artt. 497 ss. c.p.p.). La disciplina dettata in generale per l'udienza di convalida dall'art. 391 c.p.p. è richiamata soltanto dal comma 4 dell'art. 558, ma in realtà deve ritenersi sempre valida, in difetto di disciplina derogatoria ad hoc, anche negli altri casi previsti dall'art. 558. Il procedimento di convalida dell'arresto in flagranza dinanzi al tribunale in composizione monocratica può svolgersi anche nel caso in cui gli agenti o gli ufficiali di polizia giudiziaria che hanno eseguito la misura precautelare non possano effettuare, per una qualsiasi ragione, la relazione orale prevista dall'art. 558, comma 3, potendo, in tal caso, essere utilizzati, purché ritualmente trasmessi, il verbale di arresto e la relazione di servizio redatti dagli operanti, in ragione del richiamo alla previsione dell'art. 122 disp. att. cod. proc. pen., operato dall'art. 558, comma 4, cod. proc. pen. o comunque, ove predisposta e trasmessa, la relazione scritta dei predetti, in quanto ciò che il procedimento in oggetto intende assicurare non è l'oralità della relazione afferente l'eseguito arresto, ma la celere definizione della convalida, consentendo la presentazione dell'arrestato anche prima della scadenza del termine di ventiquattro ore previsto dall'art. 386, comma 3, c.p.p. (Cass. VI, n. 31173/2023). Un orientamento ritiene che, nel caso in cui il giudice del dibattimento, investito della convalida dell'arresto e del contestuale giudizio direttissimo di un cittadino straniero che non comprende la lingua italiana, si sia trovato nell'impossibilità di procedere, a causa dell'irreperibilità di un interprete, deve restituire gli atti al p.m., perché proceda nelle forme ordinarie, relativamente alla richiesta di convalida dell'arresto, ed anche sull'eventuale richiesta di applicazione della misura cautelare, che non potrebbe avere seguito per difetto di instaurazione del rapporto processuale, con la conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all'art. 391, comma 3 (Cass. V, n. 10517/2007: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato senza rinvio l'ordinanza con la quale il tribunale, dopo aver inutilmente tentato di reperire un interprete, non aveva convalidato l'arresto, ordinando la trasmissione degli atti al p.m.); il principio è stato ribadito anche con riguardo al caso in cui la convalida non possa aver luogo per la mancata comparizione dell'imputato legittimamente impedito (Cass. IV, n. 26450/2009). Altro orientamento, che appare preferibile (poiché appare rispettoso del principio stabilito dall'art. 291 comma 2 c.p.p.), ritiene, al contrario, che l'impossibilità di procedere all'interrogatorio dell'arrestato che non comprende la lingua italiana, per l'irreperibilità di un interprete, costituisce un caso di forza maggiore che non impedisce di procedere alla convalida dell'arresto, di cui il giudice è tenuto a valutare la legittimità formale (Cass. IV, n. 26468/2007 e Cass. I, n. 20297/2008); ed, analogamente, in caso di legittimo impedimento dell'arrestato, si è anche ritenuto che « la mancata presenza dell'arrestato all'udienza dovuta a legittimo impedimento non osta a che il giudice, nella sussistenza dei requisiti di legge, provveda alla convalida, essendo, la possibile non comparizione dell'arrestato, evenienza contemplata dall'art. 391 commi 3 e 7 c.p.p. » (Cass. III, n. 27128/2008 e Cass. VI, n. 53850/2014). Resta anche salva la possibilità di accogliere (anche soltanto in parte) la richiesta di emissione della cautelare del p.m., ma col vincolo di procedere entro i termini di rito all'interrogatorio di garanzia, non validamente svoltosi ex ante; ed, infatti, la giurisprudenza, apparentemente in accordo con il primo orientamento, ma in realtà incisivamente distaccandosene, ha anche ritenuto che « non è abnorme né illegittimo il provvedimento con il quale il giudice restituisca gli atti al p.m. perché chieda la convalida dell'arresto al g.i.p. nell'ipotesi in cui il detenuto — tratto a giudizio direttissimo — non si presenti davanti al giudice del dibattimento ai sensi dell'art. 558 c.p.p., per legittimo impedimento (essendo egli intrasportabile per ragioni di salute) e da parte dell'accusa non venga avanzata nessun'altra richiesta » (Cass. IV, n. 31134/2002). Più in generale, si è chiarito che « nel procedimento di convalida e giudizio direttissimo, il giudice ha il potere di disporre la restituzione degli atti al p.m. affinché proceda nelle forme ordinarie solo nel caso in cui ravvisi la mancanza dei presupposti prestabiliti dalla legge e, quindi, disponga, la non convalida dell'arresto » (Cass. VI, n. 7933/2012). In ogni caso, l'eventuale nullità dell'interrogatorio per convalida dell'arresto in flagranza (nella specie: determinata dal difetto di notificazione al difensore dell'avviso di udienza), non comporta la nullità dell'ordinanza applicativa di misure cautelari disposta all'esito della procedura di convalida, che è destinata a perdere efficacia soltanto alla scadenza infruttuosa del termine per procedere all'interrogatorio ex art. 294 c.p.p. (Cass. VI, n. 38006/2005). Si è anche ritenuto che è illegittimo il provvedimento con cui il tribunale monocratico, investito della richiesta di convalida dell'arresto e di prosecuzione del procedimento con il giudizio direttissimo, ometta di pronunciarsi a causa dell'evasione dell'imputato dagli arresti domiciliari, disponendo la restituzione degli atti al p.m., in quanto la mancata presentazione dell'imputato all'udienza di convalida non costituisce, ai sensi dell'art. 391, comma 3, c.p.p. (che disciplina espressamente il caso della mancata comparizione dell'arrestato nell'udienza de qua), impedimento alla convalida del provvedimento ed alla prosecuzione del giudizio: ne consegue che, in tal caso, il tribunale deve provvedere in ordine alla convalida, impregiudicata la trasformazione del rito a norma dell'art. 452 c.p.p. (Cass. VI, n. 3410/2011 e Cass. VI, n. 17193/2007; Cass. V, n. 11589/2006). La convalida dell'arresto ed il successivo giudizio direttissimo non sono impediti dal fatto che il p.m. non abbia richiesto l'adozione di misure cautelari per gli arrestati da giudicare con rito direttissimo: « in sede di convalida dell'arresto, il giudice opera un controllo circa la legittimità dell'arresto, che prescinde sia dalla contestuale adozione di misure cautelari, sia dalla scelta del rito; da un canto, infatti, l'art. 121, comma 2, disp. att. c.p.p. denota la compatibilità della liberazione dell'imputato col permanere della necessità della convalida; dall'altro, l'art. 566 [ora 558 ] comma 5 c.p.p. consente l'espletamento del giudizio direttissimo anche quando l'imputato non si trovi in stato di detenzione » (Cass. V, n. 3594/1993). È stato considerato abnorme il provvedimento con cui il tribunale in composizione monocratica, investito della richiesta di convalida dell'arresto e di contestuale giudizio direttissimo, nei confronti di soggetto successivamente scarcerato, disponga la restituzione degli atti al p.m., in quanto l'adozione, da parte del p.m., di un provvedimento di scarcerazione, ex art. 121 disp. att. c.p.p., mentre esclude che la necessaria richiesta di convalida debba essere proposta al giudice del dibattimento, lascia integra la necessità di dare comunque luogo alla (nella specie, obbligatoria) instaurazione del giudizio direttissimo (Cass. I, n. 40562/2004). In sede di convalida dell'arresto, il giudice può attribuire al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dal p.m., ai limitati effetti del giudizio di convalida, in quanto rientra tra i suoi poteri di controllo quello di individuare, in concreto, l'ipotesi di reato al fine di stabilire se sia consentito l'arresto in flagranza (Cass. V, n. 14314/2010). Il provvedimento sulle richieste de libertate Un orientamento senz'altro dominante in giurisprudenza ritiene che, ai sensi degli artt. 558 e 391 c.p.p., il giudice monocratico, in caso di arresto in flagranza, dopo aver sentito l'arrestato, deve limitarsi a provvedere in ordine alla convalida dell'arresto, procrastinando l'adozione delle misure cautelari all'esito del contestuale giudizio direttissimo, con la sentenza di condanna, o all'adozione di autonomo provvedimento, nell'esercizio del potere di cui all'art. 279 c.p.p. e nell'osservanza delle condizioni stabilite dagli artt. 273, 274, 280 c.p.p., poiché « la detta convalida è funzionalmente diretta alla celebrazione del giudizio direttissimo e legittima la procrastinazione dello status detentionis dell'imputato fino all'emanazione del successivo provvedimento coercitivo, che può essere emesso in ogni fase o grado del processo e anche durante la pendenza del ricorso per cassazione » (Cass., S.U., n. 19/1991; conformi, successivamente, Cass. VI, n. 1156/2000, e Cass. IV, n. 40951/2002, per le quali « in tema di giudizio direttissimo, il pretore [ora giudice], dopo aver sentito l'arrestato, deve limitarsi a provvedere sulla convalida dell'arresto ai sensi degli artt. 391 e 566 [ora 558] c.p.p., senza che debba anche provvedere immediatamente sullo status libertatis, potendo essere procrastinata la misura cautelare all'esito del giudizio direttissimo ed essere applicata con autonomo provvedimento o con la sentenza emessa a conclusione del procedimento, ovvero anche in seguito, in qualunque stato e grado di esso, pur in pendenza del ricorso per cassazione. Tale quadro non muta nell'ipotesi di inserimento nel procedimento direttissimo di quello di applicazione della pena dietro richiesta delle parti: anche in quest'ultimo caso, la misura cautelare può essere disposta con ordinanza o con la stessa sentenza ». Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto corretto l'operato del giudice di merito che aveva inserito nel dispositivo della sentenza di patteggiamento la formula: “Dispone che l'imputato rimanga in stato di custodia cautelare” e aveva fornito, nella stessa sentenza, la motivazione sull'adozione del provvedimento cautelare). L'orientamento appare quanto mai discutibile, e meritevole, dopo quasi venti anni, di ripensamento, legittimando conseguenze abnormi (quali, ad esempio, il perdurare del mantenimento in vinculis, con divieto di allontanarsi dall'aula, di soggetto nei cui confronti sia stata in ipotesi chiesta l'applicazione di una misura coercitiva diversa dalla custodia in carcere, anche non detentiva), e creando problemi pratici (durante il giudizio successivo alla mera convalida, quale è lo status personale dell'imputato ? Quale l'eventuale titolo coercitivo in esecuzione ?) che il troppo astratto approccio giurisprudenziale alla questione non ha, fin qui, consentito di rilevare e risolvere. Il termine a difesa e la richiesta di accesso ai riti alternativi L'art. 558, comma 7, stabilisce che l'imputato ha facoltà di richiedere un termine per preparare la difesa, ma non pone a carico del giudice alcun dovere di avvertirlo al riguardo: « ne consegue che l'omissione del predetto avvertimento non ha alcun rilievo sulla regolarità del processo » (Cass. VI, n. 6920/1991). Nell'ipotesi di convalida dell'arresto e contestuale giudizio direttissimo, le richieste di termine a difesa e di applicazione alternativa di uno dei riti speciali previsti dagli artt. 444 e 442 c.p.p. vengono riconosciute all'imputato quali facoltà che il medesimo può esercitare subito dopo l'udienza di convalida, ossia a partire da quel momento processuale fino alla formale dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: « ne consegue che, nell'ambito di questo arco temporale, l'imputato è legittimato a richiedere prima il termine per preparare la sua difesa e, successivamente, uno dei riti speciali » (Cass. VI, n. 13118/2010; conforme, Cass. II, n. 8032/1992, per la quale le richieste di accesso ai predetti riti alternativi costituiscono facoltà che il giudicabile “può” — giammai “deve” — formulare subito dopo l'udienza di convalida, e cioè a partire da quel momento processuale, sicché la richiesta di rito speciale può intervenire sino alla formale dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto erroneo il diniego del patteggiamento motivato per intempestività della relativa istanza, avanzata dall'imputato all'udienza successiva a quella di convalida, in cui il pretore aveva concesso il termine a difesa prima che fosse aperto il dibattimento ed implicante la sospensione del medesimo); nel medesimo senso, Cass. VI, n. 42696/2008, in fattispecie nella quale l'eccezione di nullità per irregolare trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, a seguito della convalida dell'arresto e della concessione di un termine a difesa con rinvio del processo, è stata ritenuta sanata dalla richiesta dell'imputato di procedere al rito abbreviato. Si è ritenuto, in tema di patteggiamento conseguente a giudizio direttissimo, che il principio secondo cui le spese di mantenimento in carcere dell'imputato durante la custodia cautelare devono essere poste a suo carico non si applica nel caso in cui l'arresto in flagranza non sia stato convalidato, atteso che tale onere non può derivare da un provvedimento restrittivo divenuto ex lege inefficace (Cass. VI, n. 43368/2016). La Corte costituzionale (n. 243/2022) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 451, commi 5 e 6, e 558, commi 7 e 8, c.p.p., in quanto interpretati nel senso che la concessione del termine a difesa nel giudizio direttissimo preclude all'imputato di formulare, nella prima udienza successiva allo spirare del suddetto termine, la richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 c.p.p. Questioni di competenza Il giudice del dibattimento competente per la convalida dell'arresto e per il successivo giudizio direttissimo è quello del luogo in cui gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria hanno eseguito l'arresto in flagranza (Cass. IV, n. 2575/2007: la S.C. ha ritenuto illegittimo il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, investito del giudizio direttissimo e della contestuale convalida dell'arresto, dichiari la propria incompetenza per funzione e per territorio senza pronunciarsi in merito alla libertà dell'arrestato, in quanto il comma quarto dell'art. 558 c.p.p. richiama le disposizioni dell'art. 391 stesso codice, e quindi anche quella che impone al giudice di provvedere, in ogni caso, alla convalida dell'arresto, prescindendo dalla propria competenza). Non è abnorme, e pertanto non è ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice monocratico del tribunale, che celebri udienza dibattimentale e dinanzi al quale l'imputato sia presentato per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio di merito, disponga — in applicazione di provvedimento tabellare del presidente del tribunale — la presentazione dell'imputato stesso, entro le quarantotto ore dall'arresto, davanti al giudice designato ai fini delle udienze di convalida dell'arresto e del coevo giudizio direttissimo, secondo il turno settimanale previamente programmato (Cass. VI, n. 14613/2010). Il giudice investito del giudizio direttissimo e della contestuale convalida dell'arresto deve, in ogni caso, provvedere sulla richiesta di convalida, anche qualora ritenga la propria incompetenza, e sulla richiesta di emissione di una misura cautelare ai sensi dell'art. 27 c.p.p. (Cass. I, n. 11322/2006: fattispecie in cui il tribunale in composizione monocratica aveva rifiutato la convalida dell'arresto ritenendo la competenza del tribunale in composizione collegiale). Si è precisato che la perdita di efficacia della misura cautelare (nella specie, personale), nel caso di vano decorso del termine di venti giorni dalla dichiarazione di incompetenza del giudice che l'ha disposta, non ha luogo nel caso in cui il tribunale monocratico, erroneamente investito del giudizio direttissimo in ordine a reati attribuiti alla cognizione del giudice collegiale, abbia trasmesso gli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 33-septies, comma 2, c.p.p., in quanto la questione relativa rientra tra quelle attinenti al rito e non alla competenza, posto che il tribunale è un ufficio unitario, nell'ambito del quale non possono configurarsi casi di conflitto (Cass. I, n. 5725/2003). È stato ritenuto abnorme, perché espressione di indebito diniego dell'esercizio della funzione giurisdizionale, il rifiuto di pronunzia (positiva o negativa) sulla convalida dell'arresto e la contestuale omessa indicazione di altro magistrato competente da parte del giudice investito del giudizio direttissimo, il quale, anziché adottare una decisione dovuta sullo status libertatis e sui presupposti della sua privazione, sospenda il processo per sollevare questione di legittimità costituzionale di norme in materia di ordinamento giudiziario (Cass. I, n. 36131/2004). Secondo la giurisprudenza costituzionale, deve considerarsi incompatibile, per la celebrazione del nuovo giudizio proposto dal p.m. mediante citazione diretta e per gli stessi fatti, il giudice del giudizio direttissimo che abbia rigettato la richiesta di convalida dell'arresto e quella di applicazione della misura cautelare personale restituendo, conseguentemente, gli atti al p.m. (Corte cost. n. 153/2012). I termini di durata massima della custodia cautelare In caso di annullamento, da parte della Corte di cassazione, della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa nell'ambito del giudizio direttissimo, ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, il procedimento deve considerarsi regredito alla fase del giudizio di primo grado e non a quella delle indagini preliminari (Cass. I, n. 10681/2008). Le modifiche introdotte dal d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, conv. con modif. in l. 17 febbraio 2012, n. 9Come già anticipato, al dichiarato fine di limitare la condizione di sovraffollamento delle carceri, la cui popolazione era di nuovo in eccesso pur dopo appena cinque anni dall'indulto del 2006 (mosso dalle stesse finalità), sono state varate, con d.l. n. 211/2011, conv. con modif. in l. n. 9/2012, misure volte a limitare il flusso degli arrestati in flagranza verso gli istituti carcerari, in tutti i casi nei quali si preveda la contestuale celebrazione della convalida dell'arresto e del giudizio direttissimo: « in tal senso le modifiche apportate al codice di rito traggono ispirazione dal fatto che ogni anno vengono associate alle case circondariali e mandamentali a seguito di provvedimenti precautelari, destinati ad esitare nel procedimento per direttissima, diverse migliaia di individui, la gran parte dei quali soggiorna nei predetti istituti per periodi brevissimi (al massimo tre giorni) in quanto scarcerata all'esito del giudizio direttissimo (nel corso del 2010, le persone che, seguendo tale schema, risultano essere transitate negli istituti penitenziari ammontano a ben 21.093). Fenomeno che, in realtà, già sarebbe contenibile se venisse fatto un uso corretto dell'art. 121 disp. att. c.p.p., che impone al p.m. la liberazione dell'arrestato o del fermato per i quali, in sede di convalida, egli non intenda avanzare richieste cautelari (disposizione troppo spesso pretermessa, tanto che nella prassi non sono marginali i casi in cui gli arrestati vengono presentati in vinculis al giudice per la convalida senza che siano avanzate richieste di applicazione di misure cautelari) » (Pistorelli, Relazione sul d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, in cortedicassazione.it). Queste, in sintesi, le principali innovazioni: a ) ricorso solamente in via residuale alla detenzione in carcere dell'arrestato in flagranza di reato per illeciti rientranti fra le attribuzioni del giudice monocratico, in attesa della celebrazione dell'udienza di convalida e del contestuale giudizio direttissimo; si prevede, in via prioritaria, che sia disposta la custodia dell'arrestato presso l'abitazione; in subordine, che sia disposta la custodia presso idonee strutture della polizia giudiziaria; solo in via ulteriormente subordinata, che sia disposto l'accompagnamento nella casa circondariale; b ) dimezzamento (da 96 a 48 ore) del termine entro il quale deve aver luogo l'udienza di convalida; c ) previsione di un nuovo illecito disciplinare dei magistrati per inosservanza delle disposizioni relative al luogo di svolgimento dell'udienza di convalida. La Relazione parlamentare al disegno di legge di conversione del d.l. in oggetto (in parlamento.it), precisava che « l'ambito di applicazione delle modifiche in questione è limitato alla sfera di attribuzioni del tribunale in composizione monocratica — come individuata dall'art. 33-ter c.p.p. — mentre rimane inalterata la disciplina del giudizio direttissimo davanti al tribunale in composizione collegiale, contenuta negli artt. 449 ss. del medesimo codice. In quest'ultimo ambito, continuerebbero pertanto a trovare applicazione — per quel che concerne i profili attinenti alla custodia degli arrestati — le disposizioni contenute nei commi 4 e 5 dell'art. 386 c.p.p. ». Va, infatti, ricordato che l'art. 558 (come già l'art. 449 c.p.p. in tema di giudizio direttissimo destinato ad essere celebrato davanti al tribunale in composizione collegiale) fa espresso riferimento al solo soggetto arrestato (in flagranza di reato), non anche al soggetto fermato (art. 384 c.p.p.). Il comma 4 Il nuovo comma 4 dell'art. 558 (introdotto dal citato d.l. n. 211/2011, conv. con modif. nella l. n. 9/2012, in parte qua non modificato dalla legge di conversione) non contiene più il riferimento alla disciplina dell'art. 386 c.p.p. (che dispone in merito ai doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto o di fermo, prevedendo l'obbligo di associare gli arrestati agli istituti carcerari), né quello alla fissazione — a richiesta del pubblico ministero —, entro le successive 48 ore, dell'udienza di convalida dell'arresto da parte del giudice che non tenga udienza entro le 48 ore dall'arresto: si prevede ora che l'udienza di convalida debba svolgersi sempre entro 48 ore dall'arresto. La Relazione parlamentare al disegno di legge di conversione del d.l. in oggetto (in www.parlamento.it) osserva che « la modifica apportata al comma 4 dell'art. 558 c.p.p. (...) sembrerebbe produrre effetti che vanno al di là della finalità perseguita sul punto in questione, secondo quanto precisato nella Relazione di accompagnamento del disegno di legge di conversione. Infatti, con la completa soppressione del previgente secondo periodo del medesimo comma 4, viene meno la disposizione che disciplina l'ipotesi in cui, non risultando già prevista un'udienza dibattimentale entro le quarantotto ore dall'arresto, questa viene fissata dal giudice su richiesta del pubblico ministero. Ad una prima lettura, non appare agevolmente individuabile il perché di un simile intervento, sia in considerazione del fatto che tale ipotesi — cioè, appunto, quella in cui “il giudice non tiene udienza” — continua ad essere prevista nella disposizione parallela contenuta nel comma 2 del medesimo art. 558, sia in quanto la possibilità di richiedere la fissazione di un'udienza ad hoc per la celebrazione del giudizio direttissimo qualora il giudice del dibattimento non tenga udienza nelle quarantotto ore successive all'arresto — possibilità che non è contenuta nella disposizione generale sul rito direttissimo di cui all'art. 449 c.p.p. — persegue lo scopo di rendere più agevole l'accesso a tale rito nell'ambito proprio delle attribuzioni del tribunale in composizione monocratica e, conseguentemente, il venir meno di tale possibilità potrebbe essere ritenuto non coerente con la tendenza ad estendere l'ambito di operatività del rito medesimo quale emerge dagli ultimi interventi normativi in materia (v., in particolare, il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv. con modif. nella l. 24 luglio 2008, n. 125) ». La dottrina ha, in proposito, osservato che « nella Relazione che accompagna il disegno della legge di conversione del decreto si imputa la scelta all'esigenza di accelerare l'iter della convalida, al fine di ottenere comunque entro quarantotto ore dall'arresto una decisione sullo status libertatis dell'arrestato ». Non è, peraltro, chiaro se in tal modo il legislatore voglia implicitamente imporre la preventiva previsione tabellare di udienze dedicate al direttissimo monocratico in tutti i giorni della settimana ovvero, più semplicemente, eliminare la possibilità di differire la convalida, orientando il p.m., qualora il giudice non tenga udienza, verso il rito ordinario e l'inoltro della richiesta di convalida al g.i.p. Quest'ultima opzione interpretativa sembrerebbe suggerita dalla circostanza che l'esercizio del potere di presentazione diretta continua ad essere rimesso alla discrezionalità del titolare dell'azione penale. Va, peraltro, evidenziata la chiara intenzione di omogeneizzare la disciplina relativa all'ipotesi in cui l'arrestato sia stato posto a disposizione del p.m. a quella dettata nel secondo comma dell'art. 558 per il caso in cui alla presentazione provveda direttamente la polizia giudiziaria, nel quale il giudice che non tiene udienza è chiamato a fissarla entro le quarantotto ore dall'arresto (Pistorelli, Relazione sul d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, in cortedicassazione.it). Il comma 4- bis Il d.l. n. 211/2011 in esame aveva previsto un'autonoma disciplina dei doveri della polizia giudiziaria in caso di arresto per reati di competenza “monocratica”, introducendo, all'interno dell'art. 558, un nuovo comma 4-bis, a norma del quale l'arrestato non poteva essere condotto nella casa circondariale del luogo dove l'arresto è stato eseguito, né presso altra casa circondariale, salvo che il p.m. non lo disponesse, con decreto motivato, per la mancanza o indisponibilità di altri idonei luoghi di custodia nel circondario in cui è stato eseguito l'arresto, per motivi di salute della persona arrestata o per altre specifiche ragioni di necessità: in attesa della celebrazione dell'udienza di convalida, l'arrestato doveva, pertanto, restare in detenzione presso le camere di sicurezza eventualmente esistenti presso gli uffici della p.g. che aveva proceduto all'arresto od in altra struttura analoga del circondario. Questo nuovo divieto di custodire in carcere l'arrestato si applicava sia nei casi in cui lo stesso fosse stato messo a disposizione del p.m., sia nell'ipotesi contraria, « ancorché, in realtà, il comma 2 dell'art. 558, già espressamente escludesse in tale ultimo caso l'operatività del quarto comma dell'art. 386, la norma che, per l'appunto, impone la conduzione dello stesso arrestato presso la casa circondariale o mandamentale entro le ventiquattro ore dall'arresto. In definitiva, la novella estende la disciplina del secondo comma dell'art. 558 all'ipotesi regolata dal successivo quarto comma, rendendo, peraltro, più rigido il divieto di custodia in carcere, derogabile solo dal p.m. e con provvedimento motivato. Le ragioni che legittimano la deroga al divieto, come illustrato, riguardano principalmente l'impossibilità di reperire nel circondario una struttura idonea alla custodia dell'arrestato o alle sue condizioni di salute, tali da imporre una custodia “assistita”, ovvero indefinite altre ragioni di “necessità” che sembrano ispirarsi ad esigenze di sicurezza o di ordine pubblico, come evidenziato dal tenore del già menzionato art. 123-bis disp. att. (il quale, in proposito, prevede che “il pubblico ministero può disporre che l'arrestato venga condotto nella casa circondariale del luogo dove l'arresto è stato eseguito, o presso altra casa circondariale, anche quando gli ufficiali e agenti che hanno eseguito l'arresto rappresentino la pericolosità della persona arrestata o l'incompatibilità della stessa con la permanenza nelle camere di sicurezza ovvero altre ragioni che impediscano l'utilizzo di esse”) » (Pistorelli, Relazione sul d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, in cortedicassazione.it). La disposizione aveva, peraltro, immediatamente destato le perplessità della citata dottrina, fondate sia sulle difficoltà organizzative che certamente la polizia giudiziaria avrebbe incontrato (si pensi ai problemi comportati dall'improvvisa necessità di gestire numerosi detenuti tossicodipendenti, tradizionalmente presenti in grande percentuale tra gli arrestati in flagranza di reati contro il patrimonio), sia sulla « tradizionale diffidenza verso il trattenimento dell'arrestato presso gli uffici di polizia nell'attesa della convalida, diffidenza che aveva portato, dopo le ambiguità sul punto del codice previgente, alla configurazione nel codice del 1988 della perentoria disposizione contenuta nel già menzionato quarto comma dell'art. 386 ». In sede di conversione, dopo aver inserito nell'art. 386, comma 4 (che, come già ricordato, impone l'accompagnamento dell'arrestato presso la più vicina casa circondariale in attesa dell'udienza di convalida) una clausola di salvezza di quanto previsto dal nuovo testo dell'art. 558, il legislatore ha riformulato il comma 4-bis dell'art. 558. Nella Relazione parlamentare al disegno di legge di conversione del d.l. in oggetto (in parlamento.it), si osserva che, coerentemente con la soppressione nel comma 4 del riferimento all'art. 386, il comma 4-bis introduce « il divieto di conduzione alla casa circondariale della persona arrestata in attesa del giudizio di convalida (fattispecie di cui ai commi 2 e 4 del medesimo art. 558); inoltre, “essendo l'ambito di applicazione del nuovo comma 4-bis dell'art. 558, nonché quello del nuovo art. 123-bis disp. att. c.p.p., circoscritto appunto ai casi previsti dal medesimo art. 558 — e, cioè, sotto il profilo procedurale, ai casi in cui al tribunale in composizione monocratica vengono contestualmente richiesti la convalida e il giudizio direttissimo — da ciò consegue che tali disposizioni non dovrebbero essere applicabili, perlomeno sulla base della lettera delle stesse, nei casi in cui viene richiesta al g.i.p. la sola convalida ai sensi dell'art. 390 c.p.p. Anche in tali ipotesi dovrebbero, pertanto, continuare a trovare applicazione le disposizioni di cui ai già richiamati commi 4 e 5 dell'art. 386 c.p.p., per cui l'arrestato, in via ordinaria, verrebbe condotto presso una casa circondariale”. Il citato divieto di conduzione riguarda sia la casa circondariale del luogo dove l'arresto è stato eseguito, sia eventuali altre case circondariali ». Stante tale divieto, si prevede ora che il pubblico ministero disponga, sempre nelle more della celebrazione dell'udienza di convalida, in via prioritaria, la custodia dell'arrestato nei luoghi indicati dall'art. 284 comma 1; soltanto nei casi in cui l'arrestato non abbia disponibilità di un alloggio, ovvero abbia disponibilità soltanto di un alloggio inidoneo alla sua custodia provvisoria, oppure soltanto di un alloggio ubicato fuori dal circondario in cui è stato eseguito l'arresto, od, infine, quando la sua pericolosità risulti incompatibile con la custodia domiciliare, il p.m. può disporre la custodia nelle strutture di polizia oppure, ove ciò non sia possibile (per le medesime ragioni già individuate nell'originaria formulazione della norma, così come introdotta dal d.l. in esame), l'accompagnamento presso la casa circondariale del luogo in cui è stato eseguito l'arresto o, nei casi in cui da ciò possa derivare pregiudizio per le indagini, presso altra casa circondariale vicina: « in definitiva, è stato introdotto un più razionale sistema di custodia dell'arrestato, che, mantenendo l'obiettivo di evitare ove possibile il suo inserimento nel circuito carcerario, sposta il suo baricentro sulla detenzione domiciliare, limitando, così, il ricorso alle camere di sicurezza e i dubbi che per l'appunto aveva suscitato. Rispetto al passato, diviene, peraltro, imprescindibile l'intervento del pubblico ministero, cui è affidato il monopolio della decisione sul luogo in cui l'arrestato deve essere custodito. Decisione che dovrà, in ogni caso, tradursi nell'adozione di un provvedimento, il quale richiederà idonea motivazione qualora venga eletta la custodia presso le strutture di polizia o quelle carcerarie, atteso che la scelta di tali luoghi presuppone ora il verificarsi di precise condizioni poste dalla legge processuale » (Pistorelli, Relazione sulla l. 17 febbraio 2012, n. 9, in cortedicassazione.it). La stessa dottrina ha, peraltro, sottolineato che « l'intervento del pubblico ministero — per espressa volontà del legislatore — è necessario anche nell'ipotesi, disciplinata dal secondo comma dell'art. 558, in cui l'arrestato non sia stato posto a sua disposizione, situazione che, come noto, consentirebbe alla polizia giudiziaria di presentarlo autonomamente al giudice per la convalida. Soluzione, questa, che è stata all'evidenza suggerita dalla volontà di attribuire all'autorità giudiziaria l'esclusiva responsabilità della valutazione dei presupposti da cui dipende la destinazione dell'arrestato, ma che rischia di rivelarsi macchinosa e di orientare la prassi verso la sistematica messa a disposizione degli stessi con la conseguente sostanziale disapplicazione del citato art. 558 comma 2 c.p.p. ». In sintesi: a ) gli arresti domiciliari costituiscono la regola in caso di arresto per i meno gravi reati attribuiti al giudice monocratico: in tal modo, di fatto, potrebbe risultare (forse inconsapevolmente, o forse no) impedita, per tali reati, la possibilità di applicare, all'esito dell'udienza di convalida, e naturalmente ove il p.m. ne abbia fatto richiesta, la più restrittiva misura della custodia in carcere, in tutti i casi nei quali — sia pur necessariamente soltanto per il limitato periodo di tempo intercorso tra l'arresto e la celebrazione dell'udienza di convalida — la meno restrittiva custodia domiciliare abbia soddisfatto le esigenze cautelari in concreto ritenute sussistenti; b ) per gli stessi reati, il p.m. dovrà immediatamente disporre la custodia dell'arrestato presso strutture idonee in disponibilità degli ufficiali od agenti della p.g. (ovvero, in concreto, nelle camere di sicurezza) che hanno eseguito l'arresto o che hanno in custodia l'arrestato, nei casi in cui: b.1) l'arrestato non disponga di un domicilio idoneo; b.2) l'arrestato disponga soltanto di un domicilio idoneo situato fuori dal circondario entro il quale sia stato eseguito l'arresto; b.3) l'arrestato risulti pericoloso: una dottrina (Amato, 30) ha censurato « l'assenza di esplicite indicazioni atte a supportare il giudizio di “pericolosità” dell'arrestato », osservando che, « per evitare il rischio di una discrezionalità incontrollabile, deve trovarsi un aggancio normativo sistematico idoneo ad evitare scelte arbitrarie ed incontrollabili », proponendo il « richiamo al disposto del comma 4 dell'art. 381 c.p.p., pur dedicato alla disciplina dell'arresto facoltativo in flagranza, laddove la “pericolosità” soggettiva è ancorata alla “personalità” dell'arrestato ed alle “circostanze del fatto” (nella misura in cui si riflettono sulla pericolosità del soggetto) »; c ) dovrà, invece, essere disposta, con decreto motivato del p.m., la custodia nel carcere del circondario di esecuzione dell'arresto: c.1) se manchino, siano indisponibili od inidonee le strutture della polizia giudiziaria; c.2) se ricorrano altre situazioni di necessità od urgenza; d ) la custodia del soggetto in carcere presso altra casa circondariale limitrofa sarà possibile soltanto per evitare grave pregiudizio alle indagini. Si è osservato che « la scelta del carcere rimane residuale, nel senso che è subordinata non solo all'impossibilità di custodia nelle camere di sicurezza, ma, prima ancora, all'impossibilità della custodia domiciliare in uno dei luoghi indicati nel comma 1 dell'art. 284 c.p.p. Di tale eccezionale residualità si deve dare sintetica, ma effettiva contezza in sede di decreto “motivato” del pubblico ministero, il quale, inevitabilmente, non può non richiamare le indicazioni degli operanti in ordine all'impraticabilità del ricorso alle altre due meno invasive modalità di custodia » (Amato, 28); la stessa dottrina ritiene inammissibilmente (lo impedisce espressamente l'art. 125 comma 6 c.p.p.) che il decreto motivato possa essere dettato anche oralmente. Si pone il problema di individuare le modalità di presentazione in udienza di convalida del soggetto provvisoriamente ristretto in custodia domiciliare. In dottrina (Amato, 28) si è sostenuto che « vuoi per la specificità del giudizio di convalida, vuoi per l'assenza di una esplicita indicazione normativa, la presentazione in udienza dovrà essere effettuata tramite gli operanti, non essendo prevista l'autorizzazione al soggetto a presentarsi con mezzi propri. Ciò deve dirsi non solo, ovviamente, nel caso di presentazione diretta da parte della polizia giudiziaria, ma anche in quella dell'arrestato posto a propria disposizione dal pubblico ministero. Il soggetto, del resto, è da considerare in stato di custodia cautelare (cfr. art. 284, comma 5; se si allontanasse dal luogo di custodia risponderebbe, quindi, anche del reato di evasione) e non compete né alla p.g. , né al p.m., in assenza di copertura normativa (l'art. 22 diap. att. c.p.p. radica, in proposito, la competenza del “giudice”, e non certo autorizza interpretazioni pericolosamente estensive), il potere di autorizzazione a spostarsi con il mezzo proprio per partecipare all'udienza, precisando, in particolare, che la traduzione dovrà essere eseguita “dalle forze di polizia che hanno eseguito l'arresto, e non certo dalla polizia penitenziaria” ». Altra dottrina ritiene, al contrario, senz'altro applicabile la disposizione di cui all'art. 22 disp. att. c.p.p., inserita tra le disposizioni di attuazione relative alle parti ed ai difensori (e, quindi, di portata generale, non certo limitata al dibattimento), che riserva al giudice competente a norma dell'art. 279 (quello competente in ordine alla richiesta di applicazione di misura cautelare necessariamente formulata dal p.m., ovvero il giudice della convalida: in difetto di siffatta richiesta, infatti, l'arrestato non potrebbe più essere in custodia cautelare, dovendo essere immediatamente liberato, ai sensi dell'art. 121 disp. att. c.p.p., e potendo partecipare all'udienza di convalida in stato di libertà) la possibilità di disporre la traduzione del detenuto, o di autorizzarne la comparizione in udienza di convalida senza scorta (l'art. 22 disp. att. c.p.p. impone, tra l'altro, soltanto al g.i.p., non anche al giudice del dibattimento, di sentire il p.m., il cui parere è, pertanto, quando previsto, meramente obbligatorio, ma non anche vincolante), senza necessità di alcuna “spericolatezza” interpretativa (Beltrani, Commento, 41 ss.). Si pone anche il problema dell'individuazione dei soggetti cui è demandata l'esecuzione dell'ordinanza applicativa della misura cautelare detentiva (custodia in carcere o domiciliare) eventualmente emessa all'esito dell'udienza di convalida: la dottrina (Amato, 34) ritiene che il compito spetti agli operanti, essendo gli agenti di polizia penitenziaria onerati soltanto delle traduzioni dei soggetti « già detenuti ». Sembrerebbe, in concreto, da escludere l'evenienza che al soggetto autorizzato dal giudice a comparire senza scorta (sull'evidente, consapevole, presupposto di una minima residua pericolosità) sia applicata la custodia in carcere: in caso di applicazione della custodia domiciliare, egli ben potrà essere autorizzato — come d'ordinario — a raggiungere il domicilio di detenzione con mezzi propri, senza scorta, entro un dato periodo di tempo. Per le conseguenze della mancata presenza dell'arrestato all'udienza di convalida, si rinvia sub art. 391. La più articolata e dettagliata formulazione del comma 4-bis dell'art. 558 operata in sede di conversione ha reso superflua la disposizione di cui all'art. 123-bis disp. att. c.p.p., pure introdotta dal d.l. n. 211/2011, ma abrogata in sede di conversione. Il comma 4- ter La l. n. 9/2012, di conversione del d.l. n. 211/2011, ha inoltre inserito, all'interno dell'art. 558, un nuovo comma 4-ter, che prevede un'eccezione alla disciplina di cui al comma 4, per i casi in cui l'arresto sia stato eseguito per uno dei reati di cui alle lett. e-bis) ed f) dell'art. 380 comma 2 c.p.p. (furto in abitazione e furto con strappo, salvo che ricorra la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, ex art. 62 comma 1 n. 4 c.p.; rapina ed estorsione non aggravate): in tali casi, il p.m. ha discrezionalità unicamente quanto alla scelta di disporre, sempre con decreto motivato, la custodia in camera di sicurezza od in carcere, secondo il meccanismo di graduazione descritto dal comma 4-bis; il possibile pregiudizio per le indagini potrà, anche in questo caso, giustificare la custodia dell'arrestato presso altra casa circondariale limitrofa. La dottrina ha osservato che « in definitiva, la disposizione in esame si riduce all'introduzione di una presunzione assoluta di inadeguatezza della custodia domiciliare per gli autori dei sopra ricordati reati, la quale rischia di sollevare le consuete riserve in punto di compatibilità con l'art. 3 Cost. che il giudice delle leggi non ha mancato di evidenziare in relazione a previsioni analoghe (ad esempio censurando ripetutamente quelle contenute nell'art. 275, comma 3, c.p.p.), tanto più che nel caso di specie nulla vieta al pubblico ministero di chiedere al giudice, all'esito dell'udienza di convalida, l'applicazione degli arresti domiciliari o di altra misura meno afflittiva » (Pistorelli, Relazione sulla l. 17 febbraio 2012, n. 9, in cortedicassazione.it). Il luogo di svolgimento dell'udienza di convalida L'art. 123 disp. att. c.p.p. stabiliva, in origine, che, salvo quanto previsto dall'art. 121 disp. att. c.p.p. (per i casi di liberazione immediata dell'arrestato o del fermato nei confronti del quale il p.m. ritenesse di non dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive), e dagli artt. 449, comma 1, e 558 c.p.p. (per i casi in cui si procede con rito direttissimo, e quindi in udienza dibattimentale, previa traduzione dell'arrestato o del fermato ancora detenuto), « l'udienza di convalida si svolge nel luogo dove l'arrestato o il fermato è custodito. Tuttavia, quando sussistono specifici motivi di necessità o di urgenza, il giudice può disporre il trasferimento dell'arrestato o del fermato per la comparizione davanti a sé ». Nella vigenza di questa disposizione, era innegabilmente molto diffusa la prassi di disporre la traduzione di arrestati o fermati innanzi al giudice (in caso di concomitanza con altre udienze, oppure per impegnare in turno convalida un solo giudice, o comunque nel caso in cui gli arrestati o fermati fossero detenuti in luoghi diversi, ad esempio, trattandosi di uomini e donne, in case circondariali distinte), senza la necessità di motivare (non occorrendo l'emissione di un decreto motivato ad hoc, ed essendo legittimo l'ordine di traduzione anche soltanto in presenza di « specifici motivi di necessità o di urgenza »): e non poteva dirsi mai chiaro se prevalesse l'esigenza di far fronte al meglio ai doveri di ufficio (che richiedono ai giudici disponibilità incondizionata, è bene non dimenticarlo mai), ovvero quella di concentrare il più possibile gli impegni, per evitare una più assidua presenza in ufficio, anche a costo di abusare della facoltà (sostanzialmente rimessa alla discrezionalità del magistrato) concessa dalla norma (così, Beltrani, Commento, 41 ss.). Il d.l. n. 211/2011 ha modificato l'art. 123 disp. att. c.p.p. in due direzioni, prevedendo: a ) l'applicazione della disciplina in tema di individuazione del luogo di svolgimento dell'udienza di convalida anche all'« interrogatorio della persona che si trovi a qualsiasi titolo in stato di detenzione »; b ) la possibilità, per il giudice, di disporre la traduzione del “convalidando” o dell'“interrogando” innanzi a sé soltanto ricorrendo « eccezionali motivi di necessità o di urgenza, e previo decreto motivato ». La dottrina aveva osservato che si trattava « di previsione in qualche modo ambigua, giacché il suo inserimento nel contesto di una disposizione dedicata all'udienza di convalida potrebbe far supporre che la sua portata sia limitata all'interrogatorio tenuto dal pubblico ministero prima della celebrazione di tale udienza. Per converso, l'esplicito riferimento alla persona che si trovi “a qualsiasi titolo” in stato di detenzione, sembrerebbe fare riferimento non solo all'arrestato o al fermato, ma altresì al soggetto che si trovi in custodia cautelare. In altri termini, la norma potrebbe essere interpretata, per la mancanza di ogni coordinamento con la restante disciplina, nel senso di vietare la traduzione del detenuto per rendere interrogatorio anche in un momento successivo alla conclusione dell'udienza di convalida, quando cioè la detenzione si è consolidata attraverso altro titolo diverso dal provvedimento precautelare e, soprattutto, quando la stessa si svolge oramai inevitabilmente in carcere. Anzi, formalmente, se interpretato in questo senso, il menzionato inciso porterebbe alla paradossale conclusione che anche l'interrogatorio dell'indagato agli arresti domiciliari (che è pur sempre “detenuto”) debba svolgersi nel luogo di detenzione e cioè presso il suo domicilio » (Pistorelli, Relazione sul d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, in cortedicassazione.it); a sostegno di quest'ultima interpretazione, veniva richiamato il fatto che « nell'ultimo periodo dell'art. 123 in oggetto — il quale consente al giudice di ordinare il trasferimento presso di sé dell'arrestato o del fermato — è stato aggiunto l'espresso riferimento anche al “detenuto” (ed in proposito la novella ha altresì reso più rigorosi i limiti di tale potere derogatorio, prevedendo che possa essere esercitato solo in presenza di “eccezionali motivi di necessità o di urgenza”). Proprio la configurazione del potere di deroga rivela poi che solo l'interrogatorio tenuto dal giudice può essere eccezionalmente svolto al di fuori del luogo di detenzione, mentre tale possibilità non è prevista per il caso dell'interrogatorio tenuto dal pubblico ministero, che non potrà dunque più disporre la traduzione dell'indagato dinanzi a sé. Il legislatore sembrerebbe, in realtà, aver pensato all'interrogatorio di garanzia ex art. 294, imponendo al giudice di contenere i costi di traduzione dei detenuti in custodia cautelare (ed in tal senso si trae conferma dal tenore della relazione che accompagna il disegno della legge di conversione), non considerando, tuttavia, che anche in un'altra occasione il giudice procede all'interrogatorio e, cioè, nel corso dell'udienza preliminare. Ne consegue, in assenza di una deroga analoga a quella espressamente prevista dall'art. 123 disp. att. c.p.p., per l'udienza di convalida contestuale al giudizio direttissimo, che, qualora l'imputato detenuto chiedesse di sottoporsi ad interrogatorio nella predetta fase e il giudice fissasse, ad esempio, all'uopo un apposita udienza, questa dovrebbe formalmente tenersi nel luogo di detenzione: conseguenza talmente paradossale da ritenersi ovviabile ricorrendo ad interpretazioni di buon senso, ma non sembra comunque inopportuno che la legge di conversione chiarisca l'effettiva volontà del legislatore sul punto ». La legge di conversione ha lasciato inalterate le già apportate modifiche, aggiungendone due ulteriori, prevedendo che: c ) la disciplina dettata in tema di individuazione del luogo di svolgimento dell'udienza di convalida e dell'interrogatorio del detenuto non si applica « nel caso di detenzione nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora »; d ) il Procuratore Capo della Repubblica deve predisporre « le necessarie misure organizzative per assicurare il rispetto dei termini di cui all'art. 558 c.p.p. », come risultante all'esito delle incisive modifiche apportate in tema di convalida dell'arresto e giudizio direttissimo nell'ambito del procedimento per reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica. In dottrina si è osservato che la legge di conversione ha esplicitamente escluso dall'operatività della regola della celebrazione dell'udienza di convalida presso il luogo di detenzione « l'ipotesi in cui l'arrestato o il fermato, in attesa dell'udienza di convalida, venga custodito presso il proprio domicilio o in altro luogo di privata dimora, dal che sembra dedursi che in tal caso la medesima udienza si tenga presso l'ufficio del giudice » (Pistorelli). È stato, invece, riproposto l'inciso aggiunto nell'art. 123 dal d.l., in virtù del quale nel medesimo luogo (ovvero quello di detenzione) deve svolgersi anche l'interrogatorio « della persona che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione »: « peraltro, grazie alla precisazione di cui si è detto in precedenza, vengono meno alcune delle perplessità che l'incerta formulazione originaria della disposizione aveva suscitato, atteso che è ora evidente come l'interrogatorio di chi si trovi ristretto in custodia domiciliare (qualunque sia il titolo della custodia e, dunque, anche in caso di custodia cautelare e non solo di arresto o fermo) non deve svolgersi presso il luogo di detenzione, come invece è necessario per coloro che sono ristretti in istituti carcerari » (Pistorelli). È stata riproposta dal legislatore anche la clausola di salvezza che consente al giudice di disporre con decreto motivato la traduzione del detenuto dinanzi a sé « quando sussistono eccezionali motivi di necessità o di urgenza »; parte della dottrina ha ritenuto tale clausola eccessivamente generica « in ragione dell'estrema fragilità selettiva dei parametri adottati per definirne l'ambito di applicazione » (Pistorelli). Il divieto di traduzione previsto dal nuovo art. 123 disp. att. c.p.p.continua, pertanto, a non riguardare i casi in cui l'arrestato ed il fermato siano stati immediatamente posti in libertà dal p.m. (perché non appaia necessaria alcuna misura coercitiva, ex art. 123 disp. att. c.p.p.), e quelli in cui si proceda alla convalida con contestuale giudizio direttissimo (tuttora destinato a svolgersi esclusivamente in aula d'udienza dibattimentale, previa traduzione del detenuto che non abbia rinunziato a comparire, exartt. 449 comma 1 e 558, espressamente fatti salvi dall'art. 123, e riguardanti tutti i reati attribuiti al tribunale, sia in composizione collegiale sia monocratica). Esso, come detto, non riguarda neanche i casi (anch'essi fatti espressamente salvi dall'art. 123) in cui, ai sensi delle nuove disposizioni inserite all'interno dell'art. 558, l'arrestato od il fermato siano custoditi « nel proprio domicilio o presso altro luogo di privata dimora »: in tali casi, pertanto, secondo la disciplina ordinaria, il giudice potrà disporre la traduzione del detenuto, od autorizzarne la comparizione in udienza di convalida senza scorta (ex art. 22 disp. att. c.p.p., non modificato, che impone, tra l'altro, soltanto al G.i.p. — non anche al giudice del dibattimento — di sentire il p.m., il cui parere è, pertanto, quando previsto, meramente obbligatorio, ma non anche vincolante), secondo quella che presumibilmente diverrà la prassi, una volta che — per legittimare la provvisoria custodia presso il domicilio — il p.m. abbia necessariamente verificato la non (estrema) pericolosità dell'arrestato o fermato (ex “nuovo” art. 558, comma 4-bis). Si è, così, evitato di imporre al giudice della convalida (tra l'altro, destinato anche a decidere sul successivo status libertatis) l'accesso al domicilio del detenuto, che — soprattutto in contesti particolarmente “turbolenti” — avrebbe intuibilmente comportato molteplici difficoltà e costi sicuramente eccedenti quelli di una traduzione (per la necessità di predisporre adeguata tutela del magistrato e del suo ausiliario), e sarebbe, in definitiva, apparso immotivatamente penalizzante per i funzionari dello Stato (così, Beltrani, Commento, 41 ss.). Le conseguenze disciplinari a carico dei magistrati per le violazioni delle nuove disposizioni L'art. 2-ter della legge di conversione del d.l. n. 211/2011 ha inserito, nell'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 109/2006, una nuova fattispecie di illecito disciplinare dei magistrati (lett. gg-bis): «l'inosservanza dell'articolo 123 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al d.lgs. n. 271/1989»: si tratta di un “illecito funzionale”, ovvero commesso dal magistrato nell'esercizio delle funzioni. I lavori parlamentari (come è ormai triste consuetudine) non dicono molto sulla genesi e sulla ratio dell'innovazione, limitandosi ad osservare che « la nuova disposizione integra il catalogo degli illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni prevedendo anche l'inosservanza, da parte del giudice, della novellata disciplina dell'udienza di convalida dell'arresto e dell'interrogatorio di cui all'art. 123 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (di cui all'art. 2 del decreto legge in esame) » (Camera dei Deputati , Progetto di legge A.C. 4909, Dossier di documentazione, in parlamento.it), persino dimenticando di far menzione dell'udienza di convalida del fermo. Alla luce di quanto osservato nel paragrafo che precede, l'ambito del nuovo illecito disciplinare si concretizza in due precetti. Il primo è che l'udienza di convalida dell'arresto in flagranza di reato o del fermo, per tutti i reati devoluti al tribunale sia in composizione monocratica sia collegiale, deve necessariamente celebrarsi « nel luogo dove l'arrestato od il fermato è custodito », a meno che non sussistano « eccezionali motivi di necessità o di urgenza », dei quali il giudice dovrà dar conto in un decreto motivato: la nuova previsione imporrà, pertanto, di motivare sulla natura degli « eccezionali motivi di necessità o di urgenza » che abbiano necessitato la traduzione del detenuto. Non potrà, ovviamente, trattarsi di una motivazione meramente apparente (che si limiti a riportare la formulazione astratta dell'art. 123: « considerato che ricorrono eccezionali motivi di necessità o di urgenza ... »); il carattere della « eccezionalità » impedisce di valorizzare situazioni ricorrenti, previste o prevedibili, alle quali sarebbe possibile ovviare in altro modo, piuttosto che disponendo la traduzione del detenuto. Il giudice potrà valorizzare concomitanti impegni, sempre che si tratti di impegni sopravvenuti in extremis, ed ai quali, pertanto, non era possibile far fronte in altro modo (ad es., la necessità di celebrare plurimi interrogatori di garanzia, a seguito dell'improvvisa esecuzione di una misura cautelare, in concomitanza con un turno di convalida; non anche la concomitanza di un'udienza di diversa natura, ad esempio, dibattimentale o camerale, già fissata, non è consentito destinare nello stesso giorno un giudice in udienza ed in turno convalida, che richiederà un impegno presumibilmente “esterno”). In caso di pluralità di arresti o fermi da convalidare in luoghi di detenzione diversi, l'ordine di traduzione non sembra, in linea di principio, legittimo, trattandosi di evenienza oggi concreta, che impone la previsione della disponibilità di più giudici in turno; tuttavia, il numero straordinariamente elevato degli arrestati o fermati, detenuti in più luoghi di detenzione, oppure l'occasionale indisponibilità dell'altro giudice di turno (ad es., per un improvviso problema di salute) potrà legittimare la traduzione. Sarà, naturalmente, improbabile che tali necessità sussistano negli uffici di grandi dimensioni; al contrario, per i tribunali di piccole dimensioni è ragionevole ritenere che la concentrazione delle convalide innanzi ad un solo magistrato resterà la regola, con la conseguente, intuibile, necessità, in caso di pluralità di luoghi di detenzione — ad es., nel frequente caso di arresto di uomini e donne — di ricorrere all'ausilio delle traduzioni, e ciò non soltanto per rispettare i serrati termini all'uopo previsti, ma anche per prevenire eventuali future diffuse situazioni di incompatibilità, che non mancherebbero di produrre sconquassi (ben più gravi di una traduzione magari evitabile) nel prosieguo del procedimento. Come anticipato, il nuovo illecito disciplinare comprende anche i casi in cui sia indebitamente disposta la traduzione di un soggetto « che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione » in luogo diverso dal domicilio (o da altro luogo di privata dimora) per l'effettuazione di un interrogatorio: il riferimento non può che riguardare i soli interrogatori “di garanzia” (ex art. 294 c.p.p.), con esclusione, necessariamente, di quelli destinati ad aver luogo nel corso di un'udienza (di qualsiasi natura), apparendo irragionevole la disparità che, al riguardo, si produrrebbe accedendo ad un'interpretazione rigorosa del riferimento al concetto di “interrogatorio”, rispetto alla perdurante possibilità (conservata dallo stesso art. 123 disp. att. c.p.p.) di disporre senza restrizioni la traduzione del detenuto per la celebrazione del giudizio direttissimo. A ritenere il contrario, tra l'altro, sarebbe necessario farsi carico dei disagi derivanti, ai fini della spedita trattazione del procedimento (la garanzia della durata ragionevole del procedimento, assicurata dall'art. 111, comma 2, Cost. costituisce, infatti, canone interpretativo privilegiato, al quale l'interprete deve costantemente ispirarsi, poiché la sua costituzionalizzazione ha ampliato l'ambito del possibile controllo di legittimità della Corte costituzionale sulle norme procedurali: così, fra le altre, Cass. S.U., n. 5307/2008), dalla necessità di imporre a tutte le parti (si pensi al caso del soggetto detenuto, chiamato a rendere interrogatorio nell'ambito di un'udienza preliminare o di un giudizio abbreviato, cui partecipino anche numerosi coimputati e/o parti civili) la comparizione nel luogo di detenzione dell'“interrogando”, senz'altro maggiori di quelli cui si andrà incontro continuando a disporre (fuori dai casi in cui sia possibile procedere in videoconferenza) la traduzione dell'interessato (così. S. Beltrani, Commento, 41 ss.). Il secondo si concretizza nel dovere del Procuratore Capo della Repubblica di predisporre « le necessarie misure organizzative per assicurare il rispetto dei termini di cui all'articolo 558 c.p.p. »: dovere che appare, peraltro, limitato alla predisposizione di efficienti turni di reperibilità dei sostituti (già normalmente adottati in ogni procura della Repubblica italiana), oltre che ad un efficace coordinamento con la polizia giudiziaria, e la cui violazione potrà, naturalmente, assumere rilievo disciplinare solamente in presenza di reiterate (e non meramente occasionali) violazioni dei suddetti termini di convalida ascrivibili all'ufficio di Procura considerato nel suo complesso, e non al giudice della convalida. La nuova fattispecie di cui alla lett. gg-bis) avrebbe potuto già integrare l'illecito previsto dalla lett. g) dell'art. 2 comma 1 d.lgs. n. 109/2006 cit., che sanziona la « grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile », rispetto alla quale si pone, pertanto, come ipotesi speciale; il che rende non configurabile il concorso dei due illeciti disciplinari; essa non richiede la gravità della violazione, il che si spiega con la trasparente intenzione di assicurare sempre e comunque l'effettività delle nuove disposizioni introdotte all'interno dall'art. 123 disp. att. c.p.p. Naturalmente, anche al nuovo illecito si applica la disposizione di cui all'art. 3-bis del citato d.lgs., che prevede la non configurabilità dell'illecito disciplinare « quando il fatto è di scarsa rilevanza »: trattasi di una esimente, ovvero, nella specie, di una causa di esclusione della sanzione disciplinare (Cass. civ., S.U., n. 14665/2011), la quale presuppone che la fattispecie tipica si sia realizzata, ma che, per particolari circostanze, anche non riferibili all'incolpato, il fatto risulti di scarsa rilevanza, e fonda sulla rilevanza, anche in materia disciplinare, del principio di offensività (proprio del diritto penale). La sussistenza dell'illecito disciplinare va sempre riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma (unico per tutte le ipotesi di illecito disciplinare, ed identificabile — secondo quanto emerge esplicitamente dall'art. 3, lett. h), e dall'art. 4, lett. d), d.lgs. n. 109/2006 — nella compromissione dell'immagine del magistrato), ed il relativo accertamento va effettuato ex post ed in concreto (Cass. civ., S.U., n. 25091/2010). Sarà compito della giurisprudenza disciplinare, enucleare le situazioni in presenza delle quali, una volta accertata la realizzazione della nuova fattispecie tipica di cui all'art. 2 comma 1 lett. gg-bis) d.lgs. n. 109/2006, potrà ritenersi che il giudice abbia posto in essere una condotta di scarsa rilevanza, e quindi non sanzionabile disciplinarmente, non compromettendo la sua immagine (così, Beltrani, Commento, 41 ss.). In difetto di modifiche all'art. 12 d.lgs. n. 109/2006, che indica le sanzioni applicabili agli illeciti disciplinari dei magistrati, ed all'interno del quale non è stata inserita alcuna previsione “speciale” relativa al nuovo illecito disciplinare, la sanzione minima applicabile a quest'ultimo è quella dell'ammonimento, quella massima è quella della rimozione: il trattamento sanzionatorio è, pertanto, lo stesso previsto per il preesistente illecito di cui all'art. 2, comma 1, lett. g). Casistica
Atti abnormi In caso di arresto in flagranza per il reato di cui all'art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286 del 1998, è stato considerato abnorme il provvedimento con cui il tribunale restituisca gli atti al P.M. sul rilievo dell'inosservanza del termine di 24 ore per la messa a disposizione dell'arrestato al giudice della convalida, atteso che tale provvedimento impedisce al P.M. di dar corso all'obbligatoria instaurazione del giudizio direttissimo atipico previsto dal comma 13-ter del suddetto art. 13 (Cass. I, n. 42096/2019). È stato ritenuto abnorme anche il provvedimento con cui il giudice, investito della richiesta di giudizio direttissimo ex art. 558, dopo aver provveduto alla convalida dell'arresto per il delitto di furto aggravato, avendo escluso le aggravanti contestate, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per la mancanza di querela, in quanto, non essendo ancora scaduti i termini per la proposizione della querela, la carenza istruttoria, che non rientra tra i presupposti del rito direttissimo, ben può essere colmata nel corso del giudizio, nel quale il pubblico ministero può far valere la sussistenza delle circostanze escluse dal giudice (Cass. V, n. 34320/2020). BibliografiaAMATO, Commento agli artt. 1-2-bis della legge n. 9 del 2012, in Guida dir. 2012, n. 10, 28; BELTRANI, Commento all'art. 2-ter della legge n. 9 del 2012, in Guida dir. 2012, n. 10, 41; BELTRANI, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; BELTRANI, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; CORBETTA, Il procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica, in AA.VV., Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, a cura di PERONI, Padova, 2000, 589; CORTESI, Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in Trattato di procedura penale, diretto da SPANGHER, IV, t. II, Procedimenti speciali. Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, a cura di SPANGHER- FILIPPI, Torino, 2009, 713; FIDELBO-EGALLUCCI, Sub art. 558, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da LATTANZI- LUPO, VI, Agg. 2003-2007, (artt. 465-567), a cura di D'ANDRIA- FIDELBO- GALLUCCI, Milano, 2008, 364; GALLUZZO, Revirement della Corte: in direttissima l'accesso ai riti premiali non è precluso dalla concessione del termine a difesa, in Cass. pen. 2009, 4331; GAETA, voce Giudizio direttissimo, in Enc. dir., Agg., IV, Milano, 2000, 658; G. GARUTI, Il procedimento per citazione diretta a giudizio, in Trattato di procedura penale, diretto da UBERTIS- VOENA, XXXVI.1, Milano, 2003; GRIFFO, Dal pretore al giudice monocratico: una particolare modalità di instaurazione del giudizio direttissimo, in Giur. it. 2005, 2161; PISTORELLI, Relazione sul d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, in cortedicassazione.it; PISTORELLI, Relazione sulla l. 17 febbraio 2012, n. 9, incortedicassazione.it; RIVIEZZO, Giudice unico e processo penale, in Cass. pen. 1998, 3495; RIVIEZZO, Il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in AA.VV., Il nuovo processo penale davanti al giudice unico, Milano, 2000, 189; RUGGIERI, Il procedimento davanti al tribunale monocratico, in AA.VV., Giudice unico e garanzie difensive. La procedura penale riformata, 2000, 39; SIRACUSANO, L'udienza di comparizione e il dibattimento avanti al giudice monocratico, in AA.VV., Le recenti modifiche al codice di procedura penale, II, Le innovazioni in tema di giudizio, a cura di G. PIERRO, Milano, 2000, 67. |